Sunday, November 21, 2021

il sogno qui ed ora - loro - e gli incubi della quotidianità - miei

[nota. ho inziato a scriverlo di sabato sera tardi. indi mi si chiudevano gli occhi dal sonno. ed ho deciso di ri-leggerlo e pubblicarlo la domenica]

oggi alessandro metz mi ha regalato una chiave di lettura davvero illuminante. ovviamente a sua totale insaputa. è successo a questo evento di bookcity. che era il mio modo di cominciare a dominare il mese di novembre. è stato importante, oggi, ributtarmici: lo scorso anno lo avevo totalmente ignorato, con i suoi incontri tutti inevitabilmente in striiiiming.

provo a contestualizzare. non prima di aver fatto un paio di premesse.

prima premessa. bookcity è un evento potenzialmente bulimico. che manda a nozze la mia necessità di speculazione in una solitudine affollata. nel senso che vado agli incontro di presentazione di libri, che poi non acquisto, cercando di sussumere spunti psicopipponici. ci vado solo. e solo ed anomino sto in mezzo agli altri. non mi chiudo in casa, sono comunque orso, cerco spunti ispirazionali. è bulimico nel senso che ci sono gazziGlioni di presentazioni, in giro per la città. temi, fascinazioni mainstream, coinvolgimenti [miei] molto variegati. gli anni passati il giochetto era quello di farsi largo tra le proposte. pianificandole per zizzagare in maniera fattibile, ed essere nei posti all'ora giusta. spesso decidendo a quale incontro partecipare sacrificandone altri, quando contemporanei. la scelta spesso fatta in maniera rabdomantica: leggo la presentazione rapida e decido, ma delle volte è come se l'evento mi chiamasse, cose così. poi, vero, alcuni argomenti mi attirano più di altri. oggi ad esempio, litigando con il fatto che per alcuni non vi erano più posti disponibili, ho scelto quello che titolava: i corpi dei migranti. non credo sia stata una cosa del tutto casuale. anche alla luce della seconda premessa.

che poi sarebbe che il mio lavoro - esattamente - non mi entusiasmi e mi porti ad esclamare: che figata quel che sto facendo! uso un eufemismo, ovvio. fatturo discretamente, sì. questa è una pericolossima trappola. mi dà soddisfazioni quando la fattura la emetto, che significa una volta al mese. mi sta intossicando l'esistenza, piano piano, insufflazione ad insufflazione, in tutti gli altri momenti del mese. variegatemente, percependo intensità cangianti di nocumento. così quando mi chiedono: che lavoro vorresti fare, allora? io in realtà rispondo: eh, bella domanda, a saperlo. in realtà un paio di risposte io ce le avrei anche, ruzzolano nella testa. e risponderei: scrivere e/o tirar fuori dal mar mediterraneo quelli che rischiano di affondarvicisi sui barconi che sappiamo. non mi sfugge il salto in avanti, decisamente eccessivo. che così la pragmatica va da tutt'altra parte. cosicché io rimanga a fare un lavoro che non mi piace. a sopravvivere con la scrittura bisognerebbe: 1) aver qualcosa da scrivere 2) la serena convinzione essere capaci di scriverla in maniera interessante 3) un discreto buco di culo o 4) un formidabile talento. in questo momento, ogni tanto, mi si abbozza in testa qualche embrione del solo punto 1). per dire, dico. in alternativa, tirar fuori dal mar mediterraneo quelli che rischiano di affondarvicisi, è un lavoro per pochi. perché bisogna essere tecnicamente preparati. con competenze specifiche, se non sei l'armatore o cose simili. anche solo a padroneggiare un paio di lingue. io son regredito in maniera importante nell'unica che conoscevo oltre l'italiano. e figurarsi se mi senta pronto anche solo per propormicisivisi - considerato il contesto della percezione del sé. è desiderio di quisquilie statistiche della popolazione. i posti sono comunque talmente pochi, che la quisquilia statistica ne ha d'avanzo. e sopravanzare la - relativa - massa bisogna davvero crederci ed essere capaci. e figurarsi me medesimo, per dire.

mi era però rimasto un dubbio curioso. perché quando leggo, osservo, ragiono sulle azioni di soccorso in mare, percepisco questa tensione quasi vocazionale? che non è la vocazione in sé. quanto la sensazione di poter annullare quel senso di frustrazione et inutilità in quel che faccio ogni mattina quando mi connetto al piccccì. invero fatturato discretamente. ma frustrazione et inutilità mi avviluppano. roba che si allarga a più o meno tutto il resto del mio esistere. mentre pensare a tirar fuori le persone dal mediterraneo è questa specie di raggio fotonico, che mette in cortocircuito tutto il bolo di roba che non mi soddisfa, non mi piace, non mi realizza. zzzzzzottt: sparirebbe. non mi sfugge che una cosa così avanti, quasi come estremale, è un bel modo di rimandare per sempre l'azione. se mi do alternative così difficilmente realizzabili, che poi proietto a roba del tipo: o quello o niente, ovvio che sarà il niente. ed io potrò continuare a rimanere nella mia zona di comfort tossica. se la metto solo come cosa dicotomica, si può evitare di pensare alle millemila posssiblità intermedie. più fattibili e raggiungibili. però dovrei muovere il culo e provare a fare. che non è qualcosa che mi riesca - pém-pém-pém-pém - immediata, con questa fludità  e reattività d'azione. [un sacco di eufemismi, in 'sto post]. con molte meno parole [ecco, se uno vuole scrivere, potrebbe cominciare ad usarne meno, di parole. anche evitare subordinate che spezzano la lettura, tipo questa parentesi quadra] non mi sfugge l'aspetto nevrotico-ossessivo. per quanto abbia studiato altro. per quanto, anche capendolo un po' meglio, non so quanto potrebbe servirmi per muovere il culo e fare.

ecco. dopo tutto questo pipponcino di premessa: qual è stato il dono involontario di alessandro metz? è il senso che lui prova quando tira fuori le persone dal mediterraneo, provando ad evitare ci si affondino: mediterranea save humans, appunto. è nella ragione sociale. e metz ha raccontato che, quando quei tocchi di umanità vengono soccorsi e portati a bordo, non si può non percepire che in quel momento, in quel preciso momento, è come se si magnificasse l'acme del loro sogno, speranza, progetto di un futuro e vita migliore. in quel momento sanno di avercela fatta. che non moriranno e che tutto quello che hanno passato - e oltre loro solo un concetto di idea di dio può sapere cosa possono aver passato - ha avuto senso perché è arrivato quel momento. quando li portano a bordo. è il punto più alto del loro sogno, del senso del loro nuovo progetto di vita.

"progetto di vita ed entusiarmo che io faccio fatica a ritrovare. sono troppo stanco e disilluso, e non riesco, nemmeno lontamente, a paragonare a quelli di costoro. io, se non avessi a che fare con quei sogni, ricadrei inevitabilmente negli incubi che la quotidianità, qui, non sa altro che regalarmi".

occhei. occhei. un filo retorico. e che perde un po' di vista la complessità - epocale, biblica - di tutto il fenomeno migratorio. ma la complessità che nessuno, nemmen metz, misconosce è altra roba. e tirar fuori una persona dal mediterraneo prima che affoghi, oltre che moralmente inevitabile, sta in un altro campionato, di un altro gioco, con altre squadre schierate. lui che gli capita di farlo.

ecco. per me è stata davvero illuminante. il sogno stortato della quotidianità - non userei propriamente il termine incubo. l'acme del sogno per ciascuno di costoro che nella metà dei miei anni hanno già vissuto ben oltre il doppio delle cose che verosimilmente vivrò io. non sono esattamente soddisfatto e realizzato. tirar fuori dal mare e salvaguardare i progetti loro è proiettivamente uno dei regali potrebbe capitarmi. mica non lo sappiamo che molti di quei progetti si schianteranno col principio di realtà di questo pezzo di mondo. così come si sono schiantati i miei, che hanno provato a farsi largo con fatiche e sacrifici nemmeno lontamente paragonabili ai loro, tanto hanno avuto la strada più spianata. che i progetti si schiantino, non è un motivo sufficiente per non sognarli e dar loro anche solo la probabilità necessaria: che sarebbe quella non affondino nel mare. la loro grida con una volontà che nemmeno riesco ad intuire. e deve essere talmente intensa che ho capito perché vorrei essere là a dargli una speranza. sì, certo, è un motivo a scrocco. ma deve valerne così tanto la pena, che non mi interessa nemmeno tanto.

alla fine dell'incontro gliel'ho buttata lì ad alessandro metz mi avesse illuminato. che avevo capito un paio di cose, importanti. [poi, al solito, il fatto le abbia capite non significa minimamente le farò. ma questo è altro discorso]. lui mi ha guardato con un mezzo ghigno. non ho capito se contento della suggestione o con l'idea fosse una cosa buttata lì per paraculismo inutile. non è 'sto gran problema. [al limite il fatto, tanto per cambiare, sia scappato via un po' imbarazzato, è uno degli epifenomeni del periodo. martellarmi i coglioni per questo non serve. e non lo faccio. prendo atto. nel frattempo che non si interrompano i sogni di questi pezzi di umanità. anche se ben non sarò io a contribuirne direttamente.]




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