sono un portatore sano di patriarcato. non è colpa mia: son nato maschio. quindi è una condizione ontologica, c'è poco da girarci intorno. però lo sono e non me lo nascondo. non giuoco al chiagnaefotti di chi - tanto, poco - 'sta cosa qui la rimuove, con il trucchetto del: non sono né maschilista, né discriminatorio, né violento contro le donne, che volete da me? peggio: e allora le donne con il loro essere civettuole, profittatrici, stronze, rompicoglioni?
noi maschi siamo portatori sani di patriarcato. e non importa se lo sono anche parecchie donne. che lo agiscono, conformate, rispettose, ossequiose di una [sub]cultura radicata da parecchi secoli. la assorbiamo con il latte materno: tutte e tutti. poi noi maschi giochiamo in un altro campionato, la responsabilità è ben precipua. averne contezza è il primo passo per cominciare a sconfiggerlo.
sono portatore sano di patriarcato. ne ho avuto piena e compiuta consapevolezza con l'omicidio di Giulia Checcettin. questo non smetterò mai di ribadirlo. per l'emozione che ha suscitato, per come il padre ha saputo trasformare quel dolore e quel trauma. vero. ammazzano una donna ogni tre giorni: anzi, vi è un femminicidio ogni tre giorni. chissà quante subiscono violenza. per non dire la sistematica discriminazione che si perpetua ogni giorno, come la più inestricabile e maledetta delle normalità. un senso di trasformazione ha avuto quel femminicidio: dare importanza al fenomeno, mostrandone la montevolemerdosità. è dare centralità e dignità alle vittime di tutti gli altri femminicidi, di violenze subite, alle donne discriminate. ci sono quei ghirigori del destino che innescano effetti fottutamente non lineari. delle delte di dirac [da zero a tutto in un niente] di consapevolezza, presa di consapevolezze oltre l'importante. sembra che le cose scorrano in una normalità tossica, subendola, poi arriva prorompente il dover far rumore, a dar scossoni antropologici.
ne ho preso consapevolezza del tutto. non partivo esattamente da zero. però sì, la compiuta contezza è stata un'altra cosa. anche a tratti fastidiosa: ma come, proprio a me? che quando mi trovo a camminare, specie di sera, dietro una ragazza, se mi accorgo del mio passo troppo più rapido del suo mi fermo un attimo, rallento, cambio marciapiede, proprio per non darle minimamente la percezione di essere seguita. perché questo fastidio? semplice: è il mio essere portatore sano di patriarcato. lo sforzo nel non ignorarlo, quel fastidio. come scacciar col muovere delle dita una mosca che ti ronza attorno. guardarlo ben bene negli occhi, quel fastidio. avere un po' di coraggio, o forse solo onestà, e dirgli: adesso facciamo i conti noi due.
e quindi alcuni dettagli rilucono in modo un po' diverso.
quando arrivò, là dentro, la nuova responsabile del gruppone dei sistemisti et alter, colei che rispondeva direttamente al cio. lei con i suoi bei occhioni azzurri. lei, cui stavo talmente più sotto che in quei casi tu mica ci parli. ci sono almeno un paio di livelli in mezzo a far da interfacce. 'sta cosa qui mi rugò in maniera non esattamente serena. perché se ne stava in un ruolo piuttosto apicale, ben sopra di me e a cui rispondere, una persona che iniziava le elementari quando io mi laureavo? o anche perché fosse una donna? anzi, del mio punto di vista: una ragazza? non è una domanda retorica: davvero allora non avrei saputo rispondermi. ora forse sì, per quanto la questione di genere c'entrasse [davvero] poco. ma quel [davvero] poco c'era. portatore sano.
quando la mia amica roby mi cazziò, per la storia della proposta di spegnere l'illuminazione pubblica su alcuni monumenti: per risparmiare, più che altro. io ero d'accordissimo. lei stigmatizzò quel mio favore, e lo fece anche con la sua spigolosità di persona acuta [c'è un doppio senso. se non si era capito. ma nel senso che ci sono entrambi i sensi. l'amica roby è la persona più intelligente e capace conosca sotto i quarant'anni. che dà la biada a persone che di anni ne hanno anche ben di più. tanto che, in alcuni ambiti, la differenza d'età non la percepisco. e non perché sia involuto io]. io un po' ci rimasi male. non solo perché, se vuole, l'amica roby sa uscire pungiglioni dolorosi. ma come? te la prendi con me? "che quando mi trovo a camminare, specie di sera, dietro una ragazza... [etc.]". in realtà in quella cazziata c'era il fatto non cogliessi del tutto il suo [sacrosanto] incazzo, nel non sentirsi del tutto sicura a camminare di notte. spegnere i monumenti avrebbe contribuito - tanto, poco - a farla sentire ancora meno sicura. al netto della logica formale stringente [la parte di milano con monumenti che sarebbero stati spenti è davvero minima, per lo più in centro, zone mediamente meno insicure], fu il non cogliere appieno quel disagio. che lei ha tutto il [sacrosanto] diritto di viversi, con il [sacrosanto] diritto di non volerlo più vivere. disagio che io non ho [quasi] mai percepito. un po' perché so babbeo, di certo. ma soprattutto perché son maschio. essere portatore sano ti disconnette - poco, tanto - anche da ciò.
è per questo che vivo con molto coinvolgimento, dallo scorso anno ancor di più, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. è un modo di combattere il mio essere portatore sano di patriarcato. non solo il venticinque di novembre. so che non basta, ovvio. e non è detto che qualche epifenomeno non riesca a scappar fuori ancora, qua e là. siamo tutti fallaci e perfettibili, figurarsi. però sono ragionevolmente certo che sì: non ignorerò mai più il fastidio, dovessi trovarmelo ancora di fronte. lo devo, da maschio, a tutte le donne. s'ha da fare. non ho figli da educare, specie maschi, per fare tutte e tutti passi avanti. però posso dare il piccolo contributo a cacciarlo fuori - tanto, il più possibile - da me. estirparlo. lo voglio, ci devo essere anch'io. perché "il patriarcato esiste, se non lo vedi sei tu".