Sunday, July 27, 2025

appuntini

credo di essere nel bel mezzo di un momento depressorio. niente di che, neh? una buchetta. se ne verrà fuori.

gran grosso boccone, del pasto che sta consumando questo momento, credo sia il rinculo per quel tentativo di storia deragliata in un mezzo amen. pensavo fosse arrivato il cambio di paradigma. ci ho creduto. talmente tanto che non ho intravisto i segnali. meglio: li ho intravisti, ma gli occhi a forma di cuore han fatto sì li ignorassi. e quindi un bell'investimento emotivo per qualcosa da costruire con una delle persone meno adatte. i segnali, appunto, c'erano, te non cacarli, e così succedono cose in un mezzo amen. e comunque prova te a ragionare con la chimica e le nevrosi quasi ossessive.

tant'è. dopo un po' è arrivato il rinculo. nemmeno il tempo di iniziare il chiodo-schiaccia-chiodo. o meglio, prodromi non esattamente scintillanti.

e dentro il rinculo, tiro su a trascico le nequizie che accadono. enormi ed epocali, come quelle più vicine. differenze di scale e di prossimità importanti. ma tutto si tira appresso, e il velo di malinconia sembra un fronte perturbatorio ampio e persistente. per quanto è serena malinconia. però lo strascico tira dentro tanta roba. e si fatica. e naturalmente non voglio tirar il fiato. e quindi, dice, che cazzo ti appunti cose, che tanto lo sai già come si rimane nella buchetta.

e vorrei tirar fuori tre appunti. veloci. anche se tanto si sa, tanto veloci non saranno. appunto.

venerdì ero in ufficio. ascoltavo la rassegna stampa mentre mi avviavo al dispenser per l'acqua microfiltrata. il piccolo rito mattutino è quello di riempire la borraccia, bersi il mics di accccuaCasssataENaturaleAgaggganelle, quindi riempirla di nuovo e tornarsene alla postazione. il buon mattia, alla radio, stava leggendo l'articolo su mohammed, bimbo di diciottomesi di gaza, notizia in principio riportata dal daily express. pelle color di vecchio, colonna vertebrale più che sporgente, pancia gonfia, viso inespressivo e occhi sbarrati. "Apre e chiude la bocca, cercando nell’aria il biberon che non ha. Non è un pianto quello che emette, è piuttosto un lamento rivolto alla coscienza del mondo che assiste inerte a tutto questo.". mi mancano - letteralmente - le forze. mi siedo su quella specie di seduta cool arancio-grigia. bevo dalla borraccia, da seduto. non riesco a farlo in piedi. ascolto e mi sommerge un senso di angoscia. un misto tra rabbia ed impotenza. un po' spero che l'articolo, la sua lettura, giunga a conclusione. come a smettere i cazzotti nel bel mezzo della panza. un po' vorrei non lasciar andare quell'immagine, quel simbolo. sono seduto e bevo, lentamente. nel frattempo sbucano dall'ascensore fieri dipendenti di là dentro. stanno andando alla loro postazione, convinti che anche oggi saranno fondamentali e determinanti a immaginare progetti nuovi per là dentro, o roba raffinata, per l'ordinario ed oltre, a garantir il funzionamento della baracca. non so se sono contenti, praud. se si sentono importanti e ben pronti ad alimentare parziali sovrastrutture, l'impiegato che va al lavoro nel posto fico e cool. con quella specie di sedute arancio-grigie vicino al dispenser dell'acqua microfiltrata. ti ci puoi sedere, mentre ti fai un goccio. tipo quello lì con le cuffiette nei padiglioni auricolari, con le spalle un po' curve. dalla postura del corpo non sembra in formissima. li guardo passare, mentre sto moderatamente di merda. chissà che cosa stanno pensando. chissà quali preoccupazioni. chissà quale contezza di certe nequizie. chissà quanto interesse. chissà quanto pensiero solo alla giornata lavorativa che va a cominciare.

cose così.

ieri sera spettacolo pirotecnico sul lago. mi interessa il giusto. ma almeno mi costringo ad uscire di casa e far due passi sul lungolago satollo di turisti e autoctoni. prima volta in questa stagione. passo davanti l'oratorio. è ancora una stilettata. come se lì dentro si fosse formato un ganglio di irrisolto. almeno per me. ci sono i manifesti dei campi-scuola. roba che mi tornano - ancora - alla mente le sensazione di condivisone fuori dal mondo ordinario, che si viveva in quei giorni. sui manifesti ci son foto, ed in quelle foto c'è il prete, ovvio. mi fa un effetto strano. potrebbero toglierli, penso. stamani lo condivido con matreme. la sua risposta è breve quanto significativa: eh, l'oratorio deve comunque andare avanti, ed ai ragazzi, ai bambini bisogna comunque pensare.

già. il tutto deve continuare. e se deve, può. è che son solito fermarmi nelle mie buchette. le cose devono proseguire. come durante il covidddddì, la gente ha continuato a sposarsi. per fortuna c'è il mondo fuori dalle mie buchette.

oggi ho camminato in mezzo al bosco. sembra faccia bene. probabilmente non è solo una questione che, in modalità sciamanica, ti rammentano come un'ovvietà pattuglie di gniugeisti, nelle più lisergiche declinazioni. potrebbe esserci qualcosa di provabile. tipo fitotrasmettitori e recettori, che le piante utilizzano per comunicare. non dissertazioni sui massimi sistemi. elementi funzionali alla loro sopravvivenza. e sembra che immergervisi faccia bene. confermo. sarà poi quel po' di sforzo fisico, la dopamina che si genera. sì. funziona. non è che esce dalla buchetta, neh? però meglio che starsene in panciolle a rimirarsela, la buchetta. camminando in mezzo al bosco ho attraversato terrazzamenti, quel che rimane. piani, artefatti, che si inseriscono nelle asperità del versante di mezza costa, naturale. sono le vestigia di quel che era lo sfruttamento di quei terreni. si coltivava, si viveva di quello. economia di sussistenza e poco più. e lì non c'era bosco. tutto sgombro, per sfruttare gli appezzamenti, pascere il bestiame. il bosco è tornato quando l'uomo da lì se n'è andato. qualcuno li osserva con una certa nostalgia: come sarebbe interessante tornare a quei versanti curati, che erano così capace di darti da sopravvivere. appunto. sopravvivere. sono in un momento depressorio, non soverchiato da nostalgie passatiste, luddismo allo stato di superplayer. per millemila ragioni. e poi il bosco è biomassa, tra l'altro da captazione di anidrite carbonica. e sono alberi che continueranno a cibarsene, per ridarci ossigeno. certo. molti muoiono, marciscono e magari te li trovi sbarrare il sentiero. ma è elemento organico che rientra nel circolo. humus che concimerà altri alberi. il bosco può inquietare, per alcuni archetipi che ci portiamo dentro. il bosco può rigenerare. che grandi chiacchierate devono farsi, gli alberi, con i loro fitotrasmettiri-recettori. e noi che ci passiamo in mezzo.

anche senza per forza uscire dalle buchette. però meglio che non farlo. 

Friday, July 11, 2025

abisso

la morte di don matteo mi ha colpito, molto. così tanto non lo credevo. però è successo. e non credo sia solo per il fatto che nella hometown tutto riverberi, troppo, come in una scatola di latta. credo anche si sia trattata di una sorta di immedesimazione*.

ho voluto esserci, ai funerali. mi sembrava un gesto scontato, naturale. al netto di matreme che ha chiesto, appena rincasato: dov'eri? al funerale. ma come, sei venuto anche tu?

ho voluto esserci, sì. vista poche altre volte la chiesa così piena. un silenzio, sospeso e compatto. di quelli che fanno un gran rumore.

volevo esserci, anche per ascoltare. per intuire come quella morte potesse riverberare, gli effetti farsi voce, racconto, partecipazione. senza dimenticare che non si fosse messo minimamente in dubbio il funerale religioso. non so quanto fosse misericordia, quanto dismettere il giudizio e la condanna, definitiva. roba di nemmeno troppi anni fa.

volevo esserci anche per capire, intuire, come l'hometown cominciasse ad elaborare il lutto. qualcosa di davvero fuori l'ordinario. troppo per una comunità sempre più infighettata, paciosa nello starsene in quel angolo di mondo, forse così isolato e al riparo dalle storture di quel che accade.

ha parlato il vescovo. han parlato preti. ha parlato una ragazza dell'oratorio. ha parlato il sindaco. e il gianmaria è quello che mi colpito più di tutti. gliel'ho scritto: grazie sindaco.

grazie perché  è stato l'unico che si è avvicinato al burrone. è l'unico che non ha nascosto il fatto c'è un abisso che si è preso quel giovane sacerdote. poco più che accennato, ma almeno non ha guardato solo da tutt'altra parte.

non è così paradossale. in fondo un sindaco dovrebbe parlare da laico. ed in fondo io ero lì da laico, tecnicamente non credente, per nulla certo di un qualcosa oltre questa vita. ed ero lì, cognitivamente con l'eco lontana, intuita, percepita, che quel gesto possa essere esattamente possibile. esattamente l'opposto di qualcosa che non si può spiegare. è nel novero delle cose che possono accadere. esattamente com'è accaduto.

lo sconcerto che ha travolto tutte e tutti accompagna la meraviglia sgomenta di un gesto che nessuno avrebbe mai immaginato. che quindi non si capisce come possa essere. è il modo per guardare solo dall'altra parte del burrone, come se l'abisso stesse sull'asse immaginario. lontano dalla paciosità lacustre. forse è autodifesa. forse è rimozione della complessità sconcertante dei recessi della mente. forse una fuga. forse la combinazione lineare delle cose. [forse lo stigma, oppure l'impreparazione, verso la malattia mentale. se ho il reflusso, ci sta. se sono depresso, non so come si possa accompagnare qualcuno con 'sta roba qui]

per questo penso sarebbe stato giusto, laicamente misericordioso, sincero, qualcuno lo dicesse. di fatto, però, nessuno l'ha fatto. non ho sentito dire: scusaci se non siamo stati capaci di accorgerci quanto dolore e quanta disperata solitudine. non cambia la sostanza di quello che è stato. ma poteva essere un modo per non sprecare proprio nulla, accorgerci che ci si può accorgere, perché è qualcosa di possibile tra le cose possibili.

hanno parlato prelati. e non potevano che concentrare tutto sul significato teleologico: il fine ultimo, l'insondabile della mente dell'uomo ben presente nella mente di dio. la promessa del rivedersi quando saranno i tempi nuovi, quelli della resurrezione. e la testimonianza di tutto quello di bello e positivo ha lasciato.

che [mi] siano mancate cose dette, inutile ribadirlo. però, per un attimo, ho provato un po' di invidia. perché qui, da queste parti, non rimane altro che lo sconcerto di quel gesto. e non c'è promessa di vita eterna che possa mitigare, qualsiasi cosa significhi. ce la si deve vedere qui ed ora, senza appigli trascendenti. noi con la sola immanenza che qui viviamo, e poi basta. confesso che, per un attimo, mi sarebbe piaciuto percepire quel refolo di speranza, che acclaravano come l'unico senso per dare un senso a tutto questo.

siamo soli, noi laici.

soli ma non disperanti, necessariamente. perché un senso ci può essere nella testimonianza. nell'eco di quel che giovane don ha saputo comunque trasmettere. e poco importa me abbia solo sentito parlare. se si è manifestata in un'intuizione e un'ingiustificata simpatia per un sacerdote, mentre spingeva un tosaerba su un campo di pallone. è molto immanente. me lo posso portare appresso anche io. anche se propagherà, chissà quando e come, in tutti altri ambiti. anche se magari succederà senza che abbia completa contezza. è un modo per rimettere in circolo. dare un senso a qualcosa di cui il senso, disperante, sfugge. è totalmente insensato solo se si fa finta che il burrone non esista. se ci si ostina a guardare sempre e solo dalla parte opposta dell'abisso.

un paio di considerazioni, ancora, prima di chiuderla qui.

tutte e tutti hanno ricordato la cordialità, l'entusiasmo, il sorriso ed una parola buona per chiunque. ad un certo punto ho intravisto una specie di piccolissima epifania. come se quell'apparire così convintamente pieno di vita fosse un modo per sfidare, per contrapposizione antipodale, il buio dell'abisso. cosa del tipo: quello che c'è in fondo al burrone mi agisce a voler smettere di vivere? ed io mi pongo in maniera esattamente opposta, con l'entusiasmo di vivere. qualcosa di drammaticamente faticoso, che alla fine, forse, lo ha trascinato dove è solo stanchezza per sempre.

*mi hanno colpito molto i ragazzi oratoriani, il loro dolore. mi ci sono immedesimato, anche se quel dolore io non l'ho vissuto [ora, né una cosa simile allora]. però mi son sentito vicino a loro. e non solo perché è capitato in quel luogo che frequentano. e che ho frequentato. il locale in cui l'hanno trovato è un posto in cui non metto piede da oltre trent'anni. ma è come se mi ricordassi, esattamente, com'è fatto. come ci fossi stato da pochissimo. come una specie di cortocircuito temporale. come rivedermi in quei posti che sono stati parte indelebile della mia educazione sentimentale. cui spesso riparavo, come a cercare una protezione quasi uterina. quei ragazzi sono io trentacinque-quarant'anni fa. come fossimo uniti da un luogo comune [fisico ed emozionale] che è stato [per me] e sarà [per loro] fondamentale. al netto delle mie apostasie e il nocumento che mi è cascato addosso in quegli anni ed in quei luoghi [allora non sapevo stesse accadendomi ed ero sicuramente un po' rincoglionito]. loro sono io. io sono loro. loro che invece hanno già saggiato quanto può essere lancinante e durissima la vita. che però hanno dalla loro l'entusiasmo incosciente - bellissimo - delle loro età. che sappiano trovarcelo, un senso. al netto dei discorsi trascendenti che si sono sentiti raccontare. la durezza di quel che le e gli ha colpiti, serva loro ad intuire che, appunto, i burroni esistono. chi lo sa se non potrà aiutarli a capire quando ci sarà qualcuno da afferrare e tenere per mano, per allontanarlo dall'abisso.

[e comunque, struggente, è stato vedere quasi una decina di giovani preti, provatissimi, portare a spalla ed accompagnare la bara. non mi era mai successo. dubito ri-succederà] 

Saturday, July 5, 2025

ruggine

l'algoritmo del signor feisbuch mi propone video di restauri di oggetti. oggetti con parti metalliche importanti. parti metalliche con tanta ruggine appresso. l'algoritmo del signor feisbuch ha capito come agganciarmi. e difatti li guardo come un dipendente da social engagement da social qualsiasi.

li guardo forse anche un po' rapito.

prima spatole per togliere il più grosso. poi le spazzole coi ciuffi di metallo, per i punti meno accessibili. e poi cascate di wd40, a cominciare a lubrificare viti, bulloni, tasselli [metallici]: è ora di compiere il percorso elicoidale di allentamento. lo percepisci il wd40 che si insinua spumeggiante negli interstizi più incrostati e comincia a sciogliere la ruggine che era tutt'uno con il resto. come ad annunciare: diamoci una mossa, è tempo di tempi nuovi.

poi c'è la sabbiatrice. subisco il fascino della sabbiatrice. che il metallo vivo torna alla luce, dà un'idea del luccicore che non ha mai smesso di avere, sotto la ruggine. sembra che gli oggetti si colorino, e invece è la ruggine che se ne va.

e poi la lima. i movimenti a volte sinuosi, tondi, quasi poco istintivi. è un mestiere e una manualità mica scontata anche questa. tirare di lima, si capisce il senso di una maestria che si impara.

e poi la cartavetra. grani diversi, per i vari passaggi. il lavoro che è ripetizione e affinamento. affinamento e ripetizione.

e poi - bellissimo - le nuove vestigia a tutti i pezzi. là dove si colora, a spray, a polvere, le parti più importanti. e le componenti zincate, temprate, lucidate.

per poi ricomporre il tutto. stessi pezzi di prima. niente più ruggine. un'apparente insieme scomposto di componenti, rimessi a nuova vita. si rimontano, si riavvita, si serra, si assembla. eccolo di nuovo pronto all'uso. luccicante, colorato, pronto per ricominciare ad avere un senso. come nuovo. anzi, meglio: con il valore aggiunto della cura e dell'essere messo di nuovo a nuovo.

ho capito perché li guardo rapito.

perché c'è dentro il senso di riaggiustare, del ripartire, del sistemare. che si riesca a fare non ostante le incrostazioni, la ruggine, l'accumularsi delle fatiche e delle corrosioni del tempo. e proprio dalla ruggine si riparte. si ricomincia. che non è la ruggine a far smettere la voglia di riprovarci. anzi. è forse la ruggine che, quando sta fuori, è il punto di partenza per ripartire. toglierla, la ruggine: da lì viene poi tutto.

penso e pensavo a come sarebbe bello farlo con le persone, con le relazioni, con quello che incrosta e non permette più di agire. qualsiasi cosa possa significare. anche se le persone, le relazioni non sono ovviamente oggetti. però il senso è quello: il ricominciare dopo il lavoro di cura per restaurare, che poi è tirar fuori di nuovo quello che comunque continuiamo ad essere.

lo pensavo, tra l'altro riferito anche a me. che va bene la malinconia, ma non ho di che di dovermi lamentare. anzi.

infatti oggi è tornato, prepotente, il monito che dolori e fatiche che soverchiano sono accanto alla vita di ciascuno. e che la ruggine, le incrostazioni possono starsene ben nascoste dentro, nel profondo. talmente nascoste e nel profondo che se guardi fuori sembra tutto così colorato, vivo, forse anche luccicante. e l'agire, essere strumento di qualcosa o di qualcuno, è connaturato al senso stesso dell'essere. esattamente l'opposto di qualcosa di solo imparentato con la ruggine.

e invece no. la ruggine può essere dentro, talmente in fondo [ma era poi così in fondo?] o talmente avvolgente che no, non ce la si fa più. e non si trova più la voglia di riprovarci. e che tu sia un prete, che ha conquistato in nemmeno due anni un paese parvenu, complicato e rompicazzo come l'hometown*, cambia in fondo poco. quando è la ruggine che non si può, che non si riesce a sabbiar via.

ho faticato, a tratti fatico, probabile faticherò. però questa sera mi è ben illuminata l'evidenza dei privilegi - di cui ho solo una parte - piccola - di merito. che lo smarrirsi del senso di riprovarci, che si spegne del tutto, è un'eco lontana. ma esattamente nell'ordine delle cose che possono essere. 

se esiste un dio, sia quello che lui testimoniava come sacerdote o un altro, se lo tenga abbracciato più forte che tanti altri. 

 

* figurarsi. un tardo pomeriggio, passavo accanto all'oratorio e vedo che con gran lena spinge il tosaerba nel campo di pallone. roba lunga, penso. provo un'ingiustificata simpatia per quel pretino, vederlo lì faticare da solo. roba a pelle. roba che non accade da qualche lustro, un desiderio di ri-mettermi in relazione con uno di loro, intendo. e penso che mi piacerebbe dargli una mano. senza un perché. o forse è per non lasciarlo solo a tagliare l'erba del campo di pallone. e penso che potrei dirgli che si farebbe molto prima con il trattorino che utilizzo a casa. potrebbe tagliare l'erba di tutto il campo standosene comodamente seduto. devo solo trovare il modo di farglielo sapere. fossi stato più attivo e meno procastinante glielo 'avrei potuto dire direttamente, quella sera. ti faccio vedere come funziona, poi te lo vieni a pigliare le volte che ti serve. certo, non so se tu possa viaggiarci su strada, il tragitto da casa all'oratorio e ritorno. ma in fondo, mica romperanno i coglioni a te, i vigili. no?