Sunday, March 26, 2023

l'amica paola ed il tempo passato e invece anche no

qualche giorno fa l'amica paola mi mandò una suggestione, riguardo una sua suggestione sui migranti e il fenomeno migratorio. quando la lessi mi si spalancarono una serie di considerazioni, moderatamente psicopipponiche. troppo lunghe da impacchettare in una serie di uotsapp. gliele racconterò a voce, pensai tra me e me. per quanto un proposito con poco addentellato con la pragmatica delle cose. per un fatto molto semplice: sono lustri che non incrocio l'amica paola, dal vero intendo. per quanto, con alcune persone, nessun luogo è lontano [cit.]. non solo. quando lessi quella suggestione sulla sua suggestione rimasi suggestionato da una percezione. oltre al suo biasimo - sacrosanto - come se ci fosse un peduncolo di troppo, quasi lamentosamente ostentato.

una percezione, certo. e che non mi sarei aspettato dall'amica paola. per quanto siano lustri non la incroci.

poi niente. pensavo di non esserci nel uichend a respirar il pm10 meneghino. e quindi non pensavo di andare in quel posto, dove son solito andare in questo periodo, pandemie a parte. poi però l'amica paola ha condiviso sul feisbuch: ehi, io sono in questo posto. e allora mi son detto: quasi quasi le faccio una carrambata. i programmi son fatti anche per essere stravolti. e per regalarsi emozioni non pianificate.

e così nulla. dopo lustri ho rivisto l'amica paola. ed è accaduta quella cosa, bellissima, che è stata poche altre volte. quando i suoi occhioni azzurri hanno magnificato la loro sorpresa, ho avuto la netta percezione che tutto il tempo passato evaporasse, rapido come il battito d'ali di una farfalla. come se ci fossimo salutati poco prima. come se ci fossimo sempre comunque stati. fin qui è capitato con poche persone, non necessariamente con persone con occhi cerulei [per cui, sai che novità, ho sempre avuto un debole. anche quelli dell'amica paola, ovvio].

ci siamo abbracciati, a suggellare il ritrovarsi. è stato un abbraccio rigenerante. che ha dato un senso a quell'intuizione di muovere il culo, per quanto tra casa mia e quel posto ci fossero dieci minuti di bicicletta. ha spazzato via tossine e mi ha avvolto di affettuosità che - comunque - un po' mi mancano [al netto sia io un po' a sottrarmici, a volte]

in quel momento era lì ad ascoltare persone raccontare cose. l'ho distratta da un paio di interventi, tutti in perfetta coerenza con le calzature che l'amica paola indossava. in perfetta coerenza con quella svolta di vita che è riuscita dare alla sua vita. non so se la stima, con affettuosa invidia, sia più per quella svolta o per le stille - ed il talento - con cui racconta momenti di quella svolta. che accompagare il camminare lento, contestualizzato, ho la sensazione faccia vibrare corde archetipe, profonde. che siamo prima di tutto viaggiatrici e viaggiatori. odisseandi. e ci sono persone che il risuonare di quelle corde lo percepiscono più di altri.

abbiamo parlato di un po' di cose. ogni tanto lo sguardo venva catturato da creature che salivano una parete di roccia artificiale. ho pensato di quante cose succedono in luoghi affollati, come tutto scorra con una sua disarmante, apparente normalità. mentre io ero avviluppato in un bel trambusto emotivo. con un dentro e fuori continuo tra passato e presente. con le domande dell'amica paola sulle amicizie condivise, quelle di un tempo andato. e come si collocano nel mio presente, ora: variegatamente lontane quasi tutte. e non solo per la geografia. e che ne è di quella educazione sentimentale che ci ha unito, e che poi ciascheduno ha declinato nei suoi modi. per quel che mi riguarda specie con le abiure, apostasie, disperazioni ottimiste. le ho accennato qualcosa. anche di incazzi scoperti di recente, e per nulla risolti. anzi. l'amica paola ha le spalle abbastanza larghe per sopportare cose che, probabile, scandalizzerebbero qualche ben-pensante delle amicizie di allora. ma ho evitato. se capita gliele racconterò.

le ho anche accennato che avrei voluto dirle cose sulla sua suggestione della sua suggestione sui migranti. ma erano troppo lunghe da impacchettare in un messaggio uotsapp. scrivimele in una mail, mi ha suggerito. poi ho pensato che potevo farci un post, questo. ma al solito mi è scappato via il piede dalla frizione. e quindi sono già andato lunghissimo.

ma almeno un pezzo di considerazione sulla suggestione di suggestione, sì. suvvia.

e quindi, amica paola, accade che, se sento discutere di pianificazione di flussi migratori in funzione della filiera produtttiva, provo ad allontanare il senso di nausea. anzi: credo che la nausea sia qualcosa da non poterci permettere. perché se ce ne facciamo soverchiare si perde di lucidità. e soprattutto si rischia di mettersi a litigare con il principio di realtà. però il principio di realtà, comunque, alla fine vince. che può pure essere stronzo, neh? ma se ci litighi comunque non ne esci bene. a meno di arroccarsi in una qualche nicchia, che prima o poi sociopatizza [avrei qualche esempio da portare, a mo' di esempio]. ecco. io non ho più voglia di litigarci col principio di realtà. tanto più se penso ad un fenomeno così complesso, epocale come quello migratorio. e che sarà sempre di più intricato, alla luce - nefasta - del riscaldamento globale. poi ci potrà essere modo e modo di gestirlo quel fenomeno. dal decidere di gestire non gestendo alcunché. ma poi il fenomeno ci penserà lui a gestirsi, probabile in maniera anche disruptiva. oppure lo si potrà gestire facendo cose più o meno prossime al concetto di giustizia sociale e umanità, come son certo la intendiamo, tu ed io - abbiamo la stessa educazione sentimentale, appunto. da par mio continuerò a vigilare, ad informarmi e sentirmi coinvolto, come da accezione deandriana [anche se questo non lo si cantava, ai tempi]. ti ho raccontato che se potessi andrei a tirar fuori dal mare le creature che affogano, per salvare stille di Umanità. questa la gestione nel mio piccolissimo: non lo faccio direttamente io. supporto coloro che lo fanno anche nel mio nome, come se fossi lì con loro. ma poi c'è un gran tocco che trascende dal tuo e dal mio desiderata. e ci saranno alcuni che dovranno gestire, pensando qualcosa di scomodo, che il mio io di allora avrebbe contestato con furore adolescenziale. mentre ora bisogna adoperarsi acciocché quel lavoro scomodo sia quanto più giusto possibile. e so che l'esattamente giusto per me potrebbe non esserlo per la maggioranza delle persone. e so che questa cosa non posso ignorarla. tanto meno pretendere di imporla, anche solo nel mio piccolo mondo: giudicando con alterigia e spocchia chi non la vede come me.

sto cercando di far pace con la complessità delle cose, specie le contraddizioni che inevitabili si portano dietro. è averne contezza, osservare le facce spigolose e fastidiose dell'icosaedro, che era bello pensare fosse una rassicurante figura piana. su cui scorrazzare piuttosto allegri, quasi felici, sicuramente sognatori fosse una superficie abbastanza liscia, l'immaginario del mondo in cui si stava entrando. che avremmo migliorato, ovvio, e ci avremmo cantato sopra, ognuno con la sua chitarra.

mi agitavo per apparire come quello più immaginevolmente convinto, anche per questo mi vedevano come quello sui generis. e non solo per l'amicizia col prete. [che poi quell'amicizia credo mi abbia portato nocumento, oltre che turbare la mia percezione erotica e non solo. ma questo è un altro discorso. quello che credo di aver capito leggendo un romanzo a suo modo geniale. e forse un'altra volta a voce, tu ed io].

ecco. ho sempre avuto la sensazione che tu e la tua sister così sui generis non mi percepiste. forse anche per questo, nel rivederti, il tempo non mi è sembrato essere passato. non ostante quello che invece si è portato dietro tutti gli eventi, con cui siamo diventati quello che siamo. a partire dalle mie irrealizzazioni e tutti i bachetti, i pochissimi rimorsi, la fottia di rimpianti. ma anche, di nuovo, la consapevolezza di dover far pat-pat sulle spalle al principio di realtà. che quando è stronzo è una sfida smussarne le stronzevolezze. senza stracciarmi le vesti davanti alle contraddizioni, ma cercando una sintesi, la migliore possibile.

ero un giovane idealista, radicale, entusiasta per cose poco di moda, per quanto piuttosto perso nel suo vagheggio e facilmente [auto]infinocchiabile. ora sono un adulto un po' più sgamato. so che le eco delle radicalità le si può declinare in vari modi, in maniera altrettanto adulta. l'importante è la declinazione, non l'aggettivo sull'età. strepidando appena appena: così si è più lucidi ad affrontare le complessità. forse meno affascinante. ma decisamente più efficace. poi a riprendere la chitarra e cantarci qualcosa, si fa sempre in tempo.

 

e comunque gli abbracci sono stati davvero una cosa bella. come risentirsi percepiti. spero non un commiato di altri lustri.

 

[e comunque anche questa è una suggestione dell'amica paola]


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