Monday, August 9, 2021

est et periit expectatio [beh sì, ho usato gugoltransleiiitor]

questo pomeriggio, camminando nel boschetto dopo il lavoro, mi son sovvenuti alcuni flash. di camminate simili nei mesi della fine dell'inverno et inizio primavera passata da poco. che invece sembrano millemiGlioni di mesi. flash che mi sembravano struggenti quanto dolci, o qualcosa di melassosamente approssimantisi. però era un colpo al diaframma. cose così. per capirci erano i mesi da piena terza ondata. dove si era tutti piuttsto in emergenza. sia che si percepisse o meno. che ci si comportasse di conseguenza, o meno. insomma, non una roba da perfetta letizia.

camminavo, per stemperare. camminavo e stavo meglio. camminavo e sudando secernevo dopamina copiosa, quanto il sudore. camminavo ed ogni tanto mi sgorgava l'idea di un post. camminavo sapendo che la cosa di quei mesi, prima o poi sarebbe finita. o qualcosa di fiduciosamente approssimantisi.

ed oggi mi son sovvenuti i flash. e flash di quel tipo.

al che ho pensato che è una storia un po' stucchevole la storia che, i giorni andati, sembrino tutti così bellissimi, lancinatamente dolci. che magari non sono tutti. però il sospetto che lo siano solo per aver quel piacere [un pochino masochistico?] di apprezzarli proprio perché ormai sono andati. e se sono andati non li puoi riavere indietro. e mannaggia se potessi ri-averli indietro. o magari serve solo per dar fiato alle proprie giaculatorie radicalscìc. ed aver qualcosa di cui lamentarsi in un post. che poi non è un post di idee oltre il mio ombelico. e continuo a meravigliarmi cosa possa interessare quei cinquesei là fuori. ma va bene ugualos.

anche perché, poi, ho pensato un'altra cosa. che in realtà sono lancinanti perché - come poche altre volte in passato - proprio in quei momenti, quelli recuperati per captazione risuonante, sono stati momenti vivi. dove sapevo di star vivendo in quel momento un momento che sarebbe diventato lancinante, domani. che poi sarebbe oggi pomeriggio, mentre camminavo nel boschetto dopo il lavoro. attimi in cui si è quasi sovrapposto la contezza di star per vivere l'attimo, e l'attimo che poi era il qui ed ora. oppure hic et nunc. in latino - senza aver bisogno di gugoltransleiiitor - come mi pungolava la viburna. che poi questo non è esattamente un passaggio per ricordare la viburna.

però poi ho anche pensato un'altra cosa. su quegli attimi molto hic et nunc, dico. che erano attimi pregni di un qualcosa che era a metà strada tra la speranza, l'attesa e forse financo la convinzione. che non era solo che quel delirio terminasse o ci desse una tregua importante. era che sarei ripartito con nuove consapevolezza che a me, questa situazione di singletudine, era cosa che avrebbe potuto finalmente finire. questa cosa da solitudine da irrealizzato, che mi ammanta di una specie di melanconia, che neanch'io so come. sì. ci speravo. ci credevo. e sentivo che qualcosa sarebbe successo. per il semplice fatto ero aperto alla possibilità. che forse sembra spocchioso. ma in fondo sono sempre - sempre - stato io a sabotarmi. anche correndo dietro compulsivamente ed ossessivamente al nulla più totale [oltre al fatto di essermi risparmiato chissà quali frustrazioni, rotture di cazzo e delusioni ex-post. allora, quando versai millemilabarili di lagrime amare non lo potevo sapere. ma ho evitato situazioni rompicoglionesche che levati. poi al limite, il biasimo, è per tutto quello che ho lasciato andare più o meno consapevolmente e in possibilità che si saranno magnificate in altri universi]. sì. nei mesi passati stavo aspettando. in attesa di. come se fosse un appiglio a cui lanciare una delle cime. per quanto non ci fosse nulla di tangibile, figurarsi di certo. però intuivo una ventaglio di possibilità in potenza. qualcosa che sarebbe successo. almeno che avrei potuto provarci. meno impiallicciato, forse addirittura capace. così mi sentivo. non credevo che oltre quei mesi ci fosse la donna della mia vita. figurarsi. ma che si potesse consustanziare un qualcosa da portarmi a sgonfiare quel senso di solitudine da irrealizzato. ecco, quello sì.

invece, quello che si è sgonfiato è il ventaglio. anzi. svaporato. in maniera equilateralmente variegata. senza che niente o nessuno avesse responsabilità. figurarsi colpe. spuiiffff. cedimenti strutturali della ipotesi in potenza. plomp. nessun atto. morta lì.

ho la vaga sensazione che la buchetta, da cui credo di essere rimerso da poco, abbia cominciato ad aprirmicivisi sotto i piedi quando, nel giro di pochissimi giorni, quel ventaglio molto in potenza ha fatto splomf. ssssciufff. tecnicamente è stato mettersi in attesa di cose troppo solo in potenza. o forse senza aver capito al meglio le criticità di certe situazioni in potenza.

l'attesa del piacere è esso stesso piacere, sembra. di certo la disillusione di quando il piacere non si realizza ti riverbera contro, come un padulo che rimbalza per terra, per poi dirigersi con ottimisssssssima mira nel più stretto dei tuoi orifizi. oppure è rebound. e se sei un po' ancora molle come il pongo assorbirai pur per bene i colpi. ma bozzi che rimangono conficcati dentro, levati.

al limite, per diventare un po' meno di pongo, bisognerebbe ricordarsi di un paio di cose. che tecnicamente non sono neppure stati dei due di picche. che prima bisogna metter giù situazioni, persone,  tentativi che, sboooiinoinoniing, finiscono fuorissimo bersaglio. sono cose che hanno cominciato a camminare in altro modo prima ancora decidessi quali scarpe indossare per il trail. e che sono andate altrove, nel loro essere solo in potenza. e che sarà pure 'sta menata della potenza che si può fare atto. però magari anche meno potere di incazzarmi la vita, a queste trappole che mi costruisco.

e per non essere - stupidamente et inutilmente - troppo severo, va bene tutto neh? però io ci ho 'sto gran ormone affettivo che mi picchia dentro. a far 'sì che le cose possano essere diverse. che sarà pure ormone, ma uso la testa. però è proprio ormone, quindi non castrarsi con la sola testa. lasciar[mi] andare. sentirmi un po' trascinare via [e scopare di conseguenza]. ne avrò un po' il ragionevole diritto a desiderarmelo?

e quindi - per ora - me la tengo. questa malinconia da solitudine irrealizzato. almeno ho messo un bello iato tra l'essere e l'azione mancata. vuoi mica vedere che ho smesso - davvero - di sentirmi un rejetto sfighinz. al limite uno che non agisce. che s'incasina via quando bisogna scegliere cosa fare. e quindi - sicome qualcosa alla fine la devi pur fare - subisce gli eventi.

ma non è più una questione di essere. è una questione di fare.

ecco.

ci ho messo millemilamesi per arrivare - parzialmente - fin qui. dovrei pensare di essere un po' più lesto per provare a far la parte che segue.

poi vabbhè. un'altra estate solinga ormai sarà andata. senza magari averci quel guizzo che dico: parto, da qualche parte, assieme a sconosciuti. e se non ci riesco stigrandissssssimi cazzi. non è che sono sfighinz intimidito. non ho fatto quella scelta.

intanto, provo a godermi il fatto che, grazie a situazioni di rete sociale ed affettiva, non sarà un pezzo di estate di solitudine. non è da poco. non è scontato. è cosa buona et giusta averne contezza.

hic et nunc.



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