e quindi scrissi il post prima di questo. faticosamente. anche per quello che, emotivamente, comporta l'idea di qualcosa [che poi sarebbe un genocidio] che è attuato così in modo sistematico.
post faticoso. anche per il senso di frustrazione, di non poter far altro che non girare lo sguardo dall'altra parte. e quindi vederlo attuato, il genocidio [per quanto col culo al caldo ed al sicuro. non sono le nostre carni ad essere dilaniate. non sono i nostri affetti ad essere annientati, non sono i nostri luoghi ad essere polverizzati]. frustrazione che sentivo opprimente. roba che schiaccia a terra, e poi ricaccia giù.
il giorno dopo ascoltavo alcuni comici dibattere. che chiamarli comici il reazionario dice: so' buffoni, quel che dicono conta un cazzo. e invece la comicità è una forma d'arte sottile, anche nella sua scurrilità apparente. il nocciolo preziosissimo celato nel farsesco del buffone. dibattevano: su cosa si può fare battute e su cosa no. si può fare, tipo sulla palestina. tipo su gaza. tipo su il genocidio. e salvo di paola ha esclamato una cosa del tipo: sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia., ci coinvolge, e noi non possiamo fare niente, e questo è talmente frustrante che no. non ce la faccio - io - a far battute su gaza per smascherare la disumanità che si sta perpetrando. io non ce la faccio. se qualcuno riesce, farebbe benissimo a farle. io non riesco.
più che l'etica del comico - eccccerto che l'etica del comico esiste. e non è un ossimoro - si è spalancata innanzi la certezza di aver scritto un post - a tratti - banale.
sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia.
è il ci, la chiave di volta. pronome della prima persona plurale.
chissà quale unicità credevo di raccontare in quel post. il senso di frustrazione e di inazione. come se stessi disvelando chissà quale pensiero originale, roba di acume fino. [sì. sì. c'era anche altro, in quel post. c'è un limite anche al martellarsi i coglioni. però la parte della frustrazione, che vivevo, me tapino [sempre culo al caldo ed al sicuro, chiaro], ecco, quella no: banale].
no. ci. e non è tanto per la compagnia di salvo di paola. ma la naturalezza con cui ha ribadito la cosa quasi ovvia. spiegata bene ad uno un po' gnucco. ed è arrivata, sbeng, diretta e rapida: siamo in tanti. ed è inevitabile come il fatto domani sorgerà il sole.
sentivo la vocina dentro che mi diceva: toh, era così complicato arrivarci? tanto ingarbugliato l'arrovellarsi del pensiero del post ed il ruminarci per scriverlo, tanto lineare, dritta, inequivocabile l'uscita del salvo. se non ci fosse di mezzo un genocidio sarebbe una cosa banale.
toh. come quello che mi sa che ho scritto, in un post - a tratti - banale.
stilettata al mio residuale amor proprio.
però anche la percezione di non essere solo. un po' meno originale, però un po' meno solo. che poi lo so di non esserlo. non fosse altro per le piazze piene in cui scendo con convinzione. è che però, in quel momento, grazie al salvo, l'ho capito anche per l'altro modo. capito davvero.
un colpo importante all'autoreferenzialità dello star nella buchetta e la fatica che ne consegue. per la buchetta, mica l'autorefernzialità. e quanto arrivano i colpi all'autoreferenzialità va sempre bene.
ci.
non sono solo. non sono così speciale nelle mia speciale disperanza.
c'è una cappa opprimente, la frustrazione dell'impotenza. siamo in tanti là sotto. poi, occhei, magari io sto dentro la buchetta, temporaneamente. ma continuiamo ad essere in tanti: importante saperlo.
in quel mal comune, non c'è mezzo gaudio, ci può essere tutto tranne che qualcosa che abbia a che fare con un gaudio. ma il senso di una condivisione. pezzi di umanità che non sono per forza soli.
ci.
[poi ovvio. sono psicopippe di uno col culo al sicuro e al caldo. come lo siamo tutte e tutti. però la cappa la sopportiamo assieme. e non distogliamo lo sguardo a chi, al caldo, ed al sicuro proprio non è.].
mi verrebbe quasi di volerlo ringraziare, il salvo di paola.
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