Wednesday, March 24, 2021

i rami del chivuiii

la premessa è che penso ai rami dei kiwi da tre giorni. nel senso che questo post avrei voluto scriverlo tre giorni fa. questo è un bel riassunto del contesto. un po' per la mia capacità di rimandare l'azione, financo scrivere un post in un posto riservato come questo blogghettino. un po' per come il mio affannarmi retribuito stia occupando sempre più spazio, energie, entusiasmi. come stia ottuntendo il presente.

vabbhé.

l'ultimo post ha scatenato [piccole] reazioni. tra cui quella dell'amico luca. e la sua mail, che ho letto sulla riva del lago, mentre tirava una ventazza mica male. un [raro] momento di respiro e di sollievo - relativiziamo sempre: ce l'ho piccolo, l'elenco delle cose per cui davvero dipanar giaculatorie. quindi l'amico luca ha aggiunto una foto. uno struggente colpo basso. per tutto quell'ammasso di ricordi e di sensazioni e di percezioni e di considerazioni [di allora] e di intenzioni [disattese] e di emozioni che quel ricordo si è portato appresso. la cosa interessante è che lui aveva - sacrosantemente - i suoi. io rimanevo impigliato nei rimpianti dei miei. nel senso di quel disseminato di punticini che disegnano quel che fu solo in potenza, e non fu atto. e mentre venivo investito da quell'onda impalpabile l'amico luca mi ha buttato lì una suggestione. almeno. per quel che ho colto io. e che sarebbe che - in fondo - siamo variegatamente ossessionati in maniera dualmente distopica. la cosa che ci accomuna è il non essere del tutto centrati sul presente. lui con il portato [di educazione/formazione?] di preoccuparsi molto per il futuro. con l'ubbia importante di capire di come andarci incontro con quanti più cuscini per attutire la caduta, che evidentemente ritiene inevitabile. per quel che riguarda me, invece, è l'altra metà del signor crono. così da rimanere ancorato a contemplare il disegno dei puntini di cui sopra, di quel che avrei potuto fare e non ho fatto. di quel che avrebbe potuto essere e non è stato. degli errori inanellati, per quanto in buona fede, per cui continuare a puntarmi il ditino contro. una roba tutta interna tra il mio coinquilino e me. una declinazione dell'adagio del: meglio rimorsi che rimpianti. dev'essere la presenza ingombrante della morale cattolicheggiante che mi imbarcai allora [di educazione/formazione? auto-incul[c]ata?]. non ama il rimorso. e allora vai con la rumba dei rimpianti. [peraltro c'era pure la declinazione un po' più specifica ai richiami naturali dell'esssere umano. quella del padre di un altro amico. persona semplice, ma con alcune idee essenziali e chiare. strumenti culturali non immensi, ma una saggezza importante a prescindere, cui portare molto rispetto. il giorno che il figlio si lauerò gli regalò questa massima: nella vita meglio far la figura dei maiali che degli asini. ecco. appunto].

vabbhé. tornando alla variegata ossessione distopica dell'amico luca e mia. la distopia sta appunto nel mancato essere immersi compiutamente nel presente. nel senso più pieno e vivificante dei modi. la faccio giù col falcetto. ma è come se ci fosse un altro tempo cui proiettare energie importanti quando non lasciarcele impigliate. energie che se ammonticchiate qui, nell'adesso, farebbero rilucere meglio il momento che davvero conta. che è quello in cui si sta traguardando or ora. che è guarda un po' è quello in cui ci è dato vivere. ed in cui stiamo tanto o poco agevolmente. quello che è stato non è mica l'esserci, il viversela: passato. quello che verrà, se proprio va bene, è una possibilità su cui - a guardarla attentamente - non c'è proprio tutta 'sta certezza.

e quindi il punto è adoperarsi per stare qui, sull'ora, sull'oggi, sul presente. lo so, lo so che l'oggi, il presente, l'ora di questi tempi nuovi non è esattamente qualcosa che vien tutta 'sta voglia di prendere a modello. e che il presente presentissimo tutto un po' ottunde. o fa apparire tutto quello che sta attorno come deformato, da 'ste lenti un pochino destabilizzanti. ma è importante anche questo presente. non foss'altro per prepararsi al meglio a quando si tornerà a metter per bene il naso fuori. assieme. che non è buttarsi in avanti per ovviare a questo oggi, piuttosto angosciante. ma esser pronti un po' di più.

l'amico luca mi scriveva che ci avrebbe provato a trovare un modo per starsene più nel presente, viverselo come il momento, non quello che precede quelli che saranno. ed ho percepito convinzione. intuita pur da lontano quella pervicace volontà. come se sentissi riverberare l'eco dentro di me. con le medesime esigenze. e le energie da recuperare dall'altro versante del tempo che non è più. ed è come se avessi intravisto che un modo c'è. si può fare. che è un lavoro da indirizzare, ma che poi viene, passo passo. tipo il ramo del kiwi, che tende un po' ad andare per i cazzi suoi. così come tutti i rami gli vien di fare più o meno la stessa cosa. cosicché la sommatoria di rami che vanno per i cazzi loro è un bel bordello laocoontico. ma se ogni ramo lo afferri, lo leghi, gli dai la direzione, poi ci pensa lui, il ramo, ad andare dov'è opportuno vada. ci vuole un po' di tempo - quello che [ci] sembra fugga via. ci vuole anche la capacità di legarlo come serve. e mica detto che si riesca al primo tentativo. ma poi la cosa davvero interessante, forse quasi commovente, è che il resto viene e la cosa succede. certo, certo. non il ramo in sé. è tutto il nutrimento che l'albero di kiwi piglia dalla terra, attraverso le radici. è il sistema linfatico che pompa goccia a goccia. inesorabile. così è la pianta che si fa legno. il ramo che si allunga in armonia col resto. e tutti la melodia dell'albero di kiwi, ramo per ramo. e poi, toh, guarda 'sta cosa che diamo per scontata, ma che invece può sembrare anche un prodigio: il frutto. che è un po' come il presente. da cogliere.

 


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