Friday, July 11, 2025

abisso

la morte di don matteo mi ha colpito, molto. così tanto non lo credevo. però è successo. e non credo sia solo per il fatto che nella hometown tutto riverberi, troppo, come in una scatola di latta. credo anche si sia trattata di una sorta di immedesimazione*.

ho voluto esserci, ai funerali. mi sembrava un gesto scontato, naturale. al netto di matreme che ha chiesto, appena rincasato: dov'eri? al funerale. ma come, sei venuto anche tu?

ho voluto esserci, sì. vista poche altre volte la chiesa così piena. un silenzio, sospeso e compatto. di quelli che fanno un gran rumore.

volevo esserci, anche per ascoltare. per intuire come quella morte potesse riverberare, gli effetti farsi voce, racconto, partecipazione. senza dimenticare che non si fosse messo minimamente in dubbio il funerale religioso. non so quanto fosse misericordia, quanto dismettere il giudizio e la condanna, definitiva. roba di nemmeno troppi anni fa.

volevo esserci anche per capire, intuire, come l'hometown cominciasse ad elaborare il lutto. qualcosa di davvero fuori l'ordinario. troppo per una comunità sempre più infighettata, paciosa nello starsene in quel angolo di mondo, forse così isolato e al riparo dalle storture di quel che accade.

ha parlato il vescovo. han parlato preti. ha parlato una ragazza dell'oratorio. ha parlato il sindaco. e il gianmaria è quello che mi colpito più di tutti. gliel'ho scritto: grazie sindaco.

grazie perché  è stato l'unico che si è avvicinato al burrone. è l'unico che non ha nascosto il fatto c'è un abisso che si è preso quel giovane sacerdote. poco più che accennato, ma almeno non ha guardato solo da tutt'altra parte.

non è così paradossale. in fondo un sindaco dovrebbe parlare da laico. ed in fondo io ero lì da laico, tecnicamente non credente, per nulla certo di un qualcosa oltre questa vita. ed ero lì, cognitivamente con l'eco lontana, intuita, percepita, che quel gesto possa essere esattamente possibile. esattamente l'opposto di qualcosa che non si può spiegare. è nel novero delle cose che possono accadere. esattamente com'è accaduto.

lo sconcerto che ha travolto tutte e tutti accompagna la meraviglia sgomenta di un gesto che nessuno avrebbe mai immaginato. che quindi non si capisce come possa essere. è il modo per guardare solo dall'altra parte del burrone, come se l'abisso stesse sull'asse immaginario. lontano dalla paciosità lacustre. forse è autodifesa. forse è rimozione della complessità sconcertante dei recessi della mente. forse una fuga. forse la combinazione lineare delle cose. [forse lo stigma, oppure l'impreparazione, verso la malattia mentale. se ho il reflusso, ci sta. se sono depresso, non so come si possa accompagnare qualcuno con 'sta roba qui]

per questo penso sarebbe stato giusto, laicamente misericordioso, sincero, qualcuno lo dicesse. di fatto, però, nessuno l'ha fatto. non ho sentito dire: scusaci se non siamo stati capaci di accorgerci quanto dolore e quanta disperata solitudine. non cambia la sostanza di quello che è stato. ma poteva essere un modo per non sprecare proprio nulla, accorgerci che ci si può accorgere, perché è qualcosa di possibile tra le cose possibili.

hanno parlato prelati. e non potevano che concentrare tutto sul significato teleologico: il fine ultimo, l'insondabile della mente dell'uomo ben presente nella mente di dio. la promessa del rivedersi quando saranno i tempi nuovi, quelli della resurrezione. e la testimonianza di tutto quello di bello e positivo ha lasciato.

che [mi] siano mancate cose dette, inutile ribadirlo. però, per un attimo, ho provato un po' di invidia. perché qui, da queste parti, non rimane altro che lo sconcerto di quel gesto. e non c'è promessa di vita eterna che possa mitigare, qualsiasi cosa significhi. ce la si deve vedere qui ed ora, senza appigli trascendenti. noi con la sola immanenza che qui viviamo, e poi basta. confesso che, per un attimo, mi sarebbe piaciuto percepire quel refolo di speranza, che acclaravano come l'unico senso per dare un senso a tutto questo.

siamo soli, noi laici.

soli ma non disperanti, necessariamente. perché un senso ci può essere nella testimonianza. nell'eco di quel che giovane don ha saputo comunque trasmettere. e poco importa me abbia solo sentito parlare. se si è manifestata in un'intuizione e un'ingiustificata simpatia per un sacerdote, mentre spingeva un tosaerba su un campo di pallone. è molto immanente. me lo posso portare appresso anche io. anche se propagherà, chissà quando e come, in tutti altri ambiti. anche se magari succederà senza che abbia completa contezza. è un modo per rimettere in circolo. dare un senso a qualcosa di cui il senso, disperante, sfugge. è totalmente insensato solo se si fa finta che il burrone non esista. se ci si ostina a guardare sempre e solo dalla parte opposta dell'abisso.

un paio di considerazioni, ancora, prima di chiuderla qui.

tutte e tutti hanno ricordato la cordialità, l'entusiasmo, il sorriso ed una parola buona per chiunque. ad un certo punto ho intravisto una specie di piccolissima epifania. come se quell'apparire così convintamente pieno di vita fosse un modo per sfidare, per contrapposizione antipodale, il buio dell'abisso. cosa del tipo: quello che c'è in fondo al burrone mi agisce a voler smettere di vivere? ed io mi pongo in maniera esattamente opposta, con l'entusiasmo di vivere. qualcosa di drammaticamente faticoso, che alla fine, forse, lo ha trascinato dove è solo stanchezza per sempre.

*mi hanno colpito molto i ragazzi oratoriani, il loro dolore. mi ci sono immedesimato, anche se quel dolore io non l'ho vissuto [ora, né una cosa simile allora]. però mi son sentito vicino a loro. e non solo perché è capitato in quel luogo che frequentano. e che ho frequentato. il locale in cui l'hanno trovato è un posto in cui non metto piede da oltre trent'anni. ma è come se mi ricordassi, esattamente, com'è fatto. come ci fossi stato da pochissimo. come una specie di cortocircuito temporale. come rivedermi in quei posti che sono stati parte indelebile della mia educazione sentimentale. cui spesso riparavo, come a cercare una protezione quasi uterina. quei ragazzi sono io trentacinque-quarant'anni fa. come fossimo uniti da un luogo comune [fisico ed emozionale] che è stato [per me] e sarà [per loro] fondamentale. al netto delle mie apostasie e il nocumento che mi è cascato addosso in quegli anni ed in quei luoghi [allora non sapevo stesse accadendomi ed ero sicuramente un po' rincoglionito]. loro sono io. io sono loro. loro che invece hanno già saggiato quanto può essere lancinante e durissima la vita. che però hanno dalla loro l'entusiasmo incosciente - bellissimo - delle loro età. che sappiano trovarcelo, un senso. al netto dei discorsi trascendenti che si sono sentiti raccontare. la durezza di quel che le e gli ha colpiti, serva loro ad intuire che, appunto, i burroni esistono. chi lo sa se non potrà aiutarli a capire quando ci sarà qualcuno da afferrare e tenere per mano, per allontanarlo dall'abisso.

[e comunque, struggente, è stato vedere quasi una decina di giovani preti, provatissimi, portare a spalla ed accompagnare la bara. non mi era mai successo. dubito ri-succederà] 

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