e comunque 'sta storia scriva i post il giorno del genetliaco di fratteme, qualcosa dovrà pur significare. in un in intreccio, che peraltro credo coerente, con le suggestioni dei sogni che tornano abbastanza di frequente. roba che son tappeti di sensazioni tra il piacevole, il confortante, con dentro contrappunti di nostalgia leggera, e con spolverate di malinconia q.b.. e soprattutto sogni, onirici, in cui la casa dell'hometown è quella di com'era nella gioventù, quando abbastanza tutto era possibile. se lo era la casa, per sillogismo, lo siamo anche noi che vi ci abitiamo. oppure, sempre nell'hometown, la casa è nuova, recente, e dentro vi è una progettualità che è sempre la sua. quella di fratteme, intendo.
la cosa che mi sorprende è che, nei sogni, non c'è invidia, gelosia, o senso di inadeguatezza. quello sì, della gioventù. ma un certo senso di ammirazione. come se, in fondo, indicasse come si fa, o da che parte andare. anche se poi lo sappiamo che siamo noi, nei nostri sogni, anche se ci appiccichiamo le facce di altri.
c'è il fatto che sono sogni che si portano dentro qualcosa di indefinito, specie nei suoi confronti. non so se sia affetto, o rimpianto, o un mics tra le due e più cose. oppure altro, quello ad esempio che non so vivere, compiutamente, quando son sveglio. se non da lontano da lui.
anche tipo il mio non essere esattamente pensiero-azione. cosa che invece inesorabilmente è lui. ce ne ha dato la prova qualche settimana fa. sono quelle cose che sgorgano dalle situazioni che si sono sì, sclerotizzate, ma c'è ancora tempo acciocché crepe possano crearsi. da cui spuntano nuovi virgulti. non so se affetto, non so se amore fraterno e filiale, non so se riconoscenza. non so se è solo riportare un po' tutto a casa, nei legami degli affetti che si sono sfilacciati. che si erano un po' rotti, o forse interrotti, o forse no, perché poi son cose che hai dentro, non ostante le differenze, le visioni del divenire che divergono. riportare a casa, appunto, forse è anche per questo che lo sogno nelle casa della hometown. quella che fu o quella che, nuova, sta lì accanto.
poi sì è vero, scrivo imbarazzato, ed imbarazzato gli farò gli auguri, ben ammantato della mia coda di paglia. che non riesco a smontarmi dalla testa l'idea che abbia fatto molto di più io, per sfilacciare, piuttosto che l'inazione di lui. non c'era volontà, non c'era dolo. c'era tutto uno strutturarsi che è venuto fuori così, un po' pezzottato. non ostante rivendicassi una qualche forma di superiorità etico-morale, mentre cercavo di definirmi in un qualcosa che doveva essere più complicato ed articolato degli altri. scegliere l'arzigogolo, invece della linea quasi retta, come aveva imparato a spianarle lui. troppo facile così, stavo lì col ditino puntato. difatti. ora sono io con questo sottile senso di dispiacere, e forse anche un po' di colpa.
le solitudini di matreme e mie, per ragioni ovviamente diversissime, ci hanno fatto guardare quello sfilacciarsi, come inevitabile, strutturale. al limite con la piccola foglia di fico che si sfilaccia in due, con reciprocità uno a due. senza contare le altre debolezze, mimetizzate da sicumera, che l'hanno tirato anche da un'altra parte. non è stato semplicissimo. siamo famiglia un po' così. non si sente avvinghiante il legame di sangue. non credo - voglio sperare - ci sia il legame dell'affetto che prescinde quell'altro, per fortuna.
questo voleva essere un post genetliaco. non è un post da lieto fine [d'altro canto, questo blog ne è pieno. [si scherza, neh?]]. quello dove il dolly sale mentre la puntata termina col sorriso. forse non riesce nemmeno ad essere un po' genetliaco. che poi li scrivo, ma lui mica ne ha mai letto uno. e chissà se mai li leggerà. però dovesse accadere non possa farglielo sapere io, che ci pensi qualcuno dei tre o quattro che passano di qui [l'amica roby, quando eravamo ancora amici, mi disse che avrei dovuto passargli i link. poi è successo il resto con l'amica roby. non che abbia un qualche nesso causale con il fatto non glieli abbia mai passati, i link]. di certo c'è la confusione, oltre i refusi, di cosa vorrei davvero scrivergli, augurargli. che almeno qui non c'è quel senso di affettuosa estraneità che si frappone, dal vero, le poche volte che ci incrocia. affettuosa estraneità, probabile, a celare l'imbarazzo.
non è un post con il lieto fine. però, mentre provavo a raccogliere qualche idea, mi è comparsa l'immagine del kintsugi [che mica ricordavo come si chiamasse, però basta chiedere al signor gugol]. i pezzi che si ricompongono con dell'oro. dalle crepe possono spuntare virgulti. oppure i pezzi rotti si possono ricomporre, impastando anche i legarmi sfilacciati.
il genetliaco è il suo. lo auguro però tanto anche a me.