Sunday, March 24, 2024

palme

che poi distribuiscono i rametti d'ulivo. anche se si chiama la domenica della palme.

ai tempi che furono quasi preferivo questa di domenica, rispetto quella di pasqua. era quella specie di attesa, che era esso stessa ragione di vivere il momento pasquale. quando professavo convintamente, ovvio. era quello il periodo più intenso. non che non rimangano ancora delle eco, pure ora. forse non ne sono fuori del tutto. o forse è qualcosa che sta più introiettato di quello che potrei attendermi. o forse non è roba che ho introiettato strada facendo. niente di metafisico, neh? qualcosa che approssima la questione dell'inconscio collettivo.

vabbhé.

meglio non pisciare fuori dalla tazza.

le palme. la domenica di. che poi il faber ha avuto gioco [relativamente] facile, con il calembour della domenica delle salme. le palme. anche se era la storia dei ramoscelli d'ulivo a coinvolgermi. un po' il valore simbolico della pace. un po' anche per la storia del fascino di quella pianta, e la sua capacità di vivere per secoli, trasformandosi con quel contorcersi, spaccarsi e rigenerarsi. lessi, qualche anno fa, che l'ulivo nasce, prospera e regala i suoi frutti solo là dove lo si cura, a partire dal territorio dove cresce. occorre applicare ancora più dedizione particolare, metodo attenzione. che è roba di decenni, secoli.

vabbhè.

continuo a pisciare fuori dalla tazza.

la domenica delle palme si faceva una piccola processione, con qualche palma e molto ulivo. io accompagnavo alla chitarra. ed un ramoscello incastrato, in cima alla tastiera, tra le chiavette tendicorde, e le corde tese medesime. in una di quelle domeniche delle palme, nel pomeriggio, fotografai il ramoscello incastrato in cima alla chitarra. eravamo nel giardino di quello che era un asilo d'infanzia delle suore, ora una stazione dei carabinieri [ed il gesto ancor m'offende]. in quel giardino avevo giocato anch'io. testa della chitarra, ramoscello d'ulivo incastrato, prato sullo sfondo, e luccichio del riflesso di una chiavetta tendicorde nel pieno sole di un pomeriggio in cui la primavera stordisce.

mi sembrava una foto bellissima, che si portava dietro tutto un complesso di cose, emozioni, sensazioni, bellissime. con dentro tipo lo stordire di un pomeriggio di primavera.

quella foto mi è tornata in mente stamani, mentre incrociavo gente con il proprio ramoscello d'ulivo.

ma non è per vivere nel passato [cit.].

pensavo che poi, alla fin fine, quella foto era banale. caruccia, al limite, ma banale. come del resto, allora, abbastanza tutto appariva fottutamente tutto più semplice. non so se banale, ma semplice. con l'idea che hai davanti un gran pezzo di vita, ed un bel po' di tutto deve ancora venire. ed è più che banale la convinzione che, più o meno, ti sia dovuto in quel divenire. e che le cose si incaselleranno nel modellino sociale che uno si è già costruito. magari con un po' di eccentricità, anche un po' tanta. ma si incaselleranno. e sarà un divenire che darà soddisfazioni e gradevolezze. un bel quadretto, con soggetto un po' sui generis. tipo una fotografia della paletta della chitarra con incastrato il ramoscello d'ulivo. tutto sembra così serenamente già instradato. deve solo succedere, basta dare il tempo di. con altre domenica delle palme, che l'attesa della pasqua che è già vivere il tempo di pasqua. e così in avanti. con quel pensiero non so quanto nascosto, di certo rassicurante: ho il ramoscello d'ulivo incastrato sulle corde della chitarra. benedetto, s'intende. che fa anche una specie di strizzata d'occhio - figurata - a quel che sta in cielo, apotropaico. il ramoscello d'ulivo, benedetto s'intende. la sintesi di quella fede in sincrono con una visione tipo cose pacifiste, non violente. incasellato, ma con la mia originalità.

ma non è per vivere nel passato. appunto.

perché, non ostante tutto, non so mica quanto rimpianga quella domenica delle palme, la chitarra col ramoscello, la foto nel giardino della scuola d'infanzia delle suore. non credo sia la storia della volpe e dell'uva. è che tutto quella roba lì, di allora, era un soufflé che nemmeno lontanamente intuiva la complessità delle cose, e nemmeno lontanamente immaginava l'implacabilità del principio di realtà. tanto che, appunto, montavo soufflé. importa poco se mica tanto conformista. soufflé restava. ero davvero un imberbe, pace in gloria pensassi di essere già così adulto, con l'idea di essere finanche molto originale. oltre che con la spocchia di aver già capito abbastanza. fino a qualche tempo fa avrei scritto: che tenero coglioncello ero.

non so mica quanto lo rimpianga. non ostante la faticosa complessità di questi nuovi tempi - anche in contesti ben trascendenti da noi tutti. non ostante il divenire abbia preso direzioni che son andate un po' altrove - in contesti solo miei. e occhei le musate. che in fondo si vede che può ben andare ben peggio. l'allora era così ammantato di cose in fiore, che si faranno rigogliose. con tanta convinzione nell'alto dei cieli. sembrava così serenamente semplice. forse troppo semplice. quasi banale.

non mi viene di rimpiangere la banalità. mica per altro: per aver alimentato quel senso di speranza. mentre forse era un soufflé.

non suono più la chitarra [per quanto suonare mi manchi]. quindi nessuna altra foto con un ramoscello d'ulivo. anche se ora un ulivo lo poto. con la potenza simbolica di quella pianta che mica mi ha abbandonato. forse anche perché non è roba banale. per il resto, quel che è di risulta della potatura diventeranno molti ramoscelli d'ulivo, distribuiti la domenica delle palme. cosa che mi interessa il giusto. il mio l'ho fatto prima, potando.

 


 


No comments: