Tuesday, September 30, 2025

paradigma

da domani, l'amico luca, vivrà il suo nuovo paradigma. l'amico luca si è licenziato, oggi il suo ultimo giorno di lavoro. nel senso che è l'ultimo nell'accezione più ampia. nessun complemento di specificazione di quello che verrà dopo: dimissioni per nuova assunzione. né, savààààsandiiir, la pensione. no. non ci sarà un nuovo lavoro ad attenderlo. almeno non immediatamente. almeno non necessariamente. se non è un cambio di paradigma questo. 

ed in fondo un po' lo invidio, l'amico luca. piacevole invidia da quando me lo disse, del cambio di paradigma (*).

e non per la sensazione del primo acchito: smetto di lavorare. perché credo non sia una scelta così banale. poi sì, certo. se lo può permettere. il contesto che lo circonda, l'agiatezza che ha deciso va bene quella, la possibilità di scegliere e dire: adesso basta, voglio poter tagliare l'erba di casa la domenica, ed il giorno dopo rimanere a godermelo, il prato, il taglio. se lo può permettere ma non è scelta semplice, o così scontata. in un modo o nell'altro un tocco di orror vacui penso gli si spalancherà sotto.

però ha scelto di riprendersi quello che, sempre e comunque, il lavoro ci conculca: il nostro tempo. che vabbhé chs iamo privilegiati, ché a noi è richiesto il mercimonio della nostra intelligenza. puttane intellettive. e come le donne che mercimoniano il loro corpo ma non la loro anima, noi la nostra intelligenza vendiamo. ma non ce la portano mica via, quella ci rimane. però il tempo no, quello è conculcato. e non torna mica indietro. né qualcuno ce lo restituirà.

l'amico luca si è ripreso il suo tempo. e farlo con la consapevolezza di averlo deciso, è come se avesse stabilito un patto. un nuovo contratto con una delle cose più preziose abbiamo. da goderselo al meglio e nelle migliori condizioni possibili. meno coglioncelli spregiudicati dei giovanotti, ancora ben in bolla. una combinazione mica da poco. consapevolezza nella salute.

però sceglierlo è un privilegio e una responsabilità verso sé medesimi.

io ce l'ho avuto del gran tempo a disposizione. tratti della mia vita dove ne avevo a iosa. peccato fosse un'abbondanza non ricercata, ma subìta. e in contesti di precarietà, autosima presa a martellate, costrizioni, fallimenti, lutti [poi vabbhé, avrei potuto vivermela meno peggio, occhei. ma poi dove lo trovavo tutta la messe per i post giaculatori? eppoi, che avrei bisogno, altrimenti, di una brava?]. quindi mica lo rimpiango, quell'abbondanza di tempo. anzi.

ma a sceglierlo sì. cazzo se mi piacerebbe. riprendermelo.

l'amico luca un po' lo invidio. ma lui 'sta cosa se l'è ampiamente meritata. e non solo perché mentre io giocavo a palla contro il muro nel campetto dell'oratorio, lui già disputava campionati importanti. capace e più sul pezzo, centrato, ingranato con molta determinazione e convinzione. mica farfallone idealista. tipo io sbattevo i piedi che volevo farlo, il telecomunicazionista, per poi scoprire quando me l'hanno fatto fare, che non me ne fregava granché. peggio: avevo sbagliato facoltà. e quindi altri cambi, altri tentativi altri campetti polverosi di periferia. mentre l'amico luca cambiava casacca, pronto a far da titolare in cempions.

poi non ci è andato. per scelta. per carattere. per spigolosità. non che gli mancasse lo standing per farlo.  anzi. sa essere cinico quel che serve. è che per quelli capaci è molto raro siano disposti alla piaggeria per carrierismo. l'amico luca è più da vaffanculo, se la cosa non gira com'è efficiente dovrebbe girare.

l'ho ascoltato per anni, raccontare gli aneddoti lavorativi. pensavo che avrei voluto avere la sua assertiva spigliatezza. il suo porsi sì, sì, no, no. per tutto un insieme di cose mi son scoperto di farlo nemmeno una diecina di anni fa. da quando sono là dentro. per accorgermi, tra l'altro, di esserne ben capace pur io. a volte pure pensando: non avrò esagerato in un tenere il punto di modo così assertivo? [che poi è lo zic appena prima di sfanculare qualuno più in alto di te. che poi là dentro, lo sono tutti. più in altro di me. formalmente].

e da quando sto là dentro, come folgorazione immediata ed inevitabile, vorrei riprendermelo il tempo. come se lo è riconquistato l'amico luca. che siamo diversi in un sacco di cose. simili in altre. sicuramente con la stessa, strutturata ed irrinunciabile etica del lavoro.  per questo rimase così colpito dal tino, de "la chiave a stella". per questo me lo consigliò così caldamente. per questo l'ho così amato anche io.

lui probabilmente ha amato il suo lavoro, ben più di come ami il mio. però lo si è fatto bene ugualmente. lui, per il momento, al passato. io ancora non so per quanto.

vorrei arrivarci anche io. per utilizzarlo in maniera - probabilmente - anche in modo diverso. come diversi siamo lui ed io. perché so che lo userà al meglio. e tutto tranne che per sprecarlo col cazzeggio più banale. non è affatto da amico luca.

quindi, intanto, che se lo apprezzi, momento dopo momento, il suo nuovo paradigma. e lo coccoli, il suo nuovo tempo riconquistato: troverà il modo, son certo, per scoprire nuovo ed altro senso, e le possibilità di nuovi modi di essere sé stesso e di divenire. un po' lo invidio, che è ben diverso dall'essere invidioso. sono lieto quando son liete le persone cui voglio bene. per questo sono davvero contento per lui. 

buon tempo e buon nuovo paradigma. saprai far fruttare cose sicuramente interessanti. 

 

(*) [poi vabbhé, ho stampato nella memoria dove, come, quando me lo comunicò, il suo sorriso ed il suo sguardo. peccato aver condiviso quel momento così importante, ancorché simbolico, con la presenza del grande abbaglio e del grande sbaglio. però le cose vengono. e se serve passano. e va bene ugualmente così.] 

Monday, September 29, 2025

banale

e quindi scrissi il post prima di questo. faticosamente. anche per quello che, emotivamente, comporta l'idea di qualcosa [che poi sarebbe un genocidio] che è attuato così in modo sistematico.

post faticoso. anche per il senso di frustrazione, di non poter far altro che non girare lo sguardo dall'altra parte. e quindi vederlo attuato, il genocidio [per quanto col culo al caldo ed al sicuro. non sono le nostre carni ad essere dilaniate. non sono i nostri affetti ad essere annientati, non sono i nostri luoghi ad essere polverizzati]. frustrazione che sentivo opprimente. roba che schiaccia a terra, e poi ricaccia giù.

il giorno dopo ascoltavo alcuni comici dibattere. che chiamarli comici il reazionario dice: so' buffoni, quel che dicono conta un cazzo. e invece la comicità è una forma d'arte sottile, anche nella sua scurrilità apparente. il nocciolo preziosissimo celato nel farsesco del buffone. dibattevano: su cosa si può fare battute e su cosa no. si può fare, tipo sulla palestina. tipo su gaza. tipo su il genocidio. e salvo di paola ha esclamato una cosa del tipo: sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia., ci coinvolge, e noi non possiamo fare niente, e questo è talmente frustrante che no. non ce la faccio - io - a far battute su gaza per smascherare la disumanità che si sta perpetrando. io non ce la faccio. se qualcuno riesce, farebbe benissimo a farle. io non riesco.

più che l'etica del comico - eccccerto che l'etica del comico esiste. e non è un ossimoro - si è spalancata innanzi la certezza di aver scritto un post - a tratti - banale.

sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia.

è il ci, la chiave di volta. pronome della prima persona plurale. 

chissà quale unicità credevo di raccontare in quel post. il senso di frustrazione e di inazione. come se stessi disvelando chissà quale pensiero originale, roba di acume fino.  [sì. sì. c'era anche altro, in quel post. c'è un limite anche al martellarsi i coglioni. però la parte della frustrazione, che vivevo, me tapino [sempre culo al caldo ed al sicuro, chiaro], ecco, quella no: banale].

no. ci. e non è tanto per la compagnia di salvo di paola. ma la naturalezza con cui ha ribadito la cosa quasi ovvia. spiegata bene ad uno un po' gnucco. ed è arrivata, sbeng, diretta e rapida: siamo in tanti. ed è inevitabile come il fatto domani sorgerà il sole.

sentivo la vocina dentro che mi diceva: toh, era così complicato arrivarci? tanto ingarbugliato l'arrovellarsi del pensiero del post ed il ruminarci per scriverlo, tanto lineare, dritta, inequivocabile l'uscita del salvo. se non ci fosse di mezzo un genocidio sarebbe una cosa banale.

toh. come quello che mi sa che ho scritto, in un post - a tratti - banale. 

stilettata al mio residuale amor proprio.

però anche la percezione di non essere solo. un po' meno originale, però un po' meno solo. che poi lo so di non esserlo. non fosse altro per le piazze piene in cui scendo con convinzione. è che però, in quel momento, grazie al salvo, l'ho capito anche per l'altro modo. capito davvero.

un colpo importante all'autoreferenzialità dello star nella buchetta e la fatica che ne consegue. per la buchetta, mica l'autorefernzialità. e quanto arrivano i colpi all'autoreferenzialità va sempre bene.

ci.

non sono solo. non sono così speciale nelle mia speciale disperanza.

c'è una cappa opprimente, la frustrazione dell'impotenza. siamo in tanti là sotto. poi, occhei, magari io sto dentro la buchetta, temporaneamente. ma continuiamo ad essere in tanti: importante saperlo.

in quel mal comune, non c'è mezzo gaudio, ci può essere tutto tranne che qualcosa che abbia a che fare con un gaudio. ma il senso di una condivisione. pezzi di umanità che non sono per forza soli.

ci.

[poi ovvio. sono psicopippe di uno col culo al sicuro e al caldo. come lo siamo tutte e tutti. però la cappa la sopportiamo assieme. e non distogliamo lo sguardo a chi, al caldo, ed al sicuro proprio non è.].

mi verrebbe quasi di volerlo ringraziare, il salvo di paola. 

Saturday, September 20, 2025

pària

questo è un post che penso da settimane. e che rimando. penso e rimando. come l'onda e la risacca del mare. anche quello davanti la coste di gaza. penso e rimando, come la sua declinazione orribile: fronte d'onda e rinculo delle tonnellate di esplosivo scaricate in lembo di terra martoriato e stuprato.

questo è un post che penso da settimane. ed ogni giorno a passare, ogni notizia ascoltata, letta, la sensazione fosse ormai tardi. e la sensazione da qualche parte di doverla scriverlo 'sto senso di impotenza. e di frustrazione. e di orrore inarrestato, che non smette di placarsi. la vendetta putrida del dio degli eserciti, per conto di umani - immanenti - che rinnegano l'umanità di pezzi di umanità.

questo è un post che penso da settimane ed è ritardo di mesi. se non anni. che se si vuol far zig-zag tra il controsenso logico-temporale: è un post in ritardo di ottant'anni.

dritto per dritto.

mi chiedo, penso da settimane, se non debba acclararsi, lucida ed amarissima, l'idea che israele, lo stato di israele, sia da considerare uno stato paria. come succede con la russia. come accadde con il sudafrica durante l'apartheid. [che fastidioso e insopportabile senso dei due pesi e due misure]. paria. fuori dal consesso delle nazioni democratiche. tirando su a bracciate tutto quello che significa democratica. fuori da un consesso per essere considerata non più tale, da tutte le nazioni democratiche, qualsiasi cosa significhi. te e noi non siamo la stessa cosa. che se ne acclari l'alterità. non siamo dei pari.

lo stato di israele. con tutta l'amarezza per i suoi cittadini democratici

e mica non lo so sia un convincimento che avanza dovendo stare ben attendo ai ciottoli insidiosi, mentre si incede su di un crinale strettissimo.

da una parte il paradosso. che questo post, che penso da settimane, sia considerato un post antisemita. che questo è un blogghettino che non caca nessuno. linkato al nulla. ma il paradosso è che potrebbe generare chissà quali conseguenze. specie nei tempi bui in cui ci stiamo infilando. [parentesi. se diventasse realtà l'idea idiota, totalmente idiota, di un vice primo ministro di istituire una legge che dichiari reato criticare israele, allora sarei tecnicamente nei guai. dice: ma il diritto di opinione è garantito dalla Costituzione. eh. questo ad un ministro che porta avanti idee così idiote, sai cosa gliene fotte. intanto si avvelenerebbero i pozzi]. il paradosso che potrebbe non essere così paradosso. lì fuori ormai sta tornando a valere un po' tutto. e la disonestà intellettuale come motore che scarbura roba puzzolentissima. ma intanto fa incedere cose.

dall'altra parte l'estrema fascinazione verso la cultura, la tradizione, la storia che i cittadini di quel paese incarnano. senza dimenticare che l'ottantapercento dei cittadini di israele è ebrea. il restante venti, arabi musulmani. e in quel versante del crinale il fatto "paghino" i cittadini, per le azioni del loro governo.

però, sempre da quel versante, sovrastato dal crinale, anche il senso di rabbia proprio perché democrazia si considera israele. e quindi quante persone approvano le scelte genocidiarie del loro governo? quanti altre persone, invece, provano il mio stesso disagio, che poi è il disagio di centinaia di milioni di persone. quante persone giuste sono necessarie per salvare quella nazione? [sì, mi arrogo l'idea di pensare di essere dalla parte giusta della Storia. anche se verranno anni, forse decenni, in cui vincerà l'idea sia esattamente il contrario]. salvarla dall'idea, forse dall'esigenza, di considerarlo uno stato paria.

quante persone abbracciare di quel paese, con quante cittadine e cittadini ribaltare l'idea, cui proprio non riesco ad iniziare a concepire. e che invece sembra essere essere assodata, inevitabile. pensare, credere, rivendicare l'idea che il popolo che ha subito per secoli - sino all'indicibile del secolo scorso - da vittima abbia il diritto di potersi fare carnefice. 

io lo so che a tutto il resto della popolazione mondiale manca un pezzo. io non posso sapere esattamente come e quanto ti segna l'eco che riverbera da venti secoli, in quei discendenti di abramo. lo so che a tutte il resto del mondo manca questo pezzo. un cuneo infilato nell'inconscio di tutti i discendenti della diaspora. il portato psichico di un popolo perseguitato ad ondate nella storia.

io lo so che ad una mia sorella o fratello israeliano, così come ebreo in giro per il mondo, che soffre - sì, soffre - tanto quanto me, e una moltitudine d'altri, la parola pogrom non potrà mai significare esattamente la stessa cosa.

però so che si può stare assieme dalla parte giusta della Storia. ed è per questo che lo stato di israele, a causa del suo governo criminale, debba essere considerato ora uno stato paria. e che sarà benedetto il giorno, se e quando arriverà, in cui questo non sarà più.

e si potrà elaborare il lutto, assieme, per l'umanità che si è calpestata, umiliata. cui si sta negando l'esistenza e il fatto sia umanità essa stessa.

chi causa un genocidio non può che essere considerato un paria.

lo voglio ribadire, come un qualcosa di insopprimibile. voglio distinguermi, mica solo io ovvio, e già da ora da tutti coloro che "un giorno, quando sarà sicuro, quando non ci sarà più alcuno svantaggio personale nel chiamare una cosa con il suo nome, quando sarà troppo tardi perché venga chiesto il conto a chiunque, tutti diranno di essere stati contro." [omar el akkad]

[e adesso che i rimestatori di cose buie e purulente, che pensavamo passate, mi diano pure dell'antisemita. io so che è esattamente il contrario. ed in fondo è un fastidio piccolissimo, rispetto alla sensazione di frustrata impotenza, che vivo da mesi tutti i giorni. per quanto sempre col culo al caldo. e anni luce dal dolore di quel pezzo di Umanità che viene genocidiata]