Sunday, August 25, 2019

l'autocritica con l'amico lorenzo

e quindi niente.
col suo modo, tra il tagliente ed il perculante, l'amico lorenzo mi chiede di far autocritica.
ponendomi due domandine.
il contesto è quello della crisi di governo agostana, scatenata da quello là, l'eventuale sbocco della medesima, ed il come. altro piccolo elemento di contesto: l'amico lorenzo è il cinquantapercento dei  faivstarrrrrrrrre con cui interloquisco, per quanto con una certa accezione bizzarra del concetto di interloquire.
la prima domanda è sullo sbocco della crisi, cito: "convergenze parallele, o vuoi andare al voto? (Famme capì sticazzi)".
la risposta è semplice. io tanto se si vota, voto per qualcuno che perde. quindi sticazzi. [però vediamo se vi imparate come è da intendersi, nella correttezza semantica. nell'improbabile caso anche a beneficio dell'amico lorenzo]. nella prammatica del desiderata, mi basta che quello là stia lontano dal viminale. che colà è pericoloso, per tutti. faivstarrrrrrre compresi. per certi versi quasi più pericoloso che staresene a palazzo chigi.
la curiosità che mi sorge, amico lorenzo, è invece famme capì tu. nel senso che vorresti tornare a votare subito e prendere valangate di voti [cit.]? accordarsi col pidddddddddì [sì, ma il piddddddddddì, allora]? tornar nelle braccia di quello là? [ahhhhhhh, ma se ne gliene ha cantate  l'elevato a statista, in senato. se gliene ha cantate. un po' comodo farlo ora, ma tant'è].
che poi significa se vorresti raggiungere l'agognato risultato della maggioranza assoluta, così il moV non si dovrà alleare con nessuno.
oppure barcamensarsi tra le due opzioni, i due forni. che poi significa, nel migliore dei casi, essere dei dorotei democristiani de noartri. nel peggiore dei banalizzatori, con ben poca "grammatica istituzionale" [cit.]. se per i faivstarrrrrrrrre passare dai legaioli al pidddddddddì, significa solo cambiare dei ministri. senza aver nemmeno cominciato a pensare che, per un cambio di del genere, un qualche cenno di autocritica, di presa di coscienza, può aver senso se fa capolino. tanto la colpa è di quell'altro. tanto quel che conta solalmente è il faro che illumina [abbaglia, abbacina] è il mantra che gli italiani li hanno votati per cambiare il paese. quando si finisce per credere alla propria propaganda, i cazzi son lì dietro l'angolo. mentre si è dimentichi, o addirittura si ignora, l'inevitabile cambio di paradigma che comporterebbe passare da quell'alleato all'altro. discontinuità non è un vezzo radicalscìc del segretario di quel partito uno e trino che è il pidddddddì. è la condizione fondante di un accordo che non sia un qualcosa di pezzottato. che a sergio mica lo turlopini. sergio ci ha una cazzimma acccusssì, che in confronto si è un po' piscialetto se non si capisce 'sta cosa.
quello là, è stato dichiarato inaffidabile dieci giorni fa. per una questione forse più personale che politica. la ripicca è quella di provare ad accordarsi col piddddddddddì. solo che poi la rabbia - personale - svapora, ed il riflesso pavloviano eeeeeallllorailpiddddddì? torna a farsi più forte, quindi più ostativo. quindi meglio quello là. tanto più se cede sul nome del primo ministro: dopo il tracollo strategico di aprire una crisi ad minchiam, è il fio che gli tocca pagare.
che si voti o meno, tanto io perderò. si tratta solo di capire di quanto.
la seconda domanda è sui cinque punti del piddddddddì, precondizione per un accordo coi faivstarrrrre. naturalmente quelli del pidddddddì sono percularizzabili, all'ottantapercento. ma sono ormai cosa vecchia. visto che poi sono arrivati i dieci punti dei faivstarrrrrrrre [naturalmente puntuali, precisi, inequivocabili, irreprensibili, inattacabili]. poi i tre da retroscena del pidddddì, forse fatti retroscenare per far saltar tutto. poi da lì ho perso un po' il filo, considerato per gemmazione sia uscito un discreto florilegio di altri elenchi, sottoelenchi, commi, pre-pre-condizioni da parte di uno, dell'altro, dell'altro ancora.
questo, secondo me, smonta il senso della domanda. che i punti, raddoppiati, dimezzati, riassunti, servono solo a chiarire le proprie posizioni. il punto di partenza iniziale. da lì poi si media, magari non tutte, ma la maggior parte delle istanze. perché un accordo è sempre frutto di un compromesso, sempre. perculare quelle degli altri, e acclarare le proprie come pietre angolari significa non aver compreso il senso di fare un accordo. oppure continuare a credere nella propria propaganda primigenia: si fa come se si avesse la maggioranza assoluta dei parlamentari.
aggiungerei qualche considerazione a margine. visto che ci siamo userei un elenco di punti:
  • eviterei di usare il termine contratto [quell'altro, doveva essere depositato da un notaio. a proposito di propaganda];
  • in ambito europeo i faivstarrrrrrrre si sono allineati allo zeitgeist imperante. quando aggggggiggginuosssstro, nei mesi precedenti non ha smesso di dichiarare che dopo il ventiseimaggio sarebbe cambiato tutto, ahhhh, se sarebbe cambiato tutto. più che alla bce e draghi [che ci salverà di nuovo il culo] è alla commissione che si è allineato, inevitabilmente, il gialloverde del cambiamento. con tanto di - sacrosanto - vanto da parte dell'elevato a statista e del suo ministro dell'economia. si deve cambiare qualcosa? certo che sì. ma non lo fai con le dichiarazioni pompose pre-elettorali, lo puoi fare con l'autorevolezza che devi costruirti;
  • il taglio dei parlamentari mi appassiona fino ad un certo punto. la democrazia costa. mi piacerebbe pagare per qualcuno di competente. e non solo dei premibottone, come ci si è ridotti a fare negli ultimi quattro lustri. forse ancora di più nell'ultimo governo del cambiamento[peruncazzo]. ridurre il numero dei parlamentari significa cambiare la Costituzione, bisogna saperlo fare con cognizione. votai NO, l'ultima volta, proprio per questo. non è che mi senta così tranquillo siano in grado di farlo questo giro di giostra;
  • io non sono del piddddddddì. quindi sarebbe meglio non usare la seconda persona plurale come soggetto di un verbo riferito da cosechefailpiddddddddì. il pidddddddì mi è capitato di votarlo, a seconda del contesto. puntualizzo il distinguo perché, proprio perché di nessun partito, credo di poter lasciar agire più obiettiva la mia critica, e la mia autocritica. poi se si vuole continuare ad usare la seconda persona plurale, sticazzi. ma così continua ad acclararsi una certa distonia percettiva di oggettività;
  • il trattato di dublino è stato ratificato per l'italia dal governo berlusconi nel 2003. non dal piddddddddddddì. che debba essere cambiato mi pare lapalissiano. quello là, negli ultimi mesi, spesso è stato il grande assente alle varie riunioni dei ministri degli interni europei, anche per discutere della gestione del fenomeno migratorio. se ne stava a comiziare o in spiaggia. mi pare sia stato poco o per nulla stigmatizzato dagli alleati di governo, tranne nell'ultima seduta al senato [troppo comodo, appunto];
  • i dieci punti faivstarrrrrrre sono una bella elancazione di cose di buon senso. che potrebbero andar bene anche per quelli di forza italia, o i fascistelli di giorgetta. buon senso, che però non vuol dire semplice. sono una sfida a sciogliere i nodi della complessità del principio di realtà. ma per affrontare la complessità del principio di realtà, non basta la buona volontà, ci vuole competenza. ed anche di quella con i controfiocchi [avrei scritto controcoglioni, ma da radicalscìc buonista qual sono, è poco corretto politicamente, molto maschileggiante]. mediamente gli eletti faivstarrrrre sono, nel migliore dei casi, degli onestissimi scappati di casa. nel peggiore degli onestissimi spocchiosi [li sento ogni tanto in radio. in confronto di alcuni di questi, amico lorenzo, sei un pacato iscritto al partito liberale di metà anni sessanta]. io, in tutta serena sincerità e senza perculaggine, di questa capacità di agglomerare competenza ce ne vedo pochina [sono riusciti quasi a farmi cambiare idea sul tav, peddddddddire. che probabilmente è un'opera in effetti non utile]. credo sia significativa, e sintomatica, questa acredine maramaldeggiante verso i professoroni. che poi sarebbero persone competenti, solo che non la pensano come i faivstarrrrre. quindi in automatico in torto e da screditare. [lo fanno anche legaioli, ma la motiviazione, a parer mio è ancora più profonda, ed è cattiva coscienza: se non ce la fai ad essere come il secchione, sputtana la didattica, lo studio, la preparazione, la competenza]. non sarà un caso che professoroni li chiamava già il nanocoicapellidikevlar, la MEBoschi quando confutava chi criticava la sua riforma costituzionale [sic], e i gialloverdi del cambiamento. un bel filotto];
  • i decreti sicurezza sono pericolosi per tutti. faivstarrrrrre compresi. non è solo per biechezza delle norme anti-ong. è anche per le possibilità di manifestare il dissenso. le possibilità offerte ai prefetti. quei due decreti sono stati dei clamorosi abbassamento dei calzoni nei confronti di quello là. che minacciava la crisi. e poi tanto l'ha fatta uguale [sbagliando tutto, dopo, per fortuna];
  • ed a proposito di errori, la cosa paradossale è che la schizofrenia pidddddddddì, fa sembrare quelli seri i faivstttarrrrrrre, oltre che dar loro un vantaggio non indifferente. peddddddire quanto si sia capaci, da quelle parti, a farsi del male con inusitata abilità. non rimarrei così stupito, nel contempo, che la pochezza della classe dirigente faivstarrrrrre, faccia anch'essa qualche minchiata. e ridare fiato, contezza a pregnanza politica ancora a quelli là. anzi, se tornano assieme, - cafonata che non è così improbabile - sarà quasi una certezza, quand'anche, anzi forse soprattutto, ci fosse aggggggggiggggginuuuuostro a palazzo chigi.


della questione migratoria, per ora, lascerei perdere. un po' perché 'sto post è già logorroico di suo. un po' perché sono questioni che - probabilmente - stanno a monte del fatto tu sia faivstarrrrrrrrre, io di sinistra.
quel che tu chiami clandestini, per me sono persone.
punto.
faccio solo notare che il fenomeno migratorio sarà la cosa più complessa da gestire nei prossimi decenni, seconda sola al cambiamento climatico. cambiamento climatico che peraltro riverbererà dentro il fenomeno migratorio, come un camion che ribalta un intiero carico di sassi in uno stagno.
quella cosa lì è già in atto. pensare di gestirla coi porti chiusi o dichiarandoli clandestini significa aver già perso. magari ci può vincer le elezioni, per una o due volte. quando poi però il fenomeno travolgerà - soprattutto - le persone più deboli, i penultimi, i terzultimi, allora sì, sarà chiaro quanto si è stronzi ed inetti.

Tuesday, August 20, 2019

troppo comodo, oggi, il ditino puntato col fare offeso e sostenuto

uh, dunque.
io ho un rapporto con l'autostima che è un po' come il formaggio gruviera, con tutti i buchi in mezzo.
un po' di gente lo sa, ma mi vuol bene uguale, quindi stigrandisssssssimicazzi.
uno dei [pochi] vantaggi di un'autostima tipo formaggio gruviera è che il concetto di autocritica non è qualcosa di esotico, che vagola nell'iperspazio.
senza che tutto ciò diventi per forza un gran rullar di martellate sui coglioni - tipico, invero, della sinistra. bensì prendere coscienza degli errori di analisi, valutazione, azione.
tutto in buona fede, ci mancherebbe, ma errori. se però con l'autocritica gli errori poi ti sembrano più chiari, è più facile non ripeterli.
quindi nessun problema ad alzar la manina e dire: mi son sbagliato.
tipo quando scrivevo che era ovvio finisse accccussì con quello a far il maramaldo, dettar la linea anche ai faivstarrrrrrre, capitanati da quella pochezza di agggggggginnnnnonuostro. e mangiarseli. [il presidente del consiglio non pervenuto]
mi son sbagliato, perché il maramaldeggiamento tattico di quello là, per quindici mesi, non pensavo portasse ad acclarare la sua inconstistenza strategica. forse è stato per il pericolo percepito, ma non immaginavo riuscisse a sbagliare tutto lo sbagliabile nel volgere di pochi giorni.
tanto da far sempre il primo ministro quasi uno statista, agggggggginnnnnonuostro quasi un fine capo-politico, renzie quasi un abile stratega tessitore.
quasi, ovvio.
ora.
quello là, prima se ne andrà dal viminale, prima sarà meglio per tutti. quindi va bene quel poco che sta sul fondo del bicchiere.
mi lascia perplesso che, nel dar addosso a quello là, sia mancato del tutto - del tutto - anche un solo accenno a qualcosa che somigliasse ad una pur vaga autocritica.
quasi che quello là sia stato un plenipotenziario nei fatti, ben oltre la propaganda social - che gli riesce alla stragrandissssssssima. e che gli altri siano stati bersaglio innocenti della sua tracotanza. impossibilitati a proporre qualcosa di alternativo, che non fosse il rincorrerlo sui sentieri che lui batte benissimo.
quindi è tutto ineccepibile quello oggi che gli si è snocciolato sotto il naso, e mica solo figurativamente. figurarsi.
provo però a non dimenticare che la responsabilità politica, di tutto quello che gli si contesta è stata - quanto meno - in gran parte condivisa. con la correità morale conseguente.
troppo comodo, oggi, puntar il ditino sottolineando stizziti che tutto ciò sia stato solo subito.
tipo il negar l'autorizzazione a procedere dopo l'arroganza della diciotti.
o la firma in calce ai decresti sicurezza e sicurezza bis [sperando vengano ritirati prima che si ratifichi quanto siano pezzottati dal punto di vista Costituzionale].

senza un po' di autocritica il ditino puntato, puntuto, rischia di farsi spuntato [miodddddddddddddio, così però mi sembro renzie dei poveri].
perché chi ha solo da rimproverare agli altri, possibile metta sotto il tappeto lo sporco ammonticchiato da sé medesimo.
quindi perde di consistenza.
e figurarsi se è così scontato riesca a NON ripetere gli errori in cui è inciampato.
così la politica sarà solo sangue e merda [cit.].
per far sì possa essere anche l'arte del possibile, occorrerebbero persone un po' più hombre-vertical. tipo quelli che non hanno paura di prender coscienza di quel che si è sbagliato, e riconoscerlo.
non è segno di debolezza.
ma di una fortezza che è merce rara, specie in quei dintorni.
[per questo siamo messi, mediamente, così male, in un contesto imputtanato come quello di oggi, in questo paese pezzottato. qualsiasi cosa decidano di fare da qui in avanti, tutti - tutti]
[poi uno dice com'è che continui a prenderla così bene?]

Sunday, August 18, 2019

post che dovrei smettere di scrivere [nel senso che dovrei smettere certi pensieri] /2: il novecinquantotto di lighting bolt

e quindi sono dieci anni esatti - più paio di giorni - dal record di bolt, ai campionati mondiali di atletica del duemilanove.



a differenza del sedicoagostoottantanove, quando a piazza del campo c'ero, il sediciagostoduemilanove a berlino non c'ero.
me ne stavo già in quel di lipari, vacanza omaggiata dall'amica donata, ospite premurosa. donata che tanto volle bene all'amico daniele. solo che i due non si incastravano così alla perfezione. [è verosimile che altri incastri riuscissero fin troppo bene. ma in casi come questi è sempre bene non dimenticare che:
  • uno degli incastratori è l'amico daniele, grandissimo mastro di chiavi e di incastri;
  • scrivo e ironizzo perché naturalmente sono molto invidioso di lui.
]. poi l'incastro andò avanti per altri mesi. da quel che percepivo molto trascinandosi. e sempre da quel che percepivo era riuscito solo nel volgere delle poche - lisergiche - prime settimane loro.
tant'è.
insomma, si era a lipari. avevamo attraversato l'intiero stivalone con la punto hsd dell'amico daniele, equipaggiata con le gomme invernali. fu un viaggio piuttosto faticosetto. parcheggiammo direttamente nel porto di villa san giovanni. appena saliti sull'aliscafo per lipari riuscii a tener aperti gli occhi per pochi attimi. indi mi schiantai.
insomma, si era a lipari. e non si guardava la tivvvvvù. l'internette sul telefono non c'era ancora. e quindi non ebbi contezza, immediata, di quella finale sovraumana. e quel tempo che chissà quanto tempo ci vorrà ancora prima riescano a tirarlo un po' giù di tempo.
però ebbi contezza di un'altra cosa.
da lipari ero d'accordo mi sarei mosso per il nord della calabria. a far qualche giorno di altra vacanza coi miei soci. lei e lui. lei e lui nella casa al mare dell'ex di lei. ex di lei che l'anno prima mi ero scorrazzato pure lui a lipari. che ero da solo, povero ciccio, così mi titillò col suo buon cuore [e forse quel zzzzzic di coda di paglia] la socia, sua ex, che l'aveva mollato per l'altro, colui che poi divenne socio [nel primo semestre dopaminico loro, convinti a non far figli, fecero germinare l'idea di un'azienda. e qindi tutto quell che ne venne fuori, con me coinvolto]. ex che si erano comunque lasciati bene. la cui presenza era stata nel frattempo sdoganata da parte del socio, per nulla geloso dell'ex della socia. tanto che lei, la socia, ex dell'ex che prestava la casa al mare, me lo comunicò garrula che ci sarebbe stato l'ex, che "sì, siamo in quattro". ed io, un po' sorpreso, per quanto l'opzione fosse in predicato - per quanto poco probabile - mi sentii rispondere al telefono "ehhhhssssì. solo a me riescono certe cose".
e lì, in quel momento, sentii un lievissimo cccrick. la nota sbagliata, a non usare l'alterazione prevista dalla partitura, di un unico strumento nel pieno del fortissimo finale di una marcia maestosa, eseguita da una banda di molti elementi. la nuance nel bouquet di un vino che preconizza che, da lì a qualche giorno, quello stesso vino avrebbe cominciato a saper di tappo [maramaldeggio questa similitudine. considerato non abbia la più pallida idea dell'odore di un vino che sa di tappo]. il soldato che, al presentat'arm di tutto il reggimento al nuovo comandante, impugna il fucile quelle due dita più in basso. l'accenno di pennacchio di fumo, che sbuca non previsto in basso a destra, nella foto panoramica costruita alternando pieni e vuoti con precisione ossessiva.
insomma, quel qualcosa che la mia amata socia sapevo sarebbe stata in grado di fare, mi suono all'orecchio come un ccccrick, appena percettibile.
forse era il rumore di qualcosa che cominciò a rompersi, pocopocopocopocopoco. o forse fu il fruscio del pensiero che mi scappò, senza me ne rendessi conto. un pensiero apostata, irrispettoso, disarmonico che mi si parò di fronte quando fini per conclamarsi: "già, lei e il 1) partner attuale, 2) quello passato, 3) quello sublimato. autocompiacimento nel veder realizzato il desiderio di controllo. piccolo delirio d'onnipotenza". un pensiero che s'era insinuato come di vita propria. che chissà da dove partiva, da dove se n'era venuto, perché l'avevo pensato, perché mi risultava così fastidioso - mostrava pur sempre una critica nei confronti della mia amata socia - e nel contempo così inevitabile, non più ri-spedibile al mittente.
ma in effetti fu proprio il duemilanove dove emersero in nuce quelle istanze, che poi avrebbero deflagrato più in là. con tutte le conseguenze del caso, ed i riverberi amari, e tutti i rivoli. per quanto eterei. pure questo post, ad esempio. forse erano già in nuce prima. solo che io non ero ancora così avveduto da accorgermene e distinguermeli per bene.
l'anno era cominciato sotto i peggiori auspici economico-finanziari-industriali. ascoltai un servizio della tivvvvvù da servizio di fine anno - 2008 - dove oramai stava venendo giù un po' tutto. recitava una cosa del tipo: finisce il 2008, anno terribile, e il 2009 fa già paura prima ancora che inizi. io nella mia sgangherata protervia pensai: sarà pure un anno di merda, globalmente, ma sarà l'anno in cui noi faremo il botto.
ed invece il duemilanove fu quello in cui si depositarono per terra tutti le mollichine di pane con cui capire che per me, in quell'aziendina, sarebbe finita male, e le batoste mi avrebbero segnato. molto. forse troppo.
mollichine di pane del tipo:
  • si strutturò l'istanza che io, comunque, avrei dovuto consumare gazziGlioni di momenti a fare le cose, variegatamente informatiche. e 'nnnnnntuuuucuuulo le considerazioni tipo
    • noi parliamo dell'azienda anche quando siamo a casa;
    • c'è sempre il pensiero di come far quadrarei conti;
    • è come se fossimo al lavoro ventiquattore al giorno.
    per un'ora di strategia commerciale, incontro con improbabili partner [che io poi incrociavo sempre in seconda battuta, e spesso timidamente suggestionavo: ma quello lì? ma dobbiamo fidarci di costui? sì, sì. ci pensiamo noi, tranquillo], idee pensate e progettate, calate un po' dall'alto, ne corrispondevano molte, molte, molte di più di realizzazione. non era responsabilità di nessuno, ovvio. ma proprio la natura delle cose, e la struttura del realizzato. che stava a me realizzare. tra me e la socia, poi, sempre stesse fatture [l'altro, vi è da dire, mai fatturò alcunché];
  • fatture, poi, quando arrivavano. i risparmi, pur risparmiando il risparmiabile, si assottigliavano. ed io cominciai a entrare in certi loop di pre-paranoia, pur di non spenderli inutilmente [a metà febbraio finii a roma, ad incontrare una conoscente di blogggggghe, ospite ne "il mio locale è piccolissimo, ho solo un letto matrimoniale, se non ti fa problemi". non ne parlammo esplicitamente, ma l'idea di finire a letto non esattamente per dormire aleggiava nella testa di entrambi. per quanto lei non si fosse mai mostrata in viso completamente. errore da principiante. andai a roma con biglietto a/r preso con i punti frecciarossa. biglietti chiusissimi, sarei dovuto tornarmene con quello del tardo pomeriggio del giorno dopo l'arrivo. quando mi si presentò di fronte, stazione termini, il primo impulso fu di cercare di tornarmene indietro immediatamente. non lo feci. un po' per evitare di rimbalzarla così plasticamente. un po' perché l'idea di spendere altri soldi per un biglietto mi bloccò. fuggii dall'appartamentino la mattina dopo con una scusa, dopo una notte imbarazzatissima tanto mi repelleva. furono diciotto ore tremende. cazzeggiai poi per roma per altre dieci ore.];
  • mi resi conto, nemmeno troppo tra le righe che eravamo sì la maggioranza dell'azienda, noi tre. ma ero finito nel cul de sac di essere in minoranza della maggioranza. non foss'altro perché quei due condividevano lo stesso tetto e il medesimo letto, oltre che - ciascuno - le mie medesime quote. tornai a roma per due giorni di formazione, pagati profutamente - fatturava l'azienda. lavoro sub-appaltato da un contatto della socia. andai, infilato in una situazione un po' improbabile. cercai ospitalità da un amico, che stava ben al di fuori del GRA, a due ore di mezzi dalla sede del corso - per far risparimare l'aziendina. cercai di far del mio meglio. fu durissima. e non me ne tornai del tutto soddisfatto. complessivamente il corso ebbe feedback poco lusighieri, su di me più che discreti. il contatto si lamentò, chiedendo uno sconto. io mi mi risentii e chiesi di parlare con costui e spiegar le mie ragioni, e raccontargli le cazzate organizzative che erano riusciti ad inanellare. non me lo permisero: il cliente ha sempre ragione, mi dissero. la vivetti come un'inutile umiliazione. la mia assertività che faceva sscccreeepp-sckkkrepp sotto i loro involontari piedi.
poi sì, c'era la storia con la socia. e quel ccccrrick quando la sentii vantarsi sommessamente al telefono. ed il pensiero importuno. la socia. di cui probabilmente mi ero innamorato nove anni prima. ma la mia austostima era così evaporata in quel periodo, che nemmeno pensai per più di qualche attimo che avremmo potuto viverci una storia. per quanto allora fossi alla disperata ricerca di una compagna, madre dei miei figli. e quindi il tutto si sublimò in questa bellissima amicizia. pensavo, davvero, lei fosse una delle persone più importanti della mia vita. quando mi propose di entrare nella compagine della sua nuova azienda mandai un pensiero alla sua vecchia socia - aziendina precedente - che nonostante il viso accattivante, l'occhio chiaro e le tette grandi e sode, aveva avuto l'arditeza di mezzo-sfancularla. come aveva potuto lasciar andare un'occasione del genere? occasione che ora toccava a me. solo un paio di anni prima quel duemilanove mi ero sentito lusingato, felice, onorato mi avesse chiesto di affiancarla. il mio stare in quell'azienda aveva senso perché da lei era arrivata la proposta, c'era lei, potevo lavorare con lei.
poi uno dice che non avevo bisogno di odg.
il fatto è però che, dove esiste un masochista, esiste necessariamente un sadico. e viceversa. i due, da soli, non possono esprimersi nelle rispettive cifre stilistiche. per quanto in sedicesimi. per quanto senza che ciò risalga fino alla quota zero della coscienza.
certo. immagino che anche lei - a suo modo - ricambiasse l'affetto. come però costei intese fin dall'inizio il nostro rapportarci, deflagrò qualche mese dopo.
un piccolissimo punto angoloso e, soprattutto, di non ritorno.
avevo appena cambiato casa - invero grazie al sostegno, suggestioni, consigli dei soci - avevamo appena consegnato l'ennesimo progetto che avrebbe cambiato le sorti dell'azienda [gazzigLioni di mie ore lavorate, tanto per cambiare].
insomma, percepivo fossimo ad un punto di svolta.
solo che il tutto svoltò dall'altra parte.
la sera che festeggiammo la consegna del progetto, a casa di costoro, capii in maniera chiara quel che io ero per lei, come mi considerasse. uno cui era concesso, octroyer, la sua amicizia e la sua capacità di tener vivo, ridente, appagante un rapporto amicale. era merito suo, se eravamo così amici, continuavamo ed avremmo continuato ad esserlo.
non fu un ccccrrrriiik. fu uno stttttuuummmmmpffff intimamente geologico, da personale tettonica a zolle che veniva giù.
tecnicamente l'azienda, per quel che mi riguardava, finì in quel momento.
ricordo che cominciarono a suonarmi dentro acufeni a creare accordi dissonanti.
ricordo l'amaro in bocca che percepii distinto, e come prima cosa, la mattina dopo quando mi svegliai.
ricordo che per alcuni giorni faticai addirittura a guardarla, mentre le rivolgevo le minime parole necessarie.
ricordo quanto fu difficile tornare ad una normalità nel rapportarsi. altri lavori incombevano, altre appuntamenti, altre istanze da risolvere.
di lì, comunque, è stato un lento, inesorabile, frustrante, inevitabile sgretolare verso la fine. e verso il fallimento di un progetto che prima che aziendale, era stato umano, interpersonale.

che poi è questo quello che - ancora - oggi mi disturba.
il senso di fallimento, le difficoltà, la fatica, le millemigLioni di ore passate su di un piccccccì, sono passate, buttate alle spalle.
il senso di precarietà ed afasia finanziaria, invece, ha lasciato qualche reliquio in più [ancora adesso, continuo a tenere un braccino molto più corto di quel che sarebbe utile, armoniosamente, fare. probabile che tutto ciò abbia attecchito su di un terreno già dissodato e fertile di suo, per lavorii pregressi. solo che è montato in maniera un po' ipertrofica. ed ancora non sono riuscito a de-strutturare. sì, insomma, non ho un rapporto del tutto rasserenato col denaro].
quello che però è ancora, molto, tanto, troppo, segnante è il rimestio nel ritornare a pensare alla delusione personale. ma soprattutto la rabbia per aver consegnato le chiavi della mia serenità, e di parte della mia salute interiore, a persone che non lo meritavano in maniera così sfrontata. persone molto più mediocri di quel che si credono. sopra le media, certo. ma non così tanto distanti come si ponevano, o si pongono.
e quindi non so qaunto possa aver senso prendersela con costoro, ovvero più che con me medesimo. quelle chiavi gliele consegnai io. loro mi chiesero molto di meno.

ma ancora è un ribollio di pensieri inutile, dannoso, tossico.
e non tanto perché si rimane ancorati al passato, come la storia del palio dell'ottantanove.
quanto perché ho la vaga sensazione che questo osti all'assorbimento. che poi sarebbe una delle metafore che più azzeccò - per me - odg. il non riuscire a cogliere tutto quel che di buono ho costruito negli ultimi anni, il positivo della congiuntura, la possibilità cominciasse a tradursi in una struttura [positiva]. come se fossi incapace di individuarlo, osservarlo, intercettarlo, accoglierlo, accumularlo. "lei è come se avesse un problema di cattivo assorbimento, come se non riuscisse ad assurgere le proprietà nutrizionali e necessarie degli alimenti. e per questo si trova scarico di energie [positive], stanco, incerto sull'agire. incapace di prendere in mano definitivamente la situazione", mi cazziò più o meno così. e per me fu illuminante.
ecco, ho la sensazione che quei pensieri all'indietro, l'amarezza, la delusione che non sono riuscito [ancora] ad espellere del tutto, siano come tossine che se ne stanno lì, paciose ed inamovibili. e non lasciano entrare il resto. tutto quel fluire di cose costruttive. mentre, di nuovo, son qualcosa che obnubilano et abbagliano. e distolgono dal farti percepire anche gli sparuti elementi positivi, il bello, la stilla di felicità che ogni fotuttissimo giorno da qualche parte viene nebulizzata.
oltre al farmi scordare la cazzimma che sono stato capace di tirar fuori. allora, nonostante tutto, come ora. cazzimma che adesso, peraltro, viene anche discretamente remunerata. la colgono gli altri, là dentro. il contrario di quel che faccio io.
che invece lascio correre via. e non riesco invece ad assorbire. troppo ricordante a rimestare, rivoltare quel che è stato. quel che è venuto.
e mi ritrovo stanco, nel senso più profondo del termine. e disorientato.
e in balia delle cose e degli eventi. come se non aspettassi null'altro che la definitiva sconfitta segnante.

dovrei smetterla con questi post [perché dovrei smetterla con questi pensieri da sconfitta segnante].

post che dovrei smettere di scrivere [nel senso che dovrei smettere certi pensieri] /1: il palio dell'assunta

e quindi sembra che al[la nobile contrada del] bruco abbiano sfilato il drappellone, mentre se ne stavano andando a festeggiare.
se possibile ancora più beffardo a quel che accadde nella carriera dell'assunta di trentannifa esatti.
io c'ero.
si andò laggiù con l'amico luca [nel senso di un altro amico luca], che mi coinvolse in questo titillo. allora si era un po' accomunati, eravamo due addolorati d'amore. ovviamente non della stessa fanciulla. però eravamo sostenuti nei nostri patemi di effluvianti d'amorosi sensi non corrisposti da lei, l'adulta del gruppo dell'oratorio. con lei ci si sfogava, ovviamente in momenti diversi. e lei ci consigliava, ci blandiva, elargiva la sua dotta saggezza di donna adulta, capace di carpire dal capapace di ragazzine con sguardi verso altri, che noi eravamo quelli giusti per loro: ognuna al suo pretendente, ovvio. insomma, ci convinse e noi, boccaloni, a regalarle i nostri patemi.
comunque.
si partì coll'espresso delle 23.27. quello che arrivava fino a roma. si cambiò a firenze, indi per siena. non ricordo come si arrivò a rapolano terme, nei dintorni del capoluogo. il posto donde abitavano i nostri ospiti, parenti dell'amico luca. del pernotto si era fatto carico lui: ci penso io, non preoccuparti. il fatto è che non trovammo i parenti, che se ne stavano in vacanza. non ricordo come si risolse la cosa, ho rimosso i conciliaboli e l'organizzazione del da farsi per ovviare al fatto che due regazzini - l'amico luca ancora minorenne, peraltro - erano a rapolano terme e non sapevano dove passare la notte. e così che noi si finì proprio a siena, vicino al centro storico, in una casa piena di riferimenti al bruco - nel senso di contrada - anche se non ricordo esattamente in che relazione fossero con l'amico luca. però al figlio più piccolo della famiglia ospite, appena più grande di noi, avrebbe toccato l'onore per quel palio, di essere il tamburino appunto del bruco - sempre nel senso di contrada - quello che avrebbe fatto la sfilata storica e sceso in campo per la sbandierata finale. nel mentre all'amico luca sentii dire, un po' sollevato per aver trovato un tetto: noi si sbagliò tutto stamani che si doveva fare in altro modo. al che accaddero due cose:
  • rimasi talmente colpito da quel "noi si sbagliò tutto stamani", che non avevo mai sentito utilizzare, soprattutto da lui, con l'uso sofisticato del passato remoto, che cominciai ad usarlo pur io. dapprima con circospezione. il bloggggggghe, millemila anni dopo ha fatto il resto;
  • io mi sentii, di colpo, un sostenitore acceso del[la nobile contrada del] bruco.
bruco che, peraltro, allora era la contrada nonna*. quella che non vinceva da più tempo. erano passati dall'ultima volta tipo gazziGlioni di palii. i nostri ospiti ne sentivano quasi il peso morale, ormai diventato insostenibile, ne facevano quetione ferale, una damnatio memorie all'incontrario cui erano vittime i giovani contradaioli incolpevoli, e per certi versi orfani, una iattura: essceè una generazione di figlioli che un sa 'osa signifi'hi vincer un paaaalio.
quell'anno poi, quel palio, quell'assunta, sembrava potesse essere la carriera giusta. arrisi dalla sorte era toccato loro pytheos, un cavallo giovane, forte, forse un po' inesperto ma un fulmine. loro s'erano scelti il fantino giusto: cianchino, uno che sapeva il fatto suo. si erano spesi una fottia di soldi. era la volta buona. la sera prima, l'amico luca, mentre sdraiati ci si godeva il tepore gentile in piazza e si pensava ogni tanto alle nostre amate [per quanto non corrisposti] osservando la torre del mangia esclamò: "lei sa già chi vince domani, ma non ce lo dice".
si entrò dall'uscita dell'onda, l'ultima a venir chiusa - l'onda, che poi sarebbe la contrada di quella che poi diventò la moglie, nonché madre delle sue tre figlie, dell'amico luca, ma in quel momento era una cosa decisamente ancora lunga a venire.
ci si piazzò quasi davanti l'entrone. la piazza piena, eravamo in basso, ma sembrava si riuscisse ad avere la visuale su tutto il resto. il mortaretto, a dar il la all'entrata dei cavalli, mi scosse fin giù verso le budella. ci si avvicinò uno, con lo stesso drappo appeso al collo, completamente ubriaco. biascicò una cosa che capì solo l'amico luca: se al primo giro siamo davanti, noi si salta dentro, sul tufo, intesi?
della mossa, che si vedeva lontana, ma chiarissima, ricordo la sensazione mai provata prima. qualcosa che cominciava a tuoneggiarti da qualche parte dentro, giù nel profondo, per poi salire riverberando fino a sentire come se qualcuno ti agitasse, come si sbattacchia un albero da frutto, e nel contempo ti immobilizzasse. un fremito che non ricordo di aver poi sentito molte altre volte. qualcosa di insopportabile ma talmente adrenalinico che vorresti non finisse così, d'amblé. tipo quando poi partirono. solo che il rimbalzo di quarantazoccoli turbinanti sul tufo, era un rullare quasi inquietante, lontano ma che già sapevi inevitabile, sempre più vicino: in apparenza lentamente, in realtà in una manciata di secondi. pytheos e cianchino ci passarono avanti ad una velocità che non pensavo potesse essere una cosa simile, per un cavallo cavalvato a raso su del tufo. era avanti di due lunghezze, l'amico luca completamente fuori di testa. al primo casato, da solo ed in stravantaggio, cianchino strinse troppo, battè il ginocchio su di un colonnino - lo si vide bene, doveva far un male della maTonna. si scompose, andò a sbattere dalla parte opposta del selciato, si autodisarcionò ma ci impiegò un po' troppo prima di lasciar andare le briglie, e sparire chissà dove là sotto. forse rallentò un po' pytheos, che comunque ci passò di fronte scosso, ancora primo e sempre con un turbinare che arrivava a cavalcarti dentro. è che poi al secondo casato o giù di lì, si affiancò benito III, pure lui scosso, risalito come un ossesso dalle posizioni di rincalzo. e quindi nulla. si mise sull'interno, pytheos finì nell'immaginaria corsia più larga, quindi più tufo da calpestare. ci passarono di fronte due fulmini scossi, con la piazza che esplodeva, il rimbombo degli zoccoli sul tufo, uno scattering impazzito di sensazioni e sollecitazioni sensoriali che non riesci a concepire - prima e dopo - come riescano a farle compresse in così poco spazio, come quella piazza a forma di conchiglia, e in così pochi attimi, anche se ogni secondo pare dilatato come se il tempo fosse rivettato su di una membrana moooooooooolto elastica e deformabile.
vinse il drago, con benito III scosso. secondo pytheos. ma al palio arrivare secondo è peggio che arrivare ultimi. l'amico luca ebbe una specie di crisi di pianto rapida. tutto sembrava così assurdo e così inimmaginabile. una cosa del tipo: vi prego, rifatelo subito di nuovo. quel contorcimento di budella non l'avevo mai provato. di nuovo, vi prego.


giunsero voci di cianchino chiuso dentro un androne, col ginocchio sfatto, ed alcuni contradaioli ad attenderlo fuori con un'unica idea, semplice e precisa: menarlo.
giunsero voci di scontri tra brucaioli e draghini, cosa che scandalizzò i puristi: non ci si menava, dopo, per una vittoria mancata.
con l'amico luca, cincischiando a zonzo per il centro storico, finimmo nei pressi della sede del drago, oltremodo in festa. decidemmo di entrare, dopo aver nascosto per bene il fazzolettone del bruco in tasca. se l'avessero scorto chissà che minchia avrebbe potuto accadere. bevemmo del vino che arrotava la papille, circondati da contradaioli già piuttosto ebbri e decisamente ubriachi, non solo di felicità.
lì dentro non ci accadde nulla di spiacevole. non si accorsero dei nostri fazzolettoni, che noi si era del bruco. non se ne accorsero, ed io ancora una volta pensai che non poteva accadere. ci era dovuto. mi era dovuto.
le cose, ostentavo a pensare trentannifa, era piuttoso ovvio che avrebbero dovuto mettersi come mi ero immaginato no?
da lì ad un mese avre iniziato il quinto anno di superiori. quindi l'università. sarei diventato ingegnere elettronico. avrei vissuto a milano, in una casa confortevole, piano alto. naturalmente sposando la fanciulla che, dettaglio, doveva solo prendere atto dell'ineluttabilità fossimo fatti l'uno per l'altro, ma era solo questione di aspettare il tempo l'aiutassero a capire. avrei avuto tre figlie, che avrei ritratto in una sequela di bellissime et amorevoli foto scattate con la mia reflex ed il mio parco obiettivi di tutto rispetto: tutte foto incorniciate a riempire una parete della casa confortevole piano alto. sarei stato felice, appagato, realizzato, benestante, con un lavoro di responsabilità, che mi avrebbe regalato grandi soddisfazioni, e in cui si sarebbe acclarato la mia bravura et insostituibilità: un'ascesa sociale grazie all'istruzione, la mia voglia di farmi il culo ed una più che discreta intelligenza, soprattutto logico-matematica. sarei ritornato al paesello, assieme alla famiglia, con l'auto monovolume e comoda, per la processione di pentecoste: in onore alla tradizione e la mia fede indefessa et cristallina. forse sarei anche ritornato a vedere un palio. magari non dall'interno della piazza, ma da uno dei balconi che vi si affacciano. e avrebbe vinto, in quell'occasione, il bruco.
insomma. quali altre sorti magnifiche e progressive?
ecco.
la vita poi è quella cosa che succede quando sei intento a far un sacco di altri programmi. è una citazione un po' storpiata, mi sa.
e così di quella checklist ad oggi risultano azzeccate:
  • la laurea in ingegneria, per quanto non elettronica. anche se gran parte delle storture cominciano proprio da lì: ancor prima di iniziarla, l'università, avevo intuito che quella non sarebbe stata la laurea che più mi si confacesse. quel giorno del palio, non avevo ancosa subito la sberla innamorevole delle mondo umanistico**;
  • vivo a milano, finché potrò permettermelo. e ci vivo in una specie di esilio volontario, dove posso confondermi come perfetto sconosciuto. solo in mezzo alla moltitudine. per uno scherzo del caso vivo [in affitto] a pochi centinaia di metri dove abita la fanciulla. solo che lei sta all'interno della recinzione delle vie private della zona residenziale, dove abitano nemmeno i benestanti, ma quelli ricchi [in attico di proprietà, ovvio]. lei peraltro di figlie, ne ha effettivamente fatte tre.
e così, dopo la notizia della sconfitta al fotofinish di questo palio dell'assunta, non son riuscito anon pensare al palio dell'assunta di trentannifa, perso per un cianchino così stupido da chiudere in quel modo la prima curva del casato.
forse, a trovarci un forzatissimo fil rouge, era già tutto preconizzabile già lì. pytheos scosso, che si fa fottere la corsia interna da benito III. quasi beffardo. ed al palio arrivar secondi è peggio che arrivar ultimi. grandi possibilità. ma non si vince [mai]. anzi a volte è peggio che arrivar ultimi.
forse, a vederla bene, quell'elenco di cose mi [a]spettavano sarebbero successe [me lo si doveva] era un elenco piccolo-borghese. per certi versi roba nemmeno di ampio respiro. un'esistenza incasellata nel dettami socio-riproduttivi, dettati anche da un paradigma invero banalotto.
ci ho pensato spesso, al fatto se effettivamente così mi sarei sentito in qualche modo realizzato, o qualcosa che gli si approssimasse. e non mi sarei prodotto in svariegatissime contumelie, come scusa per potermi lamentare. nelle forme e nei modi previsti dalla fantasia giaculatoria.
mi sono anche chiesto se tutto questo, tutto questo metter in dubbio l'eventuale realizzazione, non sia una variante della classicissima la volpe e l'uva.
ma è esercizio inutile. e soprattutto emotivamente faticoso. specie in giorni come questi. per quanto giorni adattissimi, così pieni stanchezza interiore e svuotati di elementi construens, a far sgorgare zampilli di pensier come quelli. esercizio inutile perché è andata in altro modo. e non ci sono controprove a cosa avrebbe potuto succedere se. credo che l'unica variante fondamentale sia la partenità mancata. un totale cambio di paradigma. per cui ho la sensazione non mi riesca di immaginarmi - davvero - il come se. oltre al fatto, savasssannndddddirr, che son giorni come questi in cui diventa ancora più inconcepibile immaginarsi genitore. nel senso che la percezione di inadeguatezza, anche solo pensando al come se, quasi si sostanzia, come un bolo che ha consistenza reale.
son pensieri che ancorano al passato. che così, pensiero inutile dopo pensiero evitabile, sassolino dopo sassolino, si fa sacca pesante. si fa zavorra così difficile da portare, faticoso pure quello. continuando a guardare indietro, per inferire chissà quali proiezioni e conclusioni, conseguenza dopo effetto, di un futuro inevitabilmente nefasto: per il semplice fatto saremo tutti morti, giù là in fondo nel futuro.
mentre ci sarebbe da vivere, assaporare, serenizzare, scopare, felicizzare, contemplare, apprezzare, godere, inspirare, abbracciare, armonizzare, baciare, regalare, esserci nel presente. oggi. adesso. qui.
mentre quelli son pensieri che obnubilano et abbagliano. e distolgono dal farti percepire anche gli sparuti elementi positivi, il bello, la stilla di felicità che ogni fotuttissimo giorno da qualche parte viene nebulizzata.
penso a quello che [di un po' ovvio] desideravo. quasi che quello che fosse giusto dovesse essere per forza quello, in quella forma, in quella declinazione. e con questo tirarsi sopra la testa le coperte dell'alibi. e smettere di cercare altre forme ed altre declinazioni.
che poi sarebbe questa la sconfitta più segnante.
che poi sarebbe la cosa che, in questi giorni, non riesco a smettere di fare: perdere in un modo così segnante.

dovrei smetterla con questi post [perché dovrei smetterla con questi pensieri da sconfitta segnante].

* la [nobile] contrada del bruco sarebbe rimasta la contrada nonna per altri sette anni. vinse la carriera dall'assunta del novantasei. guardai quel palio in tivù, con al collo il fazzolettone di quel primo palio da brucaiolo. saltavo, urlavo, e mi dimenavo come nu pazzo da solo davanti la tivvvvvvù. la sera uscii a zonzo per il paesello con il mio fazzolettone, raccontando a chiunque che non si era più la contrada nonna. il giorno dopo partii per la vacanza più brutta, triste, umiliante, da dimenticare di quel che mi è capitato di viver fin qui. ovviamente non l'ho scordata. quanta dignità si può infilar sotto la suola delle scarpe, per correr dietro una donna [che non è la fanciulla di cui sopra]. donna che, peraltro, in quegli anni non ha fatto altro che percularmi, facendomene solo sentir l'odore [figurativamente, ovvio] e financo da molto lontano. [per quanto, quando uscì dall'acqua con quel costume bianco diventato quasi trasparente, che poi mai più re-indossò, mica solo a me parve non esattamente di immaginare i capezzoli ampi sui seni che mostravano compiutamente la loro compatta rotondità, ed il contorno non proprio glabro del pube. fu ulteriore sofferenza. per i desideri repressi che scalciavano come ossessi dentro. e nel dubbio mi girai, ventre a terra. mica cominciassero a scalciare anche fuori]

** in quel viaggio, mi portai appresso i promessi sposi, lettura commentata, compito per le vacanze. non sapevo che da lì pochi mesi mi sarei scoperto così innamorato della letteratura. ricordo che via via a don rodrigo si metteva male, via via prendevo speranza che la fanciulla stesse per scazzare col suo mezzo fidanzatino dell'epoca, cosa che poi avvenne in effetti - dopo aver finto la lettura de i promessi. solo che si ri-mise assieme ad una altro, che non ero io. in maniera molto meno sentimentale ricordo anche nel viaggio di ritorno lo stavo leggendo seduto per terra, vagone piuttosto pieno. quando arrivarono e si piazzarono lì accanto due donne, giovani, ma decisamente mature per noi. leggevo, ma alzando lo sguardo me lo ritrovai a pochi centimetri dalle coscie di costoro. una delle due aveva un vestito con una fila di bottoni sul davanti. la distanza delle asole generosa, il tessuto piuttosto lasco. insomma: cominciai a leggere con pause sempre più ravvicinate, anche perché, ad osservar di sguincio tra le pieghe, i pieni e vuoti che si creavano, si spalancavano visioni di porzioni di coscia sempre più importanti. quando appurai portasse l'intimo bianco un po' mi passò la curiosità. e mi rimisi a leggere più concentrato.

Wednesday, August 14, 2019

post stanchino [e verosimilmente un po' noiosetto]

sono un po' stanchino.
era parecchi mesi che non accadeva in questi termini.
la mia non è proprio stanchezza è più voglia di dormirmene sine die. [parafrasando la signora di giallo vestita, in una delle pubblicità più cafone, ambigue e kitch e quindi stampate nell'immaginario di regazzì. solo che non c'è ambrogio che pensa sempre a tutto.]
sono stanco, da non riuscire a non provar altro che una sorta di serena apatia, per un considerevole fetta di cose entrino nel campo sensoriale [odori a parte, ovvio]. anche la psicopippa ne esce annichilita. giusto i rimasugli da sbattacchiare in questo post.
non riesco nemmeno a sentirmi un po' giù, o mogio. in riserva energetica per le istanze destruens. figurarsi quelle construens.
non so se sia un'atarassia che è venuta per gli eventi. oppure l'assaggino-stuzzichino di quel che il senso comune chiama esaurimento. qualsiasi cosa significhi.
non riesco a pensare a niente per frenare, ovviare, rejettare l'intorpidimento da sindrome di stoccolma che accade là dentro. null'altro che starmene lontano da là dentro per qualche giorno. e... altro non mi viene in mente. come se non riuscissi nemmeno a pensare di cominciare a pensarci.
ho come la sensazione di essere in una sequela continua di sollecitazioni in cui si abbisogna di me. ambiti, impegni, piacevolezze variegate, nel provar ad essere utile ai bisogni. che poi, l'esser utile, àncora profondamente ad una sensazione di gratificazione. o dovrebbe. troppo stanchino per ancorar alcunché. [poi è capitato anche di non sentirmi abbisognato. tipo ad una cena che ero addirittura riuscito a mezzorganizzare io. dove al limite abbisognavo io, tipo di scroccare un paio di giorni al mare, che mi immaginavo come boccata d'ossigeno, iodata. ennnnnniente. 'cupato. un po' spiaciuto. e pace. sticazzi].
sono stanchino.
ed ho come la sensazione - 'nartra, di sensazione - che non siano sufficienti qualche sequenza importante di ore di sonno. magari ripetute a più volte.
un'unica eco - lontana - di cosa piacevole che andrò a fare è: donare il sangue. che poi - di nuovo - è rendersi utili ex-ante, per qualcuno che ne avrà bisogno ex-post. con il paradosso che l'eco la percepisco grazie a questa asincronia - lo dono tra un paio di giorni, sarà usato chissà quando - del tutto anonima - io non so chi lo riceverà, chi lo riceverà non sa che l'ho donato io. e quindi è come se io rimanessi altro, nel tempo e nello spazio. e questo mi riesce di gesitrlo, anche con il poco brio mi è rimasto.
son solo sensazioni, neh?. di sicuro galvanizzate al negativo fatto sia stanchino. e tutto il resto non riesco - di nuovo - a coglierlo.
è molto probabile ci siano nel contempo, un bel po' di cose di cui far assorbimento e rinforzo positivo.
ma ora è come se fossi saturo di tossine, un po' ovunque. e non riesce ad entrare nient'altro.

che sono stanchino, l'ho già scritto vero?

Saturday, August 10, 2019

qualche idea sparsa qua e là /3 - le macerie, e chissà cosa ci aspetta ancora

e quindi vorrei finire 'sta logorrea sulle macerie.
avevo iniziato qui, ma poi ero andato lungo.
quindi volevo chiuderla qui, ma sono andato lungo di nuovo.
provo a raccontarle, e del perché mi sembrano terribilmente attuali.
avevo visto loro /1, dietro consiglio di odg. l'avevo trovato bellissimo, ma vecchio: quasi uno psichedelico et onirico documentario. glielo scrissi. "dotterè, ma questo sorrentino qui si è adoperato magnificamente, ma in una cosa passata, è stato superato ahilui dagli eventi. mo c'è il governo del cambiamento. mi danno un senso d'inquietudine che levete. ma ormai han dato il benservito a lui e loro". non le scrissi esattamente così, c'è pur sempre un setting da rispettare ed una cifra stilistica che esco solo con lei.
però, comunque, mi mancava di gustarmi loro /2.
ci andai un venerdì sera, inizio giugno. ero stato alla festa della radio, avevo ascoltato un paio di dibattiti interessanti. il caldo era gentile. la settimana non era stata nemmeno così pesante. mi sentivo quasi felice, leggero, gaudente nel sapermi consapevole stessi riuscendo a cogliermi quei titilli positivi.
arrivai con un po' di anticipo. ben prima dello spettacolo precedente. era in cartellone da qualche tempo, immaginavo non ci fosse la fila per entrare, quindi mi aspettavo di veder uscire poca gente. mi sedetti fuori dalla sala, mi misi a leggere, godendomi la combinazione favorevole di quelle ore, di quegli istanti.
poi lo spettacolo terminò, e uscirono in effetti in pochi. la cosa che mi colpì subito fu il come. in silenzio, quasi sgomenti, viso terreo e sguardo un fisso lontano, come a cercare di rimettere insieme i pezzi, mentalmente.
mioddddddddio - dissi tra me e me - e che so 'stefacccccce? è il film di sorrentino. ho visto la prima parte, e quella funanbolica narrazione amarognola nella sua tragicomicità. non riesce nemmeno ad essere volgare dal grottesco che si fa quasi reale. qui sembra abbiate assistitvo al finale tragico di una drammaturgia inconsolabile, inevitabile.
entrai nella sala, quasi vuota, scegliendo un bellissimo posto - possibilmente lontano dagli altri, sparuti.

e difatti, pampampampam, marò, che inizio scoppiettante. sarà che lo stavo guardando su di uno schermo molto grande, invece sul monitor di piccccccì, scaricato dall'internette, una versione ripresa di sottecchi al cinema. loro /2 sembrava ancora più pirotecnico.
un proluvio di gnocchaggine pantagruelico, ma incastonate nella scena in maniera delicatissima [il balletto con cui coreografano cantando menomalechesilvioc'è è sublime. son riusciti a rendere godibile quella canzone, esagerando in modo perfetto. quella robetta che altrimenti non è che una cafonata musicale. mai avrei pensato di entusiasmarmi sorridendo, ascoltandola].
la sensazione che sorrentino e servillo siano due geni, egoticamente ed insopportabilmente strapieni di sé medesimi: ma due geni dell'arte cinematografica, non solo italiana.
elena sofia ricci che, nuda e non, è un inno alla bellezza femminile.
insomma.
un crescendo rossiniano, partito con loro /1, che sembrava dovesse far da rampa verso qualcosa che non riuscivo ad immaginare.
poi, di colpo, tutto comincia a sgretolarsi.
quello coi capelli di kevlar/servillo che posa assieme ai suoi ministri, la foto quando nasce il suo nuovo governo. il flash rumoroso della fotocamera, zzzzzot, che slava i colori della scena, altrimenti carichi, ad alto contrasto, verso lo scuro: da far sembrare il tutto quasi diabolico.
la rincorsa di tutto i due film è arrivata al dunque.
però in dissolvenza e in contempoeranea, la terra comincia a tremare. l'aquila, l'abruzzo, il terremoto. sorrentino non si cura che tra i due eventi, nella realtà, passino 11 mesi. in quel punto del film non c'è soluzione di continuità.
è la licenza d'artista.
o forse non è esattamente quel terremoto che gli interessava raccontare.
per dodicitredicesimi quel lunghissimo racconto è una specie di accelerazione, kitch e sublme, esagerata e armoniosa. pieno di nani e ballerine, vacuo, dis-valoriale, e quindi con una tristezza che s'insinua ogni tanto, nei brevi momenti di pausa. ma è comunque sempre accelerazione. poi di colpo, per quell'ultimo tredicesimo: bam. è una portellata in faccia, uno sganassone all'anima. il più perfetto e irridente degli anti-climax. come aver accumulato la carica erotica di mille preliminari, e finir improvvisi nella voragione del post-coitum, senza il coitum.
è un minutaggio breve, ma che sconquassa.
l'ultima scena, che sembra lunghissima, è di notte, senza musica di sottofondo. una gru, con molta delicatezza ed attenzione, porta in salvo dalle macerie di una chiesa crollata e pericolante, la statua di un cristo deposto, che a sua volta viene deposto su un drappo sulle macerie. un cristo bi-deposto, lasciato poi lì, solo.
e quindi inizia un lentissimo, straniante, ammutolente piano-sequenza su alcuni vigili del fuoco, che si stanno riposando, si rifocillano. seduti gli uni accanto all'altro, su un mare di macerie. hanno tutti il viso stanco, barba incolta, sembrano provati di una fatica che minaccia nessun riposo riuscirà mai a far passare. li intuisci impotenti, come se non fossero riusciti ad evitare tutto quello. guardano in camera, inespressivi e quindi lancinanti. nessuno dice nulla. tutti sono in silenzio. una scena pazzesca, che spiazza, ti tira dentro lo schermo e poi ti sputa fuori.
finisce così.
con le macerie.

ovvio che chi mi aveva preceduto era uscito dalla sala con quel silenzio rumorosissimo.

come me ne uscii pure io: in silenzio, quasi sgomento, viso terreo, sguardo un fisso lontano, cercando di rimettere insieme i pezzi, mentalmente.
convenendo su di una cosa.
che quel fottuto sorrentino non era in ritardo, ma in anticipo.
nello scriverlo, dirigerlo, montarlo, non poteva sapere del governo del cambiamento. ma aveva già inuito il senso di inquietudine che levete. il governo del cambiamento era l'epifenomeno del momento, che distraeva dal punto che non colsi dopo aver visto loro /1. ma che oggi mi pare ancora di più cogente. e quindi sorrentino ancora più in anticipo.
quello là nel giostrarsi tra la sua miriade di lacché, i loro, alla fine ci ha lasciato le macerie.
giù, nel profondo del sentimento, nell'antropologia di una nazione.
e quando ci sono le macerie puoi anche recuperare il cristo deposto, ma non puoi far altro che lasciarlo su di un drappo, in una parte esterna alla scena.
quando ci sono le macerie può succedere di tutto, e ricostuire è fottutamente ancora più difficile.
è un lavoro lungo, faticoso, doloroso. è travaglio complesso, che non si può improvvisare, per cui c'è bisogno della competenza della pianificazione, dello sguardo lungo: ancora più qualità nel pensare e nell'agire. e gli sguardi svuotati dell'ultima scena sembrano raccontare che per reagire, e venirne fuori, ci vorrà ben altro che da far passare la nottata.
costruire su macerie non si può.
perché se costruisci su macerie c'è il rischio che prosperi chissà cos'altro.
in questa crisi politica agostana [in cui lavoro in maniera invereconda, mi sembra mi sia esplosa la solitudine più inevitabile, non riesco a godermi nessun attimo, neppure un briciolo di mare] un po' 'sta cosa mi fa sudare freddo.

chissà cosa ci aspetta possa saltar fuori da quelle macerie.

Tuesday, August 6, 2019

volare bassi, nelle fantasie da bambino

che poi non è che io abbia sempre avuto questo rapporto un po' complicato con l'autostima.
anzi.
mi si sono accesi i riflettori dei ricordi, quelli di parecchi anni fa. è successo mentre rincasavo, ed ascoltavo alla radio un approfondimento sulla giornata ad hiroshima. che poi sarebbero settantaquattro anni dalla prima bomba. in effetti quel bombardiere che volava alto, molto in alto, solitario, non destò tutta questa gran preoccupazione nella contrarea nipponica. quali danni poteva fare, volando così in alto e tutto solo?
quando pochi giorni dopo la resa del giappone arrivarono gli americani, i medici esclamarono: finalmente siete arrivati, vi aspettavamo. voi saprete come si curano queste ustioni che non abbiamo mai visto prima. l'avete provocate voi, avrete anche pensato al rimedio, no?
ecco.
quella fottuta bomba colpi molto il mio immaginario.
e quindi oggi, come spalancandosi i gate-keeper della memoria, mi è tornato in mente 'sta cosa qui, della mia infanzia. e che non è che volassi molto basso, nel considerarmi in potenza. delle cose che avrei potuto fare, dico.
pescavo a piene mani nel mio bel lisergico doppelgänder buono [posto che tecnicamente esista una cosa del genere]. soprattutto in quel che avrei fatto.
quindi mi immaginavo che da ingegnere spaziale costruivo un macchinario, invero piuttosto voluminoso, una specie di TBM però più piccola. il titolo di studio me l'ero assegnato, nel senso che l'avrei conseguito, pensando mi si addicesse bene. e che così sarei stato equipollente ad uno dei direttori di una delle basi in cui trovava ristoro e manutenzione uno dei robot che salvava la terra dai cattivi di uno dei cartoni animati giapponesi che si guardava allora. e con cui si sognava. e come ingegnere spaziale avrei costruito una macchina, che avrebbe eliminato le radiazioni che ancora se ne stavano, mendaci e venefiche, ad hiroshima. nei momenti di maggior espressività artistico-dadaista addirittura ci attaccavo il pezzo che era mimino potessi fare per quelle persone, visto che facevo che io ero stato adottato, e facevo che il mio papà era il pilota dell'enola gay. non ero ancora arrivato così avanti nell'analisi che tutto ciò era l'epifenomeno, solo nella mia testa, di una certa inquietudine e scoppiettanza interiore. e nemmeno così attento al dettaglio che quello vero di padre, che già diventò veramente mio padre piuttosto in età avanzata per quell'epoca, quando sganciarono la bomba di anni doveva ancora compierne nove. poco adatto ad essere il comandante dell'enola gay.
comunque, sì, insomma, pensavo che avrei progettato e costruito il TBM-RRR [risucchia radiazioni residue]. folla plaudente al mio passaggio sul catafalco, che regalava aria finalmente salubre, e si portava appresso tutti i nucleotidi instabili rompicoglioni. per quanto allora non dicessi le parolacce e non sapessi si chiamassero nucleotidi instabili.
credo ci siano due corollari interessanti, a latere di quelle [tra le tante] fantasie. che portavano in nuce un paio di altrettante questioni, ben acclarate et riverberanti nel presente e da tempo.
la prima è che son sempre stato radicalscìc di sinistra. perché mi godevo gli applausi degli astanti nucleotidiinstabili-free. ma in fondo pitturavo fantasie in cui, in modo sui generis, molto originale suvvia, mi prendevo cura di altre persone. I care, insomma. uno dei verbi più belli della lingua inglese. che non è per far l'esterofilo forzatamente, ma rende meglio nella sua succinta essenzialità. sì. insomma, non mi meraviglia nemmeno più di tanto intuire, ora, che di sinistra son sempre stato. I care è uno dei fondamentali per quel che intenda essere di sinistra, giù nel profondo fondante. non è l'unico, ovvio. e tutto questo dà un senso di pacata-ricentratura. una cosa del tipo: io sono questa cosa qui. [e che in questo momento non saprei esattamente per chi votare, nell'acquitrinio del contesto presente, è solo un effetto collaterale del fatto la classe dirigente chedovrebbedirsi-politica è mediamente meno che mediocre, nel suo ontologico pezzottamento. mediamente, figurarsi la parte bassa della [opulenta et ciccionissima] pancia della gaussiana.]
la seconda è che allora già stavo edificando muraglioni robusti, su cui installare lo iato tra quello che desideravo e quello che poi - ragionevolmente - sarei stato in grado di fare. un differenziale che nemmeno lo spread dell'autunno duemilaundici. qualcosa di comparabile all'inflazione in germania nei primi anni venti. anche alla luce - ex-post - di pensare di iniziare a muovere i primi passi, a provar a colmar un cicin quello iato, prendendo la direzione sbagliata. a cominciare dal fatto non sia un ingegnere, dentro. anzi, tutt'altro.
e quando allargano chilometricamente le distanza tra l'idealità delle cose che si immaginano da bimbi, e i primi sparuti tentativi di gigioneggiarle - la fottuta complessità delle cose, che poi si chiamerebbe anche vita - si entra nel ben noto et conosciuto et autolimitante circolo vizioso.
si perde di slancio. e quindi si arranca. e il differenziale si allarga e come nei cartoni animati finisci a divaricar le gambe, che i bordi dove poggi i piedi si allontanano. una cosa tipo vuiilllilcoyote.
e così via.
e tra l'altro 'sta cosa diventa spunto per una fottia di post variegatamente lamentosi.
però.
suvvia.
c'è stato un periodo, in cui io ero quello che sarei diventato colui che avrebbe ripulito hiroshima dalle radiazioni.
promettevo bene. decisamente bene.
e mi fermo qui, 'stasera. [tipo concludere una canzone in accordo di settima]

Monday, August 5, 2019

sulle consecutio logiche, facili. figurarsi quelle difficili. abbiamo già perso.

ho un collega là dentro. ha decisamente più anni di me. lo vedevo anche prima, in altre vesti, roba che quando arrivava, un altro collega, là dentro, andava in sbadta. è che siamo una bella cozzaglia di casi variegatamente umani.
tant'è.
insomma. con questo collega, ad un certo punto, ho quasi avuto la sensazione si potesse creare un certo tipo di interrelazione. amicizia è un po' complicato, là dentro. però una certa porzione distale di originalità nel confrontarci, rispetto alla cozzaglia d'altra variegazione umana.
non foss'altro per il fatto che abbiamo incrociato situazioni un po' omologhe. intendo per quel che riguarda le situazioni professionali et lavorative non propriamente trionfali [guarda te che giro di parole per non scrivere: fallimenti].
ricordo distintamente il giorno che gli raccontai delle mie di arzigogolazioni, e del risvegliarmi alla cruda realtà di essermi fidato di geni solo nelle teste di chi si credeva infallibilmente geniale. e ricordo distintamente come reagì il suo metaverbale, quando intuii di aver trovato una specie di suo omologo, in fatto di situazioni lavorative et professionali non propriamente trionfali. anche solo con quale slancio mi disse: ti offro un caffè, e raccontami meglio.
dalla mia parte, altresì, non ho potuto da subito non riconoscergli una fottutissima et tenacissima volontà di rimettersi in gioco. ricominciare con un lavoro che non era il suo. tecnicamente finire anche quel cicin demansionato, seppur con la solidità pragmatica che alla fine del mese, la fattura, l'avrebbe emessa, e soprattutto incassata senza il giro dell'oca di rincorrere il cliente. prima, mica sempre. e quindi fanculo i ruoli, se poi non cubi abbastanza piccioli per la famiglia. e quindi fanculo se devi relazionarti e farti spiegare il lavoro da baganetti, che verosimilmente devono ancora capire da che parte prendere il manuale delle istruzioni di come si sta al mondo. mentre tu qualche punto angoloso l'hai preso, direttamente sullo spigolo. quindi fanculo se ricominci da ultimo della fila, e sbriciolamento di spocchiosità da seniority che tanto conta quanto le lettere d'incarico per i [finti] liberi professionisti, quando si devono impugnare se le cose van male: nemmeno utili ad avvolgerci il formaggio.
indi, questo collega là dentro, si è messo di buzzo convinto. grandissima volontà, testa bassa, gomiti presso il tronco a spingere e capire come spalare il guano. con quella cortesia ed empatia umana, che non è che tra i nerd sia stata elargita a cornucopia, e via. il ragazzo - non sono più [io sì, spocchioso frustratello] il più anziano del gruppo - ha cominciato a muovere i primi passi. alcuni un po' incerti. altri desiderosi di carpire qualche trucchetto. un po' l'ho formato anch'io, spiegandogli qualche fondamentale. e lui, probabilmente, ha intuito parte della mia sostanza, che sarò pure frustrato spocchiosello, ma non è che possa continuare a nascondermi dal fatto che, là dentro, ci so piuttosto fare et combinare.
certo. l'ho visto, a tratti, in relativa difficoltà. non foss'altro che entrare nelle logiche laocoontiche di come cazzo hanno sviluppato i pezzi [documentazione manco a mendicarla] ci vuole mestiere, abitudine alla programmazione - possibilmente ad oggetti - ed una capacità di tener tutto assieme, in un unico piano sequenza logico, tante, forse un po' troppe cose. oltre al fatto che prima di capire che certe manifestazioni del guano rispondono a un numero - tutto sommato - limitato di possibili pattern, di mesi là dentro, ce ne devi passare ben più di quelli che ha finora passato lui.
che non manca - apparentemente - di perseguir ad avere 'sta gran voglia di sbattersi. e darci dentro.
poi sì, che non sarebbe facile ricollocarsi per età, formazione, titolo di studio, un po' aiuta.
ma non basta. insomma: lavoratore serio.
è per questo che qualche mese fa gli proposi: sentiammmmmmmè, perché non diventi il mio alter ego a gestire una particolare serie di attività?
se n'era appena andato quello che l'aveva fatto con soave cazzaraggine, ma pur sempre più che discretamente.
ricordo che pensai: è un modo per farlo diventare un po' più strategico, non c'è da guardar dentro le zampette di gallina di codice, perdersi in giri e cirlocuzioni arabescheggianti. bisogna avere quel cicin di visione d'insieme del sistema informaticheggiante, senza scendere in dettagli che possono farsi scivolosamente capziosi. è tutto molto lineare: dobbiamo andare da A a B. ed in mezzo ci sono passaggi quasi consequenziali: un tragitto tutto sommato ripetitivo, quali a volte sono le cose metodiche, pianificabili all'interno di casistiche di processi nemmeno così fantasiosi o creativi. una specie di noia rassicurante. però è una noia che, necessariamente, qualcuno là dentro deve saper che giro fa, e poi quando e se serve interloquire con i fornitori dell'accrocchio - invero non propriamente una fortezza di manutenibilità.
così pensavo.
perché nella mia testa è tutto fottutamente ovvio, quasi scontato, ad un cicin dalla sfrontata inevitabilità. come praticamente sempre accade per le cose logicamente intelleggibili. è roba scarna, all'osso, senza sovrastrutture. non è cosa da interpretare: se il file di log riassuntivo err.txt, non è ancora valorizzato, allora la pellicola sta ancora girando. se riporta 0 (zero), allora è lieto fine. se riporta qualcosa diverso da 0 (zero) allora qualcosa si è rotto. e bisogna ingaggiare il fornitore. certo. bisogna aver un po' chiaro nella capa come, più o meno, s'intrecciano le cose a monte. più o meno. non serve conoscere il bit.
insomma.
ce lo vedevo bene a darmi una mano.
e invece non siamo propriamente dall'altra parte del guado. non è ancora mica finita.
e dopo quasi quattro mesi, della visione d'insieme, ho la sensazione rimanga qualcosa di maculare che si sta sbiadendo nella sua memoria. nonostante si abbia provato una volta. e poi un'altra. e poi un'altra. e poi un'altra. che c'è bisogno del manualetto da seguire passopassopassopassso. che così, intuisco, si perde la visione d'insieme.
ecco.
e questo è un collega volenteroso, testa bassa a provar a capire, farsi l'idea di consecutio logiche piutosto scarne, zero ermeneutica, zero sovrastruttura.
ed è uno - ripeto - che si mette d'impegno. e non si tira indietro. non ha paura di faticà.

ecco.
poi penso alla squaquaquataggine delle complessità del tempo presente. e dei fenomeni, umani e più o meno consci, che ci permeano che ci eterodirigono. mentre si ha la sensazione di aver tutto tra le mani e ben chiaro a cosa tendere, manco bastasse sbruffoneggiarlo sui soscial. di come pensiamo di determinar chissà cosa mentre forse è alcunché, e come variegatamente siamo con l'anello al naso e obnubinalti dal gas soporifero che esala la mangiatoia che riempiono un po' come vogliono alcuni. e senza granché voglia di applicarci a capir le connessioni, a guardar quel cicin più in su della linea tratteggiata dell'ombelico: figurarsi lo sguardo oltre l'orizzonte. un po' [tanto] svogliati, un po' [tanto] ignoranti, un po' [tanto] analfabeti empatico-funzionali, invero piuttosto beoni delle mass-cazzate che ci inculcano: e che poi siamo convinti siano brillanti idee nostre. e soprattutto svogliatelli. paraculi nel trovar la giustificazione che tanto, al limite, falsifichiamo la firma.

il mio collega - brava persona, onesta, volonterosa, abnegazione a gogò - nonostante tutto fatica a star dietro le cose logiche, da A a B.
e mi metto pure a pensare alla pezzottatissima mediomentaglia che prima di arrivar al metallo vivo delle cose logiche, deve scartavetrare pentolate baroccheggienti di stucco color aragosta.
abbiamo già perso.
solo che non lo sappiamo [compiutamente] ancora.

Saturday, August 3, 2019

doverci stare, da qualche parte

premessina, veloce veloce: questo è un post che potrebbe virar al lamentosetto. come ai vecchi tempi. anche se son tempi appena dietro l'angolo. tant'è.

stavo leggendo un libercolino. che fino a metà pare un po' commediuola che sberleffa un noir, invero piuttosto sbiadito. ad un sola voce, la prima persona, voce narrante, che è sempre un po' complicatina da gestire. poi il libercolo si mostra per quel che vuol essere. un cazzeggio sapido e molto [auto]ironico, attorno ad un plot che s'intreccia il giusto. le voci diventano altre prime persone. ed un po' si fa polifonico. niente di illeggile. niente di roba del tipo: uau. il finale un po' s'approssima che poi va da un'altra parte. ma tant'è.

però non volevo parlar del libercolino. è che però il libercolino, nella foto di copertina, ha la ruutsicstisics [route 66] che, spavalda fino al punto di fuga dell'orizzonte, sembra voler dividere in due il deserto, immagino di un qualche stato degli iuesssssei, sud-occidentale. e all'inizio di un capitolo del libercolino, uno dei primi, il primo dei personaggi che narra in prima persona, è in viaggio in mezzo a quel deserto. in auto. e l'incipit del capitolo è "amo il deserto".

quando l'ho letto, in quel momento e per qualche momento piuttosto prolungato ho smesso di seguire con attenzione il filo delle parole. anzi, forse ho proprio smesso di leggere. e probabilmente mi si è spalancato in testa questo post che potrebbe virar al lamentosetto.

perché ho intravisto una situazione ideale, rasserenante, auspicabile, consolatoria, piacevolissima, che potesse lenire il friggicorio* friccicorio esistenziale che ha ripreso a punzecchiare, invero in maniera non così piacevole. e mi son visto nel consustanziare la vacanza perfetta. anzi no. la condizione perfetta: io che me ne vo' in viaggio in auto. più o meno a caso. con il limite del fatto che uno deve fermarsi a rifornire, pisciare, dormire, mangiare. il resto son le strade a disposizione, da sfruttare come il condotto per una specie di sistema circolatorio, di fatto senza fine. in cui poter girovagarci. fottendosene un po' dell'eventuale footprint ambientale [tanto mica stavo stampandocolpiede, essendo quella solo una fantasia da metterloincalciod'angolo questo sentore di soffocamento che non so quanto riesco a farcela]. ed ho pensato, in un battito di ciglia incuriosito: perché? perché quella situazione così desiderabile, cosa me la fa ambire e così tanto? [è che mica mi accontento della suggestione, così piacevolemente rasserenante nell'essere 'sì evanescente. no, è che poi la zitellonaggine meco vuole sapere anche il perché. forse per grattar materiale per un piccolo post. forse per il riflesso pavloviano ingegneristico-[ex?]psicoterapico].

insomma. perché?
e la risposta è venuta prima che finissi di chiedermi: perché? [che ci vuole ancora meno tempo che dire "crostata di mirtilli" [cit.]].
perché così è come esserci senza stare in nessun posto.
roba che lo stare in viaggio diventa essere il viaggio. che va bene l'eco odisseandiana, quasi ossessione, peraltro in un blogghe che si chiama ecodisseando. che continua ad essere il gerundio di odisseo. a parte quello, però, c'è una specie di intuizione come fosse una specie di appiglio salvifico del momento adveniente. come se la fatica che sto provando, per sgusciarsela di dosso, assieme ad una stanchezza che non sono solo le ore di sonno che paiono non essere mai quelle che bastano, potrebbe aiutare darsi alla macchia in macchina. non potendo sottrarsi all'inevitabilità che da qualche parte devi comunque stare [cit.], però fargli anche un poco gentile gesto dell'ombrello, 'ché non sei mai da nessuna parte, perché ogni attimo sei in qualche punto diverso.
e cullarsi un po' l'illusione che così il fardello, che plumbeo avverto, si riuscisse a fuggicchiarlo. tipo ti vogliono metter addosso la cartella, ma tu sei già in un altro posto. va bene, mica lontanissimo, ma già in un altro posto.
occhei. occhei.
mi rendo conto sia una specie di de-responsabilizzazione. comodo, neh?
non ti fai trovare qui, perché sei già un pezzettino in là. girovagoleggi quindi non stai.

può essere. può essere.
sarà che sto facendo - davvero - fatica. forse è solo il sonno.
forse sto imborzolando.
anche i contatti sociali si stanno diradando - lo sciame caotico del relazionarmi là dentro, non conta, ovvio. anzi. forse è una delle concause, vista la tropposità di questi mesi. non capisco dove finisca il fatto mi neghi. dove prosegua il pigolio della fazenda non abbia quasi più tempo più o meno libero, in cui non mi venga di voler dormire. e dove inizi il territorio che non si è indispensabili, quindi un bel po' di persone, senza nulla di eclatante decidono che possono far a meno di te [magari molto più di quel che possa io fare a meno di costoro.]

sì.
vero.
sono stanchino. e tutto pare affardellato.
quindi mi si spalancano queste vie di fuga mentali. tipo: starsene perennemente in viaggio per non stare in nessun posto. sperando, in questo modo, di intuire più lieto l'essere. [per quanto: chi vive sperando, muore cagando. [cit]].
ogni tanto mi balugina financo la suggestione che - forse - una vacanza potrebbe, se non risolvere, almeno mettere un pochino in bolla il tutto.
non so.
l'auto non ce l'ho. [per quanto si potrebbe noleggiare. o continuare ad andare in treno]. non ce l'ho perché vorrei ma non oso. per quanto tutto questo, in gran parte, esula dall'economia di questo post. che non so quanto abbia virato al lamentosetto.
però ho la vaga sensazione che i tratti dove sarei in viaggio, per esserci senza stare in nessun posto, ammonticchierebbero la possibilità di essere tra i più gradevoli. e struggenti alla memoria.
come in sospensione.
per poter sfanculare un po' il fardello.
visto che ora mi sembra tutto così stanchevolmente irriducibile.
notte.

* l'amico luca mi ha fatto giustamente notare che va bene inventarsi delle parole. però c'è un limite a tutto.