Sunday, November 23, 2025

amicoDiGomma

oggi compie gli anni l'amico guiTo. che poi sarebbe l'amicodigomma, che peraltro fu anche therubberfriend. io all'amico guiTo voglio bene, ed è una cosa che fluisce fuori bene senza sbadta, timidezza, ritrosie. non è qualcosa di ex-post. mi piace come mi venga.

e dire che non era iniziata benissimo, tra me e lui. anzi. proprio gli stetti sui coglioni. non so quanto centrassero i mocassini annacquati da un tragitto di un paio d'ore sulla neve, abbastanza frescazza. che l'amico luca e daniele occhei aprivano la pista, loro a sprofondare fino al ginocchio. e noi dietro, io entusiasta a prescindere, l'amico guiTo con i mocassini ed il suo colbacco. che quindi si prese una giaccata di neve [la giaccata d'acqua venne l'anno successivo]. così visse malissimo quello che per me fu uno dei capodanni più spettacolerrimi. entusiasmo per il cambio di vita che sarebbe venuta da lì ad un paio di mesi. sarei stato entusiasta ovunque e comunque [poi il cambio di vita non andò come lo pensavo. ma tant'è]. l'amico guiTo in parte già indirizzato a far grandi cose, non fosse per le ali tarpate. però con il malumore quella sera per i mocassini imbevuti di acqua, con la baita a contribuire ed i suoi tempi lenti scaldarsi.

poi i ricordi di quei primi momenti si fanno più confusi e sfumati. e l'amico guiTo spesso raccontato prima che sussunto in prima persona plurale. e mi tornavano evocazioni e aneddoti a volte da fumetto. roba tipo il baloon con scritto dentro: GASP!

intuivo avesse vissuto periodi del tipo vuoiCheMiMettaUnaScopaInCuloCosìTiRamazzoLaStanza. in quello lo sentii subito molto fratello. salvo poi scoprire che quei periodi lui li aveva messi alle spalle, brillantemente. io continuavo, nell'approccio, ad avere una radiosa carriera davanti. poi uno dice che me lo meritavo appieno l'incipit "caro Riccardo". e pure il perculamento che rimbalzerà finché ci sarà l'amico guiTo. e nel frattempo avevo smesso di stargli sui coglioni. e quanta roba nuova essere coinvolto anche con lui. 

l'amico guiTo è un musicista, nel senso di uno con la musica dentro. ma prima ancora l'amico guiTo è una persona di gran cuore. oltre che incarnare quell'anima metodico lineare che riluce in un contesto di traiettorie più sghembissime. come dentro la sua arte ci fosse un baricentro basso, basculate pure, voi altri, io più di quel tanto e poi ritorno in bolla. ne ebbi una certa sensazione il giorno della festa dei suoi quarantanni. in quella jam session acquese dove suonarono una fottia di amici suoi musicisti. lui a far da fil rouge sul palco con i suoi tasti, quelli bianchi e pure quelli neri. che serata memorabile. deve esserci da qualche parte un post, che scrissi sull'eco di quel momento da ricordiapppalla, bellissimi. [quanto era felice, quella sera, anche suo padre]. la sensazione che fossero tutti lì perché gli volevano davvero bene, un affetto strameritato. la sensazione in lui ci fosse, appunto, qualcosa di diverso, un'ontologica impossibilità allo sbraco. non è una questione di meglio o peggio. è roba di essere diversi. ecco. l'amico guiTo era diverso. 

l'ho rivisto recentemente ed è stato un ritrovarsi sereno, piacevole, rilassante. l'ho trovato bene, sereno, rilassato, nella sua risolutezza fumettosa. credo sappia esprimere al meglio il fatto che il tragitto più breve tra due punti in un qualsiasi spazio è la geodetica. e che sa percorrerla con la giusta levità ed l'impegno che non schiaccia. la percorre e se la gode, la geodetica. niente spezzate poligonali altere ed insieme autoironiche. niente percorsi che escono financo dall'iperspazio, sbucando in mondi paralleli. niente arabeschi, figurarsi vergati a mano mancina, che poi altro che incartarsi e aver la sensazione di non avanzare, quando di regredire. no. l'amico guiTo segue la geodetica. gli riesce bene e ti guarda con affetto ed anche un po' beffardo. ti sorride, stringe gli occhietti arrivando quasi a chiuderli e tu sai che potrebbe regalarti una delle sue chicche sinestesiche. 

che bello avercelo come amico, l'amico guiTo. fossi meno testadiminchia dovrei sussumerlo più spesso.

intanto, però, molto buon compleanno, amico di gomma!

Saturday, November 22, 2025

verdiano

se n'è andato anche l'aldo. se ne stanno andando tutti i coetanei di patreme. è il naturale svolgersi delle cose. è patreme che - per una volta - è stato molto in anticipo. tra tutti costoro, l'aldo che se ne va, è quello che mi ha colpito di più. non è ovviamente una cosa casuale. per quanto la cosa interessante, forse controintuitiva, è il contesto relazionale tra l'aldo e me. perché l'aldo ed io non ci siamo mai presi. anzi. non so se solo per una proiezione del rapporto aveva con patreme, per quanto credo si stimassero, a modo loro, per i tratti che serviva. non so se anche per il mio essere impacciato e intimidito da una figura che mi appariva spigolosa e burbera.

però l'aldo è stato la persona che mi ha insegnato la musica. è stato il maestro della banda in cui ho suonato. per quanto forse l'abbia lasciata anche a causa sua. credo sia stato così per molti, una figura importante dico. perché ha insegnato la musica a tantissime persone. e tantissime persone hanno suonato in banda con lui come maestro. e forse l'hanno lasciata anche a causa sua. chissà se tra coloro che variegatamente scazzarono con lui, in banda, ora prevale la riconoscenza o altro.

perché l'aldo era sicuramente un talento musicale. fosse nato in un contesto più favorevole, avesse potuto studiare da subito la musica, chissà cosa avrebbe potuto e saputo fare, chissà dove sarebbe arrivato. e se avesse avuto un approccio più morbido, meno tagliente chissà che direttore di banda avrebbe davvero potuto essere. posto abbia senso metterli quei se.

non era una persona facile. un po' la bizzarria dell'artista. un po' il replicare un modo di porsi da uomochemaidevechiedere. però poi mi son chiesto se 'sta roba qui non fosse una specie di corazza per difendersi. perché son piuttosto convinto dovesse avere una sensibilità ed una delicatezza interiore che, forse, voleva, doveva dissimulare con atteggiamenti più conformi ad altro. perché sensibilità e delicatezza interiore, credo, siano condizioni inevitabili per poter vivere la musica, come di certo la viveva lui.

per questo ne subivo un certo fascino. perché capivo, più o meno conscio, come la musica gli fruisse dentro. come forse fruisce dentro di me. molto probabile meno talentuoso di lui. quindi cercavo di sussumere il suo viverla e il suo possederla, la musica. sussumerlo là dove e quanto vedessi affiorarla 'sta cosa. quando non mi facevo allontanare da quell'aspetto del porsi che mi intimidiva, e anche un po' mi infastidiva. cercavo riferimenti. era il contesto ed il porsi che mi intimorivano.

credo mi stimasse, musicalmente intendo. me lo buttò lì, senza lasciarsi andare ad altri fronzoli il giorno che mi accompagnò a comprare il flicorno, lo strumento che aveva scelto per me quando si studiava per entrare in banda. fu un viaggio in cui per tutto il tempo stetti stretto in una sorta di tensione imbarazzata. nella sede della "rampone e cazzani", quarna sopra, quando mi porsero lo strumento, il mio strumento, lui, mossa fulminea, lo prese a sé e lo suonò: un paio di scale, qualche salto di terza. solo allora me lo consegnò: al và ben, tegn, provel. lui doveva essere il primo, come servisse una sua ratifica per dare il la - mai più calzante il la - a tutto il resto nella la vita di quello strumento. ius primae sonata.

non riuscivo ad entrarci in sintonia, come peraltro avrei voluto. perché non sarei del tutto onesto se non riconoscessi che ne subivo, in un qualche modo, il fascino. per l'autorità musicale che incarnava. per quanto sempre un po' a disagio, con l'autorità e con lui, ma era l'arte di cui era messaggero a coinvolgermi. un hermes spigoloso, che incarnava un certo paradigma: ma vuoi mettere il messaggio?

per questo mi colpì la sera della serenata della banda a sua figlia, il giorno prima del matrimonio. mangii, fioe, mangii. quasi affettuoso nei confronti dell'ultima nidiata di bandisti, noi quattordicenni. 

per questo mi sentii po' spiazzato quella volta che mi sentii quasi coinvolto da lui nel percepire il fruire della musica e come ci inondi. fu durante la pausa di una scuola di musica, mentre provavamo i pezzi del concerto. tra i quali "jesus christ superstar", nel senso di una riduzione per banda di alcuni brani. come punto di chiusura di un tema, prima di quello successivo, un paio di misure con una sequenza di accordi di conclusione, molto coinvolgenti. quella sera mi accorsi di quanto fosse bello quel passaggio. durante la pausa volli andare a cercarlo, sullo spartito del direttore, quali note, chi suonava cosa, quali intervalli. si accorse del mio sbirciare la sua partitura. venne a chiedermi, incuriosito. gli spiegai il perché, volevo vederli quegli accordi. e lì ebbi l'impressione che lui colse appieno il senso profondo di quella curiosità. come intuisse il mio cercare la sintassi, il segno razionale dell'emozione che quell'armonia di suoni produceva. che poi è un modo quasi sinestesico di farsela fruire, la musica. è tutta una questione di rapporti armonici, scansioni temporali, ancoratissimi nella precisione della matematica. che poi però espande in altri spazi. genera dentro quel mondo che ci riempie e scatena le sensazioni più disparate e coinvolgenti.

per questo credo amasse così tanto giuseppe verdi. un po' per formazione musicale sua, il musicista più importante della storia italica. penso che ad un certo punto abbia voluto guardarci dentro al fatto la sua musica  sia così potentemente delicata, sublime nel suo essere travolgente. io me lo vedo l'aldo, che scruta l'evolvere della partitura a realizzare quelle arie eterne. come si strutturano armonie così d'impatto. come compaiono note a realizzare quegli accordi verdiani così definitivi. di nuovo: la sintassi di quelle pietre miliari della musica. me lo vedo a vivere quella gioia intima di capire come questo si realizzi. che poi è un modo per possederlo. come afferrare anche solo per un attimo la fiammella che intuisci appartenga ad una specie di eternità, che fruisce da sempre e fruirà per sempre. io credo che tutto questo lo vivesse. e deve essere una cosa bellissima da vivere. per cui ci vuole una certa sensibilità e delicatezza interiore. non mi meraviglia si premurasse tanto di mimetizzare.

anche per questo ha composto delle marce per banda. erano una specie di sintesi di quella variegata complessità. un sacco di bemolli in chiave, alterazioni come mascolinità sul pentagramma. gli strumenti del controcanto - flicorni tenori, baritoni, tromboni - con ruolo principale e vigoroso. insomma lui, suonatore di trombone per cominciare, baritono anche [quello che suonavano i suoi figli maschi] che così marziale e risolutivo talvolta voleva mostrarsi. quanto meno le prime composizioni.

non so come poi sia arrivato alle ultime che scrisse. molto più morbide, bilanciate, a tratti delicate. addirittura in do maggiore [per gli strumenti in sib, ovvio]. ormai era troppo tempo che ci ignoravamo, anche solo incrociandoci per strada. però lì dentro ci deve essere stata una specie di evoluzione. o forse la corazza meno necessaria da indossare, il mimetismo meno ostentato, gusci più sottili. non so. forse era cambiato. o meglio: aveva deciso di mostrarsi in altro modo, più vicino al vero. difficoltà e malinconie compreso.

questa sera c'è il concerto di santa cecilia. per me è sempre un po' faticoso. non solo per l'aspetto emotivo del ricordo. anche per una certa spocchia snob, stratificatasi con gli anni [sono anosmico, ma l'orecchio di è raffinato col tempo. e si è fatto molto più puntacazzista]. penseremo a lui, all'aldo. tutto quello che ha significato e rappresentato. 

il fatto non sia stato semplicissimo stargli accanto - io di certo - non rimuove l'eco di quanto sia stato importante per un sacco di bandiste e bandisti. anzi, forse rende la cosa più complessa, quindi più umana. come l'armonia, complessa e umana, di un accordo verdiano. 

Sunday, November 16, 2025

venti

il giochetto a specchiare gli intervalli di anni funziona facile con gli addendi [relativi] tondi. quindi ho tolto ventanni all'anno di vent'anni fa. quindi quattordicenne. quindi pensare quanta vita, quanti cambiamenti, ci son stati in mezzo in quei ventanni. che sembra che il tempo sia davvero passato più lento, a farci stare tutto quel popò di esistere. incredibile il confronto con l'aggiungere questi ventanni all'anno di vent'anni fa. stessa quantità di mesi, giorni, ore, minuti, però durate e densità diversissime. almeno a pensarla di primo pensiero.

potrebbe essere la più banale dimostrazione della relatività, del tempo. ma mica non sappiamo che significa altro, la relatività intendo. che poi lo spiegano i neurologi, 'sta faccenda. vedi che tutta 'sta gran originalità vien difficile da tirar fuori.

forse che, osservando il punto angoloso, è come se lì si fosse fermato un pezzo di tempo. e non si schioda, e non si schioderà mai del tutto. lì si rimane, col tempo immoto di quel tempo di vent'anni fa.

non è più qualcosa legato al dolore. o forse sì, vai a capirlo. posto che vai a capire cosa sia davvero il dolore. forse matreme saprebbe spiegarlo meglio. posto che sono cose che si ha l'imbarazzo di chiedere. sicuro c'è il vuoto della perdita che ti riempie. e torna, come un bolo che sta lì, fermo, come quel pezzo di tempo che non va avanti.

è qualche notte che lo sogno, mio padre. anche se non è che sogni esattamente lui. è più un'evocazione. legata al pensiero, nel sogno, del suo rincasare. che però è la casa nella versione dell'adolescenza. è una presenza che c'è senza esserci. sta rientrando? torna? non torna? senza sapere da dove. e lo aspetto perché lo si incontri in cucina, la cucina dov'era prima. che poi è diventato il luogo, la camera da letto di casa sua, dove c'era e poi non c'è più stato. nel sogno so che deve tornare, come una normale giornata di lavoro di allora. nel sogno a volte temo il suo arrivo. e nello stesso tempo c'è l'inquietudine di capire se ha un senso il suo rincasare. io ne sono sollevato non torni, temo mi debba o possa riprendere. e nel mentre sono turbato non torni, come se si sostanzi un senza senso.

non so se è malinconia, nostalgia. una presenza che non ho mai saputo sussumere del tutto. e che di colpo, vent'anni fa, puff, non c'è più tempo per farlo. come ti togliessero in modo un po' fraudolento cose. 

e ventanni poi a rosicchiare tocchettino a tocchettino il gran rumore di fondo. scavare e scavare a provare a capire cosa fosse capitato, il perché e il senso di quella mancanza. la primigenia specie di competizione più o meno dichiarata. anzi, più meno che più [qui odg potrebbe andare a nozze]. che ha riverberato, ha portato tutta una serie di effetti. non è colpa di nessuno, ma son qui a farci i conti. se non a scazzottarci, ogni tanto, con 'sti effetti.

ora, vent'anni dopo quel pezzo di tempo che si è fermato, anche il quel bolo è lì che non passa da ventanni. e che passarci accanto ti fa quel quel sottile sgomento. a guardarlo riemerge la fatica dolorosa e lieve di quei giorni. ma continui a girarci attorno, come fosse una massa importante, che ti fa fare dei gran giri gravitazionali. non si fugge, si ritorna. un gran bell'ammasso di cose non risolte.

 

sono appena tornato dall'evento di chiusura di bookcity. che collima ogni anno con questi giorni. dialogo tra un teologo eretico ed un romanziere agnostico che accompagna il papa [quello di prima] alla fine del mondo. a discorrere di un mondo senza dio. si è parlato - tra l'altro - di vita eterna. e di un ritorno a ritrovarci. mentre camminavo tornandomene ho pensato che sì, sarebbe bello e perché escludere a prescindere non possa essere vero? [questo potrebbe essere anche un foerstriiacciionsciòc]. e che fosse così mi piacerebbe chiedergli, parlarci, discutere, esserci per entrambi. colmare quel vuoto. che quel sogno, insomma, abbia un suo compimento, un senso, per non aver più più ragione d'essere sognato [al netto che ci si dovesse rincontrare nell'eternità, dubito ci sarà la necessità di sogni onirici. così, occhioecroce].

Sunday, November 9, 2025

tunél

avevo dismesso il casco, rosso, poco più di ventiquattrore prima. il casco che mi aveva prestato fratt'me, oltre gli occhiali di sci. "sono fichissimi, questi occhiali. molto gentile tuo fratello a prestarteli". aveva chiosato così il bel fenomeno. avevamo sciato tutto il giorno. la terza volta per me, quest'anno, dopo più di trentanni lontano dalle piste. 

quel giorno mi era parso di sussumere tratti di autentica felicità. [lo avevo capito, colto. gliel'avevo detto, quasi intimidito e col cuore pieno di quella cosa bellissima. eravamo al termine di un pianoro, prima della discesa. qualche giorno dopo, accusato di non essere sufficientemente entusiasta [tra l'altro], avevo fatto cenno a quell'accenno. che però è come non fosse proprio stato. evaporato]. 

il casco rosso stava nel bungalow dellammmmmore. proprio quando ebbi la percezione di aver di fronte la persona sbagliata. un personaggio ben poco avvezzo, quasi incapace di ascoltarmi. e lì cominciai a capire l'errore. e le cose cominciarono a venir giù.

accadde quando mi chiese di parlarle di mio fratello. era un discorso che le avevo anticipato durante le grandi conversazioni nelle chiamate internazionali delle settimane prima, quella che avevano creato il climax per arrivare lì. casco rosso e occhiali prestatimi. mio fratello ed il mio rapportarmici negli anni fondamentali: un punto, importante, cruciale. provare a condividerle il guazzabuglio di emozioni, sensazioni, percezioni che sto provando a mettere assieme da tempo. cercare di raccontare un pezzo di vita, di affetti, di legami che non ci sono stati, di fondo per causa mia. per quanto involontaria. per ancora meno volontà sua. provare a colmare una mancanza che si è sostanziata col tempo, che rimarrà tale, probabilmente. quella specie di coda di paglia di sentimenti annebbiati, per cui "sai, scrivo un post il giorno del suo compleanno, è un po' di anni che lo faccio. chissà se avrò mai il coraggio di farglieli leggere. e se qualcuno, dovessi non esserci più io ma essere ancora online, gli farà sapere esistono". era un ammasso emozionale quello che avrei voluto condividere con lei. non tutto subito, ovvio. ma di certo una delle cose più importanti e segnanti mi affollino dentro. portato di quello che è accaduto da quando è arrivato lui. condivisione importante con una persona importante. c'è anche questo di me, mi piacerebbe tu lo sapessi.

c'era tutto questo, e molto altro. era lì per essere centellinato piano piano, quando mi chiese di parlarle di mio fratello. avevo tanto da raccontarle e da condividere. era tanto, non mi aspettavo fosse troppo. per quanto non mi meravigliai quando mi resi conto di non sapere esattamente da dove iniziare, quando iniziai a parlarle.

non ci mise molto, a me quasi sembrava di non aver nemmeno iniziato. impiegò pochissimi a rendermi partecipe delle sue considerazioni didascalico-tranchant, tipo lamette ghigliottinanti giudicanti. dall'alto della sua esperienza di figlia unica giunse alle sue prime definitive conclusioni. ed io, lì, in quel momento capii plasticamente, di aver di fronte la persona sbagliata.

poi il resto venne giù nel giro di una dozzina di giorni.

non fu nemmeno 'sta gran epifania - negativa - improvvisa. ma come se il velo si fosse squarciato di colpo. che già avevo intravisto e intuito cose. ma ancora troppo dentro quella specie di inganno che si scambia per innamoramento.

quando provai a parlarle di mio fratello capii.

e sono contento sia accaduto proprio grazie a questa cosa. averne contezza provando a condividere proprio quello.è un modo per restituirgli un pezzo di centralità che non sono mai stato capace di dargli. era e rimane un passaggio importante. soprattutto per quello che non è stato. non è tanto il rimpianto, quanto un dispiacere sottilesottile per tutto lo l'ingarbugliato che mi sono portato appresso per lustri, e che ha in qualche modo pagato anche lui.

per quanto siamo diversi, per quanto a tratti distanti. aver dismesso l'abito giudicante è stato un regalo di cui, forse ben più di altri, ha fruito lui.

anche se rimango in questo limbo. dove gli scrivo i post. ma non faccio in modo li legga.

dove peraltro potrei ricordare quel tardo pomeriggio di questo inizio settembre. quando abbiamo coperto il tunél assieme. dopo mesi di continuo rimandare la sostituzione della copertura ormai a brandelli. mi son ridotto all'ultimo giorno utile dell'estate. gli ho chiesto titubante di darmi una mano. senza troppe ragioni peraltro, la titubanza intendo "beh, sì, ovvio che ti do una mano". sono state tre ore intense di intesa, con un fondo di imbarazzo che non sono riuscito a cacciare del tutto. a cose fatte abbiamo osservato il lavoro finito con una certa soddisfazione. gran ben fatto, soddisfazione ben riposta. gli archi raddrizzati, la travettina centrale in un'unica soluzione e consolidata, telo antigrandine ben disteso, centoquarantotto metri quadri di cellophane long-life a coprire il tutto. come un suggello avvolgente a chiudere quel tardo pomeriggio in cui è stato bello lavorare con lui. fare qualcosa assieme, ognuno col suo contributo.

ci siamo ringraziati a vicenda. e forse ho pensato che è stata cosa buona e giusta che la storia col fenomeno abbia cominciato a finire quando non riuscì ascoltare di me e di lui.

buon compleanno bro

Saturday, October 25, 2025

capito

io so di essere nella parte destra della codina. so di essere fuori dall'ordinario. so di valere. so che ho tutto quel mi serve per riuscire, fare, realizzare.

è che non l'ho [ancora] capito.

le cose quasi esclusivamente mi capítano. non ne sono quasi per nulla il capitáno.

[e caso mai l'avessi capito, forse l'ho dimenticato]

Friday, October 17, 2025

ronzinante

in questi giorni la radio è in campagna abbonamenti [abbonatevi]. che significa, tra l'altro, che il palinsesto è rivoluzionato, manco l'ottobre rosso del 1917. e le trasmissioni sono una shakerata di coppie improbabili di conduttrici e conduttori. provano a convincere scrocconi che ascoltano senza essere abbonati, appunto, ad abbonarsi [è il caso che vi abboniate]. i microfoni sono aperti. e partecipano tutti. anche i già abbonati, ovvio. ed è bello ascoltare quelli nuovi che l'annunciano: l'ho fatto. è tutto molto conviviale, da comunità di ascoltatrici e ascoltatori, molto radiopopolare. è un interessantissimo caos creativo, tra il cazzaro ed il serissimo. spesso il tema della conduzione nasce per caso. un continuo ping-pong con chi ascolta. [e comunque l'abbonamento è cosa buona et giusta].

stamani ero in ufficio. alle 09:00 va in onda il bacchetta in coppia con non ho capito bene chi - nuovo, mai sentito prima. l'abbonaggio col bacchetta è interessante tanto quanto il suo tutto scorre. in abbonaggio diventa un po' perculante, un po' auto-ironico, un po' dal ragionamento finissimo. bel mics. [come si fa a non abbonarsi quando c'è questo bacchetta, così]. mentre lavoro provo ad ascoltare tratti di conduzione, poi mi chiamano per quello, mi chiedono quest'altro, mi contattano per dei bei pezzi e rognette. insomma. seguo poco la conduzione. capisco solo che stanno cercando il nome per la nuova bicicletta scattante dell'altro conduttore. nel mentre arrivano anche nuovi abbonamenti [abbonatevi].

ad un certo punto, tra messaggi, chiamate, mail spunta ronzinante. per il nome della bicicletta intendo. 

ronzinante.

ronzinante, non mi è nuova. deve averla usata qualcuno, da qualche parte. non mi sovviene chi e dove. così ci pensa il bacchetta a chiarire il dubbio. prima fa partire un brano, che sembra siano due. poi chiude un po' di applicativi sul computer della conduzione [così si autodenunciò]. poi, dopo qualche attimo, fa partire il brano.

lo riconosco subito. ecco dov'era ronzinante. nel don chisciotte. la mia ignoranza è sconfinata. e lo ricordavo dalla canzone del guccio. brano dell'ultima parte del suo repertorio. che ho amato quasi sperticandomi, quella canzone intendo. che cantavo a squarciagola ormai lustri fa. sognando addirittura di farlo in duetto con qualcuno, su di un palco. cose così. canzone pazzesca. canzone bellissima. canzone di uno che quel romanzo deve averlo introiettato, come le preghiere quando vai all'asilo dalle suore. canzone con dei versi che son ricami elegantissimi. canzone con una trama musicale ed un crescendo dell'arrangiamento, della tonalità, che è un vortice, come il pathos ascendente del testo.

canzone che avevo rimosso. il pathos del senso di quell'epica annebbiato, scolorito. e non è solo la mancanza degli inibitori dei ricaptatori serotoninergici. è proprio il senso che mi manca. figurarsi uno scopo. roba così.

e quindi ho interrotto quel che stavo facendo, per godermi il momento. la canzone a sciorinare i suoi versi, le sue note. ogni tanto rientravano a parlarci sopra - è pur sempre una conduzione di abbonaggio [perché bisogna abbonarsi]. nuove proposte per il nome della bici che al fin si chiamerà bella cià. intanto si capiva che il bacchetta voleva proprio ascoltarsela quella canzone. come volevo farlo io. e quindi via, abbassa i microfoni di conduzione, il la al crescendo del brano.

ascoltavo ad occhi chiusi. ascoltavo. e di colpo mi è tornato in mente perché adoravo quella canzone. quell'insopprimibile voglia, necessità, tensione di averci sul culo l'ingiustizia. pensando a quanto sia - se possibile - ancora più attuale oggi, rispetto a venticinque anni fa. ora che sembra valga tutto e non sembra vedersi un tappo, in fondo al pozzo delle cose che possono andar peggio. ora che ancora più evidente che "il potere è l'immondizia della storia degli umani", e chissà cos'altro potrebbe ancora inquinare, intossicare, avvelenare.

ascoltando, pelle d'oca, quasi un mezzo magone, è come se si fosse acceso un lumicino. un senso, se non uno scopo, come quello di non arrendersi e "farsi umili ed accettare che sia questa la realtà". avercelo dentro, come elemento fondante, sputare il cuore in faccia all'ingiustizia, le storture del mondo. mica non lo so che continuerò a vederle, leggerle, ascoltare di tutto questo. mica non lo so che non evitare di leggerle, ascoltarle, non ignorarle contribuisce ad aver bisogno degli inibitori dei ricaptatori. mica non lo so che passerò oltre, come un potenziale sancho panza de noartri. ma il punto è che posso esser portatore di quell'istanza. insieme a tutta una fottia di consimili, che 'sta cosa ce l'hanno dentro da secoli. e che continuerà per altri secoli ben dopo di noi, della radio, del bacchetta e dei don chisciotte contemporanei. un anelito insopprimibile. dentro in quel flusso in cui transita un pezzo di umanità. ci si può sentire parte di qualcosa che, appunto, ha uno scopo che ci trascende. nell'immanenza delle cattiverie umane. quelle piccole noiose e fastidiose. quelle che generano gli abomini.

sono stati attimi radiofonici musicali in cui è come se ci fosse stato un click. come a fermarsi nel mentre si scava la buchetta, alzar il muso ad annusare lo sguardo di quel che c'è fuori. roba così, di colpo. attorno alle 10:20 di questo venerdì. sarà stata pure la minima densità plasmatica degli inibitori. sarà stata la musica ed i versi del guccio. sarà  stato che il bacchetta proprio si capiva che voleva far[se]la ascoltare fino in fondo quella canzone.

però, quell'attimo, è stato davvero bello. rincuorante.

il finale da sceneggiatura sarebbe stato: io che mando un messaggio [mai chiamato in diretta], raccontando dell'emozione della canzone e, ringraziando il bacchetta, annuncio di un abbonamento sospeso o dell'ennesimo ritocco al mio di abbonamento. ma ero troppo assorto e stordito da quel piccolo riverbero. osservavo il monitor del piccì quasi in trance. ma meno di-sperante. ero lì ma in quel momento ero altrove. e poi il bacchetta ha salutato tutte e tutti. conduzione terminata. sotto altri due.la campagna abbonamenti continua.

[ed in ogni caso, abbonatevi. per una informazione [di altissima qualità] libera da padroni e condizionamenti editoriali].

[e comunque mica detto che l'abbonamento sospeso non lo faccia ugualmente...] 

Saturday, October 4, 2025

sumud

naturalmente questo è un post in ritardo.

nel senso che ce l'ho in testa da giorni. da quando la vincibilissima flottila era tra le notizie per i soli cultori della materia. roba nelle pagine interne dei quotidiani.

avevo in testa del perché, proprio poiché vincibilissima la flottilla, sarebbe comunque stata imbattibile. perché avrebbe funzionato. giuringiurello che immaginavo, pensavo, sapevo quello che sarebbe accaduto. con tutti i risvolti per cui molte coscienze si sono accorte [stavo scrivendo svegliate. troppo tronfio come verbo. le coscienze ci sono. bisogna solo aver la voglia di sintonizzarle]. 

avevo anche ipotizzato possibili altre conclusioni. che la tracotanza di quel governo criminale avrebbe usato altri metodi, altra violenza. convinti, nella loro visione delinquenziale e delirante, che avrebbero potuto farlo, e nulla sarebbe accaduto. non è andata così, fortunatamente. e non credo perché siano più avveduti di quello che la mia percezione [frustrata] possa pensare. non credo si sarebbero posti problemi ad usare forza bruta e letale. forse è che, semplicemente, hanno fatto capire loro sarebbe stato davvero troppo. forse, chissà, anche consigliati per le vie diplomatiche.

e invece è andato in altro modo. e la assoluta vincibilità della flottilla l'ha resa imbattibile.

perché è davvero molto più chiaro, acclarato: assaltare barche ben fuori le acque territoriali non è difesa. è pirateria. che voler forzare un blocco navale illegittimo non è atto irresponsabile [fraella dixit], è dimostrare l'illegittimità del blocco.

è far vedere, plasticamente, l'arroganza di chi se ne fotte del diritto internazionale. è metter un bel cuneo nel ragionamento un po' automatico di quel che accade ogni giorno. quello non si può fare. toh, l'avevamo dato per scontato. con l'arroganza dello status quo. non è normale quella roba lì. è invece il modo in cui opera un governo criminale. se ce ne fosse bisogno diventa molto più immediato, consequenziale, accorgersi ancora del crimine epocale stanno portando avanti nella striscia.

guarda cosa possono fare una quarantina di barchette, e l'utopia di portare aiuti umanitari. ribaltando quello che non hanno saputo, potuto, voluto fare i governi. 

per forza tutto ciò sta mandando in eccezione software tutta la cozzaglia governativa nostra, con i tromboni della propaganda conseguente. è roba talmente auto-evidente, che puoi contrastarla con variegata disonestà intellettiva. pronti via la si percula e la dileggia. oppure cerchi il pelo nell'uovo, tanto capzioso quanto ridicolo. ne fai una questione pratico-ragioneristica. tutto pur distrarre dal valore simbolico, alto. che magari questi proprio davvero non colgono, talmente piccoli sono. alla bisogna ci son le insinuazioni su chi ci stia dietro. è la batteria della disinformatia. bisogna distrarre l'attenzione.

la flottilla non pretendeva di risolvere il problema degli aiuti che non ci sono, ovviare alla carestia come arma di guerra [dice: servono centinaia di tonnellate al giorno, avete impiegato giorni per portarne poche decine. se vi interessava portare gli aiuti, potevate lasciarli a cipro li avrebbero consegnati]. ma ha reso lucido e lampante, se ce ne fosse bisogno, quanto è immondo l'affamare un popolo.

sono persone, cittadini, che hanno deciso di starsene un po' meno col culo al caldo e al sicuro. a fronte dei governi e la loro inazione: partendo dal non ci si riesce, fino alla complicità di coloro che non vogliono far nulla. ovvio che, quanto meno, attira l'attenzione. e se c'è l'attenzione diventa sempre meno semplice continuare a pensare: è normale sia così, quello che succede laggiù. e diventa sempre più semplice arrivare alla conclusione che un governo sta compiendo un genocidio. e di quel governo non si vuole essere complici, figurarsi amici.

ed anche la flottilla, vincibilisima, ha dato il suo contributo a far accorgere le coscienze. mica serve essere attivisti, basta essere portatori di umanità. coscienze che lo sanno: no che non è normale. sì che laggiù l'umanità è umiliata. e no che non puoi permetterti di continuare farlo. e sì che sei dalla parte sbagliata della storia.

e sumud, la flottiglia l'ha fatto con la non violenza. che è l'avanguardia rivoluzionaria. non ostante o forse proprio perché assolutamente vincibile. che non potrà fermare il genocidio, non almeno in modo diretto. ma sarà sempre meglio essere vincibili, piuttosto che indifferenti. che poi è così che si comincia a diventare complici.