Sunday, January 17, 2016

port pre-genetliaco di un ex amico prete [o prete ex amico?]

sfilza di ricorrenze in questa porzione di gennaio: compleanni, anniversari.

domani compie gli anni un prete. una olta mi pareva un segno interessante facesse il genetliaco il giorno dopo l'anniversario dei miei genitori. ma tant'è.

per me è stato il prete.

tecnicamente credo sia un sacerdote financo più che discreto. sicuramente un trascinatore di parrocchiani, piuttosto liricamente ispirato, simpaticamente coreografico, teologicamente nemmeno troppo sprovveduto.

è uno, però, cui piace vincere facile.

un atteggiamento che mia madre sgamò, piuttosto in fretta, che però allora faticavo a riconoscere compiutamente. fin che va tutto sommato bene, occhei, che superDon che riusciva ad essere, e la simpatia della gente conquistare, con tutti i suoi aneddoti un po' strampalati. davanti a situazioni un po' spinose, che probabilmente non lo coinvolgevano o non lo interessavano: via, silenzio, il fruscioso sfilarsi, come la veste che non amava indossare quando era all'oratorio. servo per amore stocazzo.

ne ho avuto una definitiva conferma quando si ammalò mio padre. era uno dei pochi che sapeva. fu uno dei pochi che fece mancare del tutto la sua presenza. la situazione spinosa ero [anche] io, e la mia apostasia mai affrontata: pure quella spinosa come situazione.

potrei sbagliarmi, e lo scrivo senza giudizio, bensì constatazione che forse sono riuscito ad accettare da non molto tempo. ho la sensazione sia gay, senza forse averne nemmeno la piena consapevolezza. e probabilmente era innamorato di me. mai avuto nessuna manifestazione chiara, inequivoca, lampante. forse, in un singolo episodio, una vaghissima intuizione, quando oramai aveva lasciato l'oratorio del paesello. eravamo in auto, fermi ad un parcheggio, in attesa di non ricordo chi. io stavo stuchiacchiando i miei appunti, nel mentre, uno degli ultimi esami. mi accarezzò, come spesso faceva, ed ebbi l'impressione che stesse per, volessi dirmi qualcosa, che probabilmente non potevamo/riuscivamo accettare entrambi. lo guardai con aria interrogativa, lui distolse lo sguardo. io tornai ai miei appunti.

era l'amico per antonomasia, di quelli che finiscono nella dedica della tesi, in quel rito un po' stramapalato di riconoscenza di un qualcosa di importante si è fatto. la mia vita sarebbe stata decisamente molto diversa se non l'avessi conosciuto. non so se meglio o peggio. sicuramente diversa. a partire dal fatto sarei arrivato prima all'apostasia. tra l'intimo squasso dello studio degli illuministi a 18 anni e il perdere la sua amicizia, e tutto quello che di uterino rappresentava l'oratorio per me. scelsi lui e lo status quo.

forse un po' ingenerosamente poco fa, mentre mi sovveniva avrei potuto scrivere il post pre-genetliaco [nemmeno nel giorno giusto voglio pubblicarlo], pensavo che non so quanto mi abbia fattivamente dato in termini di formazione, o di indirizzo per quello che sono e sono via via diventato. molto più significativo aver incrociato altre persone. sicuramente con lui cominciai a capire quanto mi intrigava la speculazione psicopipponica. e con lui esercitavo quella specie di flusso di coscienza che tanto sembrava strano agli altri, e che mi rendeva piuttosto strano a costoro. lui mi ascoltava e interloquivamo, pensavo mi capisse e mi accettasse in quella iperproduzione di considerazioni. a me piaceva, dava un senso, foss'anche mi stesse ad ascoltare. spesso ci intortavamo in ragionamenti laoocontici, sempre all'ombra illuminante della fede. ricordo un pistolotto sul fatto lui ritenesse importante essere il prete amico, mentre io sostenevo fosse l'amico prete.

litigavamo ogni tanto. spesso partendo da un nonnulla. verosimilmente litigi da innamorati un po' checcosi. non ci parlavamo per giorni. poi ci si riconciliava: la cosa partiva [quasi] sempre da lui, e quando avveniva sentivo una specie di respiro di sollievo importante, come qualcosa di precipuo riconquistato.

ha seguito i miei innamoramenti nevrotici. non so se ne abbia mai avuto contezza, o mancò il coraggio di dirmi che quello non era amore ma, appunto, nevrosi compulsiva. probabile più la prima che la seconda.

quando se ne andò dal paesello e dall'oratorio giurammo di sentirci e di frequentarci come se nulla fosse cambiato. la nostra amicizia doveva sopportare e transitare attraverso i secoli e i continenti. bastarono pochi mesi e probabilmente ci si accorse, forse con un po' di meraviglia disincantata, che questa inevitabile necessità di esserci l'uno per l'altro svaporava. come la mia fede, del resto, lontano da lui. forse, da quel punto di vista, oramai "libero".

non mi chiese mai il perché di quella scelta: troppo complicato forse affrontarmi su quel versante. o forse, semplicemente, non gli interessava ormai più di tanto verificare. come non gli interessavo più io.

ho smesso di credere nell'amore eterno tra un uomo ed una donna, sacralizzato [religiosamente o meno] nel matrimonio quando ho scoperto come si era volatilizzata quella nostra amicizia. quasi in un amen.

ho ancora un suo regalo. ormai da un quarto di secolo. una radiosveglia a forma di cubo, rossa. ha girovagato con me per tutti i mille mila appartamenti/stanze/alloggi che ho cambiato da allora. è quella che mi sveglia ancora ogni mattina. non so perché ma ho sempre voluto tenerla con me, anche negli ultimi anni. qualche settimana fa ne ho vista una versione simile, stessa marca, stesso colore: semplicamente un modello [piuttosto] successivo. per un attimo mi è venuta la tentazione di prenderla e buttar via quella vecchia. poi ho desistito.

magari, domani, torno al mediavuorlde e la compro: mi faccio il regalo nel giorno del suo genetliaco.

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