Monday, December 31, 2018

sulla cosa del post della fine dell'anno [la piccola psicopippa sul fatto si faccia a fine anno è nella parte precedente] /2 - pars construens

ennnnnnnnniente.
facciamo che il pipponcino della circolarità delle cose, il pattern, l'arrendersi vittoriosamente al fatto di farlo il trentunodicembre e non il ventisettemaggio lo diamo per fatto. sta placidamente nella pars destruens di questo post bi-partito.
e quindi passerei al dunque.
quindi la pars construens di questo anno così pari, nonché maggiorenne del terzo millennio.
siccome le cose vengono, e a volte si intorcigliano ad inventarsi divertenti paradossi, è una parte che fatico a scrivere così, di getto. come se venisse ispirato dal momento. neanche una settimana - forse - le dita tamburellanti sulla tastiera avrebbero faticato a star dietro ai pensieri.
perché di congiuntura in congiuntura è come se mi fossi spento di colpo, tipo quando va via la luce, szziuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu [tunck]. per rendere onomatopeico la sensazione.
e quindi la pars contruens è come se fosse da scrivere tipo una cosa scrittura creativa o, meglio ancora, meditata, invece che flusso di coscienza.
e però, un altro paradosso, è proprio questa consapevolezza che non sarà un flusso di coscienza, bensì afflato meditato, che è essa stessa pars construens.
anzi.
forse è la parte construens che ho costruito in quest'anno. 
e stigrandissssssssimicazzi [con semantica corretta, quella romana] se il post non verrà fuori scoppiettante, frizzante, dai caldi e luccicanti riflessi cangianti.
perché significa che - forse - ho capito la storia dell'assorbimento. che tutto quello di positivo, meritato, conquistato, ammonticchiato si fa struttura e nutrimento. e serve per irrobustire quella moderata soddisfazione di essere sul pezzo, centrato per quanto non ombelicale, conscio di come si timona la svolta. rasserenato con il coinquilino, che sarà pure una testa di minchia, ma gli si può voler bene ugualmente. che magari così sembra persino meno testa di minchia.
insomma, quelle cose lì che somigliano alle frasi d'effetto che si possono trovare nei libri del tipo ffffinchpositiv. solo che io mica le ho lette lì. credo di aver capito come scriversele dentro.
e fottesega se, in queste giornate infra festifere, è come se una bruna malinconica fosse scesa, rischiando di offuscare tutto questo. corcà non mi metta di buzzo buono ad annusare l'aria e percepire che sopra c'è il famoso cielo stellato, e dentro c'è la percezione che non son più tenuto assieme con lo sputo. anzi. c'è da lavorare ancora, occhei. ma in fondo siamo un po' sempre in cammino e il blog non ha dentro il gerundio di odissea? sarà mica un problema resti ancora da fare qualcosa, no?
si è un po' tutti in divenire, dall'anno che finisce perché ne viene uno nuovo, l'inverno che morde ma intanto già le giornate si stanno allungando. lo svolgersi del pattern, insomma.
e 'sta cosa me la sto conquistando un tocco per volta. momento dopo momento. anche quegli attimi brevi, volatili, pigolii luminosi che spesso è stato importante riconoscere quasi nel momento in cui avvenivano. e quando la latenza è minima è qualcosa di bello che ti esplode dentro.
dettagli che si recuperano con meno rimpianto, perché c'ero consapevolmente quando accadevano.
tipo l'augurio genetliaco che ha sciolto mesi di tensione con una persona importante. la strada rotolante sotto le ruote dell'auto di matreme con matreme oramai operata, e quando si è rimessa in piedi. le mail che solo qualche settimana prima non avrei mai pensato di scrivere, e poi smontano mesi e mesi e mesi di increspature relazionali là dentro. arrivare esausto ad un rifugio ed intuire come il rifugio, nel suo darti ristoro, sia il contrappasso positivo e memoria importante. la sensazione di rigettare l'incazzo e la delusione, ribaltandola nell'attenzione alle difficoltà dell'altro. la rasserenante capacità dell'amica monica e la sua [bella] famiglia di essere ospite e di accoglierti a cena. la cappella degli scrovegni e la pasta con le vongole per asciugarsi dall'acqua a catinelle. venezia che a tratti può essere struggente. il tramonto a miramare di trieste in t-shirt e ian letto col sole che si getta nel mare. l'amica laura nel viaggio di ritorno. alcuni calici alzati. così come alcune birre. quando per festeggiare la fine della convalescenza dell'amico emanuele, quando per ascoltare le difficoltà altrui, quando con persone che prendono il bicchiere con la tua stessa mano, quando per discutere animatamente, fin quasi allo scazzo, ma che poi si scioglie negli abbracci finali.
l'attimo che ho guardato oltre la tenda beduina in mezzo al deserto: intuendo fugacissimo ma intensissimo il magnetismo imprescindibile di quel luogo, e la cazzimma di quel popolo che resiste agli israeliani e che al deserto ci da del tu.
le persone nuove conosciute, o scoperte che è valso veramente la pena conoscere o scoprire: anche intuindone le loro pars destruens
e poi il lento fluire della consapevolezza: del ruolo che mi son conquistato là dentro, al netto che potrebbero cacciarmi dopodomani, che si può far pace col principio di realtà sapendo di poter bastarsi per un sacco di cose, che una fottia di intralci son bagatelle e che siamo a prescindere dalle bagatelle. il ghigno appena abbozzato, quasi complice, di odg, quando le ho spiegato cosa avevo capito del fatto mi fossi dimenticato una seduta.
e poi l'arminuta, irene némirovsky, i tre manifesti a ebbing missouri [per quanto si incroci con l'acme della pars destruens, fottesega], l'antigone in versione quasi comica, invito a teatro [anche perché va bene andarci anche da solo], alcune momenti di propaganda live [che ti senti meno solo nel bailamme dell'incazzo mainstream], la bellezza che salva il mondo che costa meno di un aperitivo, alcune foto sia guardate che scattate, alcuni post che ho letto e che avrei voluto scrivere io, e qualcuno che ho scritto io che mi è venuto discretamente, le stille di bene [nel senso più lato, laico, agnostico, razionale possibile] che ho intelletto nei modi più disparati, gli episodi che mi hanno commosso, quelli che mi hanno fatto ridere, quelli che mi hanno fatto riflettere, distillando la tintura madre del fatto che spesso, se le cose non vanno male, hai già scollinato. e che si può essere un neuroncino per un fottutissimo mondo che, domani, potrebbe mettersi meglio: quanto meno nel pezzo che ci sta attorno. non basta, ovvio, figurarsi se basta. potrebbero essere solo poche gocce d'acqua in un mare di mmmmmmerda [tipo battir patrimonio dell'unesco, nel mare magnum dello scandalo dei territori occupati]. ma se non ci fosse sarebbe comunque peggio. per questo ogni fottutissima goccia, è fottutamente importante.
tutto questo è construens.
ecco, anche per questo, vorrei continuare con 'sto pattern.
da solo, e se capita in compagnia, che sia intima o meno. 
tutto qui.
potrebbe non essere nemmeno tanto complicato.
ricordandosi, nel caso, di pensare ebbro e decidere sobrio.
ci vediamo al di là di quel piccolo traguardo volante, che si traguarda assieme.

Sunday, December 30, 2018

sulla cosa del post della fine dell'anno [con piccola psicopippa sul fatto si faccia a fine anno] /1 - pars destruens

che poi ci casco di nuovo, nella storia dei due post di fine anno. che fanno un po' bilancio, ed in effetti lo sono.
prima però farei una [lunga] premessa, anche se è una premessa che arriva dopo un incipit.
ho avuto una piccola intuizione, qualche giorno fa, su 'sta storia che finisce un anno e ci si guarda indrio, per valutà la pars destruens e quella construens. non tanto il bilancio, perché quello è un po' un effetto. la causa invece è il fatto della chiusura dell'anno. mi sembrava una cosa un po' naif avercela un po' su, del fatto fosse proprio il trentunodidicembre. per quanto sono ventanni almeno che dedico un pensiero a questa peculiarità da cui, annunciaziò, annunciaziò, vorrei affrancarmi, ma poi mica lo faccio. il fatto è che la circolarità, la periodicità, il ritorno cadenzato, è dentro il nostro essere più profondo, un favoloso e ritmico archepito. perché la terra gira su se stessa, ed intorno al sole. perché la luna ha il suo ciclo, che dura come quello delle donne [magari, 'sta cosa, un giorno qualcuno me la spiegherà se è mai stata abborracciata una teoria su questa coincidenza fantastica]. perché il sangue ci pulsa grazie al battito ritmico del nostro corazon. inspiriamo ed espiriamo con la regolare continuità. quindi quello che torna, con cadenza, intuiamo sia qualcosa che ci è fondante. lo intuiamo chissà quanto prima di quel di cui abbiamo contezza.
di più.
quello che ritorna circolarmente permette di individuare una struttura, una trama, un qualcosa che possiamo pensare di conoscere, di far nostro. se intuisci il pattern, lo hai fatto tuo. se non esistesse pattern saremmo una lunga scia desossiribonucleica che non chiude il cerchio. e prosegue in ordine sparso, come le cifre del pigreco. che non è un caso sia qualcosa che dà i brividi, perché è inconoscibile. è l'infinito dentro il rapporto tra una circonferenza e la sua corda più lunga.
il ritorno delle cose [ci] serve per esserci. perché possiamo trovare il pattern, quindi conoscere. forse è per questo che trovai sconvolgente quando mi raccontarono del teorema di fourier. tutti le funzioni periodiche possono essere descritte con una sommatoria - pesata - di sinusoidi con frequenza multipla intiera della frequenza della funzione, detta fondamentale. se hai il pattern, lo puoi scomporre in cosine più semplici, conoscibili più facilmente.
probabile, così, è per questo che è così sacro - nel senso più laico possibile - la ritualità del finire delle cose, che poi si gettano in quelle nuove, il pattern che si rivela. anche la natura vi si è adagiata sopra. e noi con essa.
che poi questo - convenzionalmente - si demarchi in modo significativo il trentunodidicembre è una formalità. potrebbe accadere lo stesso anche il ventisettedimaggio. ma il fatto che non mi importi più fare il naif con un'altra data è come se avessi fatto pace con la convenzione. non tanto perché la convenzione mi ha avuto. ma perché ho capito che chi se ne fotte darci addosso, alla convenzione dico. accettando il fatto come una vittoria.
fine della premessa.

in realtà, poi, la premessa psicopipponica me la son presa un po' lunghetta perché, a dirla proprio tuttatuttatuttatutta, di pars destruens, nel senso giaculatorio più hard, non è che ne avrei molto da scrivere. anzi. non ne avrei proprio.
cioè.
ci ho anche pensato, neh?
ma in fondo, per dar la tara alle cose che ho dovuto cercare, la cosa più destruens è stato un duedipicche anticausale. peddddddddddddire.
certo che ci son stato di merda. eccome. anche per la beffardaggine che mi è sembrata ammantasse quel baillame da quindicenne deluso.
ma di un fottutissimo, e banalissimo, duedipicche anticausale si è trattato. per giunta una roba congiunturale, mica strutturale.
al limite si potrebbe ragionare sul perché mi sia intestardito su una cosa che - congiunturalmente - non aveva senso. quasi che la struttura mi portasse a queste cazzatelle, per cui son stato di merda, per quanto, invero, per nemmeno troppi giorni.
poi ci si potrebbe arguire chissà che al pensiero che, per reazione, mi ero ripromesso di scopare quanto più e con quante più donne possibili. ed il carniere [trivia questa metafora da maschio alpha-dominante cacciatore panspermartico], è desolantemente e sbertucciatamente vuoto.
poi non ci si dovrebbe nascondere che questo ha dato il la a delusioni verso altre persone e percepite dalle medesime e/o altre. che fanno il filotto al fatto che, qualcuna persona, ho lasciato andare: chi appena conosciuta, chi meno. chi rapido passaggio, chi incrocio importante.
poi ci si potrebbe colleagare il fatto che son finito in quel duedipicche anticausale perché son storto e soprattutto [ancora, a volte] poco addentellato a prendere in mano le cose. e questo può riverberare in altro. tipo zizzagare in un lavoro che è ben lontano dall'entusiasmarmi, per attività, dimensione, ambiente, ruolo [teorico].
poi si potrebbe non dimenticare che alcuni passaggi di sconforto con odg - con la voce incrinata e condotti lagrimari in attività - ci son pure stati. perché la sensazione di soverchiamento, cui è difficile sottrarsi nella pragmatica del quotidiano, sembrava soffocarmi [ed intuendo una certa amarognola sorpresa di odg medesima. roba del tipo: ehi, e 'sta cosa frignosa da dove salta fuori? il fatto non intuissi avvisaglie è perché mi son rincoglionita? o è piccola burraschetta congiunturale da mestruato? [iperbolizzo, naturalmente, come fosse una specie di autodialogo immaginifico di odg]].

insomma, appunto, passaggi.
congiunture.
episodi.
pure quelli per cui non vado fiero e di cui son per niente garrulo.
ma son momenti.
che trovano l'acme in un coglionissimo duedipicche anticausale. capite un due duedipicche?
che poi forse mi riverbera dentro più per scena melodrammatica che pregnanza: per far, appunto, scena.
o perché proprio in questi giorni la solinghitudine, che è amiacugggggggggggina quel duedipicche anticausale, mi fa da pungolo, che però diventa più spuntone non piacevolissimo. ed un po' di malinconia mi assale.
per quanto forse è un fio da pagare a queste giornate un po' particolari. in cui questa sorta di sentirsi dimessi è in sincrono, un gran respiro in simultanea, a quel che accade in quel che ci circonda: le giornate cortissime, il freddo, la sensazione di andatura al minimo, l'eco del letargo che la natura cerca per poi ricominciare. [ri]costruendo il pattern, insomma.

è una pars destruens che non ci piace, ma di cui forse non possiamo far a meno [masochismi a parte, ovvio].
perché serve per costruire il contraltare. perché se non ci fosse il destruens, non potremmo goderci il construens.
ed in fondo, capirlo giù nel fondo, e poter limitare il destruens nelle congiuntura, non è nemmeno più accettare il fatto come una vittoria.
è andare anche un pochettino più in là.
con moderata soddisfazione.
anche per percepire, pensare, decidere il construens, che sta qui, visto che questo è un post bi-partito.

Tuesday, December 25, 2018

piccolo post veloce /5 - natalifero [anche se è un po' lungo]

ieri pomeriggio sono uscito, apposta, per immergermi nel bailamme conformista del natale. ho scattato foto volutamente un po' kitch. "natale, nun te temo", ho quindi socializzato sul feisbuch.
che poi è una specie di prosecutio del post di ieri, in declinazione natalifera.
vivo sensazioni di rasserenante garrulità come non accadeva da millemiGlioni di attimi. e, paradossalmente ma non troppo, proprio oggi ho avuto percezione di come tutto questo aiuti a contenere, ri-assorbire, neutralizzare gli incazzi percepiti nemmeno troppo sotto pelle di alcune istanze di là dentro. che oggi, nelle quiete del posto lavorativo mezzo deserto, sembravano acclararsi più intenso.
quasi una cosa del tipo: fanculo il natale. anzi, sono ancora più incazzato, specie perché siamo proprio a natale.
in effetti c'è da merivliarsi fino ad un certo punto.
forse perché è maggiore lo iato. tra quello che è più o meno indotto dal mainstream, e recuperato dalla nostra testolina bimba, e la percezione di quanto può sembrare incasinato e fottutamente poco garrulo il divenire.
magari anche per qualcosa di puntuale, di un passaggio che capita proprio in questo periodo, in questi giorni.
natale nun te temo, anche perché - con mooooooooooooolta fatica e lavoro - ho recuperato da un fuori asse che a tratti rendeva iperbolico, a tratti ellittico, il tutto. però 'sta sera, mi trovo con una specie di nostalgia per non bene cosa, come quando il cielo - d'inverno - non è azzurro, ma il grigio non l'ha ancora spuntata. o forse non è stato ancora fatto recedere dall'azzurro.
una malinconia lontana, come l'eco delle tristezze che percepisco vicine nelle sintonie affettive, perché acme di questi giorni, o si propagarranno nella vita a venire. che però, fottuto natale, fottono riverberando un po' di più. l'amico daniele, l'amichetta ilaria.
l'eco di ingiustizie troppo più grandi di noi, tra le millemila, tipo i fatti di battir, l'irrazionale incazzatura media che sembra aver intorcigliato le corde vive emotive di sempre più persone. la banalità intellettuale che si fa vanto e cifra stilistica che pare divenire irrimediabile.
fottuto natale.
che questa solitudine quasi ontologica, da rassicurante, proprio in 'sto sembra mostrarmi un ghigno un po' perculante. una cosa del tipo: abbiamo deciso di andar d'accordo, tu ed io, occhei; però lasciami prenderti un po' per il culo, in questi giorni.

per quanto, intuisco se chiudo gli occhi, come la presenza di un qualcosa al di là del portone. tipo la rasserenante garrulità. o tipo del cielo grigio 'ché ancora non ha recesso del tutto all'azzurro. che non sono nuvole, ma una specie di velatura madreperlacea.
e sono quelle situaizoni dove può addirittura spuntare un arcobaleno.
le rifrazioni sulle goccioline di vapor acqueo di raggi solari. per quanto chisssssssnefotte di cos'è in realtà. è comunque arcobaleno.
augurarlo, specie qualcuno tra i quasi tanti, ha un non so che di pelosamente apotropaico. eviterei.
non lo auguro, quindi.
so che intuiranno la presenza al di là del portone.
[non si direbbe, ma potrebbe anche essere un post natalifero].

Sunday, December 23, 2018

piccolo post veloce /4 - farewell strategy

una diecina di giorni fa ho dimenticato, per la prima volta in millemiGlioni di volte, una seduta da odg.
ero convinto fosse per il giovedì. invece era stata fissata il mercoledì. quando ho letto il messaggio sul uotsapp mi si stesse aspettando è stata una cosa del tipo svuotamento e poi riempimento, con tanto di rumore nella mia testa, tipo svvvvvvuoooop-ffffuoooooo per il cambio di pressione intraemozionale.
l'ho chiamata subito. da una parte volendo sprofondare per l'ansia da prestazione miseramente riuscita miserrima, dall'altro con questa sensazione di stranimento, per la cosa nuova che mi si palesava nei pensieri, sulle guance, negli alveoli.
mi ha risposto molto più serena di me. ho quasi intravisto - per quanto si possa intravvedere una cosa al telefono, ascoltanto una voce - un vago odorar di sorriso appena accennato.
ho continuato a riverberare un poco. ma era talmente una cosa strana che l'ho comunicato ad un paio di persone. e così l'amico luca e l'amica paola mi hanno subito fatto notare una cosa talmente banale che non si poteva non intelleggere. per quanto l'inconscio fa un po' quel cazzo che gli pare. e quindi non ho saputo o voluto riconoscere, da subito.
e cioè, che neppur troppo in fondo, era una buona notizia.

in effetti il sorriso appena accennato gliel'ho intravisto, poi, ad odg. quando le ho raccontato della cosa che avevo intelletto.
una cosa da moderata soddisfazione.
condivisa.
chissà quanto, appunto, per la condivisione delle cose intellette - significa che si comunica nella maniera più sopraffina, cosa che aiuta una che fa quel mestiere.
chissà quanto per il fatto di star ad intravvedere la chiusura - parziale, ma significativa - di un suo lavoro.
chissà quanto per il fatto che, come le ho detto - non senza che un groppo in gola, improvviso, di disorientante presa di consapevolezza mi incrinasse la voce e mi inumidisse i condotti lagrimari - non mi senta così serenamente in garrulità da - forse - anni.
io non sono molto abituato andare a chiudere, in un certo modo, un percorso terapeutico. lei è un po' più pratica, per ovvie ragioni esperite.
è probabile si abbia da organizzare una farewell strategy.
che poi quando ne prendi contezza, tutto diventa più possibile.

[vabbhè, non è propriamente un post veloce. ma mi è venuto di scriverlo così, senza pensarlo prima troppo]

Saturday, December 1, 2018

i kiwi e [forse] l'inconscio collettivo, ed altre psicopippe

stamani ho colto i kiwi. è stata una bella sensazione. mi è uscita la psicopippa.

prima un paio di premesse.
premessa 1. mi sento decisamente in bolla, la perezione di quando la voce si abbassa di mezzo tono, per diventare quel briciolo più baritonale, rassicurante, rasserenante. forse financo il battito cardiaco che rallenta un pochetto. tum. tum. tum. quindi la psicopippa quasi metafisica mentre si coglie il kiwi [kiwo?] è roba facile. prova a farla mentre ci sono altri millemila cazzi [reali] che attanagliano la voce e la tendenza alla tachicardia. e vediamo se non viene giaculatoria. però, in tutto questo, la realtà oggi è l'essere garrulmente in bolla. quindi, a culo tutto il resto.
premessa 2. pochi giorni prima che mio padre se ne andasse esclamò: appena sto meglio devo raccogliere i kiwi, prima che arrivi una qualche gelata e rovini tutto. questo a testimoniare[ci] non avesse nessuna contezza delle sue reali condizioni. sinceramente non ricordo se raccogliemmo i kiwi quell'anno. da quello dopo pero sì. sempre verso la fine di novembre, inzio dicembre, prima che arrivi una gelata improvvisa, e rovini tutto.
fine delle premesse.

raccoglievo quindi i kiwi, il cane a scodinzolarmi attorno. c'era pure discreto sole, col tepore interessante del mezzogiorno. il kiwi [kiwo?] si coglie dalla piante femmina, che per fare i kiwi deve averne vicino una maschio, al netto della forzatura di genere: pianta maschio. coglievo i kiwi tirando ciacun kiwi [kiwo?] fintanto che il picciolo riusciva nel suo compito di sostenere il frutto alla pianta. 'ché poi c'è lo stunc e ti rimane in mano il kiwi [kiwo?]. come per la mela, spesso è il picciolo che si stacca dalla pianta, non il contrario. così ho riposto, in quasi cinque cassette, kiwi e piccioli. nel cogliere un particolare kiwi [kiwo?] ho dovuto tirare con un po' più di forza, forse un picciolo più convinto. tanto che c'è stato un lieve rinculo del ramo appena dopo lo STUNCCC. uno strappo un po' deciso.
mi è venuto da chiedere scusa all'albero femmina. e già che c'ero di ringraziarlo per i frutti che mi stava donando mentre li coglievo. quasi nel mentre mi sono reso conto di due cose.
reso conto 1. che ho sempre osservato un po' basito mia cugina [a sua insaputa], ogni volta mi raccontava convinta e ed emozionalta la sua gioia nell'andare ad abbracciare gli alberi del bosco e ringraziarli. approcci, punti di vista bizzarri. che sentivo distonanti, per nulla armonizzanti col mio approccio scettico razionalista.
reso conto 2. quel pensiero di chiedere scusa e ringraziare, non era propriamente un pensiero. era un qualcosa non del tutto razionalizzato, come se sgorgasse dal molto di dentro. pre-razionale. istintuale, anzi no: archetipo. veniva da molto lontano.
ovvio che la sequela di considerazioni mi abbia incuriosito. che [mi] stava succedendo, in una mattina di inizio dicembre, quando la voce è mezzo tono più baritonale? era qualcosa che può confutare il mio approccio scettico-razionalista? mi metterò ad abbracciare alberi?
e con la stessa inevitabile consequenzialità è sgorgata una specie di risposta. molto razionalizzata ma anche molto spirituale. credo si sia trattato di un'eco di inconscio collettivo. quel portato che è dentro ciascuno di noi. è l'esperienza accumulata e sedimentata di tutte le generazioni raziocinanti e forse anche prima. è l'inconscio buono.
certo.
non è stato dimostrato. è uno dei capisaldi dell'analisi. quindi niente roba da scienza dura. non del tutto appagata la parte scettica. però, in fondo, stigrandisssssssimicazzi.
quindi ho anche pensato quanto sia veramente recente il nostro distacco con la terra, con quello che ci nasce sopra, e che peraltro - guarda te a volte il caso - ha contribuito a sostenerci per qualche gazziglionata di generazioni. la rivoluzione industriale/tecnologica è roba nostra da buffetto, rispetto a quanto è il tempo della storia dell'uomo, o di quell'essere con una corteccia che ha cominciato ad essere di una certa fattura. nelle cui pieghe si è infilato l'humus dell'inconscio collettivo.
stavo cogliendo kiwi, stavo prendendo il tepore del sole d'inizio dicembre, rifacendo un gesto che per me ha pure un valore simbolico. ero in un equlibrio omeostatico che vorrei regalarmi più spesso. e nel contempo ero dentro un rito collettivo da cui in gran parte è dipeso il fatto dell'evoluzione della specie. ero dentro un ritorno condiviso, di cui non cogliamo il senso profondo, perché possiamo avere i nostri cazzi, o distratti da millemiGlioni di altre connessioni sinaptiche orientate ad altro, per il contesto in cui viviamo, 'ché non abbiamo patito la fame. ma quello molto più naturale di quanto ci possa sembrare perché era dentro nel vivere i "contatti con la terra" [cit.], non tecnologico fino all'altro ieri, nella storia di noi tutti, portatori di inconscio collettivo. siamo scivolati avanti velocissimi, con i puntini di luce delle stelle che si fa linea allungata. il time warp che ci ha disconnessi e ci disorienta: troppo rapido il salto culturale della crosta percettiva, innestata su una struttura che ha fatto amicizia lunga, e carica di nottate a sorseggiare calici, con quell'armonia ed equilibrio. mi spingo oltre: un rispetto inevitabile, perché non si poteva che far così, e insconsapevole, perché veniva di fare solo così. e chissà quante declinazioni di quel ringraziamento, abbiamo sublimeto ed introiettato. roba che spiegherebbero i dotti antropologi, stimolandomi intellettivamente con un piacere tanto quanto quella erotico.
e questo si è depositato, stratificato, sedimentato, ed è diventato un [rassicurante] bordone di fondo. l'eco che riverbera senza che noi lo si chieda, o lo si meriti.
forse è 'sta roba qui di cui ho percepito la melodia, perché c'erano le condizioni favorevoli nel mentre stavo a raccogliere kiwi [kiwo?]. forse è roba simile a questa quando la cugina abbraccia gli alberi per riappropriarsi di condizioni favorevoli.
nel dubbio, comunque, scettico razionalista continuo ad essere. roba che peraltro non mi ha impedito di osservare la conturbante sinuosità dei due kiwi [nel senso di kiwi femmina e kiwi maschio]. abbracciati e con rami fogliosi gorgoglianti. ne avevo colto i frutti. li ho lasciati lì ad amoreggiare ad libitum.
[ci sarebbe pure la chiusa teleologica, per quanto meno centrale, nell'ottica del post. questo ri-contatto, questa ri-equilibrio, che è frutto della conoscenza e consapevolezza, cui la tecnologia da un primo supporto, oltre che metterci nelle condizioni per sputtanare tutto: sarà abbastanza rapido? oppure, appunto, sputtaneremo tutto prima che la questione ambientale smetta di essere questione ma diventi essenza nostra? perché noi siamo rapidi ed in sufficiente maggioranza a sputtanare. la natura, quel sistema retroazionato al momento in equilibio a noi favorevole, ha tempi diversi. può andare in temporanea instabilità. una temporaneità che significa latenze lunghissime [per noi], ma inesorabili. esce dall'equilibrio, il sistema è controreazionato, per quanto coi tempi suoi, occhei. potremmo financo essere nelle condizioni di portarci all'estinzione. ma non finirà la natura. finiremo noi. i batteri di un [lungo] inverno nucleare, o instabilità climatica definitiva, se ne battono. poco insconcio collettivo, ovvio. ma non hanno nemmeno abbastanza corteccia per doversene fare una ragione.]

Sunday, November 25, 2018

per esserci, le foglie, ci son tutti gli anni

cadono le foglie, tutti gli anni. e tutti gli anni son lì da raccogliere. è la storia del susseguirsi delle cose. che son solo le stagioni a ripetersi. per quanto mai tutte uguali. questa volta, ad esempio, il noce è già tutto esfogliato, l'altro albero - chissà che pianta è - ne ha lasciata andare poche pochine. le altre son ancora su. toccherà spazzarle quando verranno giù. che il ciclo dell'azoto lo si interromperà anche a 'sto giro al praticello autoctono, nel senso di solo erba che è cresciuta senza seminare alcunché.
quella specie di inevitabile potenza della natura, che un po' se ne fotte di te. e, consustanziando il concetto di entropia che non può che aumentare, al limite si lascia addomesticare un pezzetto, a spese di altra entropia per ridurre quella - parziale - del tuo giardino.
quindi ho raccolto alcune foglie. come specie di tradizione terapeutica e distraente. c'era qualcosa di già fatto, vissuto, emozionato. c'era l'idea di quante foglie avrò raccolto già, da quando le raccolgo. c'era la musica che girava, casuale, nelle cuffie. c'era il cane che basta avermi lì a due passi, sempre pronta a seguirmi, per farla felice et scodinzolante: sembra non annoiarsi mai ed io a far qualcosa di molto noioso.
c'era lo spicchio di sole, che ha illuminato di un arancio intenso la punta della montagna di fronte il lago. quasi appena in tempo a far a tempo a bucar le nuvole - che le foglie erano intrise d'acqua, più pesanti del solito, bruma che saliva dalla loro acquitrignosità. c'era il cirro oblungo ad occidente che, diverso dagli altri accanto, colorava di rosso sbiadito, ma che riluce rispetto al neutro assonnato della notte che viene, lì attorno. un cirro solitario, mentre  le luci della centrale elettrica - in cuffia - ripetevano strofe all'ottava più alta.
e c'era questa sensazione di quasi solo foglie.
solo foglie da raccogliere e portare nel posto più lontano, per evitare che il vento le sospinga dove sembrerebbe qualosa di lasciato andare, dimenticato, o arreso al divenire di [certi] eventi.
solo foglie. poco da distrarre, o terapeutizzare - col raccoglier di foglie, ovvio. quasi a domandarsi di quella specie di nostalgia un po' perigliosa. dove sia finita. o se si sia riusciti a finirla.
sta finendo novembre. e son foglie che vengono giù.
che poi, se ci pensi bene, son foglie, sì: ma quelle di quest'anno sono diverse da quelle dello scorso anno. e quelle dell'anno prima. e quello prima e quell'altro ancora. fino ad arrivare a quelle foglie.
son solo foglie.
[lascio in surplàassss il domandarsi del perché. un po' per la risposta che si è fatta largo giorno per giorno. un po' perché ho respirato di realtà ben diverse. ed ora mi domando meno. vorrei riuscire ad arrivare a scriverci. sta decantando. il resto, invece, son quasi solo foglie.]

Thursday, October 25, 2018

piccolo post veloce /3 - malassorbimento

ho idea oggi si sia arrivati a far acclarare un punto topico della questione.
bam.
ho anche idea fosse già venuta fuori 'sta storia. però ci sono delle volte che un'intuizione attecchisce. un semino si aggrappa alla terra. uno ione ne trova un altro complementare. in tutte le altre fottute situazioni omologhe no. ma poi c'è quella che è più omologa delle altre.
e bam.

il punto della questione è semplice.
perché tutto l'esperito negativo, destruens, rimane attaccato, cuba pesi emotivi, s'inspessisce e occlude le prese d'aria.
perché tutto l'esperito positivo, construens, scivola via, non si compatta, si nebulizza ed è assorbito dal divenire delle cose.

ed il resto viene di conseguenza. e si insinua in ogni purtuuussou. con i secondarismi che ne seguono [momento rimembrante, scattato in questo mentre, che non pensavo di metterlo nel post, ma è venuto, struggente, quasi a confermare il punto di cui sopra. e quindi lo scrivo. secondarismi è anche il termine con cui i medici indicano le metastasi. c'era scritto secondarismi nel foglio di dimissioni di mio padre, quello dell'ospedale con cui lo rimandavano a casa, a chiudere i giorni. fui sollevato in quel contesto, pensa te, a volte, quanto poco ti basta per succhiare un alito di umido per dissetarti. sollevato perché c'era scritto secondarismi, e quindi quand'anche avesse letto, non avrebbe letto metastasi. 'ché lui non sapeva nulla, e non avrebbe dovuto sapere nulla. così decise mia madre. fu una delle cose più difficili e - di nuovo - struggenti di quel mese. l'istanza che sognai per mesi, dopo: lui che ne seogno sapeva, e sembrava avessimo fallito, noi. a proposito di cubare pesi emotivi. ma tant'è.]

quindi, dicevo: consruens no, destruens sì. ho idea che il bersaglio grosso sia questo.

ci son davanti due strade.
a sinistra si cerca di capirne il perché.
a destra si cerca di prendersi il construens e di buttare un po' di denstruens.
la prima è analisi, ma come se fosse coazione a ripetere, l'autosimilarità frattale.
la seconda è sintesi, fare un muscchietto con le mani racolte a coppa, soffiarci dentro, e cominciare a fare. pragmaticamente, cognitivamente.
viversela.

Wednesday, October 17, 2018

post genetliaco: l'amico taNielo

[piccola premessa. non ho riletto. può esser un florilegio di refusi. il senso però c'è tutto]
oggi compie gli anni l'amico kuso.
l'amico kuso può essere definito, senza timor di smentita, l'amico storico. non foss'altro che si fece l'asilo assieme. una foto in cui lui ed io, assieme a bimbi col grembiule verde e rosa, disposti più meno in cerchio, si regge col braccino alzato una specie di filo argentato natalizio, verosimilmente durante una recita natalizia, a ridosso della ricorrenza nataliazia di metà anni settanta, stante le suggestioni e le invezioni natalizie delle suore, lo testimonia. in quella foto l'amico daniele portava già gli occhiali. io avevo già la faccia incazzosa delle foto.
poi per una serie di coincidenze non si è mai più riusciti a studiare assieme.
l'amico taniele uscì colllottimo dalle scuole medieue, benché né lui né io si partecipava alle omonime feste [semicit.]. anche perché lui comunque aveva l'aria del secchione. e molto probabilmente non si batteva chiodo.
ricordo che lui si tagliò la prima peluria sopra le labbra, quella vaga prima intuizione di baffosità adolescenziale, dopo di me. ricordo che si era in corriera e pensai: minchia, ma non farebbe meglio a tagliarseli? per non glielo dissi.
a proposito di corriera.
lui studiava da giometro, io da perito. credo che in fondo la scelta fu non del tutto azzeccata per entrambi.
però ricordo che se c'è qualcuno che associo al concetto irriverente di volontà che avrei cambiato il mondo - e convinzione, visto che a quindicianni si può essere diversamente dei pirla - è esattamente lui. forse proprio sui sedili della corriera che ci portava alle superiori. proprio una specie di associazione da madleine emozionale: con chi cambierai il mondo? con l'amico daniele.
in quel periodo si frequentava l'oratorio. e noi si era un po' quelli sui generis. si andava il sabato di carnevale a bere del latte al bar, con spaccona assertività. si parlava dei massimi sistemi e di come li avremmo capiti e re-interpretati. lui mi sembrava pure più bravo di me, più intenso, come cattolico dico. fore anche perché con lui non si parlava mai di donne. di ragazze, insomma. sembrava che proprio l'articolo non gli interessasse. una distrazione per i ragazzi normali, che hanno il buon tempo di pensare a cose così materiali e pre-borghesi. manco mai pensato fosse ghei. sembrava proprio avulso, oltre su piani percettivi, emancipato dall'incubo delle passioni. mentre io invece proprio mi struggevo. continuavo a non battere chiodo, stavo costruendo solidissime basi alle mie nevrosi affettive, ma comunque ero molto inturbinato nella fazenda femminea.
e niente.
poi, poco prima della maturità, l'amico daniele abiurò. fino a tre mesi prima sembrava che addirituttura ventilasse l'idea di farsi sacerdote. e invece abiurò. e divenne quella cosa che mi sembrava qualcosa di inconcepibile. mi chiese di non rompergli i coglioni. lo fece a suo modo, pacato e quasi in modo ermeneutico con un biglietto dentro un libro [non vorrei ricordar male, ma era quello di riserva di letteratura].
la cosa mi scioccò non poco. un po' perché ero invasato a mio modo. un po' perché sentivo venirsi a creare una crasi importante.
anche perché se ne andò a torino. voleva fare l'ingegnere minerario.
io andai a milano. a sbagliare a far l'ingegnere.
quella di tipo religiosa non fu l'unica inversione di marcia con raggio di curvatura strettissima. ma mentre diventava ingengere - mi dicono - passò dall'essere un facente funzione ghei, nel senso che non gli interessa la gnagna, a schiantatore di gnagne, con - pare - estrema soddisfazione delle portatrici di gnagna. [la mia ironia, ovviamente, savasanddiiiirrr, è perché sono invidioso].
è vero, prima di cominciare a inanellare [c'è un sottilissimo doppio senso] successi, passò per il viaggio, in treno, per due terzi di europa con in mano una rosa. voleva consegnarla ad una norvegese [?]. la nordica che - mi dicono - forse non valeva nemmeno mezz'ora di metro, non capì la portata del gesto, o forse lo capì benissimo. e non sembra apprezzò. cazzi, suoi, perché poi dopo accadde quel che accadde all'amico daniele. che nel frattempo diventò il kuso. d'altro canto sulla rubrica sono 17 anni che c'è, appunto, danikuso.
perché poi ci si è re-incontrati. ed è grazie a lui che ho conosciuto gente che ora è decisamente importante per me. all'inizio mi ero quasi ricreduto che ci fosse pure qualche donna. poi non andò esattamente così. ma va bene così uguale.
ecco.
la storia della rosa fino in norvegia è emblematica.
perché l'amico kuso è tipo che fa di questo genere di cose, sui generis. in termini di generosità e tentativo di essere amicodituttttti. pure troppo a volte.
forse è da questo che nasce qualche scazzo.
che non riesco a intuire del tutto la razionalità di quella tropposità nel darsi.
è anche per questo che lavora in maniera abnorme, consumando un'energia relazionale, fisica, mentale, che non capisco mica come si possano reggere questi ritmi, per tutti questi anni. davvero è cosa che non riesco a spiegarmi.

in termini di abiura e apostasia, l'ho superato di gran lunga [mi verrebbe da dire a sinistra, nel materialismo scettico]. o forse lui vagola per altre dimensioni frattali. ed a volte, figurarsi, ci si confronta convintamente [ie, con spigolature] perché si è, si ha la percezione di, essere distanti. io nella razionalità che vuole spiegare tutto - aiò, d'altro canto sono nevrotico - lui nel suo lasciarsi andare quasi metafisicamente in un modo tutto suo. e quando quel paradigma si fa troppo sui generis ho qualche difficoltà. [o forse sono decisamente un gran rompicoglioni].
è insomma tutto un miscuglio di cose.
tanto che, quasi un anno fa si scazzò in maniera importante. o meglio. io ci rimasi molto male, per una serie di ragioni che non sono funzionali all'economia di questo post. tanto per cambiare mi ritrassi e mi feci desiderare, con zero voglia di re-incrociarlo. con un'eco di quella scottatura che mi doleva.
tant'è.
poi accadde che io giorno del mio compleanno trovai il suo sms, come prima cosa quella mattina. e la giornata virò in maniera che ancora oggi ricordo in maniera viva. virò, ovvio, in meglio.
ecco.
è un po' 'sta cosa qui. il tenuto dentro per tutto 'sto tempo.
il suo compleanno.
e la consapevolezza è bersagliato da istanze rompicazzo che, molto probabilmente, stenderebbe un toro, o quanto meno una consistente quasi totalità di persone del mondo occidentale. dal punto di vista tecnico posso dirgli che non lo invidio.
non solo.
qualche settimana fa mi disse che aveva deciso di lasciar la casa in affitto. a dirla tutta è almeno un lustro che la butta lì, 'sta cosa del lasciar la casa in affitto. anche se dovrei esser l'ultimo a notare questa cosa, considerata la mia ontologica e quasi definitiva inazione. e mi anche aggiunto che secondo lui questo sarebbe stato la prima tesserina del domino, che cadendo avrebbe innescato una serie di eventi positivi via via crescenti. "mi sblocco e diamo il la ad eventi che andranno a migliorare la condizione".
ricordo di aver pensato l'eventuale mia paura, che il mio approccio, forse, sarebbe stato: diamo il la ad una seria di eventi, speriamo che alla fine non mi trovi con un ginocchio nel culo [sì, diciamolo, è di nuovo un periodo così].
ecco.
in quel mentre ho percepito lo iato tra lui e me.
io nella mia ossessiva necessità di tener tutto sotto controllo, razionalmente.
lui in questa sorta di speranza, forse incosciente, ma pur sempre speranza.
e se ripenso a mio padre, tutto sommato, mi sa che hanno ragione loro.
e quindi nulla.
ho la vaga idea che il regalo genetliaco se lo stia comunque facendo lui.
cos'altro augurargli che abbia ragione? [ragione, non raziocinio].

tanti auguri kuso.
[non rileggo e pubblico].

Sunday, October 14, 2018

piccolo post veloce /2 - autocontradditorio

e in ogni caso pensavo anche che è un po' tutta una contraddizione.
nel senso che:
  • tecnicamente sono un analitico compulsivo;
  • tutto sommato ormai ho la consapevolezza di un gran bel numero di cose in più. tra le altre:
    • di quando si stanno attivando dinamiche - ormai - note. e comunque rompicoglioni. che al limite mitigo;
    • di quando mi sto infilando in cul de sac nevrotici. comunque rompicoglioni, che guardo scorrere, mitigandoli o meno;
    • di quanto non si debba perdere di vista il principio di realtà;
    • di non rimanere schiavo del principio di realtà;
    • di come ci siano una fottia di cose per cui so di essere fortunato [in termini scettici] et privilegiato. nonostante qualche situazione di grado di separazione vicino più fortunato  [in termini scettici] et privilegiato;
    • che a prenderla in culo dal caos del caso è un attimo, e non solo per tutte le notizie di grandissssssssssimi cazzi di situazioni, con pochissimi gradi di separazione di distanza; 
    • che il tempo non solo non è così tanto, ma non gioca propriamente in mio [nostro] favore;
    • soprattutto di come il blocco principale stia nell'azione. che non metto in atto.
  • l'azione, le poche volte si sintetizza, per sua natura, non trova ospitata in un post.
  • che le considerazioni, di consapevolezze, frutto di macina di analiticismi compulsivi, possono finire in un post.
quindi se il busillis è il troppo compulsare e il poco agire, ci dovrebbero essere sempre meno post. veloci o meno.
oppure significa che sono cazzi compulsivi.
è tutttttttunpost contradditorio.

Saturday, October 13, 2018

piccolo post veloce /1

qui scrivo abbastanza poco. per quanto invece molto prolisso. e mi son reso conto che un sacco di cose, invece, le scrivo sul feisbuch.
odddddio, un sacco. qualcosa che forse una volta, in un altro blogghe avrei appunto scritto sul blogghe.
e nel contempo mi son reso conto di quanto, altresì, mi censuri. nel senso che avrei il prurito del ditteggiar sulla tastiera. ma non lo faccio. forse per una sorta di [preoccupante?] timidezza. forse perché, di primo acchito, non mi sembrano così interessanti. forse perché comincio ad avere la sensazione che, tutto sommato, alcune cose sono cazzi miei e non serve li racconti ai quattro venti. al feisbuch, per primo. che è un po' una contraddizione di termini. perché altrimenti uno dovrebbe levarcisi da lì.
e poi, oddddddddio, ai quattro venti. in fondo è pur sempre quella bolla di 20-30 persone. e si ha la percezione di scrivere urbietorbi. son dinamiche strane, per quanto nemmeno così stravaganti. hanno tutte un loro perché.
e poi, mettiamola così: sul feisbuch son con nome e cognome. e questa cosa mi fa specie, se mi vien da scrivere qualcosa di abbastanza mio. le cazzarate, o le prese di posizioni con altri mezzi espressivi è altra roba.
nel blogghe mi sembra sia una cosa più intima. per quanto vestigiale un bel cazzo.
e qui la bolla son 5-6 persone. ma tant'è.
quindi boh.
mi è venuta 'st'idea dei piccoli post veloci. qui. per noi cinque-sei. o forse solo per me, per adesso. chi lo sa, per un domani.
[che poi, magari, riesco anche a rileggerli e togliere qualche refuso].


Thursday, September 27, 2018

il primo franzen e le tette della libraia

oggi ha riaperto la libreria centofiori.
quando apre una libreria credo sia - più o meno sempre - un bel giorno.
c'ero stato, qualche tempo fa, non ricordo esattissimamente cosa presentavano quel giorno. ma ho come il vago sospetto - che peraltro mi è sovvenuto in questo preciso momento, mentre scrivo, giuringiurello - che in quel periodo stessi leggendo "le correzioni". quindi si tratta di tardo ottobre 2013. un periodo di transizione. come il passaggio all'autunno più duro. quello che la luce ormai latita, ma è ancora lungo da arrivare al nodo minimo delle albe e tramonti vicini. insomma. quel periodo un po' di merda lì - dal punto di vista della stagione, ovvio.
comunque.
c'ero stato in quella libreria. e la libreria aveva chiuso qualche mese fa, e mi ero perso la notizia.
oggi ha riaperto.
poi vabbhé. tra chi riapre c'è uno un ex feltrinelli di piazza piemonte, forse la più fighetta di tutte. quindi riaprono personaggi di un certo mood della milano di un certo tipo. che però - cazzo, cazzo, cazzo - un po' mi titilla e che sento vorrei esserci un po' dentro lì. e non solo - certo non solo, anzi - per i fenotipi femminili che possono appartenervici. roba per nulla nazionalpopolare, in generale, mica i fenotipi femminili. roba per nulla siamo gente che sta in periferia. roba che è in certi contesti, più o meno culturali. ma non proprio del popolo. roba che credo diventi difficile entrarci con la scala sociale. specie per un orso intimidito come me - soprattutto senza nemmeno un calice di vino vellicato. specie in italia. nonostante milano.
quindi non sarà stato proprio un caso che ad un certo punto è spuntato il sindaco. in maniera formale e privata. ma se il cazzo di sindaco fa capolino all'inaugurazione di una libreria indipendente, e nemmeno così enorme, beh. sì. insomma. non lo gestiscono dei nazionalpopolari.
quindi non sarà proprio un caso che, ad un certo punto, è spuntato uno che mi son detto: cazzo, ma quello lo conosco. dov'è che l'ho già visto? sarà in qualche evento simile. però ho anche la sensazione sia pure un minimo famoso. e poi alla fine era gaetano liguori. non sapete chi è gaetano liguori? beh. si vive uguale. però al pianoforte son vaibrescion che levete. compagno, neh? ma probabilmente con l'attico da qualche parte in centro.
vabbhé.
comunque.
ho bevuto. ho mangiucchiato. e poi mi son chiesto se da qualche parte ci fosse franzen. quindi ho cercato per autore, sezione narrativa. e li ho trovati.
c'erano i tre più celebri. libertà, purity, le correzioni. in questo ordine. da sinistra a destra. e nel senso che erano proprio tre volumi tre.
al che mi son detto: però, cazzo, voglio essere il primo che compra un libro di franzen nella nuova gestione. son piccole cose da maschio per nulla alfa-dominante. e così ho fatto.
mi son messo in fila alla cassa - con molte sovrastrutture ormai sciolte nei calici di vino - quando è venuto il mio turno, brillantemente, ho esclamato: chissà se questo è il primo franzen venduto in questa nuova vita della libreria. e porgo la copia de "le correzioni". la commessa libraia mi ha guardato, sorridendo con le sua arcata superiore quel filo pronunciata [eufemismo] per poi riempiermi di soddisfazione sostenendo: direi che sì è proprio il primo franzen che vendiamo, e d'altro canto questo è il più bello che ha scritto.
son piccole gioie.
nel mentre si è chinata sul registratore di cassa, nonché aggeggio per la carta di credito, spalancandomi, inevitabile, la visione del suo decoltè. nulla di particolarmente eclatante. però senza lasciar quasi nulla all'immaginazione. si è visto quasi tutto. verosimilmente i capezzoli conici. verosimilmente, perché un po' per rispetto non ho voluto confermarmi con ineccepibilità oftalmica, un po' per l'illuminazione non del tutto favorevole. insomma non ho la certezza di averli visti distinti. ma ho idea ci fossero tutte le condizioni, considerato l'approccio lasco del maglioncino e del reggiseno.
roba che sarebbe stata stigmatizzata dai coniugi anziani delle correzioni [cosa che invece mi avrebbe invitato a fare uno dei tratti, desiderevoli e forse un po' ossessivi, di questo periodo].
roba da portare al di qua della deviazione secondo gli stilemi della buona borghesia.
roba da correggere, insomma.
la cosa interessante è la riottosità inevitabile a quelle correzioni. per incroci banali nel mio caso, in milionesimi. per la maestria di franzen nel raccontare la reazione - anti-correttiva - dei figli di quei coniugi [la foto di copertina è un capolavoro di sintesi cinestesica di quella riottosità, che costa anche una cazzo di fatica e un muso lungo].
le correzioni.
avvengono. ma non è mica detto che riescano.
[peraltro, per una certa coerenza, quel libro, quel primo franzen della nuova libreria, lo regalerò, a breve. mi lego a questi piccoli episodi qui, io. ed ho il vago sospetto che sia anche per questo che non concludo una beata minchia. non è roba da maschi alfa-dominanti.]

Sunday, September 16, 2018

voglio la pinta. non m'importa se cinico. voglio la pinta. [è che poi chissà se riesco a bere]

ho la vaga sensazione mi vogliano mostrare la birreria. ammiccando che vi si sta bene, insaid, e fermarsi per un [bel] po'.
ho la vaga sensazione. quindi potrebbe essere l'effeto di quei fumi del far un sacco di schiuma, tanta, di quel compulsare di cui i tre post precedenti.
perché è una vaga sensazione.
che mi stuzzichino con gli arredi. con i colori caldi. con la percezione avvolgente dell'atmosfera del locale. con gli specchi larghi e slanciati, che ti sembra che tutto sia più grande, bello. con la rilassatezza del vociare garrulo e conviviale. con le tubature delle spine, sinuose, puntellate di goccioline, cromate, tirate a lucido. con l'illuminazione studiata che vi punta sopra a farle rilucere. con la modanatura del bancone. con l'elegante pinguetudine dell'imbottitura degli sgabelli. con le foto alle pareti. con la solidità del legno del tavolo, dove si posa il gomito, che fa da sostegno all'avanbraccio, al polso, al palmo della mano chiuso a pugno, su cui si poggia lo zigomo, di un viso messo di sguincio, perché osserva proteso e calmo il racconto di chi hai di fronte. che ha un viso messo di sguincio, con lo zigomo che sfiora nocche di una mano chiusa a pugno, rastremata ad un polso sottile, e quindi un avanbraccio che finisce nel gomito posato sul legno solido del tavolo. con i menù ricchi di piatti sfiziosi, che sono sempre a disposizione, e non sono mai finiti quando li ordini. con la giovialità dell'oste, amico di tutti, confidente prezioso, consolatore dei delusi che afferrano il loro boccale con entrambe le mani e gli avambracci lunghi sul bancone - modanato.
con l'idea che in quella birreria si stia veramente bene. che a guardarla da fuori. specie di notte. specie se fa frescazzo. specie quando si è soli. come si fa non voler desiderare di cogestirla?
ho la vaga sensazione. ma potrei ovvio sbagliarmi. che non vogliano cogerstire alcunché. o che toccherà a qualcun'altro. anche per il solo fatto di essere più deciso, pronto a farlo. chi sta nel posto giusto nel momento giusto.
vaga sensazione. ovvio.

io voglio un paio di pinte di birra. invece. non aggiungete altro. prima voglio subito la pinta di birra. che tanto consumerò con velocità, in modo anosmico, che non mi permetterà di poterne vellicare il sapore. sono talmente cinicamente assetato che va bene anche sbrodolarmi, con una prima pinta di birra. subito. appena intuisco che me la si vuol servire. c'è una birreria. una pinta, subito. che poi magari voglio provarne subito un'altra.
voglio una pinta di birra.
è cinico. è egoista. è da etilista mancato. ci vuole anche un po' di faccia tosta. urlarlo quasi da fuori la birreria: voglio una pinta. punto.
[solo che poi, quando danno l'idea di cominciare a spillare, sarebbe coerente rimanere. per afferrare, con entrambe le mani, il boccale. meglio far la figura del bevitore a debito, che dell'astemio. al solito, il problema, è coniugare il verbo fare.]
voglio un pinta.
subito.
prima la pinta.
dopo, soltanto dopo, ragioniamo su tutto il resto.
[ecco. ci son cascato di nuovo. ragionare. il vizio che mi obnubilerà]

Wednesday, September 12, 2018

spin-off dello spin-off del post del buon analista [distocazzissimo]

e quindi gNente. a proposito dell'evento corrierifero dell'ultimo uichend. di cui i riverberi nell'altro post.
uno dei più toccanti è stato quello sulla condizione carceraria delle donne.
c'era - tra gli altri - come relatore vittorio andreoli, che un po' ci fa un po' ci è ad essere lo psicanalista che sembra stia abbastanza sulle nuvole, o nel suo mondo [fatto di cazzate [cit.]].
e quindi c'è 'sta cosa che ho scoperto/intuito/baluginato/psicopipponato da lì e poi a discendere da lì.
ho scoperto che per ogni donna carcerata in italia ci sono ventiquattro uomini. detto in altri termini: le donne sono il 4% della popolazione carceraria. ed è così praticamente da sempre. quel numero, quella percentuale, immagino lasci un po' basiti. così è stato per me. così il fatto che anche quando - in parte - le donne hanno cominciato ad emanciparsi, ad uscire - in parte - dalle quattro mura del focolare domestico, non è cambiato granché. circa il 4% era, circa il 4% è rimasto. emanciparsi significa - anche, ovvio - dare sempre più possibilità sociali, relazionali, topologiche di essere in quei contesti in cui gli uomini delinquono. un effetto dell'emancipazione, avrebbe potuto essere che le donne cominciassero a delinquere un po' come fanno i maschi. per quanto si sia ben lontani dalla totale emancipazione. e invece non è successo.
sembrerebbe che le donne delinquano meno.
sembrerebbe...
è un dato di fatto, corroborato da una serie storica.
ovvio che, anche per uno non necessariamente compulsivo psicopipponico come me, il passo dopo è chiedersi: perché?
sbobino gli appunti presi sullo smartofono dell'intervento di andreoli. perché gli stimoli saranno pure di andreoli e del suo porsi coi ricci coerentemente forastici. però son le cose che mi son passate in mezzo. ed ho voluto appuntare.
in sintesi.
le donne delinquono di meno degli uomini perché sono diverse. [e fin qui...]
c'è una differenza biologica. nel fisico, ovvio, e nel cervello. il cervello di una donna è diverso dal cervello di un uomo. diverso non significa migliore o peggiore. è diverso. punto. e la cosa affascinante è che è grazie alla diversità si può attingere al grande dono della complementarietà.
c'è una differenza di personalità. e, soprattutto, la personalità è un qualcosa di plastico. muta con le esperienze, proprio perché il cervello è plastico. la qualità non sta nella massa, ma nella quantità e qualità dei collegamente sinaptici interni. e a fronte di istanze, di cose che non vanno, di situazioni esecrabili, non si può mai dire: non c'è nulla da fare. questo, in carcere, ha veramente la valenza e la potenza [in potenza] delle cellule staminali. sembra la sostanza corroborante del dettato costituzionale: quello che dice che il carcere deve avere uno scopo rieducativo, non punitivo. sembra che le donne, nei fatti, mediamente, lo recepiscano meglio degli uomini. e sappiano quasi [s]fruttare quel momento, per cominciare a ricominciare una vita.
e c'è una differenza di visione d'insieme. mediamente, ovvio, che si potrà pure inciampare nella storia del pollo di trilussa, però dà la vista di prospettiva, attraverso l'esperito di quella parte metà del cielo.
la donna è accoglienza, è speranza dell'attesa. c'è una costituzione fisiologica. c'è il fatto che concepire, gestare, partorire una creatura necessita di quelle cose lì. e se - per fortuna - la realizzazione di una donna possa anche non passare necessariamente per la maternità, le possibilità è la predisposizione è quella.
la visione dominante della donna è il noi. quello dell'uomo è l'io.
[che poi ciascuno di noi conosca casi in cui si confutano sia l'una che l'altra delle cose è pulviscolo statistico]

io lo so che 'sto post non restituisce quell'emozione. forse anche per il fatto lo abbia scritto solingo, nella stanzetta giorno/notte. alla fine dell'ennesima giornata massacrante. mentre all'incontro eravamo in una stanza e ci si guardava molti nel viso di un altro, attorno ai relatori. ed eravamo in almeno un paio di centinaia. maschi, meno di venti. ovvio che le vaibrescion, d'insieme, han giocato un fottutissimo, lisergico [e bellissimo] ischerzo.
in mezzo a tutte quelle donne, che si son sentite cantate, ammirate, riconosciute nella loro unicità. e che quindi diventano ancora più belle. nel senso più profondo e fondante di quello che tutto questo può significare.

[ed anche in questo c'è la tensione disarmonica del mio insieme. vivere quelle vaibrescion, e sentire presente, prepotente, quella tensione al basso ventre, le mani che affondano ad afferrare seni sodi e tutto il soft-porno del post precedente. sono io. siamo sempre noi. anche la più bella donna che si traluce in quelle vaibrescion angelicate, deve sapere e voler vivere nel modo più intenso l'acme nella carnalità dell'incrocio lubrico [si, insomma, i muscoli pelvici vibrano comunque, durante il gemito dell'orgasmo][per quanto in quest'ultima parentesi c'è un salto furbo et surrettizio, che non mi sfugge]. sono loro e sono io. e quelle parti che fatico a raccordare, per chissà quali motivi [per quanto non so più quanto sia importante conoscere quali possano essere]. con le mie tensioni contrapposte, anzi, com'era?... scomposte. ovvio che poi uno, alla fine, rimane sul posto esausto. e tutto il resto scorre via, dalla bicicletta, alla barca a vela, qualunque mezzo è buono, per garantirmi l'immota distopia]

Monday, September 10, 2018

spin-off del post del buon analista [distocazzo]

forse c'è una specie di propaggine, che esce dal post del buon analista, di qualche giorno fa.
quella specie di eco, di riverbero sulle istanze di quella roba là.
ed il gran vociare - da cui, appunto, l'eco - è stato pensar bene di infilarsi nei tre giorni della triennale de "il tempo delle donne".
naturalmente c'era dell'ironia, se non si era capito.
l'ottantapercento delle partecipanti erano donne.
di cui un buon ventitrentapercento a loro modo - esteticamente - interessanti.
di cui una certa espressione di una specie di - apparente, neh? - buona borghesia illuminata.
[parentesi piccolo flusso di coscienza: e se forse mi scoprissi [definitivamente?] attratto da quella roba lì. non è cosa che mi lasci così indifferente. è una specie di [s]confessione. dopo aver quasi abiurato quel tipo di aspirazione, quasi vent'anni fa, riscoprirsi un po' [troppo?] attratto da un mood esistenziale, diciamolo, anche piuttosto fighetto. [o forse è la reazione al fatto che adesso quel tipo di mood sia oltremodo molto meno mainstream... boh]. e non nascondo che sia del tutto scorrelato questo strano desiderio di serie1 bmw [per quanto sconsigliata dall'amico luca]. che io proprio non ci sono nato in quel mood. ed il fatto ci aspiri, ma decisamente non vi ci appartenga, è forse la nuova versione delle tensioni snobbbbe di una mia prozia, che invero non ho mai conosciuto. ma di cui mia madre ha sempre parlato con tutt'altro che affetto. la zia contessa, la chiamavano. frustrata per quello che non è riuscita a realizzare, o realizzarsi. come fosse stata inevitablmente distopica, anche se allora quella parola non era di moda come ora. ed io intuisco una specie di filo diretto con alcune delle mie nevrosi, perché è risaputo che questo mio lato viene da quel lato di famiglia [per quanto odg, verosimilmente mi cazzierebbe [in modalità terapeutica, ovvio] per il fatto affibbi termini su cose e di cose di cui non ho particolarmente competenza. in fondo ho studiato ben altro]].
comunque.
che è successo da riverberare così tanto?
è successo che ho visto un sacco di giornaliste, che moderavano eventi, raccontare del fatto facciano un lavoro bellissimo, di cui sono molto felici. ed io non faccio fatica a crederlo. senza scordarmi che non sarà tutto rose e fiori. e che forse se la raccontano anche un po', e ce l'hanno raccontata. però ho avuto la sensazione non fosse poi così tanto, quel un po'. [ed io continui con un lavoro che non mi piace, e non mi adoperi nemmeno così tanto per provare almeno ad uscirne].
è successo che in tante situazioni sono usciti ragionamenti et suggestioni, quando non banali, quanto meno ben lontani dall'essere così epifanici, o illuminanti, o che potessero mostrare uno volo importante rispetto ad [auto]ragionamenti et [auto]suggestioni che ho ragionato et suggestionato tra me e me svariegate volte. sì. insomma. senza voler esser troppo sbruffone: avrei potuto raccontarle pur io, un sacco di cose che son state raccontate. mentre ora sono lontano, lontanissimo a far qualcosa di simile [invero pagato non malissimo, per quanto noiosissimo et frustrantissimo, in potenza].
è anche successo che, comunque, alcune suggestioni da farti esclamare UAU! - in modo figurato, ovvio - sono pure arrivate. in un paio di occasioni mi son spuntate pure alcune lagrimucce, toste asportate con maschie simulazioni di "mi è entrata una bruchetta nell'occhio" [cit.].
è anche capitato che in alcuni istanti mi sia capitato di intravvedere una specie di intuizione importante, profonda, fugace, baluginante. e che potesse esser utile a capir meglio la stonatura che ho dentro. l'eccentricità che mi sta stare in bolla molto a fatica. una cosa del tipo le parti dell'uno che non si accordano, nel senso musicale del termine. [e l'esempio più facile et trivio, quasi banale e deludente, potrebbe essere, questo tirar da una parte e dall'altra. dal rimanere inebriato dalla femminilità - potentissima - di alcune donne, quasi da contemplare e basta, che convive colla pulsione irridente, col desiderio asfissiante sublimato di affondare mani lascive ad strizzare seni rigogliosi, quindi titillare con pollice et indice capezzoli turgidi al centro di areole vaste e rosate - e la sublimazione sta anche nel dettaglio, da porno imbellettato, di quest'ultima parte di descrizione].
è ho capito, in fin dei conti, che sia partito di nuovo il motorino del frullatore analitico-psicopipponico. quelli che fanno quel rumore acuto trtuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. ma di fatto, di nuovo, sia rimasto incagliato nel solo pensare. e non agire.
smoccolando, pure, per giunta, per questa specie di distopia ontologica.
capire, capire, capire, forse sempre di più. senza aver ben chiaro quanto il capire possa essermi davvero utile. quanto e quando riuscirà a farmi uscire dall'autoinganno del: [daquesta insoddisfazione di fondo] ne ho prese davvero un sacco, ma quante gliene ho dette...ahhh, quante gliene ho dette.
sono stanco di prenderle. sono stanco di girare a vuoto e mulinare braccia et manate a caso, all'aria voglio smettere di capire, che tanto non ce la farò mai del tutto. e muovere il culo.
[pensare, e non agire. sabato sera , dopo alcuni eventi, son finito ad una specie di concerto da cortile di palazzo. c'era una che se ne stava sola, con le sue due treccine attorcigliate su loro stesse, raccolte con delle mollette. ascoltava il concerto. sembrava intimidita. coll'occhione un po' spalancato. non era esattamente giovanissima. niente trucco. un viso quasi pre-raffaelita, pulito, acqua et sapone, niente trucco [poche tette, comunque]. ovviamente l'ho osservata - cercando di capire perché mi aveva colpito - e poi osservata - non capendo esattamente perché mi aveva colpito. quindi mi sono avvicinato, mentre suonavano, continuando ad osservarla di sottecchi - pensando a come avrei potuto, nel caso molto remoto, attaccare bottone. lei non dev'essersi accorta di nulla. di me, men che meno.
alla fine ha preso la bici, e se n'è andata.
sola.]

Monday, September 3, 2018

e la veronica portò una bulaccata di briosche per il suo addio

oggi ha terminato di lavorare colà la veronica.
la veronica stava colà per conto di quelli con l'accento sul futuro [mecojoni]. a dirla tutta è una delle prime volte che ho a che fare con una di quelli con l'accento sul futuro, che mi è sembrata fosse sul pezzo [anche se qualche uscita un po' a minchia gliel'ho sentita dire, quando voleva fare pure quella supertecnica].
poi sì, diciamolo, la veronica è una gran bella donna.
ma non per questo ho avuto la sensazione fosse sul pezzo.
anzi.
a dirla tutta ho comincio a maturare una qual ritrosia per questo genere di personaggi. perché so [potenzialmente] di subirne il fascino, come peraltro il novantapercento dei maschi, alfa o nu dominanti che siano. ma proprio perché so di [potenzialmente] subirne il fascino mi arrocco guardingo. e quindi divento financo più pretenzioso. [anche per questo la sua collega, verosimilmente più carina e con due tette decisamente marmoree et importanti, forse non ha proprio il vuoto pneumatico in testa, come mi son sempre dimenato di ribadire. ma solo un po' di zucca vuota. anche se soprassiedo sul fatto azzerbini metà dei suoi colleghi diretti. ah, quanto è dura esser servi della gleba lavorativi].
e poi la veronica è toscana.
quindi anche solo quando parla, potenzialmente, potrebbe cambiarmi la chimica della stanza.
sì. insomma. credo sia decisamente brava. ed una gran bella donna.
in passato avrei perso la testa per una come la veronica.
ma non è per questo che scrivo un post sulla veronica.
né perché quella ragazza ad un certo punto mi ha incuriosito. incuriosito perché il dubbio che mi resta è quanto della sovrastruttura da coordinatricediprogettodiquellichehannol'accentosulfuturo sia sostanza ontologica. o quanto sia necessario andare di spatola per staccargliela via, la sovrastruttura - tipo cambiare la batteria agli smartofoni di oggi, che devi intervenire coi ferri del mestiere. o quanto basti uscire da colà, per una birra, [per quanto, di prendere una birra, non mi sono mai arrischiato di proporle] e vedere una persona un po' diversa.
magari senza quella risata che ho sempre avuto la sensazione fosse - fondamentalmente - un po' tirata. magari senza quell'ansia prestazionale di esser sempre quella sul pezzo di tutti i pezzi, con chiaro in testa chi dovesse far cosa. magari senza quella necessità di arrivare a farsi dir di sì da un po' tutti [dba, responsabili dei rilasci, project manager, responsabili degli ambienti di sviluppo, analisti, sistemisti, tester, utenti di back-office, baristi della mensa, noccioline, caramelle, tutto], come fosse compagnona un po' di tutti ma in fondo di nessuno. mi è rimasta questa curiosità. e le ho detto che gliel'avrei scritto. e dopo un mese di ferie, oggi è rientrata per un unico ultimo giorno. portando una bulaccata di briosce, che si era una fottia in area relacse, stamani a salutarla. e ne sono avanzate almeno tante quante. un po' da veronica suvvia. e insomma, dopo un mese e mezzo che le dissi, fugace, "me lasci con un dubbio, ma non te lo dirò fintanto sei qua dentro", mentre la salutavo mi dice "ma teee, volevi mica il mio numero, che dovevi chiedermi quella 'osa?". "no, vero, a dire il vero mi basta la mail. quella cosa là te la scrivo".
ma non so se gliela scriverò.

e di nuovo non è per questo che ho scritto della veronica che se n'è andata.
ho scritto perché oggi, mentre la salutavo e le auguravo ogni cosa buona et bella, ho provato un brivido d'invidia nei suoi confronti. un po' perché a 31 anni hai davanti ancora le praterie, visto che nel frattempo ha spianato un po' di carriera a mo' di caterpillar. un po' perché si percepisce che costei ha la perfetta et coerente consapevolezza di avere davanti le praterie, con l'approccio da caterpillar. e che sa di sapere trasferire sul terreno tutta la potenza dei cavalli motore che ha a disposizione. o come un diagramma direttivo con un lobo ben definito e performante, in cui irradiare l'energia disponibile.
però, a margine di quel brivido d'invidia, appena è passato, ho percepito altro. come effetto di bordo, come se dopo il riflusso dell'onda del mare rimanesse qualcosa, il regalo lasciato lì dalla risacca.
ed è stato un baluginio importante, di una consapevolezza vergognosamente interessante. che quella cosa sono in grado di provarla anch'io. e di adoperarmi per metterla in pratica. dipende da me. quella solita cosa che son istanze molto ben chiare nella testa. ma che poi devono radicarsi nell'emozione più profonda. ecco: ho percepito che è cosa anche mia. e l'ho percepita giù, fino al fondo fondante. dentro di me, come piantata nei fondamentali. che non me l'ha regalata né rubata nessuno. ed è un po' un qualcosa che devo vedermela tra me e me. e che quindi è lì. anche questa è una sorta di epifania, piccola, che chissà se agirò veramente mai. ma so - lo so - che è lì.
e fottesega se 'sta cosa alla veronica è [pare] molto chiara. fottesega se cavalcherà praterie che proprio non interessano a me. né come vorrà cavalcarle. né che ha tre lustri di possibilità in più davanti.
fottesega.
io ho le mie.
era davvero una fottia di tempo che non percepivo una cosa simile. [non mi arrischio ad usare gli avverbi assoluti, che è sempre roba scivolosa e/o un po' retorica, che mi piace poco.].
è durato un lampo. ma è stato un lampo folgorante. non bello, ma illuminante.
che forse è anche meglio.

Sunday, September 2, 2018

il post del buon analista [stocazzo]

una delle poche cose liete dell'aziendinacheèstataunsuccesso, fu incrociare il cartone preparatorio di raffaello de 'la scuola di atene'. incrociare nel senso di starci sotto a pinacoteca vuota, [vederlo] fotografare, starsene lì a guardarlo solinghi et senza fretta [bellissimo].
vero.
l'affresco sta in quel di roma, musei vaticani, stanza delle segnature. è lì che il nostro si è pure fatto un selfììì ante litteram, auto-affrescandosi nella parte ad estrema destra [sempre per chi guarda] dell'opera.
lui, il nostro, raffaello, nel cartone non ci sta.
però c'è dentro il logo del politecnico, che a suo modo è bellissimo - e non credo sia così casuale il fatto che il cartone preparatorio sia a milano, come la scuola politecnica since 1859 [grande merchandising, son riusciti metter in pista, in quel di piazza leonardo da vinci. che poi, di leonardo, è anche il volto con cui si raffigura platone della 'scuola', col suo dito verso l'alto, ed il cerchio un po' si chiude].
ecco. appunto. il cartone.
tecnicamente l'idea si è trasfigurata lì, per la prima volta. l'idea di rappresentare la storia della filosofia, in un'unica soluzione. in termini di primigeneità il cartone è più importante dell'affresco, perché è venuto prima. preparatorio, appunto.

ecco.
in decimiliardesimi.
il mio punto di fuga corre verso il dito che punta in alto di platone. l'oggetto della ricerca filosofica è l'idea di Bene, che sta metaforicamente nella sfera celeste - verso l'alto di cui l'additare - nell'iperuranio, oltre la percezioni senzienti dell'oggetto, su, su, fino alla sua concezione di ciò che è in verità [cit.].

faccio lo smargiasso. ma prendo quel senso potentissimo, immortale, fondante della filosofia occidentale. e precipitevolissimevolmente giù in picchiata feroce, fino alla percezione di essermi smarrito in quel punto di fuga di quell'opera.
fino a distorcerlo con le esalazioni delle mie nevrosi compulsive: come se nel mondo delle idee rimanessi intorcigliato. una specie di groppo, grupposamente raggruppato, un nodo laocoonticamente avviluppato, che più sviluppa più raggruppa [cit.]. sì, sì, una specie di matassa attorcigliata dell'incrocio di tutti i fili di pensieri.

per certi versi l'ottantapercento dei post, è un tentativo di filare lanugine da quell'ammasso. e farne uscire uno di ragionamento, più o meno filante, con cifre stilistiche più o meno raggrinzite.

ho la psicopippa facile e veloce. che poi è come fosse impazzita la maionese analizzante delle cose che mi capita di intercettare, in maniera più o meno senziente. me li ritrovo lì, tutti i pezzi, spesso senza sapere come ci siano arrivati, quale senso senziente abbiano titillato [sicuramente non odorandoli]. come possa aver colto alcune cose. insomma: c'è sempre tutto un insieme di cosi sparpagliati qua e là sul tavolo analitico. e quindi ecco l'istintivo vezzo di giocarci a metterle in un certo ordine, più o meno naif, o sui generis, quando non lisergico.
ecco.
questo sì, mi riesce fottutamente bene. anzi, è piuttosto divertente. forse è anche per questo che la parte fondante del lavoro che faccio mi sia semplicissima, automatica, efficace. e mi riesce bene, suvvia diciamolo [è tutta l'impalcatura che sta sopra a darmi qualche difficoltà, specie se la si rigetta, come ho fatto per i primi 38 mesi].

il lato nevrotico della medaglia è che è una turpe voglia [cit.] che si autoalimenta. e mi fa rimenere impigliato nel [mio] mondo delle idee. l'iperuranio secolarizzato e in pico-miliardesimi. e quindi è tutt'un complesso di cose [cit.] che mi fa agire molto poco. e quando succede, anche per cosi mooooolto minuti, è una festa, e [auto]pacche sulle spalle: la speranza di un buon viatico per continuare a darci dentro.
tipo quando si tenta di avviare il gechibois, invero un po' ingolfato, e si dà lo strattone al filo che dovrebbe far partire il motore. che magari da un borbottio ma sembra vincere l'inerzia: sbotf, sbotf, sbotf, dai che ci riesci e parte, daiiii, sbotf, sbotf... vrrrooooomm... vrooomm...
alè. partito, dajè, diamoci sotto, che l'agire sia con me.
quindi.
sbot, sbot, sbot.... stunc.
finita la benzina.

ecco. una cosa così.

e quindi, savaasaaannndiiir, riparte l'analisi sul perché. e il giochetto intorcigliante ricomincia. occhei, occhei, però ho visto che il motore è partito per un po'. son conferme importanti. però è la latenza che mi frega. tutto il tempo passato tra una cosa e l'altra. ignorando nell'analisi il fattore del tempo che va. come se da qualche parte avessi registrato male il clock che dovrebbe scandire il frusciar di messer Κρόνος. come se sul tavolo analitico ci fosse una radiosveglia che scandisce gli anni, mentre in realtà passano lustri.
e intanto analizzo, triturando possibilità e contropossibilità. scelte e controscelte [tutto in potenza, ovvio]. immaginare di far cose, che ne escludono - inevitabile - altre. e allora ri-contemplare cosa succederebbe se fossero le altre, che escludono cose, oltre che ri-altre.
a decidere dell'auto.
o lasciarsi andare a buttarsi fra le braccia di una.
o quale lavoro provar di cercare di cercare.
giusto per dire le tre cogenti di questo periodo, in ordine casuale, ovvio.

come se già non sapessi che la declinazione de l'ottimo è nemico del buono, è la consapevolezza che la scelta ottima non esiste. ed è quindi sempre una questione di compromessi - e quindi dagli addosso alla nevrosi perfezionista. e la scelta ottima non esiste per evidenti limitazione di risorse. siano gli eurI [tipo per l'auto], di dignità et correttezza verso l'altro [tipo una donna], di tempo e possibilità [tipo il lavoro]. giusto per mantere l'ordine - casuale - di cui sopra. la limitazione di risorse ambito, in termini di principio di οἰκονομία. da cui il termine economia. nei meandri del soqquadro del tavolo analitico potrebbe essere il la ad altre psicopippe, ad altri post oltre a questo, al solito sbrodolato.

tutte cose che razionalmente mi sono chiare. anche solo per il fatto che l'analisi, ribadisco, mi riesce bene suvvia. per quanto, forse, non è così impeccabile. perché si dimentica della questione del tempo, e della trappola dell'ottimo. ed ho il vago sospetto le due cose non siano così scorrelate fra di loro.

e quello che razionalmente è noto ricorda che ci sta altro, appena sotto, che fa maramao. e manda a dire che è poi lui che alla fin fine comanda. o quanto meno detta la linea spesso. al netto ci picchi la testa continuamente, nel senso azzeccato figurato della compulsione analitica.
rimanendo col sogghino amarognolo ad osservare che il 10% delle cose che analizzo sono il 90% delle cose che sintetizzo.

sarebbe bello sciogliere le vele.
sarebbe utile non cominciassi a pensare troppo a come si potrebbe fare.
ma farlo.
punto.

Wednesday, August 29, 2018

dialoghi [s]fortunatamente immaginifici - nel senso se uno ha culo o meno

- eppure continuo a credere, pervicacemente, che fortuna e sfortuna non esistono.
- pervicacemente...
- sì. pervicacemente. perché dev'essere pervicace uno che comunque continua a pensarla così. nonostante tutto.
- nonostante tutto, cosa?
- tipo quella cosa che se l'avessi provata un mese fa, sarebbe andata forse via liscia. invece, oggi, gNente. uno alza il ditino per provare a smuovere un po' le cose. e succede una mezza tregenda.
- oheeeeeeee. esagerato. mezza tregenda.
- sì. insomma. ci siamo capiti.
- e poi hai detto bene: forse.
- certo, forse, non abbiamo il doppio cieco.
- doppio cieco?
- lascia perdere, frequento dottoresse.
- ah. bel mandrillone.
- lascia perdere. e poi mi sa che finisco ad essere distopico pure lì?
- distopico?
- certo, non l'utilizza mai odg?
- no. sennò me l'avresti già detto tu... in ogni caso cosa c'entra la fortuna o la sfortuna in quel che ti è successo?
- niente. perché pervicacemente continuo a non crederci...
- ma...
- ma ancora una volta ho la sensazione di essere stato al posto giusto nel momento sbagliato.
- quindi, al limite, discronico. non distopico.
- tecnicamente credo di sì. ma abbiamo studiato altro.
- già.
- già.
- e se invece fosse un qualcosa che chiudendo uno spiraglio ora, ti apre un grandissimo varco domani?
- magari in un multiuniverso parallelo sì.
- o magari è una questione di serendipity.
- sì. e cosa scoprirò, in miliardesimi, la penicillina o il viagra?
- questo non lo possiamo sapere, né tu, né io, né il doppio cieco né in questo né in un altro multiuniverso.
- per una volta mi vien quasi ragione di darti ragione.
- lo fai molto più spesso di quanto voglia serenamente ammettertelo. hai dato il la ad un piccolo evento. vediamo a cosa può portare. magari a niente. magari a qualcosa di positivo. certo bisogna ogni tanto increspare un po' le acque.
- ecco. forse è proprio questo il punto. le acque si vorrebbero placide e calme.
- solo che da placida a stantia è un attimo.
- anche ad incresparle senza i coglioni per poterlo gestire. nemmeno quelle piccole, di increspature.
- mannò. mannò. ce la fai pure te. ce li hai pure te i coglioni. solo che maschio non alfa dominante ti vergogni a tirarli fuori e vedere quanto ce l'hai potente.
- mi sembri una versione triviale dei manuali delle patatine di automotivazione. tipo le pastranate motivazionali di quelli che tengono corsi sulla pirobazia, molto nello spirito ammmmmericano.
- triviale, io?
- sì. tu. e comunque, per chiuderla qui, a dirla tutta: ci avrò pure rimesso l'aumento per i prossimi tre mesi. ma almeno mi posso guardare lo specchio, senza titubare. e se passo per pirla, pace.
- guadagnerai il centuplo nel regno dei cieli.
- fanculo.
- vabbhé. se tu sei agnostico, ci possiamo fare poco.
- sei agnostico anche tu.
- sì, ma il centuplo lo avresti, ipoteticamente, guadagnato tu.
- sì. appunto. questo sì che è essere distopici.
- distopici sì. fortunati o sfortunati - nel contesto relativo, ovvio. - no.
- nel contesto relativo, ovvio. e comunque, pervicacemente...
- il fatto che le cose vengano, pervicaci, non sono né fortuna né sfortuna.
- è il caos che determina il caso.
- vabbhé. corchiamoci, che è meglio...
- corchiamoci.

Monday, August 27, 2018

'na letterina aperta [suvvia, piccolo psicopipponcino] al mitico lorenzo

un "amico" feisbuch la butta lì, semplice.
"I miei "amici" che si definiscono di sinistra, continuano a denigrare la maggioranza: beceri, ignoranti, stupidi, dal basso quoziente intellettivo, pecore in gregge, ma...ma cosa resta di una sinistra senza popolo, cosa sono? Un gruppo di intelligenti e istruiti boriosi? Come pensano di costruire una opposizione fatta di idee? Come mai se sono così intelligenti non riescono a capirlo?"
volevo rispondergli sul feisbuch.
poi, mentre affettavo il melone, mi son reso conto la risposta sarebbe stata molto lunga. e ne sarebbe uscito uno [psico]pipponcino. roba che sul feisbuch va e non va. e poi mi son detto: me lo scrivo quivi. che poi mi rimane, giusto per rileggersi qualche tempo dopo. per vedere quanto son cambiate le cose.
e quindi gNente. questa dovrebbe esser la risposta.
caro Lorenzo.
io non mi definisco di sinistra. io sono di sinistra, per quanto - tecnicamente - mai stato comunista [sei molto meno sprovveduto di come a volte rispondi ai tuoi interlocutori. non ti sfuggirà il distinguo]. non sono nemmeno tuo "amico". al limite sono stato un fanZ scatenato del bassista dei "punto G" [eravate geniali, a partire dal nome].
ecco. ti dirò. la domanda che fai "cosa resta di una sinistra senza un popolo?", è un'ottima domanda. anzi, è la domanda.
la prima riposta che mi viene, itellettualoide e poco pragmatica mi rendo conto, è che resta l'idea, pervicace. che è fottutamente difficile da mettere in pratica. particolarmente impopolare in tempi più agitati et ubriachi. tragicamente complicata se, chi quelle istanze le dovrebbe portare avanti è inadeguato, e prono al potere, tanto da venirne identificato con. oppure decide che le istanze si possono declinare in maniera creativa, tipo innestandole di liberismo spinto.
[apro due paretesi]
[la prima: i tempi agitati et ubriachi sono tipo questi. dove c'è per fortuna ancora quell'oggettino, la Costituzione, pensata quando si era più sobri. quella che ci si è adoperati per difendere da una modifica un po' naif. che non oso immaginare i vituperi oggi, se fosse passata quella riforma.].
[la seconda: questa unione simbiotica con il potere sta montando, molto più velocemente di quanto si potesse immaginare, anche con la componente nuova del governo del cambiamento [distaminchia], 'sì insomma, i faivstarrre [5S]. quelli della lega sono venticinqueanni che sono simbiotici al potere. solo una bella distrazione di massa - narrazione - riesce ad alzare la cortina fumogena e farlo dimenticare. ora il potere siete anche Voi. e ne subirete il fascino obnubilante e mefitico, pagandone le conseguenze, tra un po'].
[chiuse le parentesi].
essere di sinistra. le parole di sinistra. le idee della sinistra sono fottutamente più complicate. perché in fondo l'istanza del "mi faccio i cazzi miei" è calettata, vulcanizzata nel nostro cervello, nella parte più arcaica. in fondo era la cosa che ci serviva per sopravvivere appena fuori la caverna. l'idea del "mi faccio i cazzi miei, ma considero, mi faccio carico un po' anche degli scazzi degli altri" è un più recente. anzi, la butto lì: è un bel passo avanti. perché, riduci-riduci, in fondo di questo si tratta. guardare un po' oltre i cazzi propri, e considerare anche gli scazzi degli altri. e magari porvi un po' di rimedio. o magari riducendo le differenze quanto meno nelle possibilità di ciascuno.
sai come me l'immagino io? l'istanza fondamentale della sinistra, dico.
una specie di sistema controreazionato. perché le differenze che ci sono in uscita ad un sistema, inevitabili, sacrosante, ineluttabili, facciano da contro-reazione in ingresso. ed il sistema si mantenga stabile. e non esploda.
è fottutamente complicato. specie considerando i sistemi complessi come quelli sociali.
ecco, appunto, la complessità.
ho avuto un rapporto di amore-odio con il poli[tecnico]. però credo che il più grande lascito, oltre ad un titolo che può essere solo chiacchiere e distintivo, sia l'istintuale memento esista una complessità nei sistemi della vita reale.
anche per questo io, tendenzialmente, non denigro alcunché, o la maggioranza. al limite critico in maniera parossistica quel branco di [mediamente] mediocri spocchiosi che ci ora sono al governo [ecco, la critica parossistica è tipo questa]. non tutti sono così, ovvio. ci sono persone più che preparate e capaci. quindi considera come consideri quelli che la media la abbassano.
io sono in [stretta] minoranza. credo che la maggioranza abbia scelto in maniera sbagliata. l'ha fatto in buonafede, nella stragrande maggioranza. e pur pensandolo sono certo di non essere [boriosamente] migliore. non so quanto sia più intelligente. però un po' istruito sì. ed anche informato. e non me ne vergogno, anzi. e mi si alzano le antennine quando si prova a darne una specie di connotazione negativa, in maniera più o meno consapevole. come hai fatto tu nella domanda. perché persone non istruite, si convincono più facilmente. anche con trucchetti che spesso sono una specie di mitridatizzanti colpetti bassi [sì, cazzo, uso pure termini che mettono distanza, lo so. o forse generano curiosità. tipo spiegare chi era il re mitridate]. sì. insomma. se sei [più] istruito a diventare un po' più consapevole e un po' più critico è un attimo. e ad un certo potere, questo piace mica tanto. e per quanto l'attimo di quel passaggio è un attimo dove ci può star dentro di tutto. e dare il tempo a cosa improbabili e/o pericolose di agitarsi.
da ultimo [il pipponcino è già abbastanza pipposo] ti farei notare lo iato capziosoncello che hai infilato nella domandina. cominci rivolgendoti ai tuoi "amici" di sinistra, quindi persone singole, e poi... hhhooop, eccoti uscita la masnada dei politici, quando non addirittura la categoria della sinistra. sono tre cose ben diverse, non ti sfuggirà.
io sono andato all'incontrario: dalla categoria, un accenno alla masnada. e poi con me.
aggiungo un'ultima cosa, sempre su di me.
io sono di sinistra. ma non faccio attività politica in senso stretto. questo per una serie di ragioni, a partire dal fatto stia già facendo una fatica non indifferente a mantenermi vivo. provo, nel dettaglio di ogni giorno qualsiasi, a non dimenticarmi troppo spesso degli scazzi degli altri, compatibilmente al fatto - appunto - fatichi a mantenermi vivo. poi sento alcune istanze più acute che altre. così se riuscissi a ritagliare tempo o assicurarmi un po' di messa-in-bolla interiore, farei qualcosa in ambiti che hanno a che fare con i migranti. migranti. senza accezione di dove immigrano, figurarsi anche solo pensare al concetto di clandestini o meno.
lo farei perché penso che in questo momento loro siano veramente gli ultimi. e mi importa veramente un cazzo starmene in una stringente minoranza. è una scelta molto semplice da fare, decidere da che parte stare, dico. poi è vero. la sinistra [partitica, movimentista, che è anche vicina al potere] dovrebbe pensare anche ai penultimi, i terzultimi, i quartultimi. specie quelli meno istruiti, meno informati, meno consapevoli. che sono prede più facili dei trucchetti mitridatizzanti di cui sopra. cui si fa pensare siano in realtà i secondi, o i terzi. e se non dagliAll'Ultimo so cazzi, poi retrocedono. quella sinistra partiticamente intesa deve di certo [ri]cominciare da lì. ed abbandonare [un bel po'] di turboliberismo. anzi, se fa 'sta cosa qui, poi viene più semplice fare quella prima. come si faccia, nel dettaglio posso saperlo, o forse no. fintanto che non fa quello, la poltiglia governativa che s'agita adesso ha i decenni contati. sempre non si imploda rovinosamente prima.

io, nel mio piccolo ed inquieto, provo a osservare la complessità. magari prima o poi andrò a far qualcosa per i negretti. oggi ho avuto l'aumento. e può essere mi compri un'auto [usata, ovvio] piuttosto borghese.
e proverò pure a smontare le logiche degli idioti da tastiera. se e quando capita. per quanto ci voglia un sacco di tempo. e una buona dose di antidoto contro lo sconforto, che ogni tanto mi prende pure.

ci vorrà, comunque, del tempo. forse troppo. nel contempo speriamo che la masnada di cui sopra non si faccia inculare troppo da quello che veramente comanda. che le conseguenze, poi, le paghiamo tutti. sia gli "amici" di sinistra, sia quelli che oggi inneggiano al cambiamento. il paletto della presunta palingenesi, si inoculerà prima che se ne sentirà il fastidio: oltremodo inevitabile.

Monday, August 20, 2018

nazionalizzaziò! nazionalizzaziò!

e quindi niente, è esplosa questa voglia di nazionalizzare. a partire dalle autostrade, ad esempio.
faccio tre premesse, e butto lì una provocazione.
le premesse:
  1. non sono esattamente un turbocapitalista, così l'idea che lo stato detenga e gestisca alcune infrastrutture, o alcune aziende, non mi scandalizza in linea di principio. anzi;
  2. quando noi si privatizzò, metà anni novanta, lo si fece dopo la [discutibile?] esperienza di altre nazioni. magari le intenzioni erano pure buone [buuuhhh, servo delle lobby, sul libro paga del pidddddddì]. alcune di queste privatizzazioni però sono venute fuori un po' a minchia:
    1. [parentesti personale: la privatizzazione [sciagurata] di telecom non è così improbabile abbia avuto financo dei riflessi su quello che avrebbe potuto essere la mia ipotetica carriera di telecomunicazionista. per quanto, con i se...];
  3. non ho mai preso soldi da quei nemici del popolo che sono i benetton. come del resto agggggginonnnnnuostro. ma contrariamente alla lega, assieme alla gran parte dell'arco parlamentare. anzi, ai benetton ho dato io dei soldi, pochi, quando ho preso un paio di ginz in saldo pochi giorni fa, dopo anni che peraltro non andavo per saldi. guarda te, a volte, le coincidenze.
la provocazione:
tutta quella moltitudine di ingegneri strutturisti che affollano i bar e i soscial, sono così convinti - ma proprioprio convinti - che se la concessione delle autostrade non fosse stata affidata ad un privato, se fosse rimasto in capo allo stato, il ponte morandi sarebbe ancora su? magari avremmo pedaggi mediamente più bassi - magari. ma sono tutti così certi che la manutenzione sarebbe stata fatta a regola d'arte? in buona sostanza: se se ne fosse occupata l'anas, dico, per andar giù praticipratici.

ovviamente non lo possiamo sapere. soprattutto prima che vengano stilate le perizie. che sacrosantemente devono essere rigorose ed eccellenti. cosa che peraltro porta via del tempo. più di uno spritz, o di un post sul feisbuch.

la provocazione, ovviamente, è una domanda capziosa.
però ci ho preso gusto. così proseguirei, con le domande, non so così altrettanto capziose.
no, perché, fica adesso 'sta cosa che ri-nazionalizziamo.
solo che se ri-nazionalizzi qualcuno, le infrastrutture, le aziende, dovrà pure gestirle, amministrarle  qualcuno. no?
perché se le aziende private le amministrano degli spregiudicatissimi ma abilissimi figlidiputtana, non è che per forza fuori dal privato delle concessionarie, per forza, ci sono degli asceti votati al bene comune. no?
e allora penso ai possibili manager, gli ad di aziende pubbliche, insomma i vecchi boiardi di stato. o quelli nuovi. o meglio: quelli più vicini al nuovo potere, considerato lo spoil system in essere che manco lammmmerica di trrrammp.
perché se nazionalizzazione deve esser fatta, bisognerà pescare tra lo stato dell'arte della classe dirigente. che magari si prendono pure tra i privati. nell'attesa che oltre all'onestàonestà e alla buonissima volontà [che mai mi permetterei di mettere in dubbio] dei nuovi cittadini, si affianchi anche la competenza. perché, paradossalmente, puoi fare il ministro come se avessi vinto la lotteria, ma manager non ci si può improvvisare. lo scrivo con [microscopica] esperienza diretta, il cui fio però si è appoggiato pesante e soffocante sul mio vivere sereno per anni.
quindi bisognerà pure crearla, formarla, una classe dirigente che sia in grado di affrontare la complessità della realtà, qualcosa quel ciccino più tosto che essere abili a sfruttare le dinamiche indignose dei soscial [con qualche social media manager a dettar la linea, ovvio]. immaginare, strutturare la strategia di un'azienda è altra cosa che far le dirette feisbuch, o dettare qualche trend topic su tuitttttter.

anzi. proverei addirittura a volare alto. se devo raccontare dei desiderata, non mi trattengo.
sarebbe una grandissim ficata, o nuovi potenti faivstarrrrre, che la nuova classe dirigente fosse tanto preparata quanto veramente votata al bene comune. capaci tanto quanto sentirsi partecipi, attori primi di quella cosa che è lo Stato, la res pubblica. io, ad esempio, non mi scandalizzerei di pagarli anche più che dignitosamente. senza il timore che qualcuno più onesto di tutti gli altri strepiti poi sul suo feisbuch: condividi se sei indignato!!!!!! [i punti esclamativi, mai meno di tre]. e sarebbe una ficata ancora più grande se quei nuovi amministratori pubblici, più che meritevoli, lo fossero a prescindere da quello che votano. a prescindere dal fatto possano essere anche critici verso i nuovi potenti. per come son fatto - radicalscic, rompicoglioni - il termine servitore dello stato non mi fa impazzire. però il senso è un po' quello. magari anche con la convinzione di esserlo, lo stato.
quella nazionalizzazione mi piacerebbe veramente molto. lo stato che utilizza le proprie infrastrutture, dirette da gente capace. inevitabile che poi, tutti, ne avrebbero dei benefici. [tanto, das kapital, troverà altri modi di far soldi. è molto abile a far quello].
però mi rendo conto stia volando alto.
troppo.
e che non sarà una cosa così immediata.
perché ci vuole, innanzitutto del tempo. e soprattutto perché ho un po' la vaga sensazione non si stia proprioproprio andando in quella direzione. tralasciando la parte sulle competenze e sulle abilità. che, ribadendo il mio radicalscicccchismo, non mi basta siano annunciate tronfie coi post o coi tuit. anzi. più son tronfie e più puzzano anche al mio naso sordo, poiché anosmico. [in maniera non molto dissimile a certe uscite dei potenti di prima, neh? a proposito di cambiamento].
non ho questa sensazione anche per il senso di stato che state dando. che se non si vi si condivide in toto - perché, suvvia, qualcosa delle cose che proponete non mi sento di confutarle, in linea di principio - allora si è contro il cambiamento, o buonistidelcazzo, o servi del piddddddddì, o tutto questo assieme: condividi se sei indignato!!!!!!!! [figurarsi criticare, anche aspramente, alcune istanze [che trovo] sbagliate: nella forma o nella sostanza].
quasi sentiste la necessità di un sacro lavacro palingenetico. prima il lavoro sporco del deligittimare chi è contro il cambiamento. e poi sarà la nuova era, tra l'altro piena di aziende nazionalizzate bellissime. roba già vista e sentita in passato, peraltro: la necessità del lavacro, intendo.

qualcosa che insomma, di nuovo, torna ad essere divisivo. che si picca di voler separare il grano dal loglio. e così insinua cunei, rende ancora più difficile, parlarsi, considerarsi, accettarsi ed accettare. incontrarsi. ostacolo nel ritrovarsi Stato.
che poi, in fondo, è come tirare giù i ponti.