questo è un post che penso da settimane. e che rimando. penso e rimando. come l'onda e la risacca del mare. anche quello davanti la coste di gaza. penso e rimando, come la sua declinazione orribile: fronte d'onda e rinculo delle tonnellate di esplosivo scaricate in lembo di terra martoriato e stuprato.
questo è un post che penso da settimane. ed ogni giorno a passare, ogni notizia ascoltata, letta, la sensazione fosse ormai tardi. e la sensazione da qualche parte di doverla scriverlo 'sto senso di impotenza. e di frustrazione. e di orrore inarrestato, che non smette di placarsi. la vendetta putrida del dio degli eserciti, per conto di umani - immanenti - che rinnegano l'umanità di pezzi di umanità.
questo è un post che penso da settimane ed è ritardo di mesi. se non anni. che se si vuol far zig-zag tra il controsenso logico-temporale: è un post in ritardo di ottant'anni.
dritto per dritto.
mi chiedo, penso da settimane, se non debba acclararsi, lucida ed amarissima, l'idea che israele, lo stato di israele, sia da considerare uno stato paria. come succede con la russia. come accadde con il sudafrica durante l'apartheid. [che fastidioso e insopportabile senso dei due pesi e due misure]. paria. fuori dal consesso delle nazioni democratiche. tirando su a bracciate tutto quello che significa democratica. fuori da un consesso per essere considerata non più tale, da tutte le nazioni democratiche, qualsiasi cosa significhi. te e noi non siamo la stessa cosa. che se ne acclari l'alterità. non siamo dei pari.
lo stato di israele. con tutta l'amarezza per i suoi cittadini democratici.
e mica non lo so sia un convincimento che avanza dovendo stare ben attendo ai ciottoli insidiosi, mentre si incede su di un crinale strettissimo.
da una parte il paradosso. che questo post, che penso da settimane, sia considerato un post antisemita. che questo è un blogghettino che non caca nessuno. linkato al nulla. ma il paradosso è che potrebbe generare chissà quali conseguenze. specie nei tempi bui in cui ci stiamo infilando. [parentesi. se diventasse realtà l'idea idiota, totalmente idiota, di un vice primo ministro di istituire una legge che dichiari reato criticare israele, allora sarei tecnicamente nei guai. dice: ma il diritto di opinione è garantito dalla Costituzione. eh. questo ad un ministro che porta avanti idee così idiote, sai cosa gliene fotte. intanto si avvelenerebbero i pozzi]. il paradosso che potrebbe non essere così paradosso. lì fuori ormai sta tornando a valere un po' tutto. e la disonestà intellettuale come motore che scarbura roba puzzolentissima. ma intanto fa incedere cose.
dall'altra parte l'estrema fascinazione verso la cultura, la tradizione, la storia che i cittadini di quel paese incarnano. senza dimenticare che l'ottantapercento dei cittadini di israele è ebrea. il restante venti, arabi musulmani. e in quel versante del crinale il fatto "paghino" i cittadini, per le azioni del loro governo.
però, sempre da quel versante, sovrastato dal crinale, anche il senso di rabbia proprio perché democrazia si considera israele. e quindi quante persone approvano le scelte genocidiarie del loro governo? quanti altre persone, invece, provano il mio stesso disagio, che poi è il disagio di centinaia di milioni di persone. quante persone giuste sono necessarie per salvare quella nazione? [sì, mi arrogo l'idea di pensare di essere dalla parte giusta della Storia. anche se verranno anni, forse decenni, in cui vincerà l'idea sia esattamente il contrario]. salvarla dall'idea, forse dall'esigenza, di considerarlo uno stato paria.
quante persone abbracciare di quel paese, con quante cittadine e cittadini ribaltare l'idea, cui proprio non riesco ad iniziare a concepire. e che invece sembra essere essere assodata, inevitabile. pensare, credere, rivendicare l'idea che il popolo che ha subito per secoli - sino all'indicibile del secolo scorso - da vittima abbia il diritto di potersi fare carnefice.
io lo so che a tutto il resto della popolazione mondiale manca un pezzo. io non posso sapere esattamente come e quanto ti segna l'eco che riverbera da venti secoli, in quei discendenti di abramo. lo so che a tutte il resto del mondo manca questo pezzo. un cuneo infilato nell'inconscio di tutti i discendenti della diaspora. il portato psichico di un popolo perseguitato ad ondate nella storia.
io lo so che ad una mia sorella o fratello israeliano, così come ebreo in giro per il mondo, che soffre - sì, soffre - tanto quanto me, e una moltitudine d'altri, la parola pogrom non potrà mai significare esattamente la stessa cosa.
però so che si può stare assieme dalla parte giusta della Storia. ed è per questo che lo stato di israele, a causa del suo governo criminale, debba essere considerato ora uno stato paria. e che sarà benedetto il giorno, se e quando arriverà, in cui questo non sarà più.
e si potrà elaborare il lutto, assieme, per l'umanità che si è calpestata, umiliata. cui si sta negando l'esistenza e il fatto sia umanità essa stessa.
chi causa un genocidio non può che essere considerato un paria.
lo voglio ribadire, come un qualcosa di insopprimibile. voglio distinguermi, mica solo io ovvio, e già da ora da tutti coloro che "un giorno, quando sarà sicuro, quando non ci sarà più alcuno svantaggio personale nel chiamare una cosa con il suo nome, quando sarà troppo tardi perché venga chiesto il conto a chiunque, tutti diranno di essere stati contro." [omar el akkad]
[e adesso che i rimestatori di cose buie e purulente, che pensavamo passate, mi diano pure dell'antisemita. io so che è esattamente il contrario. ed in fondo è un fastidio piccolissimo, rispetto alla sensazione di frustrata impotenza, che vivo da mesi tutti i giorni. per quanto sempre col culo al caldo. e anni luce dal dolore di quel pezzo di Umanità che viene genocidiata]