Sunday, October 29, 2023

il capello arricciato, la complessità inestricabile, il solco strettissimo, l'inevitabilità di una scelta

sono almeno tre settimane che vorrei scriverci sopra. non mi veniva. troppo da metterci dentro, con l'inevitabile effetto di scrivere banalità. quantunque e qualunque [quasi] parole fossero. come probabile saranno anche queste.

poi ieri ho incrociato dopo un olimpiade l'amica serè. la nostra virgilio, laggiù, che di santo, quella terra, proprio non ha un cazzo. l'ho vista arricciarsi nervosamente il capello riccio attorno al dito. più nervosamente di quello che le vedevo fare laggiù. e l'occhietto triste. e la compulsione a guardare le notifiche dallo smartofono. e la voce a provare a dissimulare la tensione. però è stato l'attimo in cui ho percepito la sua angoscia. non ricevere notizie da qualcuno, da qualche ora, può significare più cose. che il pannello solare non è ancora riuscito a caricare il dispositivo. oppure che la rete non funziona. oppure che una bomba dell'aviazione l'ha fatto saltare in aria, assieme la sua famiglia e la bimba di otto mesi. avrei voluto risponderle più compiutamente. ma sentivo che la voce mi si incrinava in gola, prima ancora di pensare di farla uscire.

sarà [di nuovo] il periodo. sarà la stanchezza. sarà la debosciatezza. sarà che sento l'impotenza di fronte a quel gorgo oscuro. però sentivo la voce mi si incrinava in gola, prima ancora di pensare di farla uscire.

io e la mia debosciatezza e il ditino alzato verso un non meglio precisato destino contingente. ehi, cazzo, non è che si potrebbe dare una regolatina a questo e quello? "la mia non è proprio fame è più voglia di qualcosa di buono" [cit.]. ed un tocco di pensiero a ricordarmi quante millemiGlioni di persone non possono nemmeno cominciare a pensare cosa sia la debosciatezza. quando il pensiero cogente è quello di restare vivi, son cose che non stanno in cima alla pila dei ragionamenti.

così, posso intuire, non hanno tutto 'sto tempo a ragionare sulla complessità inestricabile di quella situazione. sia perché è il loro quotidiano totalizzate. sia perché basta una singola goccia nebulizzata di quella complessità, che può farsi destino per loro. e dare così la risposta alla domanda: sarò ancora vivo tra un'ora? anche se, intuisco col mio culo debosciato al sicuro e al caldo, nemmeno se la facciano quella domanda.

una complessità talmente inestricabile che, qualsiasi cosa si possa solo pensare, hai già pestato merda. figurarsi dirle. figurarsi dirle con la sicumera di chi ha capito e lo spiega. complessità inestricabile: le responsabilità che si rincorrono all'indietro, effetto da una causa. che è effetto di un'altra causa. che è effetto di un'altra causa ancora. indietro fino al 1948. e più indietro sul senso di colpa collettivo per quello che la razionalissima europa ha saputo fare, infliggere. quell'abominio talmente incommensurabile che ne siamo comunque coinvolti. possiamo rimuoverlo, ma mica ci si riesce. una tale non-estricabilità che non se ne esce. e in qualunque presa di posizione, rimane fuori qualcosa, che invece ha tutto il diritto di essere tenuto in considerazione. ma noi le analisi in una multidimensione mica siamo capaci di farne.

tanto più che, personalissimamente, il solco è strettissimo. una fascinazione inspiegabile per la cultura ebraica, quello che ha irradiato nel globo terracqueo, dalla diaspora in avanti. e la sensazione urticante di quello che, in nome di quella religione e modo di sentirsi eletti, viene compiuto. basta guardare l'evoluzione delle mappe di quelle terre: quello che è stato e di quello che è diventato. e che ho la sensazione diventerà: un popolo che ha subito l'espulsione da una terra diciannove secoli fa, ne espellerà un altro, da quella stessa terra. con un'azione pervicace, sistematica, inesorabile. come si sentono chiamati ad essere costoro. eletti.

il solco è stretto perché il confine tra antisionismo e antisemitismo è stato reso sottilissimo. surrettiziamente sottilissimo. con forzature altrettanto urticanti e fastidiose. la critica è di fatto bandita, con lo sventolio del senso di colpa che ci portiamo dentro. nun me criticà, che l'accusa di antisemitismo è un attimo. forse pure questo post fa di me un additato antisemita [però tanto è un blogghettino della minchia]. non importa cosa possa pensare di quella cultura. figurarsi la mia fascinazione.

il solco è stretto, la complessità inestricabile, il capello attorcigliato con tutta la sacrosanta inquietudine. è l'inquietudine che rende inevitabile la scelta. inevitabile, perché si può tirar fuori, dal cilindro delle possibilità, ben poco. ed il poco è considerare le vittime per quel che sono: vittime. figurarsi i bambini. e le vittime smettono di aver professato una religione o un'altra, avere avuto una cittadinanza oppure un'altra. se siano l'effetto di quale causa, o l'effetto ne determina un'altra, di causa. la scelta è prendere la complessità inestricabile e decidere che quello che è inestricato ad oggi rimane tale. e da oggi si prova a dipanare. sapendo che dal gorgo indipanato arriveranno - con molti diritti - tentativi a rendere ancora più inestricato il tutto.

ma - dal mio punto di vista - non si può fare altro che praticare la scelta della non violenza, del compromesso, del dialogo. tanto complessa, quanto con meno appiiilll. tanto utopistica, quanto necessaria. tanto più improbabile, quanto l'unica.

roba che quando ero giovane et fiducioso et pieno di belle speranze non avrei esitato un attimo a ribadire. che tenero sprovveduto ero, sembrava cosa meno semplice tra le molte più semplici. certo, comunque ignoravo la complessità. che si deve ammettere che hanno sbagliato entrambi e degli errori si prende atto, non è clava da usarsi per interposto errori altrui. e porca miseria: però sul pezzo avevo cazzo ragione. ci avevo visto giusto, tutto sommato. è semplicemente la scelta più complessa da fare. ma tanto più ovvia. proprio perché si è passati nella complessità inestricabile delle cose. nella strettevolezza del solco.

è il passaggio più impervio ma è l'unico che porta in vetta.

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