Sunday, July 27, 2025

appuntini

credo di essere nel bel mezzo di un momento depressorio. niente di che, neh? una buchetta. se ne verrà fuori.

gran grosso boccone, del pasto che sta consumando questo momento, credo sia il rinculo per quel tentativo di storia deragliata in un mezzo amen. pensavo fosse arrivato il cambio di paradigma. ci ho creduto. talmente tanto che non ho intravisto i segnali. meglio: li ho intravisti, ma gli occhi a forma di cuore han fatto sì li ignorassi. e quindi un bell'investimento emotivo per qualcosa da costruire con una delle persone meno adatte. i segnali, appunto, c'erano, te non cacarli, e così succedono cose in un mezzo amen. e comunque prova te a ragionare con la chimica e le nevrosi quasi ossessive.

tant'è. dopo un po' è arrivato il rinculo. nemmeno il tempo di iniziare il chiodo-schiaccia-chiodo. o meglio, prodromi non esattamente scintillanti.

e dentro il rinculo, tiro su a trascico le nequizie che accadono. enormi ed epocali, come quelle più vicine. differenze di scale e di prossimità importanti. ma tutto si tira appresso, e il velo di malinconia sembra un fronte perturbatorio ampio e persistente. per quanto è serena malinconia. però lo strascico tira dentro tanta roba. e si fatica. e naturalmente non voglio tirar il fiato. e quindi, dice, che cazzo ti appunti cose, che tanto lo sai già come si rimane nella buchetta.

e vorrei tirar fuori tre appunti. veloci. anche se tanto si sa, tanto veloci non saranno. appunto.

venerdì ero in ufficio. ascoltavo la rassegna stampa mentre mi avviavo al dispenser per l'acqua microfiltrata. il piccolo rito mattutino è quello di riempire la borraccia, bersi il mics di accccuaCasssataENaturaleAgaggganelle, quindi riempirla di nuovo e tornarsene alla postazione. il buon mattia, alla radio, stava leggendo l'articolo su mohammed, bimbo di diciottomesi di gaza, notizia in principio riportata dal daily express. pelle color di vecchio, colonna vertebrale più che sporgente, pancia gonfia, viso inespressivo e occhi sbarrati. "Apre e chiude la bocca, cercando nell’aria il biberon che non ha. Non è un pianto quello che emette, è piuttosto un lamento rivolto alla coscienza del mondo che assiste inerte a tutto questo.". mi mancano - letteralmente - le forze. mi siedo su quella specie di seduta cool arancio-grigia. bevo dalla borraccia, da seduto. non riesco a farlo in piedi. ascolto e mi sommerge un senso di angoscia. un misto tra rabbia ed impotenza. un po' spero che l'articolo, la sua lettura, giunga a conclusione. come a smettere i cazzotti nel bel mezzo della panza. un po' vorrei non lasciar andare quell'immagine, quel simbolo. sono seduto e bevo, lentamente. nel frattempo sbucano dall'ascensore fieri dipendenti di là dentro. stanno andando alla loro postazione, convinti che anche oggi saranno fondamentali e determinanti a immaginare progetti nuovi per là dentro, o roba raffinata, per l'ordinario ed oltre, a garantir il funzionamento della baracca. non so se sono contenti, praud. se si sentono importanti e ben pronti ad alimentare parziali sovrastrutture, l'impiegato che va al lavoro nel posto fico e cool. con quella specie di sedute arancio-grigie vicino al dispenser dell'acqua microfiltrata. ti ci puoi sedere, mentre ti fai un goccio. tipo quello lì con le cuffiette nei padiglioni auricolari, con le spalle un po' curve. dalla postura del corpo non sembra in formissima. li guardo passare, mentre sto moderatamente di merda. chissà che cosa stanno pensando. chissà quali preoccupazioni. chissà quale contezza di certe nequizie. chissà quanto interesse. chissà quanto pensiero solo alla giornata lavorativa che va a cominciare.

cose così.

ieri sera spettacolo pirotecnico sul lago. mi interessa il giusto. ma almeno mi costringo ad uscire di casa e far due passi sul lungolago satollo di turisti e autoctoni. prima volta in questa stagione. passo davanti l'oratorio. è ancora una stilettata. come se lì dentro si fosse formato un ganglio di irrisolto. almeno per me. ci sono i manifesti dei campi-scuola. roba che mi tornano - ancora - alla mente le sensazione di condivisone fuori dal mondo ordinario, che si viveva in quei giorni. sui manifesti ci son foto, ed in quelle foto c'è il prete, ovvio. mi fa un effetto strano. potrebbero toglierli, penso. stamani lo condivido con matreme. la sua risposta è breve quanto significativa: eh, l'oratorio deve comunque andare avanti, ed ai ragazzi, ai bambini bisogna comunque pensare.

già. il tutto deve continuare. e se deve, può. è che son solito fermarmi nelle mie buchette. le cose devono proseguire. come durante il covidddddì, la gente ha continuato a sposarsi. per fortuna c'è il mondo fuori dalle mie buchette.

oggi ho camminato in mezzo al bosco. sembra faccia bene. probabilmente non è solo una questione che, in modalità sciamanica, ti rammentano come un'ovvietà pattuglie di gniugeisti, nelle più lisergiche declinazioni. potrebbe esserci qualcosa di provabile. tipo fitotrasmettitori e recettori, che le piante utilizzano per comunicare. non dissertazioni sui massimi sistemi. elementi funzionali alla loro sopravvivenza. e sembra che immergervisi faccia bene. confermo. sarà poi quel po' di sforzo fisico, la dopamina che si genera. sì. funziona. non è che esce dalla buchetta, neh? però meglio che starsene in panciolle a rimirarsela, la buchetta. camminando in mezzo al bosco ho attraversato terrazzamenti, quel che rimane. piani, artefatti, che si inseriscono nelle asperità del versante di mezza costa, naturale. sono le vestigia di quel che era lo sfruttamento di quei terreni. si coltivava, si viveva di quello. economia di sussistenza e poco più. e lì non c'era bosco. tutto sgombro, per sfruttare gli appezzamenti, pascere il bestiame. il bosco è tornato quando l'uomo da lì se n'è andato. qualcuno li osserva con una certa nostalgia: come sarebbe interessante tornare a quei versanti curati, che erano così capace di darti da sopravvivere. appunto. sopravvivere. sono in un momento depressorio, non soverchiato da nostalgie passatiste, luddismo allo stato di superplayer. per millemila ragioni. e poi il bosco è biomassa, tra l'altro da captazione di anidrite carbonica. e sono alberi che continueranno a cibarsene, per ridarci ossigeno. certo. molti muoiono, marciscono e magari te li trovi sbarrare il sentiero. ma è elemento organico che rientra nel circolo. humus che concimerà altri alberi. il bosco può inquietare, per alcuni archetipi che ci portiamo dentro. il bosco può rigenerare. che grandi chiacchierate devono farsi, gli alberi, con i loro fitotrasmettiri-recettori. e noi che ci passiamo in mezzo.

anche senza per forza uscire dalle buchette. però meglio che non farlo. 

Friday, July 11, 2025

abisso

la morte di don matteo mi ha colpito, molto. così tanto non lo credevo. però è successo. e non credo sia solo per il fatto che nella hometown tutto riverberi, troppo, come in una scatola di latta. credo anche si sia trattata di una sorta di immedesimazione*.

ho voluto esserci, ai funerali. mi sembrava un gesto scontato, naturale. al netto di matreme che ha chiesto, appena rincasato: dov'eri? al funerale. ma come, sei venuto anche tu?

ho voluto esserci, sì. vista poche altre volte la chiesa così piena. un silenzio, sospeso e compatto. di quelli che fanno un gran rumore.

volevo esserci, anche per ascoltare. per intuire come quella morte potesse riverberare, gli effetti farsi voce, racconto, partecipazione. senza dimenticare che non si fosse messo minimamente in dubbio il funerale religioso. non so quanto fosse misericordia, quanto dismettere il giudizio e la condanna, definitiva. roba di nemmeno troppi anni fa.

volevo esserci anche per capire, intuire, come l'hometown cominciasse ad elaborare il lutto. qualcosa di davvero fuori l'ordinario. troppo per una comunità sempre più infighettata, paciosa nello starsene in quel angolo di mondo, forse così isolato e al riparo dalle storture di quel che accade.

ha parlato il vescovo. han parlato preti. ha parlato una ragazza dell'oratorio. ha parlato il sindaco. e il gianmaria è quello che mi colpito più di tutti. gliel'ho scritto: grazie sindaco.

grazie perché  è stato l'unico che si è avvicinato al burrone. è l'unico che non ha nascosto il fatto c'è un abisso che si è preso quel giovane sacerdote. poco più che accennato, ma almeno non ha guardato solo da tutt'altra parte.

non è così paradossale. in fondo un sindaco dovrebbe parlare da laico. ed in fondo io ero lì da laico, tecnicamente non credente, per nulla certo di un qualcosa oltre questa vita. ed ero lì, cognitivamente con l'eco lontana, intuita, percepita, che quel gesto possa essere esattamente possibile. esattamente l'opposto di qualcosa che non si può spiegare. è nel novero delle cose che possono accadere. esattamente com'è accaduto.

lo sconcerto che ha travolto tutte e tutti accompagna la meraviglia sgomenta di un gesto che nessuno avrebbe mai immaginato. che quindi non si capisce come possa essere. è il modo per guardare solo dall'altra parte del burrone, come se l'abisso stesse sull'asse immaginario. lontano dalla paciosità lacustre. forse è autodifesa. forse è rimozione della complessità sconcertante dei recessi della mente. forse una fuga. forse la combinazione lineare delle cose. [forse lo stigma, oppure l'impreparazione, verso la malattia mentale. se ho il reflusso, ci sta. se sono depresso, non so come si possa accompagnare qualcuno con 'sta roba qui]

per questo penso sarebbe stato giusto, laicamente misericordioso, sincero, qualcuno lo dicesse. di fatto, però, nessuno l'ha fatto. non ho sentito dire: scusaci se non siamo stati capaci di accorgerci quanto dolore e quanta disperata solitudine. non cambia la sostanza di quello che è stato. ma poteva essere un modo per non sprecare proprio nulla, accorgerci che ci si può accorgere, perché è qualcosa di possibile tra le cose possibili.

hanno parlato prelati. e non potevano che concentrare tutto sul significato teleologico: il fine ultimo, l'insondabile della mente dell'uomo ben presente nella mente di dio. la promessa del rivedersi quando saranno i tempi nuovi, quelli della resurrezione. e la testimonianza di tutto quello di bello e positivo ha lasciato.

che [mi] siano mancate cose dette, inutile ribadirlo. però, per un attimo, ho provato un po' di invidia. perché qui, da queste parti, non rimane altro che lo sconcerto di quel gesto. e non c'è promessa di vita eterna che possa mitigare, qualsiasi cosa significhi. ce la si deve vedere qui ed ora, senza appigli trascendenti. noi con la sola immanenza che qui viviamo, e poi basta. confesso che, per un attimo, mi sarebbe piaciuto percepire quel refolo di speranza, che acclaravano come l'unico senso per dare un senso a tutto questo.

siamo soli, noi laici.

soli ma non disperanti, necessariamente. perché un senso ci può essere nella testimonianza. nell'eco di quel che giovane don ha saputo comunque trasmettere. e poco importa me abbia solo sentito parlare. se si è manifestata in un'intuizione e un'ingiustificata simpatia per un sacerdote, mentre spingeva un tosaerba su un campo di pallone. è molto immanente. me lo posso portare appresso anche io. anche se propagherà, chissà quando e come, in tutti altri ambiti. anche se magari succederà senza che abbia completa contezza. è un modo per rimettere in circolo. dare un senso a qualcosa di cui il senso, disperante, sfugge. è totalmente insensato solo se si fa finta che il burrone non esista. se ci si ostina a guardare sempre e solo dalla parte opposta dell'abisso.

un paio di considerazioni, ancora, prima di chiuderla qui.

tutte e tutti hanno ricordato la cordialità, l'entusiasmo, il sorriso ed una parola buona per chiunque. ad un certo punto ho intravisto una specie di piccolissima epifania. come se quell'apparire così convintamente pieno di vita fosse un modo per sfidare, per contrapposizione antipodale, il buio dell'abisso. cosa del tipo: quello che c'è in fondo al burrone mi agisce a voler smettere di vivere? ed io mi pongo in maniera esattamente opposta, con l'entusiasmo di vivere. qualcosa di drammaticamente faticoso, che alla fine, forse, lo ha trascinato dove è solo stanchezza per sempre.

*mi hanno colpito molto i ragazzi oratoriani, il loro dolore. mi ci sono immedesimato, anche se quel dolore io non l'ho vissuto [ora, né una cosa simile allora]. però mi son sentito vicino a loro. e non solo perché è capitato in quel luogo che frequentano. e che ho frequentato. il locale in cui l'hanno trovato è un posto in cui non metto piede da oltre trent'anni. ma è come se mi ricordassi, esattamente, com'è fatto. come ci fossi stato da pochissimo. come una specie di cortocircuito temporale. come rivedermi in quei posti che sono stati parte indelebile della mia educazione sentimentale. cui spesso riparavo, come a cercare una protezione quasi uterina. quei ragazzi sono io trentacinque-quarant'anni fa. come fossimo uniti da un luogo comune [fisico ed emozionale] che è stato [per me] e sarà [per loro] fondamentale. al netto delle mie apostasie e il nocumento che mi è cascato addosso in quegli anni ed in quei luoghi [allora non sapevo stesse accadendomi ed ero sicuramente un po' rincoglionito]. loro sono io. io sono loro. loro che invece hanno già saggiato quanto può essere lancinante e durissima la vita. che però hanno dalla loro l'entusiasmo incosciente - bellissimo - delle loro età. che sappiano trovarcelo, un senso. al netto dei discorsi trascendenti che si sono sentiti raccontare. la durezza di quel che le e gli ha colpiti, serva loro ad intuire che, appunto, i burroni esistono. chi lo sa se non potrà aiutarli a capire quando ci sarà qualcuno da afferrare e tenere per mano, per allontanarlo dall'abisso.

[e comunque, struggente, è stato vedere quasi una decina di giovani preti, provatissimi, portare a spalla ed accompagnare la bara. non mi era mai successo. dubito ri-succederà] 

Saturday, July 5, 2025

ruggine

l'algoritmo del signor feisbuch mi propone video di restauri di oggetti. oggetti con parti metalliche importanti. parti metalliche con tanta ruggine appresso. l'algoritmo del signor feisbuch ha capito come agganciarmi. e difatti li guardo come un dipendente da social engagement da social qualsiasi.

li guardo forse anche un po' rapito.

prima spatole per togliere il più grosso. poi le spazzole coi ciuffi di metallo, per i punti meno accessibili. e poi cascate di wd40, a cominciare a lubrificare viti, bulloni, tasselli [metallici]: è ora di compiere il percorso elicoidale di allentamento. lo percepisci il wd40 che si insinua spumeggiante negli interstizi più incrostati e comincia a sciogliere la ruggine che era tutt'uno con il resto. come ad annunciare: diamoci una mossa, è tempo di tempi nuovi.

poi c'è la sabbiatrice. subisco il fascino della sabbiatrice. che il metallo vivo torna alla luce, dà un'idea del luccicore che non ha mai smesso di avere, sotto la ruggine. sembra che gli oggetti si colorino, e invece è la ruggine che se ne va.

e poi la lima. i movimenti a volte sinuosi, tondi, quasi poco istintivi. è un mestiere e una manualità mica scontata anche questa. tirare di lima, si capisce il senso di una maestria che si impara.

e poi la cartavetra. grani diversi, per i vari passaggi. il lavoro che è ripetizione e affinamento. affinamento e ripetizione.

e poi - bellissimo - le nuove vestigia a tutti i pezzi. là dove si colora, a spray, a polvere, le parti più importanti. e le componenti zincate, temprate, lucidate.

per poi ricomporre il tutto. stessi pezzi di prima. niente più ruggine. un'apparente insieme scomposto di componenti, rimessi a nuova vita. si rimontano, si riavvita, si serra, si assembla. eccolo di nuovo pronto all'uso. luccicante, colorato, pronto per ricominciare ad avere un senso. come nuovo. anzi, meglio: con il valore aggiunto della cura e dell'essere messo di nuovo a nuovo.

ho capito perché li guardo rapito.

perché c'è dentro il senso di riaggiustare, del ripartire, del sistemare. che si riesca a fare non ostante le incrostazioni, la ruggine, l'accumularsi delle fatiche e delle corrosioni del tempo. e proprio dalla ruggine si riparte. si ricomincia. che non è la ruggine a far smettere la voglia di riprovarci. anzi. è forse la ruggine che, quando sta fuori, è il punto di partenza per ripartire. toglierla, la ruggine: da lì viene poi tutto.

penso e pensavo a come sarebbe bello farlo con le persone, con le relazioni, con quello che incrosta e non permette più di agire. qualsiasi cosa possa significare. anche se le persone, le relazioni non sono ovviamente oggetti. però il senso è quello: il ricominciare dopo il lavoro di cura per restaurare, che poi è tirar fuori di nuovo quello che comunque continuiamo ad essere.

lo pensavo, tra l'altro riferito anche a me. che va bene la malinconia, ma non ho di che di dovermi lamentare. anzi.

infatti oggi è tornato, prepotente, il monito che dolori e fatiche che soverchiano sono accanto alla vita di ciascuno. e che la ruggine, le incrostazioni possono starsene ben nascoste dentro, nel profondo. talmente nascoste e nel profondo che se guardi fuori sembra tutto così colorato, vivo, forse anche luccicante. e l'agire, essere strumento di qualcosa o di qualcuno, è connaturato al senso stesso dell'essere. esattamente l'opposto di qualcosa di solo imparentato con la ruggine.

e invece no. la ruggine può essere dentro, talmente in fondo [ma era poi così in fondo?] o talmente avvolgente che no, non ce la si fa più. e non si trova più la voglia di riprovarci. e che tu sia un prete, che ha conquistato in nemmeno due anni un paese parvenu, complicato e rompicazzo come l'hometown*, cambia in fondo poco. quando è la ruggine che non si può, che non si riesce a sabbiar via.

ho faticato, a tratti fatico, probabile faticherò. però questa sera mi è ben illuminata l'evidenza dei privilegi - di cui ho solo una parte - piccola - di merito. che lo smarrirsi del senso di riprovarci, che si spegne del tutto, è un'eco lontana. ma esattamente nell'ordine delle cose che possono essere. 

se esiste un dio, sia quello che lui testimoniava come sacerdote o un altro, se lo tenga abbracciato più forte che tanti altri. 

 

* figurarsi. un tardo pomeriggio, passavo accanto all'oratorio e vedo che con gran lena spinge il tosaerba nel campo di pallone. roba lunga, penso. provo un'ingiustificata simpatia per quel pretino, vederlo lì faticare da solo. roba a pelle. roba che non accade da qualche lustro, un desiderio di ri-mettermi in relazione con uno di loro, intendo. e penso che mi piacerebbe dargli una mano. senza un perché. o forse è per non lasciarlo solo a tagliare l'erba del campo di pallone. e penso che potrei dirgli che si farebbe molto prima con il trattorino che utilizzo a casa. potrebbe tagliare l'erba di tutto il campo standosene comodamente seduto. devo solo trovare il modo di farglielo sapere. fossi stato più attivo e meno procastinante glielo 'avrei potuto dire direttamente, quella sera. ti faccio vedere come funziona, poi te lo vieni a pigliare le volte che ti serve. certo, non so se tu possa viaggiarci su strada, il tragitto da casa all'oratorio e ritorno. ma in fondo, mica romperanno i coglioni a te, i vigili. no?

 


 

Tuesday, May 20, 2025

ventimaggio

il ventimaggio è una bella data.

un ventimaggio scoprii che il mondo era pieno di donne. mica solo quell'ossessione, nevrotica, che era nient'altro che un anelito. ma soprattutto una che mi perculò per anni. per quanto ci vuole anche uno che si faccia perculare, più o meno consciamente. un ventimaggio scoprii che no, altri occhioni [azzurri] potevano rapirmi. anche se gli occhi erano verdeazzurri, e fu rapimento breve. e che avrebbe poggiato sul pongo. però che bello fu quel ventimaggio. notte di coppe di campioni.

tutti i ventimaggio compie gli anni una persona che fu importante. grazie a lei capii cose, ne imparai di nuove. faceva benissimo l'amore. gli abbracci, dopo l'amore, mi tenevano lì, con lei. basta cadere nei recessi bui e poco piacevoli, quelli che avevano lasciato le protomolestie subìte [ahhh, i preti]. ventimaggio, il giorno giusto per il compleanno di una persona bella come lei.

il ventimaggio si sono sposati la mia amica monica ed il marco, aka il togna. forse il più bel matrimonio cui abbia mai partecipato [assieme a quello del mio amico emanuele e la sua sposa]. bello come quando qualcosa di bello ed importante si manifesta, con tutti i dettagli, precisi precisi, che si posano e vanno al loro posto. realizzando il senso profondo del concetto di autentico. zero stonature e sfrigolature. zero tradizioni da rispettare. zero ipocrisia da cattolici à la carte. una  promessa che si fa sacra, testimonianza davanti a dio, cui loro credono. nell'unico modo in cui credere. che bel matrimonio. 

a proposito di testimoni.l'amica monica con un testimone, uomo. il togna con una testimone, donna. poco scontato. ma sono l'amica monica ed il togna.

a proposito di testimoni, carina la testimone del togna. devo averla già vista. dove posso averla vista? ah, ecco, dove l'ho già vista. quegli occhioni vispi non era la prima volta mi colpivano. quanto meno mantengo una certa coerenza. la volta prima, forse, lei con una divisa da boyscout, incontro parrinaro, quando ancora credevo convinto, sei-sette anni indietro. ora così graziosa accanto al togna.

chiedo di lei. un'amica comune con l'amica monica si fa evasiva: tanto a me sono anni non dà più retta. fatti avanti, dai. sì, vabbhè, penso. figurarsi se mi viene di farlo, a me. 

durante il pranzo - che buono tra l'altro, il vino. tipo le nozze di canaa partendo dal fondo - pare ci sia un giuoco di sguardi. oftalmomachia avrebbe detto il nonnetto putativo. la osservo fugace, ogni tanto. forse anche lei guarda me.

dopo le prime portate pausa dalle libagioni nel giardino del ristorante. caldo gentile, sole che accende il verde e luccica sul lago lì accanto. tutte e tutti più rilassati. gli uomini con cravatte dal nodo allentato, primo bottone slacciato, le giacche leggera delle fanciulle lasciate sulle sedie assieme le borsette. con una certa casualità incrocio il togna, casualmente, ovvio. carina la tua testimone. lui nemmeno prova a perdersi in convenevoli, va dritto al punto: sta aspettando che tu vada da lei. 

non so se essere più lusingato o più incredulo. vuoi dire che ho fatto colpo? poi però mi ricordo che bisogna essere coerenti nella vita. incapace di farmi avanti. quindi non vado da lei, quindi lascio che mi aspetti. altro giuoco di sguardi. poi lei saluta e se ne va. il sole comincia a tramontare. siccome ci vuole coerenza mi sento un pirla, con la sensazione abbia perso l'occasione. provo a recuperare in modo goffo, come quando si afferra al volo qualcosa che vedevi già per terra, rotto, coi cocci da raccogliere. chiedo al togna: ma ci avrà mica una mail cui scriverle? il togna mi risponde senza esitazioni. però capisco che lo sguardo che pare chiedermi: ma tu, che potevi andare a parlarle, ti ha aspettato per tutto il pomeriggio, che poi decidi di scriverle ecco, tutto questo lo fai: perché non hai avuto il coraggio? perché sei un pirla? o c'è dell'altro?

la giornata ed il matrimonio stanno finendo. siamo a casa dei genitori dell'amica monica. il sole è ormai tramontato. le ultime emozioni da condividere. l'aria comincia a farsi fresca. l'amica monica indossa un golfino bianco, che bella sposa che è. si capisce sia stanca ma molto contenta. le dico della testimone, e che le scriverò, credo di trasmetterle una speranza che mi sento sgorgare dentro. non dimenticherò mai lo sguardo con gli occhioni verdi. il suo viso luminoso da sposa a disegnare un sorriso, che però sembra tendere all'amaro. ed il tono che vuole abbracciarti, ma non nasconde una perplessità: guarda che però è una persona un po' strana, stai attento.  

forse non sto attento, le scrivo. mi risponde. le scrivo. mi risponde. nessun accenno al fatto non mi sia fatto avanti, il ventimaggio. forse riesco ad essere anche brillante, scrivendole. sarà pure strana, però scrive in maniera interessante. sembra interessante. mi piace 'sta cosa. ci vediamo per una birra? occhei, andata. incredibile. un appuntamento che sembra venir fuori così, spontaneo e fiducioso.

ci vediamo. è proprio carina. un po' gli occhietti, un po' il sorriso, un po' la sensazione di un'intelligenza vivace. che bella serata. tutto sembra andare nel modo più rasserenante e piacevole. vuoi vedere che smetto di essere singol? quella sera non succede nulla. è che ci vuole un po' di tempo prima di dichiararsi, esplicitare, acconsentire con un . comunque è tutto bellissimo. forse un po' di farfalle nello stomaco.

continuiamo a scriverci. le scrivo. risponde. e poi arriva la sua domanda: che facciamo questo uichend? come il semplice evolvere delle cose, dovessimo vederci intendo, fare cose assieme. tipo quelle che mi propone, tra cui anche una cena, a casa sua - dove vive sola. invito degli amici, ci passiamo una serata assieme. andata.

quel sabato tardo pomeriggio piove, a tratti in modo intenso. dall'alto verbano a metà del cusio c'è un po' di strada. se mai un giorno dovessimo metterci assieme vorrà dire tanti viaggi come quelli, con un'auto che peraltro ancora non possiedo.

sono da lei presto, prima di tutti gli altri, non è arrivato ancora nessun. siamo soli. mi mostra casa..carina, piccola ma accogliente. della stanza da letto mi colpiscono due cose. un paio di sci appoggiati in un angolo, lì da qualche mese ed il letto, matrimoniale, davvero enorme. chissà se mai ci coricheremo assieme, su quel letto, e faremo cose che ora non saprei esattamente visualizzare. sembra tutto così in un futuro da definire, però chissà, magari succederà. giungono gli altri ospiti. ceniamo. compagnia piacevole, mi sento a mio agio, per quanto sempre con quel filo di timidezza. lei mi piace, è davvero carina, ogni tanto mi guarda e mi sorride. chiacchiere lievi e calorose. tutto va bene. e come corre il tempo quando ci si diverte. forse corre fin troppo in fretta. perché d'un tratto tutti gli altri annunciano: vabbhè, noi ce ne andiamo. penso: ma come. è già? non mi sembra così tardi. intanto tutte e tutti se ne vanno, così, d'improvviso. sembra quasi una cosa artefatta, oltre che inaspettata. tipo quando guardi la tivvvù e bluup, non c'è più luce, e ti chiedi: chi ha aperto l'interruttore generale?

mannaggia, penso, volevo starmene ancora per un po'. ora che se ne vanno tutti, dovrò andarmene anche io. mannaggia. si stava prospettando una bella serata in compagnia, perché farla finire così presto? che fretta c'era?

rimaniamo di nuovo soli. però mi piange il cuore. volevo rimanere, e ora tocca andarmene. i gesti si fanno un po' impacciati, io provo a procastinare. davvero, vorrei passare altro tempo con lei. ora siamo soli. forse non è opportuno, chissà cosa potrebbe pensare. gli amici se ne sono andati, la serata ormai è finita, molto prima di quanto mi aspettassi, peraltro. così, un po' sconsolato davanti ad un destino amarognolo, esclamo: vabbhè, me ne vado anche io a 'sto punto. lei mi guarda perplessa, non dice nulla. io non so se capisco che forse è meglio vada, anche se non ne ho proprio voglia. sarà il caso che nei prossimi giorni chiarisca la situazione, mi dichiari in qualche modo, palpitando poi in attesa di un suo , eddddai, sembra ben disposta anche lei, probabile non mi dirà di no. così ci mettiamo assieme. fidanzati forse è un po' troppo, almeno per i primi tempi. però almeno sapremo come far procedere le cose, magari in una serata come questa, dopo che gli amici se ne sono andati. sì, è il caso affronti la cosa nei prossimi giorni e cominci a tastare il terreno.

lento mi avvio verso la porta. mi sembro comunque troppo veloce, che vorrei rimanere lì l'ho già scritto, vero? apro l'uscio, non me ne vado subito. sono appena fuori casa sua, lei un passo dentro. voglio rubare ancora qualche istante da passare con lei. già, lei. se ne sta a braccia conserte, il viso appena reclinato. le è sparito il sorriso, gli occhietti meno vispi. sembra osservino qualcosa oltre me, trapassandomi lo sguardo. e insieme forse mi rimproverano. ho la vaga sensazione non sia felicissima, un po' come me, che vorrei tanto rimanere, mentre sono costretto ad andarmene. cazzo, gli amici non potevano fermarsi ancora un po'? ritualizzo, spostando un zic più in là il momento in cui la porta si chiuderà alle mie spalle, salirò in auto e ripartirò, destinazione alto verbano, e durante il viaggio penserò che sì, è il caso cominci a formalizzare la questione: ci mettiamo assieme? gliene devo chiedere, lo farò da qui a qualche giorno.

 

ho ripensato molte, molte volte a quei momento, a quello sguardo. me lo vedo anche qui, ora. ora che penso stesse chiedendosi: ma questo, esattamente dove e quando smette di essere un pirla, per cominciare a diventare definitivamente un coglione?

l'ineffabile verità è che, allora, non avrei saputo nemmeno da che parte cominciare. poi uno dice che la formazione sul campo è fondamentale. appunto.

quella sera finì tutto. di fatto non volle più vedermi. dal suo punto di vista, a smaccata ed ineluttabile ragione.

forse, per essere strana, era strana. io sicuramente ero ancora più codina della gaussiana [quella bassa]. così rimasi singol, allora. per quanto poi non è che sia mai diventato un grande cultore della materia. appunto. sarà anche per questo che combino dei grandi casini, oggi.

per questo è sempre un regalo che mi faccio, fare gli auguri il ventimaggio all'amica monica e a il togna. auguri di buon anniversario. è un po' come se li facessi a tutte e tutti coloro che ci sono riusciti e che resistono. 

ad altri capita invece di percorrere tragitti diversi, anche molto eccentrici  per finire altrove.

Saturday, April 19, 2025

pèsach

niente. la pasqua non passa. tecnicamente vivo un personalissimo pèsach. non dalla schiavitù in egitto alla terra promessa, declinazione veterotestamentaria. non dalla schiavitù del peccato a quella della redenzione per mezzo del sacrificio dell'agnello, declinazione neotestamentaria. tutta roba che ha un senso, neh? per quanto con un sacco di effetti, pragmatici, che impatta milioni, miliardi di persone. no. è roba molto più intima, privata. la pasqua però non passa, nemmeno dopo l'apostasia personale di fine millennio scorso.

anzi.

il problema era proprio la pasqua.

un paio di paragoni, un po' improvvidi, forse. o forse no. forse accostarli. forse. c'è di mezzo il sangue.

le donne, quando sono in cinta, i primi due-tre mesi possono avere piccole perdite mensili. il ricordo del corpo del ciclo mestruale.

sembra che le stimmate di padre pio da pietralcina, durante il venerdì prima di pasqua, sanguinassero in modo copioso.

sangue. quello che rendeva impure le donne. quello che era segno importante della santità del frate. poco importa sia ben lontano da pensarla così. la religio, qua e là, manda fuori di giri il buonsenso razionalista. oltre che avere una discreta fascinazione per il pulp.

anche per questo feci apostasia, al netto del pulp. il personalissimo pèsach.

però la pasqua non passava. come un grondare qualcosa proprio in quei giorni.

dalla sensazione di spaesamento di quando si scioglievano le campane a festa, al termine della veglia madre di tutte le veglie, cui non partecipavo più. quell'annuncio a distesa lo ascoltavo attutito nel soppalchino. solitudini passate a scriverci sopra, condividendo all'inizio con la sola queen, colei che mi disse: apriti un blog, e scrivici. 

la pasqua non passa non ostante le serene convinzioni costruite passo a passo. non ostante mi senta lontanissimo dalle sovrastrutture e le ritualità automatizzate. "il rifiuto delle vuote ripetizioni. la religione come gerarchia"*. aver fatto pace e liberato da "Da inferni e paradisi, da una vita futura/Da utopie per lenire questa morte sicura"**. dal fatto sia necessario un dio trascendente per dare un senso a questo immanente disperante. così, tra l'altro capire, che non sono di sinistra perché ero cattolico, convinto, praticante, illuminato dalla dottrina sociale della chiesa. bensì sono stato cattolico, illuminato dalla dottrina sociale della chiesa, perché sono [ontologicamente] di sinistra.

non di sinistra perché cattolico. ma [stato] cattolico perché di sinistra. ecco il chiasmo che mi ha chiarito cose.

però la pasqua non passa.

non so se l'eco solo dell'educazione sentimentale della pre e adolescenza. quando tutto sembrava possibile. anche l'idea di salvare il mondo. non basta l'azione convinta del giovane convinto, che sceglieva la pasqua, lasciava ai più il natale soffocato dal consumismo. anzi. penso non sia solo questo. c'è qualcosa di più profondo. lo percepisco senza saperlo. i riverberi vengono da più lontano. forse solo alla cultura secolare, che ci è attaccata? o bisogna andare ancora più indietro? ad un qualcosa di ancestrale, di archetipo? ad un cassa armonica che abbiamo dentro dove risuona il nostro essere spirituali? il soffio, il respiro, il πνεῦμα (pneuma) che da fiato alla scintilla divina? posto sia necessario mettercelo l'aggettivo divino?

la pasqua non passa. e va benissimo così. ha tutto un suo senso. specie nei momenti di quiete come questo. le campane ormai si sono sciolte a distesa. è resurrezione per i cattolici. è comunque pèsach per me. oltre il sabato dell'indifferenza, quello tra il venerdì della passione ed la domenica della resurrezione. qualsiasi cosa laicamente significhino.

le domande lasciamole lì. a posto così. ci sarà da qualche parte un oltre, forse. può lenire la certezza disperante. ci può convivere assieme, mi sembra un contributo interessante. un oltre che mica deve per forza essere trascendente. magari, questo sì, trascenderci: nel senso di non confinato in ciascheduno. ognuno neuroncino di una intelligenza, collettiva. o qualcosa che le assomiglia. o le va oltre.

buona [la] pasqua che non passa. 

[ora ho una gran voglia di fare l'amore.]

 

* un paio di suggestioni, tra le meno significative, di un'interessantissima uotsappata con la mia amica letizia, aka mirtillogirl. difatti, nella rubrica, lei è mirtillo. rara intelligenza, la laeta, quanto importanti i suoi pungoli.

** un paio di versi di "libera nos domine". che quando ero un convinto praticante solo bianco nero mi mandò in crisi. e smisi di ascoltare il guccio per qualche tempo. che simpaticissimo pirla ero.

Friday, April 18, 2025

agnelli

agnelli, nel senso di sacrificali. che poi basta spostare un accento. piano: sacrificàli. oppure bisdrucciolo: sacrìficali. o forse no. è lo stesso. agnelli sacrificàli come l'agnello che si dona ai suoi aguzzini. però vale anche l'altro. agnelli, sacrìficali. un'esortazione. che tanto ci pensa lo scorrere delle notizie, sempre non le si ignori. sempre trovino ospitalità nell'elenco di quelle che ci danno.

sacrificàli, che fa molto venerdì santo. sacrìficali che fa molto gente spazzata via. le zone son ben più o meno quelle. sante, per alcuni. che di santo non hanno un beato cazzo. per molti altri. figurarsi per chi quella terra è tutta una distesa buche, macerie, distruzione, devastazione. e dolore. e fame e sete. chissà se e come l'ha voluto il dio che tirano in mezzo. dei dii che si sentiranno strattonati. posto che un dio possa sentirsi così. anche in quel caso, il dio o i dii, tutto piuttosto collegato. solo questioni di tempi e di interpretazioni. e di libri che si vogliono sacri. declinazioni diverse. una discreta fascinazione per il sacrificio. l'agnello funziona bene. così inerme, così placido, così plasticamente adatto al sacrificio. non c'è bisogno nemmeno di accanirsi. si toglierebbe centralità al sacrificio.

decine di migliaia di sacrificàti. cinquanta, sessanta, forse il doppio. tutto con la placida indifferenza dei quasi tutti. non è nemmeno perché siamo solo cinici, e guardiamo dall'altra parte. tipo quando si sacrifica l'agnello. tipo come se i mattatoi fossero fatti di vetrate, quanti vegetariani in più. 

agnelli sacrificàli, che coinvolgono come si ascoltano i riti pasquali del venerdì. quello dove l'agnello si consegna ai suoi aguzzini. grande dolore e tormento per il figlio dell'uomo. la leggono, ci passa oltre. oppure l'agnello del sacrificio la notte di pèsach. con il cui sangue segnare l'architrave, così l'angelo della morte non entrerà in quella casa. una delle letture presente nella madre di tutte le veglie, domani sera.

stesso coinvolgimento.

mentre a migliaia vengono spazzati via. ormai talmente tanti che ci si è corazzati, emotivamente. per non farci coinvolgere. e quindi sacrìficali. come se ormai non fosse altro cosa che capita. come la lettura della passione, ad ogni triduo pasquale.

in quel fazzoletto martoriato è venerdì di passione ogni attimo. chissà quale dio approverebbe tutto questo. posto esista un dio, al netto possa essere così stronzo.

per alcuni riservisti dell'esercito e dell'aviazione della stella di davide ormai è troppo. si stanno rifiutando. obiettano. non vogliono più essere loro il braccio del sacrificio. ricorda il soldato del girotondo del faber. "ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà". 

salverà, rifiuterà. tutto al tempo futuro. mica adesso. già.

e chissà quanto servirà. per esserci abbastanza soldati che non vogliono più il sacrificio. per averne abbastanza di agnelli sacrificàli, per obbligarci ad obbligarli a dire basta. 

quanto tempo occorrerà? 

finiranno prima i soldati che vorranno adoperarlo, il sacrificio?

finirà prima la corazza della nostra indifferenza, al sacrificio? 

oppure finiranno prima gli agnelli, per il sacrificio? 

e sarà questo il senso de: tutto è compiuto? [peraltro così lontano da quello del venerdì santo. ma d'altro canto qui non c'è resurrezione. non vale la terza trova di dio è morto.]

Sunday, April 6, 2025

inadeguatezze

cazzo.

che rientro.

due mesi abbondanti fuori di qui.

relativa speranza et fiducia.

va là, che forse vengono pure certe cose anche a me.

i tempi che si allineano.

le coincidenze che convergono.

le presenze che si fanno catalizzatori.

le creature che infondono coraggio - gimmmmiiifaaivvv, blonde cupid.

e poi cose mai fatte prima.

coricamenti non più soli.

e poi questa leggerezza e cose un po' dopaminiche che scorrono.

financo tratti di felicità [cazzo, fatemeli godere questi mesi. che poi può essere passi l'effetto dopaminico].

anni, probabilmente, che non mi sentivo così.

bellissimo.

poi.

zac.

i nessi temporali che si scambiano per causali.

e tutto sembra roteare, trottola impazzita, proprio dove non ci si aspettava.

occccazzzzo.

cazzo.

cazzo.

cazzo.

no.

quindi, prorompente come un lanciatore vega che spinge da sotto il culo, eccolo.

il senso di inadeguatezza.

non sono fatto per stare in una relazione, compiuta, propriamente detta.

non è roba per me.

a gazzigLioni di persone riesce. bene. male. ottimamente. arrancando faticosamente.

ma riesce.

a me no.

che si fottano i coach che dicono: occcccchio, che se usano questa scusa, fuggite.

[andatene affffffanculo coach della mia minchia.]

no. no. inadeguatezza.

faccio casini. che divori energie per provare a fare esattamente l'opposto pare non contare. granché.

non è self sabotage.

devo averci una qualche vita senza fine montata al contrario, nel kernel.

inadeguatezza.

provoco turbamento, incazzo, voci a tratti strozzate. vorrei esattamente il contrario.

sto di merda.

nemmeno più voglia di scopare.

cazzo.

che rientro [blogghico].

le ingiustizie epocali del mondo, cazzo le scrivo a fare? ci sono gazziGlioni di genti che lo fanno meglio di me.

le facetosità del vivere, mica mi viene di scriverle. me le faceto.

cazzo.

che rientro [nella realtà solita et immutabile singol].

che uichend del cazzo.

non mi voglio infilare nella vita di nessuna.

figurarsi.

che poi, se lo faccio, va tutto a troie*.

inadeguatezza. 


[*con immenso rispetto per le ragazze che sono costrette a mercimoniare il proprio corpo. meritano più considerazioni loro. c'entra niente i libri].