Saturday, September 30, 2023

pesche et inadeguate arrendevolezze [ex-ante][poi un po' divago]

vabbhe, dai. tutta una fottia di ggggggente ha voluto dir la sua su 'sta pesca dell'esselunga. potrò, a 'sto punto, dire la mia? no? persino la fratelladitalia ci ha messo il suo carico. che avrà pensato: aò, nun me par vero che posso ddì qualche frescaccia assertiva, così se distraggono dalle cose che ci ho promesso e che nun se riesce deffffà, li mortacci a quello che mo trovo come nemico, per giustificà che nun semo bbbboni.

poi io son pure meno snobbbe di elliscslain, che invece lei proprio non l'ha vista 'sta pesca dello spot.

a dirla tutta prima ne ho sentito discutere dal bacchetta [che bello risentirlo in onda. che financo un po' mi mancano i confronti in tempo reale con l'ecsamica roby. ma le relazioni vanno e vengono. che mica ci son solo quelle della pesca, di relazioni che vanno e vengono. ma tutto il caleidoscopio del volersi bene]. solo un paio di giorni dopo l'ho vista in tivvvù. non è snobbismo. è che la tivvvvù la guardo quando sono da matreme. che qui non funziona assai bene.

prima ne ho sentio discuterne, appunto. la cosa che mi ha colpito è che la clusterizzazione delle opinioni è stata la massima possibile. perché chiunque intervenuto al telefono - bacchetta ha chiesto di farlo a chi avesse avuto esperienza di separazioni con creature - ha dato l'impressione che la sua esperienza non potesse essere altro che lo esperito dalle creature coinvolte. una specie di sineddoche di paradigma. come l'hanno vissuta le loro creature è la modalità in cui le creature vivono la separazione dei genitori. mi ha colpito ma non mi ha stupito. per quanto siano sensazioni - le mie - che sgorgano da un universo parallelo - il mio - rispetto a chi è diventato genitore. credo, penso, intuisco, mi immagino che diventare madre o padre sia una delle esperienze più sfaccettatamente personali: oguno in un modo che è solo ed esclusivamente il suo, che pensa sia l'unico possibile. immagino che, per traslazione, anche far vivere alle proprie creature il trauma - sì, trauma - della separazione sia qualcosa che è solo suo ed unico, vissuto delle creature compreso. da fuori, da un universo parallelo, avrei voluto abbracciare quel padre che l'ha riassunta così: il dispiacere, il senso di colpa e fallimento di non poter più donare ai miei figli le cene tutti assieme a tavola. l'acquietarsi al pensiero che chissà come sarebbero state pessime e disturbanti quelle cene tutti assieme a tavola.

poi, 'sta pesca, l'ho finalmente vista. e non ne sono rimasto indifferente, mi ha toccato [toccante per la fratelladitalia, non sono - e ci mancherebbe - esattamente la stessa cosa]. mi ha toccato la cinica e spregiudicata genialità del creativo dell'agenzia. bisogna solo capire se a 'sto giro sono più importanti gli aggettivi o il sostantivo. cinico e spregiudicato per aver usato - sì, usato - il dolore di una bambina per uno spot pubblicitario. spot pubblicitario che ha fatto il pieno, e che ha fatto deflagrare tutto ed il contrario di tutto. e comunque se ne parla e discute: cos'altro può appagare di più l'ego di un creativo? 'sticazzi se l'avessero previsto o meno.

mi ha toccato perché mi hanno riverberato diverse frequenze di risonanza. il dolore della bambina. e per portato quello che può essere il senso di colpa di quei due genitori, così piccolo borghesi [l'esselunga di via solari, una casa in una zona non esattamente periferia della città]. ed un po' mi ci sono immedesimato, da fuori, da un universo parallelo, in quel senso di colpa: che può essere autentico, obiettivo, o affogato in una coda di paglia che sicuramente le creature ora sono più serene. naturalmente me lo immagino. che ragiono di tutto ciò - appunto - da un altro universo.

solo che poi ci ho fatto pure io una sineddoche. è che la mia è piuttosto nevrotica.

perché nell'immedesimamento in quei genitori [anche se io una casa così ampia non potrò mai permettermela] provo una specie di timore quasi paralizzante. il pensiero di una relazione che finisce, e ne soffrono anche le creature, la percepisco come un qualcosa che non so se riuscirei a sopportare. ora qui e adesso non so se avrei la forza di superarla. tale per cui mi chiedo se possa valerne la pena correre il rischio. e magari sentirsi inadeguato ed arrendermi ex-ante. dai, che a 'sto giro l'aspetto nevrotico è facilissimo da sgamare. tutta questa inadeguata arrendevolezza per un qualcosa che non potrà mai più accadere. una proiezione sull'asse immaginario di una freccia del tempo che va a far diminuire l'entropia. tutto ciò non esiste. esiste solo l'ennesimo [auto]agguato nel giustificare il sottrarsi alle relazioni: qualsiasi cosa significhino.

per robustissime ragioni, inappellabili in questa vita, nessuna creatura mi passerà mai una pesca dicendomi: questa te la manda la mamma. c'è un iperspazio multidimensionale di separazione dal vivere un episodio omologo. eppure temo mi possa accadere. e quindi - tendenzialmente - mi sottraggo nei modi e limiti previsti dalla mia fantasia creativa. tutto ciò in questo di universo, in questo spazio tempo di realtà. provando peraltro una corroborata inadeguatezza.

poi dice di non essere del tutto in bolla.

figurarsi poi la questione, scaltra, delle persone un po' meno disassate: provale, le cose. comunque vada non sarà mai solo un insuccesso.

mi viene in mente il direttore di un coro. coro che dire amatoriale è volergli bene. il direttore musicalmente tutt'altro che sprovveduto, con l'orecchio molto ben fino. mi verrebbe da chiedergli: tu li senti come ognuno canti come se fosse l'unico lì dentro, utilizzando versioni personalissime di modulazioni delle note. non è un coro: è un insieme di persone che canta ciascuno il suo, spesso peraltro non azzeccando del tutto la nota. io lo so che mi guarderebbe con la sua pacata visione delle cose e risponderebbe: certo che me ne accorgo, certo che il mio orecchio lo coglie per bene. ma fanno del loro meglio e questo è il massimo che riesco a tirar fuori da loro. per questo me ne curo fino ad un certo punto. poi non vedi come sono orgogliosi di farlo? come si applicano, come si sentono realizzati nel cantare? qualcuno pensa anche di essere bravo: che sia vero o meno è un dettaglio trascurabile, in questo momento. quanto giova al suo umore, questa autoconsapevolezza? esticazzi se fondata o no [anche se esticazzi non lo direbbe, questo direttore di coro]. chi non azzecca del tutto la nota è perché non sente dovrebbe essere precisamente un'altra, quindi a posto così: c'è ragione per essere soddisfatti. un'analisi delle frequenze e le sua armoniche potrà mai togliere quella soddisfazione?

certo che me accorgo ed il mio orecchio di più. ma va bene ugualmente. perché l'alternativa è che nessuno di costoro canterebbe più, e non ci sarebbe più un coro.

però, soprattutto: tu cosa faresti, fossi al posto mio?


niente. tutta 'sta psicopippa guardando una pesca.

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