Friday, August 20, 2021

volato in cielo

premessa 1. credo che l'effetto di questi diciottomesi sia una blandissima versione di uno stress post traumatico. non è che solo questione di debosciamento. riverbero [male] per minchiate decisamente sempre più minchiose.

premessa 2. le minchiate non sono nulla, in sé, tranne che nella mia testa. e soprattutto non sono nulla - nulla - rispetto a quello che può capitare ad altri, vicini, nel mondo ricco occidentale dell'hometown.

ho partecipato ad un funerale di un bambino di tre anni.

non è stato esattamente un funerale. ma un momento corale di saluto, credo molto intimorito. quanto meno ero intimorito io. ho cominciato a riverberare emotivamente qualche giorno prima [a 'sto povero bimbo han dovuto fare anche l'autopsia]. c'era la possibilità lo facessero lontano da qui. dove ora vivono i genitori, non nell'hometown della mamma. sarebbe stato più facile evitare di andarci. e invece campo dell'oratorio, quello che era stato il mio oratorio. troppa gente per la chiesa. un posto importante per i genitori. non ci entravo dal funerale dell'ermi. magari adesso anche basta.

mentre mi incamminavo sentivo il fiato farsi necessità di respiri lenti e profondi. per provare a tranquillizzarmi. sentendomi debosciato, ovvio. al pensiero di quel che stavano passando, via via a crescere, la spirale che porta alla cerchia più stretta di coloro investiti da 'sta cosa devastante. al padre. alla mamma. partire per la vacanza in quattro. e tornare in tre. con in mezzo giorni che, da un po' di febbre, hanno portato a spalancarsi quello che si è spalancato loro.

sono entrato da un cancello posteriore. provvidenzialmente aperto. mi sono infilato nel campo di basket, accanto a quello di calcio. quello pieno di gente, con gli spalti attorno ed il piazzale pieno anche quello. io me ne stavo defilato. solo.

[parentesi. anche in quel momento l'ombelico non ha fatto mancare il suo ricordo solipsitisco. di quando quel campo di basket venne inaugurato. trentanni fa. fanno sei lustri. sette olimpiadi e mezzo. venne il sacro chiodo vescono di novara di allora. stavo preparando analisi I. e mi è parso di rivedermi girarle nei pressi, lei seduta sul muretto basso della rete, senza il coraggio di avvicinarmi, come invece avrei fatto con naturalezza fino a poche settimane prima. allora non lo sapevo, ovvio. ma stavo dando il via alla ossessione-compulsione pseudoaffettiva più dura e dannosa abbia mai istanziato [grande collaborazione e contributo da parte di costei. ma era comprimaria. l'approccio ossessivo è sempre stato solo mio]. pealtro spacciandomela per purissimo innamoramento romantico, sturmundrang delimecoglioni. anni. roba da diserbare possibilità, opportunità, storie potenziali, alternative reali. per anni. e soprattutto quegli anni. vabbhé.]

però, appunto, quello che stava succedendo sul campo di calcio dell'oratorio.

non pensavo che vedere una bara bianca, così piccola, minuta, potesse farmi quell'effetto.

io non ci provo nemmeno ad immaginare cosa debba essere per quei due genitori. per la mamma. che uno pensa sia sempre piccola, per il fatto l'hai incrociata poco più che bambina negli anni oratoriani dell'impegno attivo e totalizzante. lì davanti a me, nel campo, ce n'erano alcuni di quelli con cui ho condiviso quegli anni. quasi tutti sposati. quasi tutti con almeno due creature. io da tutt'altra parte, e non solo perché me ne stavo solo nel campo di basket, a camminare ogni tanto per allentare la tensione. c'erano alcuni degli altri. tutti hanno passato i momenti in cui i loro figli hanno avuto tre anni. chi l'altro ieri. chi da più tempo. posso immaginare abbiano pensato che avrebbero potuto perdere il loro, a tre anni. e invece ha detto male a quei due, stretti in un abbraccio, appena dietro la bara bianca. posso provare ad intuire da lontano il brivido gelido che deve essere risalito lungo la schiena al pensiero. non sono un genitore. quella paura profonda, per la cosa più innaturale esista, non la conosco. però ho osservato i loro volti. e lo sgomento. non ci provo nemmeno ad immaginare cosa possa significare perdere un figlio, un bambino di quell'età.

hanno cantato molto [l'accordatura delle chitarre, magari un'altra volta, possibilmente non un funerale. non riesco a non sentirle così stridenti 'ste cose]. anche la celebrazione un po' diversa da un normale funerale. un saluto, doloro e commosso di tutti. i genitori - da che ne so - molto ancorati all'eco e al lascito di esperienze oratoriane.

ho ascoltato le parole dei celebranti. e come non mai mi sono sembrate sincere quanto discrasiche. effetto del mio agnosticismo, ovvio. ma davvero mi chiedo quale e quanto sollievo possano donare quelle sicumere metafisiche, rispetto al trauma e alla devastazione psichica, emotiva, del fottutissimo immamente. soprattutto chi da quel trauma dovrà provare a risollevarsi. con un peggio che - ahimé immagino - dovrà ancora venire. mi scuso, in anticipo, se urto qualche sensibilità tra i cinquesei. ma ho avuto la sensazione di pannicelli caldi a lenire una lacerazione profonda, esposta ed emorragica. poi mica mi dimentico il kernel del messaggio da cui diparte il tutto [posso usare teleologico?], specie nel momento del saluto, il commiato funebre. la sensazione poco piacevole possa consolare distratto solo chi, da quella lacezione profonda, se ne sta ben lontano. un amensiafattalatuavolontà sui traumi degli altri. anche l'eco di quelli che gli altri non hanno vissuto [per fortuna].

via via che la celebrazione avanzava il [mio debosciato] riverbero è scemato. non a tutti i compagni, di allora, lo sguardo è tornato più sereno. anche dopo la fine della messa. particolarmente 'sta volta non ho avuto quella gran gana di salutarli, scambiarci dei convevoli. pian piano il campo e l'oratorio si è svuotato. sono uscito dal campo di basket. e mi son seduto, solo, per qualche attimo all'ombra di un albero. guardavo altri cominciare a sbaraccare. i vari preti a salutare persone chei si avvicinavano a spizzichi. ho avuto la sensazione che tutti stessero tirando quel sospiro più lungo, che quel rito collettivo - complicato - ormai era alle spalle. quei pochi attimi, solo, all'ombra mi hanno regalato un po' di serenità. mi era chiaro stessi vivendo un momento particolare. per certi versi unico. roba che mi si sarebbe piantata nella memoria.

ho pensato a quei genitori che hanno accompagnato quella bara bianca minuta. che non ci provo nemmeno ad immaginare. ho pensato che quel bimbo se n'è andato lo stesso giorno che se ne andava gino strada. un cammino appena cominciato, interrotto, ed interrotto in quel modo. quelle parole metafisiche dentro la celebrazione un po' di saluto, un po' di rito, un po' pannicelli caldi. e quella montagna di vita vissuta, di eredità ed esempi che lascia. da ateo. nell'immanente. cose fatte. che tengono in piedi parole essenziali e non confutabili. ho pensato a queste due creature. così fottutamente diverse. che non so se siano volate da qualche parte. mi verrebbe da pensare di no. se non volate dentro nel ricordo dell'emozione di ciascuno che se le ricorderà. in maniera fottutamente diversa, ovvio.

pensavo questo, seduto da solo, sotto l'albero. mentre riuscivo a respirare più rasserenato. pensavo. poi ho pensato che potevo cominciare a raccogliere le sedie accanto a me. impilarle. dare una mano a chi sta riordinando quel posto. dove peraltro avevo fatto, tanto. finendo in buona fede su strade un po' cul de sac. ma avevo fatto.

posso fare.

anche, quando capiterà, portare il mio abbraccio a quei genitori. molto immanente, ovvio. oltre non riesco proprio più ad andare.

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