Saturday, June 17, 2023

non più capelli di kevlar [volevo farlo corto, poi il facco e il gatto han mandato gli audio]

la storia della capacità di coinvolgimento emotivo, ciò che siamo in grado di sopportare, non vale solo in termini di prossimità spaziale, ma anche temporale. quindi siamo più coinvolti dall'aggressione e guerra scatenata dall'amico putin [amico suo, ovvio]. meno dai massaci in siria, yemen, e tutte le altre nefandezze che declina la guerra. oltre un certo livello non siamo in grado di sentirci così travolti dalle emozioni negative. quindi prima quelle più vicine. in termini di tempo: prima quelle del presente, meno quelle del passato.

per questo, credo, quello coi capelli di kevlar sembrava quasi - quasi, neh? - un moderato, divenuto saggio e l'elemento salomonico, stabilizzante di quella parte. troppo arroganti, postfasci, populisti e forieri di nequzie questi di adesso. se non a rimpiangerlo - suvvia c'è un limite a tutto - almeno augurarsi potesse mitigare.

tanto che, quando ho sentito mattia guasteferro dare la notizia al radio giornale, son rimasto colpito. mi è sovvenuto una specie di desiderio di chinar il capo, un'umana pietas per una persona anziana, malata, che ad un certo punto non ce l'aveva fatta.

l'ho condiviso con l'amico luca, che mi ha suggestionato subito. oggi sfanculo e metto fuori dal personalissimo giro chiunque festeggi o giubili. oltre al considerare assieme a lui su come abbia cambiato l'italia, la sua antropologia. il processo era già in atto, lui ne è stato l'elemento acceleratore e da balzo di ordini di grandezza. da una parte il più talentuoso cambiatore di paradigmi. dall'altra il popolo mediamente più recettivo e plasmabile potesse trovare. è andata così. e noi siamo venuti su con drive in.

per quanto l'essere dispiaciuto per una persona che viene a mancare è ben altro. però in quella prima parte di giornata ho sospeso gli altri pensieri. mi son fatto silenzio. pensando al più al mio nonnetto putativo e l'emozione negative che sempre gli ha suscitato. non ho tutta questa confidenza in vite metafisiche oltre questa: però mi son immaginato che se il nonnetto dovesse incrociarlo, in un qualche altrove, lo menerebbe. pacificamente ma saccagnate.

ed il post poteva finire qui.

poi a metà pomerggio il facco [davide facchini] e il gatto [luca gattuso], durante la loro muovitimuoviti, hanno mandato in onda gli audio. roba che l'archivio di una qualunque testata potrebbe avere. tutto materiale pubblico. li hanno raggruppati per tipologie. breve introduzione prima di ogni file, quindi intervento [suo]. commenti ridotti a pochissime parole. come se tutto fosse autoportante ed autoesplicativo. stavo andando in libreria. ed è stato un'infilata di dichiarazioni di venticinque-trentanni, condensate in poche decine di minuti. come osservare con un potente teleobiettivo un lunga strada affollata.

è stato stordente.

tutto è tornato vivo e pregno. come rivivere le emozioni, le suggestioni, gli spunti, i ragionamenti infilati in decine di post, in tre blogghettini distinti. come se quelle cose che pensavo rinsecchite, spente, quasi inutili, forse dettate solo dall'impeto di quel periodo, avessero ripreso vigore, una ragione d'essere ancora. come roba liofilizzata inondata di acqua e nutrimento. un deserto che fiorisce. ma son mica fiori belli.

tipo roba che quelli di adesso sono solo più incarogniti, ma dei dilettanti epigoni, rispetto alla magniloquenza perversa di colui per cui ora, 'stiragazzi, esistono. nemmeno paragonabili. fanno danni forse peggiori, ma loro sono delle sciacquette in confronto.

e mi son piazzate assieme lì, d'improvviso, tutte le ragioni per cui lui [mi] è stato disturbante con manleva che levati. la spregiudicatezza negli affari e nella politica. lo spregio per tutto quello che si frapponesse al conseguire quel che si poneva come obiettivo. lo stare da tutt'altra parte di dove sta l'etica, con una morale pro domo sua. la considerazione svilente della donna. il titillo ad acuire quel suo voler essere divisivo, da perfetto manicheo: se non siete con me siete contro di me. l'egolatria. la mancanza del concetto di limite: a partire da sé medesimo. era un uomo - mi arrogo - che non concepiva il fatto che qualcuno o qualcosa potesse solo pensare di dirgli: da qui in avanti, basta. un qualche lacché medico lo aveva definito tecnicamente immortale: lo sbrego della cortigianeria che percula il buon senso. mi gioco tre copechi che lui a 'sta cosa ci abbia financo creduto. ho idea che tutto parta da lì: dalla percezione completamente squilibrata, disarmonica, panteistica di sé medesimo [roba che renzie un regazzino dilettante, peddddire].

l'uomo è stato 'sta roba qui. e da lì le millemila declinazioni per cui è stato una roboante sciagura per questo paese. unico nel propagare la sua influenza, deviando il corso della storia di un popolo. su questo non credo ci siano molti dubbi. in questa l'unica grandezza, quella per cui ne nasce uno ogni secolo. grandezza nefasta: con sostantivo ed aggettivo che vengono per forza assieme. così che il combinato disposto, l'effetto che ne viene fuori ci ha travolti. chi l'ha divinizzato, chi l'ha detestato. ma ne siamo stati coinvolti. tutti.

e credo che questa dipartita, il suo essere stata relativamente improvvisa, abbia fatto deflagrare tutto questo portato: il berlusca che è in noi.

con tutte le storture, quasi da teatro dell'assurdo, che ne son conseguite. il lutto nazionale, la sospensione dell'attività parlamentare, il tentativo di farne un santo padre della patria, l'impazzimento schizoide del mainstream. come il roboare spettacoloso del grande tendone da circo globale, omaggio al più grande imbonitore, incantatore e venditore. una specie di tributo, dove in ossequio al sovrano defunto, si è provato a far fina non esistesse il concetto di limite. è che ad un certo punto un funerale bisogna farlo e la cerimonia ad un certo punto non può non finire. altrimenti sarebbero andati avanti fino a consunzione. e tutto quello che gli si può gemmare attorno: prima poi il palinsesto di giornata finisce. riprendi il giorno dopo, occhei. ma prima o poi tornerà la realtà [o quella che le si approssima] a bussare alle redazioni dei millemila programmi, spettacoli, tolc-sciò.

ho cercato di mantenere un distaccato silenzio. non ho volutamente guardato nulla, letto il minimo indispensabile. ascoltato solo la radio, cercando di non farmi coinvolgere troppo. ho continuato a trovare poco sopportabile chi esprimeva giubilo per la morte di una persona. per quanto con cenni di cedimento, con il bolo informativo e le quasi isterie para-istituzionali-massmediatiche che percepivo: non ostante avessi spento tutto, troppo il clangore. cenni di cedimento ma nulla di più. è comunque mancata una persona. e c'è chi lo piange per gli affetti veri che comunque ci sono. lo sbraco è di tutti coloro che ne sono stati cortigiani, lacché, servi forse financo felici, tributari di riconoscenze variegate e delle più disparate. c'è tutto un mondo che è nato, vissuto, prosperato. che gli si è affidato, gli è riconoscente, lo ha seguito: chi perché ci ha creduto, chi perché è stata la via più comoda per brandelli di successo cui potevano aspirare. qualsiasi cosa significhi successo. qualsiasi cosa implicasse quel successo. o sopravvivenza.

c'è un mondo di starlette, gente di spettacolume et alter che perde il datore di lavoro. c'è il mondo che votò, al parlamento della Repubblica, che ruby rubacuori fosse la nipote di mubarak. costoro perdono quello che è stato il loro padrone. ovvio ora vogliano essere più realisti del re. con l'onda emotiva che ha travolto un sacco di gente. speculando pure su quella.

me ne son tenuto lontano, al netto della radio.

poi ieri ho visto il finale di stagione di propaganda. che l'uomo boombastic - come lo colonnasonorizza zoro - sembra quasi l'abbia fatto con perfetta scelta di tempo, da scafato uomo di spettacolo. ed è stato spietato zoro, a riprendere tutta quella umanità. dalle persone al di là delle transenne, ad applaudire e a urlare cori guardando i maxischermi, quelli che al massimo aspirano al loro quarto d'ora di notorietà. a tutti gli altri mondi al di qua, che sfilavano mesti e allampanati per entrare in duomo  - e cos'è il genio, accompagnare le immagni con "bandiera bianca" di battiato. molti molto provati, credo con sincera emozione. quasi tutti senza il trucco-parrucco, niente luce del riflettore a smarmellare i difetti ed i segni della vita reale sui propri visi. un po' la commozione del momento. un po' la vecchiaia. un po' loro si sentiranno orfani. del berlusca in sé.

la questione, per il paese, sarà smaltire il berlusca in noi. a costruire su macerie. quelle simboleggiate nel piano sequenza, da pugno nello stomaco, che è il finale di loro di paolo sorrentino. ma non son mica tanto sicuro che verrà fuori qualcosa di meglio.

anzi.



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