Sunday, December 17, 2023

vissuti, traumi, eredità collettive. santa proprio per un cazzo, quella terra

[disclaimer. questo è un post faticoso, per cui non smetterò mai di sentirmi inadeguato. però le suggestioni mi girano nella testa.]

ascoltare le notizie che arrivano da gaza, dalla west bank, non è meno doloroso di qualche settimana fa. vorrei evitare, peraltro, la trappola dell'assuefazione. penso, quasi ogni volta, a cosa lascerà questo mattatoio nel vissuto collettivo di quelle persone. vogliono annientare hamas. stanno mettendo le basi per altri dieci cose simili e forse peggiori.

che poi mica mi sfugge sia un ragionare da culo al caldo, neh? che per un paio di milioni di persone il pensiero cogente e come sopravvivere, tirar a sera e quindi mattino in quell'inferno sulla terra, vivi appunto. possibilmente con tutti i familiari.

e posso intuire, da lontanisssssssssimo e al sicuro, che delle notizie più tragiche, aberranti, si avrà del tutto contezza dopo: quando mantenersi vivi verrà molto più semplice. e con il la piena consapevolezza l'elaborazione di un trauma collettivo. bambini amputati senza anestesia, alcuni che non reggono lo shock del dolore e muoiono - i medici non chiedono più null'altro, se non che venga fornito loro anestetici e antidolorifici - l'impossibilità di curare degli ospedali, la fame, il freddo, gli istinti più primordiali e anti-sociali, le epidemie che si stanno diffondendo.

le amputazioni ai bambini senza anestesia, lo shock mortale per alcuni di costoro.

sono le cose che più mi hanno impressionato. non c'è ragione di non crederci. e soprattutto entreranno a far parte della narrazione condivisa, memoria collettiva di un popolo. si sedimenterà e diosolosa [nel senso di qualcosa che dubito esista, ma nel cui nome si fanno cose indicibili] cosa potrà far germogliare, come senso di rivalsa. non serve nemmeno capirlo o costruire artifici retorici per argomentare su una qualche forma di giustificazione. qualcosa da lì germoglierà a prescindere del nostro discutere di aria fritta più o meno propagandata. e quel germoglio porterà altro dolore. i palestinei, gazawi o meno, non sono hamas. non serve che quel germoglio metta radici in un popolo intero. ne bastano molti, molti, molti meno. ed altro dolore entrerà in circolo.

e sarà leva, giustificazione, rivalsa dell'altro popolo che sta lì, quello israeliano. che nella stragrande maggioranza non si oppone a quella tragedia, a quell'ecatombe. anche i meno invasati, anche coloro che sono ben lontani dai clerico-fascisti che li stanno governando. talmente traumatico è lo shock dell'attacco del 7 ottobre. sembrano disposti a rinunciare alla pietà, che l'è morta. è l'eco delle persecuzioni che si portano dietro da diciannove secoli. con l'ultimo abominio della soluzione finale. il scoprire, d'improvviso, il senso di insicurezza all'interno dello stato che era nato per dar loro protezione. per cui sembrano disposti a tutto. anche a generare vissuti e traumi collettivi del popolo vicino. e il senso di rivalsa anche di quelli accanto a loro. sedimenterà tutto. continueranno a germogliare istanze che metteranno in cima ai loro obiettivi l'eliminazione dello stato ebraico.

è una fottuta spirale soffocante di odio, che promette e preclude altro dolore.

così, da soli, non se ne esce. non ne escono. a costo che un popolo ne elimini un altro. la cosa peggiore di essere vittime, è essere vittime delle vittime. 

proprio, di santo, quella terra non ha nulla.


[ribadisco il disclaimer di cui sopra. fatico e mi sento anche molto inadeguato. ma son pensieri che mi girano dentro da un po'. inadeguato perché non ne so comunque abbastanza. e perché mi manca un pezzo. ci manca un pezzo. quello che non hanno coloro che non appartengono a popoli vessati e perseguitati storicamente. ci possiamo provare a ragionare, neh? ma ci mancherà comunque sempre un pezzo. un'incompletezza che - dubito - riuscirà mai a farci intuire davvero quello che succede laggiù. tranne forse il fatto che così, da soli, non ne usciranno]

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