Saturday, October 7, 2023

luci accese e dopo spente [cit.]

oggi stetti al lido dell'hometown a leggere. seduto su una panchina. accarezzato alle spalle dal sole gentile.

mi sovviene che proprio lì correva garrula la cagnolina. si era durante l'inverno del secondo lockdown. aveva appena messo giù neve, sul prato del lido una coltre, quasi immacolata. la cagnolina correva felice, correva quanto ancora più veloce un cane della sua età, correva con la lingua a penzoloni. la combinazione spazi aperti e quel velo di bianco. si divertì. oggi ho pensato che fu l'ultima volta in cui la vidi fare cose da cane in salute e con molta gioiosa esuberanza. tempo pochissimi mesi sarebbe iniziato il lento, inesorabile declino. era l'autunno-inverno della speranza. eravamo chiusi ed ancora limitati. ma confidavo sarebbe finita e saremmo ripartiti, sarei ripartito, lasciando alle spalle quell'infarto della storia. ci credevo, ci contavo, ci fantasticavo. mentre la cagnolina correva come non dovesse aver mai a finire il fiato. ora è sotto il kiwi. da tempo so che la speranza di quell'autunno e quell'inverno è evaporata: la primavera non è stata quella che pensavo fosse.

alzo lo guardo. le fronde dell'albero lì accanto, già piuttosto dorate, non ostante il caldo anomalo. l'albero ed io osserviamo. una coppia con il loro cane che scatta, scarta, balza felice. perché può correre, perché è lì assieme ai padroni. poco più in là un papà gioca a far librar quel po' nell'aria la sua creatura. il bimbo probabilmente ride a sentirsi volare, fermarsi, tornare tra le braccia del padre. immagino il ridere sganasciato e coinvolgente che sanno regalare i piccoli-piccoli.

per quelle due coppie quali saranno ricordi di questo pomeriggio? il cane che vortica le zampe felice. i ridolini della creatura al librarsi.

e le altre persone lì con noi in quello spazio ampio. chissà quali ricordi si portano appresso. magari anche legati a questo lido. magari chi ha perso qualcuno che è altro una bestiolina d'affezione. magari chi ha perso ben altro che la speranza dopo l'inverno. magari qualcuno soverchiato da dolori importanti, mica dalla malinconia poco fiduciosa, come accade a me.

ed in quel momento percepisco di come noi si sia fottutamente di passaggio. ed il lido dell'hometown come sia uno dei millemilioni di paesaggi del nostro passaggio. luci accese e dopo spente [cit.]. la lenta stazionarietà dei luoghi. il nostro passarci in mezzo con rapidità inusitata. inconsapevoli, placidi, sicuri, arrancanti, arroganti, irrisolti, cinici, utopici, sprovveduti, egoriferiti, imbarazzati, spaesati, empatici, incuriositi, entusiasti, apatici, stronzi, buoni. più verosimilmente una combinazione lineare di questo e molto altro.

per ancorarmi un poco, in questo volgere turbinante di pensieri, alzo di nuovo lo sguardo alle fronde piuttosto dorate dell'albero. sono arrivato prima io dell'albero - occhio e croce - ma è molto probabile mi sopravviverà. chissà se era lì quando al lido ci andavo in quelle giornate che sembravano lunghissime e puccianti nel lago. c'era quando si consumava il rito dei teli spiaggi distesi mezze dozzine alla volta, posizionati secondo pattern che raccontavano le dinamiche della cumpa più o meno oratoriana. quando capii, proprio lì, su quella spiaggia, di come non sarei mai stato in grado di corteggiare una ragazza, una donna. corteggiarla nel senso di convincerla dell'inevitabilità del mio esserne innamorato [quella cosa lì, qualsiasi cosa significhi]. mentre il sole abbronzava la pelle. ed in parte il caldo mi avvolgeva in quella consapevolezza ex-ante.

il muover di fronde. una panchina dove accanto corse garrula la cagnolina. la percezione pugnace di come cambi tutto, seppure in un paeseggio che sembra immoto. cambiamenti a cominciare da tocchi di noi medesimi, nevrosi e compulsioni a parte. e di come si sia fottutamente di passaggio. noi che ci crediamo il centro di chissacccché.

[peraltro ci avevo visto giusto, ex-ante. e per fortuna qualcuna si è convinta da sé, mica ha aspettato la convincessi io. sennò]



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