Tuesday, May 18, 2021

e il mio Maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire

non lasciarti cullare dai ricordi, non vivere coll'eco del passato che è passato, dice.

sì. dico. provaci oggi, stamani, quando senti partire il tappeto degli archi e del synth che fa un po' evoluzione del moog. quel dispiegarsi placido e con incedere inevitabile di accordi che sembrano vadano da una parte, poi ti spiazzano e se ne vanno dall'altra. quindi il colpo deliato del tamburello. e attacca con "e ti vengo a cercare". è un'infilata di sei lustri e più. come arrivarci addietro di colpo. catapultato. a sentire quella stessa cosa alla pancia. la pelle d'oca [altaunnmetro [cit]] che imperla un po' tutto. provaci tu a non riconnetterti con quel groviglio che ero allora di speranze, di inesperienze saccenti, di ricerca assetata di indicazioni alte, sublimi, che facessero da piolo per elevarsi oltre quella banalità ed ovvietà che mi ha sempre un po' annoiato. cazzo. e ti vengo a cercare. con quei passaggi armonici che sterzavano di colpo. quei suoni essenziali che s'insinuavano di colpo. il crescendo degli archi che volteggiavano arabeschi, tanto belli quanto pazzeschi, attorno al cercare l'uno al di sopra del bene e del male. e ti vengo a cercare. avevo una fottutissima necessità allora. che quella roba che mi sembrava un assoluto, di connesso con quel grumo insondabile che sentivo pulsare dentro, non demandabile, fosse giustificato e inquadrato nel concetto di dio. che era la risposta più metafisica che mi avevano proposto. e che avevo fatto mia, tipo riflesso neonatale di presa. che non potevo non fare mia. e che ci fosse una cosa così avvolgente e trascinante come quella canzone, che lo andava a cercare, era una specie di razionalizzazione della radice di due. un cerchio che si chiudeva nella perfezione del dio che pulsava fuori. dell'eco di cui mi sentivo avviluppato. il fatto che uno potesse cantarlo, andare a cercarlo in quel modo totalmente sui generis. con un'onestà che - quando ci vuole ci vuole - bisogna riconoscere al prete di allora [l'unico, coi danni che ha poi causato, magari scrivo nartravorta], mi disse una cosa del tipo "quella ricerca che fa lui, può non essere dello stesso concetto di dio che abbiamo noi. ma è pur sempre una ricerca che va fatta". lui, che amava quella canzone esattamente tanto quanto me. l'unico che l'amava tra i conoscenti, assieme l'amico daniele. era un modo per sentirli distinti dal resto.

provaci oggi a non percepire il riverbero di quell'onda, ingenua e strutturante, che mi travolgeva in quei giorni così importanti. fondanti a loro modo. anche se l'incubo delle passioni, proprio, è un qualcosa che amo e rifuggo con un'alternanza quasi schizofrenica. e non so quanto davvero voglia, o possa, emanciparmi.

[peraltro, la smentita non fosse esattamente quel dio, o il concetto di e le sue sovrastrutture liturgiche, me la diede direttamente lui. nell'aula S02 del politecnico]

poi venne l'amica franz. che conobbi l'inizio di un caldissimo mese di settembre. era di una bellezza che non sapevo spiegarmi. totalmente fuori dai canoni delle bellezze scontate e normali. aveva qualcosa di magnetico, nella sua alterità un po' distaccata. era lì assieme ad altri. ma s'intuiva era altra dagli altri. naturalmente all'inizio credevo di starle sui coglioni. tanto quanto ne ero rimasto coinvolto. anni dopo lessi del fatto che ci sono donne che quando entrano cambiano la chimica della stanza. mi venne in mente subito lei. la mia amica franz. lei era una che cambiava la chimica della stanza, nella mia visione delle cose. quando scroprii di non starle proprio sui coglioni cominciammo a scriverci. mi ha sempre colpito la sua grafia. non esattamente femminile e sovrastrutturata. lineare ed essenziale. quasi austera. mi scriveva che amava guccini. mi scriveva che scriveva poesie. mi scriveva che si sentiva ispirata dal maestro dell'oceano di silenzio e dell'ombra della luce. era la terza persona che conoscevo ad ascoltarlo ed amarlo. prima ragazza, la prima donna. quasi a sostanziare quell'eco di codina della gaussiana che è sempre stata. come se tutto fosse andato un po' al suo posto, inquadrandosi. come a fissare quell'intuzione che ti si accende appena osservi lo sguardo di una ragazza. da cui non riesci a fuggire tanto quanto è distaccato. c'è stato poi un periodo in cui avevo quasi razionalizzato di essermene innamorato. tutttttuncomplessodicose di anni parimenti complessi e di smarrimento. un innamoramento che fu una delle cose più strampalate abbia mai immaginato. quasi a farle un torto. ma lo capii abbastanza in fretta. una come la franz era una che meritava quella pasione, quella dedizione, quella totalità che solo l'animale che mi porto dentro avrebbe dovuto volere.

e poi vennero gli uccelli che migravano della tesi di un'altra fanciulla. non ricordo nemmeno che nome avesse. ricordo solo il capello biondo, un viso particolare, un'arcata dentale importante quanto le sue tette, grandi e sode. l'avevo incrociata in un paio di corsi, che stavo recuperando strada facendo. più giovane di un paio d'anni, forse. si intuiva andasse spedita e convinta. esattamente come io mi credevo incerto in quelle aule. non avevo mai avuto modo di parlarci granché. oltre al fatto mi sembrasse semplicemente inarrivabile, per una qualche aura che non capivo bene. in realtà poi scoprii fosse la figlia di un ordinario del poli. anche piuttosto riverito e temuto. lei non sembrava curarsene, almeno da quel che dava a vedere. ma proseguiva convinta. me la ritrovai accanto nell'aula server del dipartimento, durante la tesi. stesso relatore. io con il mio malloppone pallosissimo, verosimilmente del tutto inutile, di cui mai capii il senso. per lei avevano tirato fuori dal cilindro una variazione da pensiero laterale dell'utilizzo dei radar metereologici: studiare i passaggi migratori degli uccelli. un'originalità dell'argomento di tesi - si relativizza, ovvio - che solo ad alcuni era concesso. in realtà in quelle settimane mi sembrò molto meno menosa di quello che mi ero immaginato prima. forse l'aiutai pure in qualche risvolto prammatico di come svangar cose dai server: quelli che non si spegnevano mai, che i bootstrap era tipo re-inventare la ruota. ad un certo punto venne fuori che le serviva una citazione colta da mettere in principio al volume della tesi. io le proposi le traiettorie impercettibili di codici di geometrie esistenziali de gli uccelli. lei mi guardò stranita. ma come? le avevano suggerito ovidio, dante, e chissà quale altro poeta. ed io le proponevo battiato? da una parte mi sentii un po' sfanculato. un po' di un'altra estrazione sociale [poi uno dice: di odg avevo un bisogno ex-ante]. però le suggestionai che con una citazione del genere, quanto meno, avrebbe guadagnato in orginalità. che le volute dell'introduzione, la planata e la ripartenza che t'avviluppa il percepire di quella canzone, è di un respiro che il solo volo libero può regalare. a noi, umani, ci è negato. chi aveva scritto quella canzone era riuscito a renderlo vivo lì dentro. aveva tutto il senso, l'imporanza, la pienezza di finire come citazione colta all'inizio della sua tesi. non so cosa ci infilò e che fu di lei. io, all'inizio della mia di tesi, ci misi pregno un verso della leva calcistica del '68. forse la cosa meglio riuscita assieme alla dedica e ai ringraziamenti. la fanciulla poi la incrociai un paio d'anni dopo. in piazza durante. avevo già capito di aver sminchiato la laurea, di aver sbagliato, in fatto di studi, abbastanza tutto. lei mi salutò con un trasporto che mi colpì, inaspettato. vabbhé rivedersi, ma tutto questo entusiasmo, suvvia. mi sembrò fin troppo sorridente per avermi incrociato di nuovo. mi balenò pure che il pensiero fosse inarrivabile era una totale stronzata. ma non aveva apprezzato la citazione tratta da gli uccelli. a posto così.

e comunque, 'sto cazzo di sentimentonuevo. che sarebbe bellissimo perdersi in quell'incantesimo. sarebbe. appunto.

ma è difficile davvero fottutamente difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire. specie ora che esplode la luce e che si fa lunga. ma è come se ne cogliessi solo l'ombra.

e comunque, ad ascoltarla con attenzione, col cazzo è una canzone d'amore. è sorella morte che la canta, la voce narrante de la cura. funziona. certo che funziona. oltre le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare.

credeva nella reincarnazione. noi non siamo mai morti e non siamo mai nati. non la vedo esattamente nello stesso modo. quando vengono meno gli ultimi stimoli elettrochimici che alimentano i circuiti neuronali che sintetizzano il , la cosa si chiude lì. chissà quali note ha composto, quali versi ha inventato, quali immagini di mondi lontanissimi ha intuito in quegli attimi. le sue ultime visioni. che si è portato via.

 



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