Monday, March 8, 2021

di disuguaglianze, linguaggi, fascinazioni. e di donne [buonlottomarzo]

l'uovo o la gallina. nel senso di chi è venuto prima? vi è una declinazione anche in ambito linguistico. la semplifico, per come la ricordo. l'amica viburna la spiegherebbe meglio, in maniera più articolata e con cognizione di causa. ma tant'è. ci provo io. la declinazione sarebbe questa. una branchia della linguistica sostiene che la lingua serva per descrivere, semantizzare, la realtà. si articola - ed evolve - per come è - e come muta - la realtà in cui sono immersi coloro che la parlano. una cosa del tipo passivo-descrittiva. l'esempio da giocarsi agli aperitivi - se e quando ci si potrà tornare - sono gli inuit e le loro diecine di parole per definire la neve. al netto sembra sia una bufala involontaria, il senso dovrebbe essere chiaro. c'è poi un'altra branchia che sostiene il duale. che cioè sia la lingua che va a determinare come si percepisce la realtà, e quindi la condizioni. una cosa del tipo attivo-prodromica. ad un evento di bookcity - fitta di nostalgia - mi colpì la suggesione del relatore, quando buttò lì che il greco ἀλήθεια (aletheia) non è probabilmente lo stesso concetto latino di veritas che è a sua volta diverso dalla nostra verità. al netto siano lingue diverse, sono concetti cangianti perché la costruzione simbolica che ne deriva è cambiata via via. enunciata dall'evoluzione della parola con cui riferirsi. [parentesi: quell'incontro di bookcity me lo ricordo in come fosse cosa viva, quasi quanto lancinante. un po' per il giorno in cui capitò. un po' per i pensieri che si scatenarono a riguardo. tanto che a quel punto ci ho pure psicopipponizzato sopra. oltre al fatto che quello che accadeva prima di questi tempi nuovi, sembra stia dentro una bolla di stranezza percepita ex-post. roba del tipo: ci si assembrava che era una bellezza, fa senso a pensarlo. eppure succedeva.]

quindi, prima l'uovo o la gallina?

la linguistica non è una scienza esatta, e qualcuno li percula dicendo di loro cose del tipo: un linguista è un matematico che non ce l'ha fatta. quindi, riguardo quelle due branchie, tutti più o meno convergono sul fatto che le cose stanno in una qualche parte nel mezzo. una lingua descrive una realtà e nel contempo ne determina la percezione per far sì la condizioni e la indirizzi.

perché questo pipponcino iniziale?

perché mi torna in mente spesso questo dualismo, quando penso o mi riferisco alle donne. alla loro condizione [media], a quello iato da colmare in termini di possibilità che a loro [non] viene mediamente concesso. oltre che è tutto un danzare di dualismi, specie in questa giornata. [l]ottomarzo, la giornata internazionale delle donne. già festa delle donne. che ovviamente c'è poco un cazzo da festeggiare.

ad esempio il dualismo di cui sopra. è spesso chiamata festa anche se si decise venisse celebrata nel giorno anniversario di un evento tragico, scelto come simbolo - eponimo - per porre l'attenzione ad una insopportabile diverità e discriminazioni [updt: in effetti sono stato impreciso. il giorno 8 marzo non vi fu nessun rogo dove morirono solo donne. crazie miko luca].  il termine festa non è dei più riusciti. e non solo per gli sbrachi triviali-similimaschilisti delle cene con spogliarello finale di quello glabro palestrato. e quindi - le parole sono importanti - meglio chiamarla per quello che è: giornata internazionale delle donne. perché la realtà è di un processo in atto, in divernire. per tendere a ridurre quelle disuguaglianze, quelle discriminaizioni.

poi c'è un altro dualismo. più personale, tutto mio. che è quello di vivere pur io questa giornata con un'intimissima compatercipazione. e nello stesso tempo sentirmi come una specie di intruso. sono pur sempre un rappresentante involontario della categoria in assoluto meno discriminata: maschio, bianco-caucasico, ad elevata scolarità, nato in uno dei luoghi con più opportunità del primomondo occidentale, in un momento storico favorevole. [poi che abbia sminchiato gran parte delle possibilità, è altro discorso. ma in questa categoria privilegiata sto e son stato]. e non importa la consapevolezza di quanto siano ingiuste quelle discriminazioni. di quanto sia convinto del senso di giustizia che c'è nell'adoperarsi per provare ad ovviarle. quanto auspichi il cambio culturale che sarebbe necessario e quanto sarebbe un bene per tutte e tutti. io altro rimango sempre e comunque.

poi c'è il dualismo ontologico del fatto siano l'altra metà del cielo. l'altra, non migliore o di minorità: altra - le parole sono importanti. quindi qualcuno che mi piacerebbe davvero capire, intuire. ma che rimane qualcuno che mai mi sarà del tutto comprensibile. tanto più ineludibile tanto quanto desiderabile. e solo il cielo - o quella roba lì - sa quanto mi manchi l'intelligenza di una donna. con le interlocuzioni profonde, stimolanti, rinfrancanti, costruttive, che mi è capitato di fare specialmente con alcune donne. donne capaci e sicuramente fuori dal comune, di cui sfruttare quel qualcosa di inafferrabile in più. [e poi c'è la parentesi. ogni tanto mi viene da pensare quanto l'unione fisica, tra una donna ed un uomo, sia qualcosa che vada ben oltre l'atto sessuale in sé. per essere uno degli attimi in cui si compie una compenetrazione reciproca. la possibilità di essere una cosa sola anche per pochi istanti. al netto del fatto che, nel divenire della storia, questa intuizione da inconscio collettivo sia stata disarticolata e frantumata. imprigionata, messa dentro alcune modalità che l'hanno deturpata, inibita, resa occlusa, con la scusa di sacrarizzarla. con tutte le storture, le devianze, le mancanze, le violenze che ne sono discese nei secoli dei secoli dei secoli. per dare peraltro un sacco da lavorare agli psicoanalisti, nei tempi più recenti. [ed è per questo che mi girano un po' i coglioni. per averlo dovuto teorizzare in maniera quasi ossessiva. e di averlo fatto poco, tanto quanto invece avrei desiderato. e almeno tanto quanto mi avrebbe fatto davvero bene]. insomma anche quando si scopa, in realtà non si sta solo scopando. anche se pensiamo sia solo una scopata. invece è un tentativo di cattura di qualcosa di profondissimo, l'eco evanescente di un'unione che arriva dall'eternità che ci ha preceduto: donne e uomini solo dopo. fine parentesi].

e poi c'è il dualismo della mia psicopipppa, e l'immensità di quel che resta da fare. specie quel che posso fare io. però se ci penso bene, qualcosa possa fare in effetti c'è. non è sufficiente, ovvio. ma è il mio personalissimo contribuito. non è il primo. non sarà l'ultimo. e pesca a piene mani dalla declinazione linguistica di cui sopra. la seconda, quella attivo-prodromica. l'uso della lingua, del mio parlare, del mio scrivere, del mio interloquire, per scalfire poco a poco, a poco, a poco, la realtà cui mi riferisco quando comunico con gli altri. per esemplificare, pure troppo, basta dire cose tipo: donna con le palle, per complimentarmi per la volitività di una bimba, di una ragazza, di una signora. al netto sia un'espressione non utilizzi più da tempo. c'è tutta una distesa di piccole attenzioni sintattiche, che però ad esserne convinto si fanno semantiche e poi pragmatiche. quel che posso fare è - tra l'altro - essere consapevole di come sia lingua utilizzi. e quindi, altro esempio, in una mail di lavoro, se tra i destinatari cvi è almeno una donna salutare con un "buondì a tutte e tutti,". declinare al femminile i sostantivi quando si riferiscono ad una donna. se uso la lingua in un certo modo, è perché arriverò a pensare in un modo coerente. e a farci l'abitudine si agirà in un certo modo. c'è di mezzo, come spesso capita, questa storia del fare. ma è così che cambia la realtà.

mica non lo so che ci vorrebbe altro. figurarsi. specie dopo che questi tempi nuovi di questa pandemmmiademmmmerda hanno fatto esplodere quello che era in essere da sempre. questi tempi hanno picchiato duro lì, allargando lo iato proprio in quelle disuguaglianze de facto. quale percentuale di donne, più degli uomini, hanno dovuto rinunciare a lavorare, quante donne lo hanno perso. mica non lo so che la battaglia è ben lontana dall'essere vinta. per quanto mi faccia sempre un po' specie utilizzare anche solo la sintassi guerreggifera. ma dicono che la rivoluzione non sia esattamente un pranzo di gala. e qui c'è da ribaltare un paradigma di fondo che è calettato, tanto o poco, nella testa di tutti, femmine e maschi. e pace se quelle più incazzate, quelle più volitive, quelle più attive ogni tanto danno l'impressione di vederti come un intruso. quando non scatenare sottilmente il senso di farti sentire una merdicciuola, in quanto maschio, come un effetto accumulo di un società storicamente e pervicacemente maschilista. non fa piacere, ovvio che no. ma credo sia pure un inevitabile effetto ciclo di isteresi della storia. tipo che fa freddo, e si regola il termostato su 19.2°, la temperatura ideale di equilibrio. il boiler di accende, la stanza si scalda, solo che poi il termostato spegne il boiler quando la temperatura è 19.5°, e per un po' la stanza continuerà a scaldarsi, per inerzia termica, allontantadosi ancora di più dai 19.2° di un paio di righe sopra. ecco, quell'incazzo è l'inerzia termica di secoli, millenni di freddo.

si passa [anche] dalle parole. quelle che si usano. quelle che stanno provando porre al centro della questione. tra le millemila la michela murgia ne ha fatto un punto di riflessione interessante [è di quello che ho letto in questi giorni. e per quanto lei mi dia delle vaibrescion non esattamente positive. anche per il suo [meta]linguaggio. e forse sia un filo sopravvalutata, IMHO]. anche il ragionamento sulla modifica dei riferimenti sessisti sulla treccani. con l'interlocuzione tra chi promuove l'iniziativa e la direttrice della treccani stessa. come in tutte le questioni di una certa complessità, tutte le parti portano argomentazioni interessanti [e se proprioproprio devo scegliere, quelle della direttrice mi convincono di più].

insomma. non so se sia una questione di rapporto non del tutto strutturato con l'autostima, ma continuo a pensare che le donne siano - mediamente - quel zic più avanti di noi uomini. credo ci sia di mezzo la questione non proprio da quisquilia che siano coloro che danno la vita - che ha valore simbolico ben più intenso che mettere al mondo. e quindi la predisposizione neuro-fisiologica conseguente. con le disparità [positive, per loro] del caso, che rimangono tali e non nulla cambia se poi madri mai lo diventeranno. ed ho la vaga sensazione che l'uomo, che le donne siano più avanti, questa cosa la sappia ben bene, giù-giù nel profondo del suo intimo. e per questo ne ha avuto un po' paura, da sempre. e gli ha dato bene di essere - fisicamente - più prestante. solo che questa quisquilia di essere quello forzutamente più debole si è deteriorato parecchio nei secoli, nelle culture, nella realtà in cui sbattiamo - mediamente - oggi. soltanto che blop-blop sono bolle di consapevolezza che affiorano qua e là da qualche tempo. sempre più convintamente. e se da una parte ormai le disuguaglianze, che si prova a ridurre, si siano acclarate per quel che dono: ingiuste. dall'altra i paradigmi, inevitabilmente, non possono che cambiare con una certa gradualità. che magari si vuole repentina. ma gradualità non può che essere. i punti angolosi sono dei traumi che portano riflussi, revanchismi. che poi la gradualità la rallentano. visto che gradualità sarà comunque.

ma è per questo che è necessario fare, agire, come conseguenza del pensare perché si parla in una certa maniera.

non è il primo post che sbribacchio per la giornata internazionale delle donne. forse è quello meno - boh - diciamo aulico. o forse è perché lo percepisco come quello più fattivo. per quanto siano piccoli spunti. piccolissime istanze. ma parola dopo parola vedrai che si sostanziano.

e che quindi sia buona giornata internazionale delle donne. chi festeggia per l'orgoglio di sentirsi donna, mica solo quel giorno. chi lotta per annullare quelle disuguaglianze quelle discriminazioni per sempre, per tutte e per tutti [anche perché vivranno meglio anche i maschi, ne sono strasicurissimamentecerto]. e per quanto non [mi] sarà mai possibile trovare le parole esatte per poter raccontare quel senso di ineluttabile, inviolabile, incolmabile fascinazione. che posso solo percepire. ma va bene accussì.

 



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