Wednesday, November 20, 2019

domani si chiude [ed io ne sono molto garrulo]

quando la mia [quasi] ex-socia mi propose di entrare nella compagine sociale provai un brivido, di gioia. ed il pensiero andò immediatamente ad una persona che mi stava diventando omologa. la sua ex-socia, sua nel senso della mia [quasi] ex-socia. quando la mia [quasi] ex-socia era all'interno di un'altra compagine sociale, che nel frattempo si era chiusa. e questa sua ex-socia era diventata ex con strascichi emotivi non indifferenti. sì, insomma, avevano scazzato mica poco. tutto però in maniera molto sacerdotale: senza far volare gli stracci, sorrisi di circostanza, livore sottotraccia.
pensai alla sua ex-socia [di cui peraltro, in nevrosi passate, pensavo di dovermi innamorare [occhioni azzurro-verdi, efelidi intriganti, due gran belle tette]]. e pensai al fatto avesse gettato al vento la possibilità di starsene in una compagine sociale con colei che sarebbe diventata, di lì a poco, la mia nuova socia. e mi rivolsi a lei in un dialogo immaginifico: hai sprecato una possibilità irripetibile, quella che ora si sta spalancando davanti a me. sei stata un po' pirletta.
ero felice.
poter lavorare con lei, arrrivare ad inventarsi cose mirabolanti, dedicarsi a contenuti alti, poter dimostrare di essere un ingegnere creativo, fregiarsi dell'aura di piccolo imprenditore di una startup innovativa, oltre che sicuramente arrivare a guadagnare gazziGlioni di eurI.
era la prima cosa veramente bella et importante mi stesse capitando da quando mio padre se n'era andato. la vidi come un ricominciare. una cosa viva. una progetto per ripartire, di cui sarebbe stato sicuramente fiero.
certo, certo.
c'era il suo nuovo compagno. loro due avevano avuto l'idea dell'aziendina [che sarebbe diventata un'azienda coi controcazzi], lui avevano già deciso sarebbe stato l'amministratore. quando ci conoscemmo, la primissima volta qualche settimana indietro, non era stato esattamente all'insegna della paciosa e reciproca stima.
c'erano un paio di altri due soci che, bedvaibrescion, mi avevano comunicato sensazioni non esattamente positive, o confortanti. uno inquietante, l'altro con una sovrastruttura cordiale ma egotica in maniera preoccupante.
io però ero il più giovane, inesperto, impreparato. solo laureato in ingegneria, non avevo di che imparare da questi maestri paludati et navigati.
e poi c'era lei. la colei di cui mi fidavo in modo ontologico. se c'era lei potevo star tranquillo, riporre tutte le perplessità nella sacca delle cose di cui non curarsi. lei avrebbe garantito per me, così come lei era garanzia ci fosse. tutto il resto sarebbe passato in secondo piano. ed io avrei dato il massimo perché potevo finalmente far azienda con lei. mica come quella stolta della sua ex-socia, che aveva sprecato l'occasione che ora capitava a me.

giuringiurello.
non sto usando cifre stilistiche smaccatamente esagerate. quelle per portare da una parte il lettore, costruendo un bouquet mieloso che poi, ssssbbbbram, si demolisce con il colpo di scena che arriva di improvviso.
no. no.
io la vivevo esattamente così.
che fossi dentro un turbine nevrotico, a tratti disconnesso con il principio di realtà, non credo sia necessario sottolinearlo troppo.
poi uno dice che ha bisogno di uno bravo.

aprimmo l'azienda in un giorno di fine maggio che pioveva in maniera molto convinta. troppo convinta. quasi l'intemperia volesse farci [o farmi?] da monito: stattevi quieti, nun ce provate, fatichereste per nulla, stattevene buoni e accuorti, lassate peerde. io lessi quella avversione meteorologica come il segno sarebbe stata dura, ma che alla fine ce la si sarebbe fatta, ed avremmo vinto noi.
aveva ragione l'intemperia [forse].
per quanto anch'io ci presi, segnatamente nella prima parte dell'[auto]vaticinio. tanto che fu durissima, da subito.
guadagnavamo un cazzo.
lavoravo tantissimo.
imparavo cose nuove a furia di sessioni informatiche faticosissime.
però lavoravo con lei.
certo, certo.
a tratti cominciai ad avere la vaghissima sensazione di essermi infilato in un cul de sac.
forse non eravamo davvero tutti soci alla pari. ma un paio erano più alla pari di altri, che la sera desinavano allo stesso tavolo e dormivano nello stesso letto. noi tre avevamo il controllo del capitale sociale, mi dicevano. però mi sentivo minoranza nella maggioranza.
nel mentre cubavo tonnellate di ore lavorate in più degli altri. ma vuoi mettere l'impegno di portarsi a casa il pensiero dell'azienda quando desini allo stesso tavolo e dormi nello stesso letto: è come essere sempre al lavoro. mi facevano intendere. fortunato che non ero altro ad essere quello che apriva il mattino, e chiudeva la sera.
forse la socia non era esattamente quel quadretto idilliaco che mi ero dipinto [nevroticamente]. a lavorarci assieme tutti i giorni qualche vaga nota dissonante, ogni tanto, introduceva armonie nuove. forse pure troppo nuove.

e poi per me l'azienda finì. forse di colpo. forse era solo questione di girarsi indietro e accorgersi delle mollichine di pane che nel frattempo il divenire delle cose aveva disseminato. a portarmi lì, a quella sera in cui l'azienda finì.
stava inziando l'estate. avevo appena cambiato casa, andando finalmente a vivere solo. vero: con quello sforzo, di fatto, avevo azzerato i risparmi residui, dopo tre anni a non guadagnare praticamente un cazzo. ma avevamo appena consegnato un progetto molto prestigioso. naturalmente gratis, ma vuoi mettere la visibilità che ne sarebbe seguita. un investimento per il futuro. ero ad un punto di svolta. ed il futuro sarebbe stato radioso.
invece l'azienda finì.
ascoltandola nel turbinare di un momento di rabbia con la madre - financo di una intensità del tutto fuori luogo - mi resi conto di come la mia socia intendesse l'amicizia con me. che poi, piccola coincidenza, era solamente una delle cose che ritenevo più importanti e preziose della mia vita. e di rimbalzo l'architrave su cui poggiava la mia concezione di azienda.
che finì quella sera.
in effetti fu un punto di svolta. anche se non propriamente come l'avevo immaginato.
non ebbi il coraggio di magnificare nulla di tutto questo.
e mi infilai in una delle estati più complicate e dolorose abbia mai vissuto. non ringrazierò mai abbastanza l'amica cummmmmmmmà Liude e l'amico Luca per avermi accudito et coccolato per qualche giorno in uno dei momenti più difficili.
pochi mesi dopo inziai la terapia con odg [diamo merito al socio di essersi accorto avessi bisogno di una mano, non sapendo il perché, ovviamente. e di avermi trovato il contatto con ella]. la prima cosa che le dissi? questa persona così importante per me mi ha fatto capire come intenda la nostra amicizia, ed a me è caduto tutto addosso. idea dell'azienda compresa.

poi l'azienda invece andò avanti. ma con la direzione che - dal mio punto di vista - aveva preso: verso il fondo.

e verso il fondo ha tirato giù finanze, consapevolezze, serenità, gioie, fiducia. è stato un declino lento ma costante, con qualche sobbalzo ogni tanto. giusto per ricordarci, o ricordarmi, che a fondo stavamo andando. ed io ero zavorrato da tutto questo, da tutto quello che non ero stato capace di scrollarmi di dosso. a cominciare dai soci.
poi alla fine ho rinculato, un fragoroso e cacofonico tummmccckk. la botta e la culata presa quando sul fondo si arrivò. raccontarla come culata improvvisa è solo perché uno non voleva vederlo si stesse affondando. non ostante le suggestioni di odg, e di [pochi] altri.

la culata dell'essere giunti in fondo arrivò praticamente dopo sette anni da quel pomeriggio in cui pioveva in maniera molto convinta. un altro periodo molto, molto, molto, molto complicato.
non è stato semplice ripartire. da allora sono passati più di cinque anni. ho in parte ribaltato l'esistenza. ma l'acuto di quella culata, il bubbone che esplose, ancora producono un'eco per un cazzo piacevole.

forse è [anche] per questo che sono garrulo che domani si chiuda. danno pioggia, ma senza che venga una cosa molto convinta.
domani si chiude. per certi aspetti una formalità. specie da che abbiamo assodato il fatto ciascuno dei soci si viva la vita a prescindere dagli altri, e da quell'idrovora di finanze, aspettative, progetti, speranze che si è rivelata essere quella specie di startup. quella cosa che è diventatata, dopo che per me finì in una sera di inzio estate di qualche anno prima, senza che gli altri ne avessero sentore. e poi son state le circostanze, il contesto, la congiuntura strutturale. roba che però è andata a passo di danza sgraziata con la mediocrità di chi si pensava imprenditore, per cultura acquisita o per la percezione di sé medesima.

l'aziendina si è rivelata essere la scelta più sciagurata abbia mai fatto. involontariamente, ovvio. ma la più sciagurata rimane.
e domani chiudiamo.
ed io ne sono molto garrulo.
perché il positivo di [alcune] persone che ho conosciuto grazie all'aziendina, non me lo leverà nessuna firma da un notaio con cui mettere la parola fine.
e poi perché, comunque, ad oggi io ce la sto facendo. per quanto sia stata ed è ancora molto dura. minchia se è dura.
ma vuoi vedere che forse, quel giorno di fine maggio, avevo ragione io? mica l'intemperia.

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