Saturday, October 4, 2025

sumud

naturalmente questo è un post in ritardo.

nel senso che ce l'ho in testa da giorni. da quando la vincibilissima flottila era tra le notizie per i soli cultori della materia. roba nelle pagine interne dei quotidiani.

avevo in testa del perché, proprio poiché vincibilissima la flottilla, sarebbe comunque stata imbattibile. perché avrebbe funzionato. giuringiurello che immaginavo, pensavo, sapevo quello che sarebbe accaduto. con tutti i risvolti per cui molte coscienze si sono accorte [stavo scrivendo svegliate. troppo tronfio come verbo. le coscienze ci sono. bisogna solo aver la voglia di sintonizzarle]. 

avevo anche ipotizzato possibili altre conclusioni. che la tracotanza di quel governo criminale avrebbe usato altri metodi, altra violenza. convinti, nella loro visione delinquenziale e delirante, che avrebbero potuto farlo, e nulla sarebbe accaduto. non è andata così, fortunatamente. e non credo perché siano più avveduti di quello che la mia percezione [frustrata] possa pensare. non credo si sarebbero posti problemi ad usare forza bruta e letale. forse è che, semplicemente, hanno fatto capire loro sarebbe stato davvero troppo. forse, chissà, anche consigliati per le vie diplomatiche.

e invece è andato in altro modo. e la assoluta vincibilità della flottilla l'ha resa imbattibile.

perché è davvero molto più chiaro, acclarato: assaltare barche ben fuori le acque territoriali non è difesa. è pirateria. che voler forzare un blocco navale illegittimo non è atto irresponsabile [fraella dixit], è dimostrare l'illegittimità del blocco.

è far vedere, plasticamente, l'arroganza di chi se ne fotte del diritto internazionale. è metter un bel cuneo nel ragionamento un po' automatico di quel che accade ogni giorno. quello non si può fare. toh, l'avevamo dato per scontato. con l'arroganza dello status quo. non è normale quella roba lì. è invece il modo in cui opera un governo criminale. se ce ne fosse bisogno diventa molto più immediato, consequenziale, accorgersi ancora del crimine epocale stanno portando avanti nella striscia.

guarda cosa possono fare una quarantina di barchette, e l'utopia di portare aiuti umanitari. ribaltando quello che non hanno saputo, potuto, voluto fare i governi. 

per forza tutto ciò sta mandando in eccezione software tutta la cozzaglia governativa nostra, con i tromboni della propaganda conseguente. è roba talmente auto-evidente, che puoi contrastarla con variegata disonestà intellettiva. pronti via la si percula e la dileggia. oppure cerchi il pelo nell'uovo, tanto capzioso quanto ridicolo. ne fai una questione pratico-ragioneristica. tutto pur distrarre dal valore simbolico, alto. che magari questi proprio davvero non colgono, talmente piccoli sono. alla bisogna ci son le insinuazioni su chi ci stia dietro. è la batteria della disinformatia. bisogna distrarre l'attenzione.

la flottilla non pretendeva di risolvere il problema degli aiuti che non ci sono, ovviare alla carestia come arma di guerra [dice: servono centinaia di tonnellate al giorno, avete impiegato giorni per portarne poche decine. se vi interessava portare gli aiuti, potevate lasciarli a cipro li avrebbero consegnati]. ma ha reso lucido e lampante, se ce ne fosse bisogno, quanto è immondo l'affamare un popolo.

sono persone, cittadini, che hanno deciso di starsene un po' meno col culo al caldo e al sicuro. a fronte dei governi e la loro inazione: partendo dal non ci si riesce, fino alla complicità di coloro che non vogliono far nulla. ovvio che, quanto meno, attira l'attenzione. e se c'è l'attenzione diventa sempre meno semplice continuare a pensare: è normale sia così, quello che succede laggiù. e diventa sempre più semplice arrivare alla conclusione che un governo sta compiendo un genocidio. e di quel governo non si vuole essere complici, figurarsi amici.

ed anche la flottilla, vincibilisima, ha dato il suo contributo a far accorgere le coscienze. mica serve essere attivisti, basta essere portatori di umanità. coscienze che lo sanno: no che non è normale. sì che laggiù l'umanità è umiliata. e no che non puoi permetterti di continuare farlo. e sì che sei dalla parte sbagliata della storia.

e sumud, la flottiglia l'ha fatto con la non violenza. che è l'avanguardia rivoluzionaria. non ostante o forse proprio perché assolutamente vincibile. che non potrà fermare il genocidio, non almeno in modo diretto. ma sarà sempre meglio essere vincibili, piuttosto che indifferenti. che poi è così che si comincia a diventare complici.

Tuesday, September 30, 2025

paradigma

da domani, l'amico luca, vivrà il suo nuovo paradigma. l'amico luca si è licenziato, oggi il suo ultimo giorno di lavoro. nel senso che è l'ultimo nell'accezione più ampia. nessun complemento di specificazione di quello che verrà dopo: dimissioni per nuova assunzione. né, savààààsandiiir, la pensione. no. non ci sarà un nuovo lavoro ad attenderlo. almeno non immediatamente. almeno non necessariamente. se non è un cambio di paradigma questo. 

ed in fondo un po' lo invidio, l'amico luca. piacevole invidia da quando me lo disse, del cambio di paradigma (*).

e non per la sensazione del primo acchito: smetto di lavorare. perché credo non sia una scelta così banale. poi sì, certo. se lo può permettere. il contesto che lo circonda, l'agiatezza che ha deciso va bene quella, la possibilità di scegliere e dire: adesso basta, voglio poter tagliare l'erba di casa la domenica, ed il giorno dopo rimanere a godermelo, il prato, il taglio. se lo può permettere ma non è scelta semplice, o così scontata. in un modo o nell'altro un tocco di orror vacui penso gli si spalancherà sotto.

però ha scelto di riprendersi quello che, sempre e comunque, il lavoro ci conculca: il nostro tempo. che vabbhé chs iamo privilegiati, ché a noi è richiesto il mercimonio della nostra intelligenza. puttane intellettive. e come le donne che mercimoniano il loro corpo ma non la loro anima, noi la nostra intelligenza vendiamo. ma non ce la portano mica via, quella ci rimane. però il tempo no, quello è conculcato. e non torna mica indietro. né qualcuno ce lo restituirà.

l'amico luca si è ripreso il suo tempo. e farlo con la consapevolezza di averlo deciso, è come se avesse stabilito un patto. un nuovo contratto con una delle cose più preziose abbiamo. da goderselo al meglio e nelle migliori condizioni possibili. meno coglioncelli spregiudicati dei giovanotti, ancora ben in bolla. una combinazione mica da poco. consapevolezza nella salute.

però sceglierlo è un privilegio e una responsabilità verso sé medesimi.

io ce l'ho avuto del gran tempo a disposizione. tratti della mia vita dove ne avevo a iosa. peccato fosse un'abbondanza non ricercata, ma subìta. e in contesti di precarietà, autosima presa a martellate, costrizioni, fallimenti, lutti [poi vabbhé, avrei potuto vivermela meno peggio, occhei. ma poi dove lo trovavo tutta la messe per i post giaculatori? eppoi, che avrei bisogno, altrimenti, di una brava?]. quindi mica lo rimpiango, quell'abbondanza di tempo. anzi.

ma a sceglierlo sì. cazzo se mi piacerebbe. riprendermelo.

l'amico luca un po' lo invidio. ma lui 'sta cosa se l'è ampiamente meritata. e non solo perché mentre io giocavo a palla contro il muro nel campetto dell'oratorio, lui già disputava campionati importanti. capace e più sul pezzo, centrato, ingranato con molta determinazione e convinzione. mica farfallone idealista. tipo io sbattevo i piedi che volevo farlo, il telecomunicazionista, per poi scoprire quando me l'hanno fatto fare, che non me ne fregava granché. peggio: avevo sbagliato facoltà. e quindi altri cambi, altri tentativi altri campetti polverosi di periferia. mentre l'amico luca cambiava casacca, pronto a far da titolare in cempions.

poi non ci è andato. per scelta. per carattere. per spigolosità. non che gli mancasse lo standing per farlo.  anzi. sa essere cinico quel che serve. è che per quelli capaci è molto raro siano disposti alla piaggeria per carrierismo. l'amico luca è più da vaffanculo, se la cosa non gira com'è efficiente dovrebbe girare.

l'ho ascoltato per anni, raccontare gli aneddoti lavorativi. pensavo che avrei voluto avere la sua assertiva spigliatezza. il suo porsi sì, sì, no, no. per tutto un insieme di cose mi son scoperto di farlo nemmeno una diecina di anni fa. da quando sono là dentro. per accorgermi, tra l'altro, di esserne ben capace pur io. a volte pure pensando: non avrò esagerato in un tenere il punto di modo così assertivo? [che poi è lo zic appena prima di sfanculare qualuno più in alto di te. che poi là dentro, lo sono tutti. più in altro di me. formalmente].

e da quando sto là dentro, come folgorazione immediata ed inevitabile, vorrei riprendermelo il tempo. come se lo è riconquistato l'amico luca. che siamo diversi in un sacco di cose. simili in altre. sicuramente con la stessa, strutturata ed irrinunciabile etica del lavoro.  per questo rimase così colpito dal tino, de "la chiave a stella". per questo me lo consigliò così caldamente. per questo l'ho così amato anche io.

lui probabilmente ha amato il suo lavoro, ben più di come ami il mio. però lo si è fatto bene ugualmente. lui, per il momento, al passato. io ancora non so per quanto.

vorrei arrivarci anche io. per utilizzarlo in maniera - probabilmente - anche in modo diverso. come diversi siamo lui ed io. perché so che lo userà al meglio. e tutto tranne che per sprecarlo col cazzeggio più banale. non è affatto da amico luca.

quindi, intanto, che se lo apprezzi, momento dopo momento, il suo nuovo paradigma. e lo coccoli, il suo nuovo tempo riconquistato: troverà il modo, son certo, per scoprire nuovo ed altro senso, e le possibilità di nuovi modi di essere sé stesso e di divenire. un po' lo invidio, che è ben diverso dall'essere invidioso. sono lieto quando son liete le persone cui voglio bene. per questo sono davvero contento per lui. 

buon tempo e buon nuovo paradigma. saprai far fruttare cose sicuramente interessanti. 

 

(*) [poi vabbhé, ho stampato nella memoria dove, come, quando me lo comunicò, il suo sorriso ed il suo sguardo. peccato aver condiviso quel momento così importante, ancorché simbolico, con la presenza del grande abbaglio e del grande sbaglio. però le cose vengono. e se serve passano. e va bene ugualmente così.] 

Monday, September 29, 2025

banale

e quindi scrissi il post prima di questo. faticosamente. anche per quello che, emotivamente, comporta l'idea di qualcosa [che poi sarebbe un genocidio] che è attuato così in modo sistematico.

post faticoso. anche per il senso di frustrazione, di non poter far altro che non girare lo sguardo dall'altra parte. e quindi vederlo attuato, il genocidio [per quanto col culo al caldo ed al sicuro. non sono le nostre carni ad essere dilaniate. non sono i nostri affetti ad essere annientati, non sono i nostri luoghi ad essere polverizzati]. frustrazione che sentivo opprimente. roba che schiaccia a terra, e poi ricaccia giù.

il giorno dopo ascoltavo alcuni comici dibattere. che chiamarli comici il reazionario dice: so' buffoni, quel che dicono conta un cazzo. e invece la comicità è una forma d'arte sottile, anche nella sua scurrilità apparente. il nocciolo preziosissimo celato nel farsesco del buffone. dibattevano: su cosa si può fare battute e su cosa no. si può fare, tipo sulla palestina. tipo su gaza. tipo su il genocidio. e salvo di paola ha esclamato una cosa del tipo: sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia., ci coinvolge, e noi non possiamo fare niente, e questo è talmente frustrante che no. non ce la faccio - io - a far battute su gaza per smascherare la disumanità che si sta perpetrando. io non ce la faccio. se qualcuno riesce, farebbe benissimo a farle. io non riesco.

più che l'etica del comico - eccccerto che l'etica del comico esiste. e non è un ossimoro - si è spalancata innanzi la certezza di aver scritto un post - a tratti - banale.

sono due anni che gaza fa parte di noi, ci tormenta, ci soverchia.

è il ci, la chiave di volta. pronome della prima persona plurale. 

chissà quale unicità credevo di raccontare in quel post. il senso di frustrazione e di inazione. come se stessi disvelando chissà quale pensiero originale, roba di acume fino.  [sì. sì. c'era anche altro, in quel post. c'è un limite anche al martellarsi i coglioni. però la parte della frustrazione, che vivevo, me tapino [sempre culo al caldo ed al sicuro, chiaro], ecco, quella no: banale].

no. ci. e non è tanto per la compagnia di salvo di paola. ma la naturalezza con cui ha ribadito la cosa quasi ovvia. spiegata bene ad uno un po' gnucco. ed è arrivata, sbeng, diretta e rapida: siamo in tanti. ed è inevitabile come il fatto domani sorgerà il sole.

sentivo la vocina dentro che mi diceva: toh, era così complicato arrivarci? tanto ingarbugliato l'arrovellarsi del pensiero del post ed il ruminarci per scriverlo, tanto lineare, dritta, inequivocabile l'uscita del salvo. se non ci fosse di mezzo un genocidio sarebbe una cosa banale.

toh. come quello che mi sa che ho scritto, in un post - a tratti - banale. 

stilettata al mio residuale amor proprio.

però anche la percezione di non essere solo. un po' meno originale, però un po' meno solo. che poi lo so di non esserlo. non fosse altro per le piazze piene in cui scendo con convinzione. è che però, in quel momento, grazie al salvo, l'ho capito anche per l'altro modo. capito davvero.

un colpo importante all'autoreferenzialità dello star nella buchetta e la fatica che ne consegue. per la buchetta, mica l'autorefernzialità. e quanto arrivano i colpi all'autoreferenzialità va sempre bene.

ci.

non sono solo. non sono così speciale nelle mia speciale disperanza.

c'è una cappa opprimente, la frustrazione dell'impotenza. siamo in tanti là sotto. poi, occhei, magari io sto dentro la buchetta, temporaneamente. ma continuiamo ad essere in tanti: importante saperlo.

in quel mal comune, non c'è mezzo gaudio, ci può essere tutto tranne che qualcosa che abbia a che fare con un gaudio. ma il senso di una condivisione. pezzi di umanità che non sono per forza soli.

ci.

[poi ovvio. sono psicopippe di uno col culo al sicuro e al caldo. come lo siamo tutte e tutti. però la cappa la sopportiamo assieme. e non distogliamo lo sguardo a chi, al caldo, ed al sicuro proprio non è.].

mi verrebbe quasi di volerlo ringraziare, il salvo di paola. 

Saturday, September 20, 2025

pària

questo è un post che penso da settimane. e che rimando. penso e rimando. come l'onda e la risacca del mare. anche quello davanti la coste di gaza. penso e rimando, come la sua declinazione orribile: fronte d'onda e rinculo delle tonnellate di esplosivo scaricate in lembo di terra martoriato e stuprato.

questo è un post che penso da settimane. ed ogni giorno a passare, ogni notizia ascoltata, letta, la sensazione fosse ormai tardi. e la sensazione da qualche parte di doverla scriverlo 'sto senso di impotenza. e di frustrazione. e di orrore inarrestato, che non smette di placarsi. la vendetta putrida del dio degli eserciti, per conto di umani - immanenti - che rinnegano l'umanità di pezzi di umanità.

questo è un post che penso da settimane ed è ritardo di mesi. se non anni. che se si vuol far zig-zag tra il controsenso logico-temporale: è un post in ritardo di ottant'anni.

dritto per dritto.

mi chiedo, penso da settimane, se non debba acclararsi, lucida ed amarissima, l'idea che israele, lo stato di israele, sia da considerare uno stato paria. come succede con la russia. come accadde con il sudafrica durante l'apartheid. [che fastidioso e insopportabile senso dei due pesi e due misure]. paria. fuori dal consesso delle nazioni democratiche. tirando su a bracciate tutto quello che significa democratica. fuori da un consesso per essere considerata non più tale, da tutte le nazioni democratiche, qualsiasi cosa significhi. te e noi non siamo la stessa cosa. che se ne acclari l'alterità. non siamo dei pari.

lo stato di israele. con tutta l'amarezza per i suoi cittadini democratici

e mica non lo so sia un convincimento che avanza dovendo stare ben attendo ai ciottoli insidiosi, mentre si incede su di un crinale strettissimo.

da una parte il paradosso. che questo post, che penso da settimane, sia considerato un post antisemita. che questo è un blogghettino che non caca nessuno. linkato al nulla. ma il paradosso è che potrebbe generare chissà quali conseguenze. specie nei tempi bui in cui ci stiamo infilando. [parentesi. se diventasse realtà l'idea idiota, totalmente idiota, di un vice primo ministro di istituire una legge che dichiari reato criticare israele, allora sarei tecnicamente nei guai. dice: ma il diritto di opinione è garantito dalla Costituzione. eh. questo ad un ministro che porta avanti idee così idiote, sai cosa gliene fotte. intanto si avvelenerebbero i pozzi]. il paradosso che potrebbe non essere così paradosso. lì fuori ormai sta tornando a valere un po' tutto. e la disonestà intellettuale come motore che scarbura roba puzzolentissima. ma intanto fa incedere cose.

dall'altra parte l'estrema fascinazione verso la cultura, la tradizione, la storia che i cittadini di quel paese incarnano. senza dimenticare che l'ottantapercento dei cittadini di israele è ebrea. il restante venti, arabi musulmani. e in quel versante del crinale il fatto "paghino" i cittadini, per le azioni del loro governo.

però, sempre da quel versante, sovrastato dal crinale, anche il senso di rabbia proprio perché democrazia si considera israele. e quindi quante persone approvano le scelte genocidiarie del loro governo? quanti altre persone, invece, provano il mio stesso disagio, che poi è il disagio di centinaia di milioni di persone. quante persone giuste sono necessarie per salvare quella nazione? [sì, mi arrogo l'idea di pensare di essere dalla parte giusta della Storia. anche se verranno anni, forse decenni, in cui vincerà l'idea sia esattamente il contrario]. salvarla dall'idea, forse dall'esigenza, di considerarlo uno stato paria.

quante persone abbracciare di quel paese, con quante cittadine e cittadini ribaltare l'idea, cui proprio non riesco ad iniziare a concepire. e che invece sembra essere essere assodata, inevitabile. pensare, credere, rivendicare l'idea che il popolo che ha subito per secoli - sino all'indicibile del secolo scorso - da vittima abbia il diritto di potersi fare carnefice. 

io lo so che a tutto il resto della popolazione mondiale manca un pezzo. io non posso sapere esattamente come e quanto ti segna l'eco che riverbera da venti secoli, in quei discendenti di abramo. lo so che a tutte il resto del mondo manca questo pezzo. un cuneo infilato nell'inconscio di tutti i discendenti della diaspora. il portato psichico di un popolo perseguitato ad ondate nella storia.

io lo so che ad una mia sorella o fratello israeliano, così come ebreo in giro per il mondo, che soffre - sì, soffre - tanto quanto me, e una moltitudine d'altri, la parola pogrom non potrà mai significare esattamente la stessa cosa.

però so che si può stare assieme dalla parte giusta della Storia. ed è per questo che lo stato di israele, a causa del suo governo criminale, debba essere considerato ora uno stato paria. e che sarà benedetto il giorno, se e quando arriverà, in cui questo non sarà più.

e si potrà elaborare il lutto, assieme, per l'umanità che si è calpestata, umiliata. cui si sta negando l'esistenza e il fatto sia umanità essa stessa.

chi causa un genocidio non può che essere considerato un paria.

lo voglio ribadire, come un qualcosa di insopprimibile. voglio distinguermi, mica solo io ovvio, e già da ora da tutti coloro che "un giorno, quando sarà sicuro, quando non ci sarà più alcuno svantaggio personale nel chiamare una cosa con il suo nome, quando sarà troppo tardi perché venga chiesto il conto a chiunque, tutti diranno di essere stati contro." [omar el akkad]

[e adesso che i rimestatori di cose buie e purulente, che pensavamo passate, mi diano pure dell'antisemita. io so che è esattamente il contrario. ed in fondo è un fastidio piccolissimo, rispetto alla sensazione di frustrata impotenza, che vivo da mesi tutti i giorni. per quanto sempre col culo al caldo. e anni luce dal dolore di quel pezzo di Umanità che viene genocidiata]

Sunday, July 27, 2025

appuntini

credo di essere nel bel mezzo di un momento depressorio. niente di che, neh? una buchetta. se ne verrà fuori.

gran grosso boccone, del pasto che sta consumando questo momento, credo sia il rinculo per quel tentativo di storiam deragliata in un mezzo amen. pensavo fosse arrivato il cambio di paradigma. ci ho creduto. talmente tanto che non ho intravisto i segnali. meglio: li ho intravisti, ma gli occhi a forma di cuore han fatto li ignorassi. e quindi un bell'investimento emotivo per qualcosa da costruire con una delle persone meno adatte. i segnali, appunto, c'erano, te non cacarli, e così succedono cose in un mezzo amen. e comunque prova te a ragionare con la chimica e le nevrosi quasi ossessive.

tant'è. dopo un po' è arrivato il rinculo. nemmeno il tempo di iniziare il chiodo-schiaccia-chiodo. o meglio, prodromi non esattamente scintillanti.

e dentro il rinculo, tiro su a strascico le nequizie che accadono. enormi ed epocali, come quelle più vicine. differenze di scale e di prossimità importanti. ma tutto si tira appresso, e il velo di malinconia sembra un fronte perturbatorio ampio e persistente. per quanto è serena malinconia. però lo strascico tira dentro tanta roba. e si fatica. e naturalmente non voglio tirar il fiato. e quindi, dice, che cazzo ti appunti cose, che tanto lo sai già come si rimane nella buchetta.

e vorrei tirar fuori tre appunti. veloci. anche se tanto si sa, tanto veloci non saranno. appunto.

venerdì ero in ufficio. ascoltavo la rassegna stampa mentre mi avviavo al dispenser per l'acqua microfiltrata. il piccolo rito mattutino è quello di riempire la borraccia, bersi il mics di accccuaCasssataENaturaleAgaggganelle, quindi riempirla di nuovo e tornarsene alla postazione. il buon mattia, alla radio, stava leggendo l'articolo su mohammed, bimbo di diciottomesi di gaza, notizia in principio riportata dal daily express. pelle color di vecchio, colonna vertebrale più che sporgente, pancia gonfia, viso inespressivo e occhi sbarrati. "Apre e chiude la bocca, cercando nell’aria il biberon che non ha. Non è un pianto quello che emette, è piuttosto un lamento rivolto alla coscienza del mondo che assiste inerte a tutto questo.". mi mancano - letteralmente - le forze. mi siedo su quella specie di seduta cool arancio-grigia. bevo dalla borraccia, da seduto. non riesco a farlo in piedi. ascolto e mi sommerge un senso di angoscia. un misto tra rabbia ed impotenza. un po' spero che l'articolo, la sua lettura, giunga a conclusione. come a smettere i cazzotti nel bel mezzo della panza. un po' vorrei non lasciar andare quell'immagine, quel simbolo. sono seduto e bevo, lentamente. nel frattempo sbucano dall'ascensore fieri dipendenti di là dentro. stanno andando alla loro postazione, convinti che anche oggi saranno fondamentali e determinanti a immaginare progetti nuovi per là dentro, o roba raffinata, per l'ordinario ed oltre, a garantir il funzionamento della baracca. non so se sono contenti, praud. se si sentono importanti e ben pronti ad alimentare parziali sovrastrutture, l'impiegato che va al lavoro nel posto fico e cool. con quella specie di sedute arancio-grigie vicino al dispenser dell'acqua microfiltrata. ti ci puoi sedere, mentre ti fai un goccio. tipo quello lì con le cuffiette nei padiglioni auricolari, con le spalle un po' curve. dalla postura del corpo non sembra in formissima. li guardo passare, mentre sto moderatamente di merda. chissà che cosa stanno pensando. chissà quali preoccupazioni. chissà quale contezza di certe nequizie. chissà quanto interesse. chissà quanto pensiero solo alla giornata lavorativa che va a cominciare.

cose così.

ieri sera spettacolo pirotecnico sul lago. mi interessa il giusto. ma almeno mi costringo ad uscire di casa e far due passi sul lungolago satollo di turisti e autoctoni. prima volta in questa stagione. passo davanti l'oratorio. è ancora una stilettata. come se lì dentro si fosse formato un ganglio di irrisolto. almeno per me. ci sono i manifesti dei campi-scuola. roba che mi tornano - ancora - alla mente le sensazione di condivisone fuori dal mondo ordinario, che si viveva in quei giorni. sui manifesti ci son foto, ed in quelle foto c'è il prete, ovvio. mi fa un effetto strano. potrebbero toglierli, penso. stamani lo condivido con matreme. la sua risposta è breve quanto significativa: eh, l'oratorio deve comunque andare avanti, ed ai ragazzi, ai bambini bisogna comunque pensare.

già. il tutto deve continuare. e se deve, può. è che son solito fermarmi nelle mie buchette. le cose devono proseguire. come durante il covidddddì, la gente ha continuato a sposarsi. per fortuna c'è il mondo fuori dalle mie buchette.

oggi ho camminato in mezzo al bosco. sembra faccia bene. probabilmente non è solo una questione che, in modalità sciamanica, ti rammentano come un'ovvietà pattuglie di gniugeisti, nelle più lisergiche declinazioni. potrebbe esserci qualcosa di provabile. tipo fitotrasmettitori e recettori, che le piante utilizzano per comunicare. non dissertazioni sui massimi sistemi. elementi funzionali alla loro sopravvivenza. e sembra che immergervisi faccia bene. confermo. sarà poi quel po' di sforzo fisico, la dopamina che si genera. sì. funziona. non è che esce dalla buchetta, neh? però meglio che starsene in panciolle a rimirarsela, la buchetta. camminando in mezzo al bosco ho attraversato terrazzamenti, quel che rimane. piani, artefatti, che si inseriscono nelle asperità del versante di mezza costa, naturale. sono le vestigia di quel che era lo sfruttamento di quei terreni. si coltivava, si viveva di quello. economia di sussistenza e poco più. e lì non c'era bosco. tutto sgombro, per sfruttare gli appezzamenti, pascere il bestiame. il bosco è tornato quando l'uomo da lì se n'è andato. qualcuno li osserva con una certa nostalgia: come sarebbe interessante tornare a quei versanti curati, che erano così capace di darti da sopravvivere. appunto. sopravvivere. sono in un momento depressorio, non soverchiato da nostalgie passatiste, luddismo allo stato di superplayer. per millemila ragioni. e poi il bosco è biomassa, tra l'altro da captazione di anidrite carbonica. e sono alberi che continueranno a cibarsene, per ridarci ossigeno. certo. molti muoiono, marciscono e magari te li trovi sbarrare il sentiero. ma è elemento organico che rientra nel circolo. humus che concimerà altri alberi. il bosco può inquietare, per alcuni archetipi che ci portiamo dentro. il bosco può rigenerare. che grandi chiacchierate devono farsi, gli alberi, con i loro fitotrasmettiri-recettori. e noi che ci passiamo in mezzo.

anche senza per forza uscire dalle buchette. però meglio che non farlo. 

Friday, July 11, 2025

abisso

la morte di don matteo mi ha colpito, molto. così tanto non lo credevo. però è successo. e non credo sia solo per il fatto che nella hometown tutto riverberi, troppo, come in una scatola di latta. credo anche si sia trattata di una sorta di immedesimazione*.

ho voluto esserci, ai funerali. mi sembrava un gesto scontato, naturale. al netto di matreme che ha chiesto, appena rincasato: dov'eri? al funerale. ma come, sei venuto anche tu?

ho voluto esserci, sì. vista poche altre volte la chiesa così piena. un silenzio, sospeso e compatto. di quelli che fanno un gran rumore.

volevo esserci, anche per ascoltare. per intuire come quella morte potesse riverberare, gli effetti farsi voce, racconto, partecipazione. senza dimenticare che non si fosse messo minimamente in dubbio il funerale religioso. non so quanto fosse misericordia, quanto dismettere il giudizio e la condanna, definitiva. roba di nemmeno troppi anni fa.

volevo esserci anche per capire, intuire, come l'hometown cominciasse ad elaborare il lutto. qualcosa di davvero fuori l'ordinario. troppo per una comunità sempre più infighettata, paciosa nello starsene in quel angolo di mondo, forse così isolato e al riparo dalle storture di quel che accade.

ha parlato il vescovo. han parlato preti. ha parlato una ragazza dell'oratorio. ha parlato il sindaco. e il gianmaria è quello che mi colpito più di tutti. gliel'ho scritto: grazie sindaco.

grazie perché  è stato l'unico che si è avvicinato al burrone. è l'unico che non ha nascosto il fatto c'è un abisso che si è preso quel giovane sacerdote. poco più che accennato, ma almeno non ha guardato solo da tutt'altra parte.

non è così paradossale. in fondo un sindaco dovrebbe parlare da laico. ed in fondo io ero lì da laico, tecnicamente non credente, per nulla certo di un qualcosa oltre questa vita. ed ero lì, cognitivamente con l'eco lontana, intuita, percepita, che quel gesto possa essere esattamente possibile. esattamente l'opposto di qualcosa che non si può spiegare. è nel novero delle cose che possono accadere. esattamente com'è accaduto.

lo sconcerto che ha travolto tutte e tutti accompagna la meraviglia sgomenta di un gesto che nessuno avrebbe mai immaginato. che quindi non si capisce come possa essere. è il modo per guardare solo dall'altra parte del burrone, come se l'abisso stesse sull'asse immaginario. lontano dalla paciosità lacustre. forse è autodifesa. forse è rimozione della complessità sconcertante dei recessi della mente. forse una fuga. forse la combinazione lineare delle cose. [forse lo stigma, oppure l'impreparazione, verso la malattia mentale. se ho il reflusso, ci sta. se sono depresso, non so come si possa accompagnare qualcuno con 'sta roba qui]

per questo penso sarebbe stato giusto, laicamente misericordioso, sincero, qualcuno lo dicesse. di fatto, però, nessuno l'ha fatto. non ho sentito dire: scusaci se non siamo stati capaci di accorgerci quanto dolore e quanta disperata solitudine. non cambia la sostanza di quello che è stato. ma poteva essere un modo per non sprecare proprio nulla, accorgerci che ci si può accorgere, perché è qualcosa di possibile tra le cose possibili.

hanno parlato prelati. e non potevano che concentrare tutto sul significato teleologico: il fine ultimo, l'insondabile della mente dell'uomo ben presente nella mente di dio. la promessa del rivedersi quando saranno i tempi nuovi, quelli della resurrezione. e la testimonianza di tutto quello di bello e positivo ha lasciato.

che [mi] siano mancate cose dette, inutile ribadirlo. però, per un attimo, ho provato un po' di invidia. perché qui, da queste parti, non rimane altro che lo sconcerto di quel gesto. e non c'è promessa di vita eterna che possa mitigare, qualsiasi cosa significhi. ce la si deve vedere qui ed ora, senza appigli trascendenti. noi con la sola immanenza che qui viviamo, e poi basta. confesso che, per un attimo, mi sarebbe piaciuto percepire quel refolo di speranza, che acclaravano come l'unico senso per dare un senso a tutto questo.

siamo soli, noi laici.

soli ma non disperanti, necessariamente. perché un senso ci può essere nella testimonianza. nell'eco di quel che giovane don ha saputo comunque trasmettere. e poco importa me abbia solo sentito parlare. se si è manifestata in un'intuizione e un'ingiustificata simpatia per un sacerdote, mentre spingeva un tosaerba su un campo di pallone. è molto immanente. me lo posso portare appresso anche io. anche se propagherà, chissà quando e come, in tutti altri ambiti. anche se magari succederà senza che abbia completa contezza. è un modo per rimettere in circolo. dare un senso a qualcosa di cui il senso, disperante, sfugge. è totalmente insensato solo se si fa finta che il burrone non esista. se ci si ostina a guardare sempre e solo dalla parte opposta dell'abisso.

un paio di considerazioni, ancora, prima di chiuderla qui.

tutte e tutti hanno ricordato la cordialità, l'entusiasmo, il sorriso ed una parola buona per chiunque. ad un certo punto ho intravisto una specie di piccolissima epifania. come se quell'apparire così convintamente pieno di vita fosse un modo per sfidare, per contrapposizione antipodale, il buio dell'abisso. cosa del tipo: quello che c'è in fondo al burrone mi agisce a voler smettere di vivere? ed io mi pongo in maniera esattamente opposta, con l'entusiasmo di vivere. qualcosa di drammaticamente faticoso, che alla fine, forse, lo ha trascinato dove è solo stanchezza per sempre.

*mi hanno colpito molto i ragazzi oratoriani, il loro dolore. mi ci sono immedesimato, anche se quel dolore io non l'ho vissuto [ora, né una cosa simile allora]. però mi son sentito vicino a loro. e non solo perché è capitato in quel luogo che frequentano. e che ho frequentato. il locale in cui l'hanno trovato è un posto in cui non metto piede da oltre trent'anni. ma è come se mi ricordassi, esattamente, com'è fatto. come ci fossi stato da pochissimo. come una specie di cortocircuito temporale. come rivedermi in quei posti che sono stati parte indelebile della mia educazione sentimentale. cui spesso riparavo, come a cercare una protezione quasi uterina. quei ragazzi sono io trentacinque-quarant'anni fa. come fossimo uniti da un luogo comune [fisico ed emozionale] che è stato [per me] e sarà [per loro] fondamentale. al netto delle mie apostasie e il nocumento che mi è cascato addosso in quegli anni ed in quei luoghi [allora non sapevo stesse accadendomi ed ero sicuramente un po' rincoglionito]. loro sono io. io sono loro. loro che invece hanno già saggiato quanto può essere lancinante e durissima la vita. che però hanno dalla loro l'entusiasmo incosciente - bellissimo - delle loro età. che sappiano trovarcelo, un senso. al netto dei discorsi trascendenti che si sono sentiti raccontare. la durezza di quel che le e gli ha colpiti, serva loro ad intuire che, appunto, i burroni esistono. chi lo sa se non potrà aiutarli a capire quando ci sarà qualcuno da afferrare e tenere per mano, per allontanarlo dall'abisso.

[e comunque, struggente, è stato vedere quasi una decina di giovani preti, provatissimi, portare a spalla ed accompagnare la bara. non mi era mai successo. dubito ri-succederà] 

Saturday, July 5, 2025

ruggine

l'algoritmo del signor feisbuch mi propone video di restauri di oggetti. oggetti con parti metalliche importanti. parti metalliche con tanta ruggine appresso. l'algoritmo del signor feisbuch ha capito come agganciarmi. e difatti li guardo come un dipendente da social engagement da social qualsiasi.

li guardo forse anche un po' rapito.

prima spatole per togliere il più grosso. poi le spazzole coi ciuffi di metallo, per i punti meno accessibili. e poi cascate di wd40, a cominciare a lubrificare viti, bulloni, tasselli [metallici]: è ora di compiere il percorso elicoidale di allentamento. lo percepisci il wd40 che si insinua spumeggiante negli interstizi più incrostati e comincia a sciogliere la ruggine che era tutt'uno con il resto. come ad annunciare: diamoci una mossa, è tempo di tempi nuovi.

poi c'è la sabbiatrice. subisco il fascino della sabbiatrice. che il metallo vivo torna alla luce, dà un'idea del luccicore che non ha mai smesso di avere, sotto la ruggine. sembra che gli oggetti si colorino, e invece è la ruggine che se ne va.

e poi la lima. i movimenti a volte sinuosi, tondi, quasi poco istintivi. è un mestiere e una manualità mica scontata anche questa. tirare di lima, si capisce il senso di una maestria che si impara.

e poi la cartavetra. grani diversi, per i vari passaggi. il lavoro che è ripetizione e affinamento. affinamento e ripetizione.

e poi - bellissimo - le nuove vestigia a tutti i pezzi. là dove si colora, a spray, a polvere, le parti più importanti. e le componenti zincate, temprate, lucidate.

per poi ricomporre il tutto. stessi pezzi di prima. niente più ruggine. un'apparente insieme scomposto di componenti, rimessi a nuova vita. si rimontano, si riavvita, si serra, si assembla. eccolo di nuovo pronto all'uso. luccicante, colorato, pronto per ricominciare ad avere un senso. come nuovo. anzi, meglio: con il valore aggiunto della cura e dell'essere messo di nuovo a nuovo.

ho capito perché li guardo rapito.

perché c'è dentro il senso di riaggiustare, del ripartire, del sistemare. che si riesca a fare non ostante le incrostazioni, la ruggine, l'accumularsi delle fatiche e delle corrosioni del tempo. e proprio dalla ruggine si riparte. si ricomincia. che non è la ruggine a far smettere la voglia di riprovarci. anzi. è forse la ruggine che, quando sta fuori, è il punto di partenza per ripartire. toglierla, la ruggine: da lì viene poi tutto.

penso e pensavo a come sarebbe bello farlo con le persone, con le relazioni, con quello che incrosta e non permette più di agire. qualsiasi cosa possa significare. anche se le persone, le relazioni non sono ovviamente oggetti. però il senso è quello: il ricominciare dopo il lavoro di cura per restaurare, che poi è tirar fuori di nuovo quello che comunque continuiamo ad essere.

lo pensavo, tra l'altro riferito anche a me. che va bene la malinconia, ma non ho di che di dovermi lamentare. anzi.

infatti oggi è tornato, prepotente, il monito che dolori e fatiche che soverchiano sono accanto alla vita di ciascuno. e che la ruggine, le incrostazioni possono starsene ben nascoste dentro, nel profondo. talmente nascoste e nel profondo che se guardi fuori sembra tutto così colorato, vivo, forse anche luccicante. e l'agire, essere strumento di qualcosa o di qualcuno, è connaturato al senso stesso dell'essere. esattamente l'opposto di qualcosa di solo imparentato con la ruggine.

e invece no. la ruggine può essere dentro, talmente in fondo [ma era poi così in fondo?] o talmente avvolgente che no, non ce la si fa più. e non si trova più la voglia di riprovarci. e che tu sia un prete, che ha conquistato in nemmeno due anni un paese parvenu, complicato e rompicazzo come l'hometown*, cambia in fondo poco. quando è la ruggine che non si può, che non si riesce a sabbiar via.

ho faticato, a tratti fatico, probabile faticherò. però questa sera mi è ben illuminata l'evidenza dei privilegi - di cui ho solo una parte - piccola - di merito. che lo smarrirsi del senso di riprovarci, che si spegne del tutto, è un'eco lontana. ma esattamente nell'ordine delle cose che possono essere. 

se esiste un dio, sia quello che lui testimoniava come sacerdote o un altro, se lo tenga abbracciato più forte che tanti altri. 

 

* figurarsi. un tardo pomeriggio, passavo accanto all'oratorio e vedo che con gran lena spinge il tosaerba nel campo di pallone. roba lunga, penso. provo un'ingiustificata simpatia per quel pretino, vederlo lì faticare da solo. roba a pelle. roba che non accade da qualche lustro, un desiderio di ri-mettermi in relazione con uno di loro, intendo. e penso che mi piacerebbe dargli una mano. senza un perché. o forse è per non lasciarlo solo a tagliare l'erba del campo di pallone. e penso che potrei dirgli che si farebbe molto prima con il trattorino che utilizzo a casa. potrebbe tagliare l'erba di tutto il campo standosene comodamente seduto. devo solo trovare il modo di farglielo sapere. fossi stato più attivo e meno procastinante glielo 'avrei potuto dire direttamente, quella sera. ti faccio vedere come funziona, poi te lo vieni a pigliare le volte che ti serve. certo, non so se tu possa viaggiarci su strada, il tragitto da casa all'oratorio e ritorno. ma in fondo, mica romperanno i coglioni a te, i vigili. no?