Thursday, November 18, 2021

la fontana, ed il disperato ottimismo

il franco piazzò la fontana la sera di tredici anni fa. proprio come 'sta sera. alcune date si ricordano più di altre.

continuo a pensare sia una storia bellissima. il ritorno di quella fontana in quella piazzetta, intendo. gli portarono, al franco, un blocco di marmo rosa di candoglia. roba rara, quella cava è coltivata solo per la manutenzione del duomo, null'altro. tranne qualche magheggio del vescovo che l'hometown ha donato al mondo, o più semplicemente ad un tocco di chiesa locale. avuto il blocco, il franco, pensò di rifare la fontana. recupera foto di quella di prima, spesso sgranate, raffiguranti soprattutto altro, in bianco e nero. chiama qualcuno con la mano felice di scultore, o quasi. coinvolgi un po' della tua gente, delle tue maestranze. ed eccola lì, la fontana rifatta. pronta per essere ri-collocata. esattamente dove stava quella di prima. che sparì di notte, rubata. il giorno dopo nella piazzetta non c'era più: sottratta a tutti. il franco decise che di notte sarebbe ricomparsa: donata nuovamente a tutti. giusto per evitare di passare per fesso, il franco ci collocò due zanche importanti e robuste, sul retro. accanto alla scritta incisa per ricordare padre francesco nel decimo anniversario della morte, la moglie [del franco, non di padre francesco] e che quella fontana la fece [soprattutto] il franco. e con le zanche - non con la scritta - la ancorò al muro su cui poggia tutt'oggi. mi disse: così, se vogliono rubarla, dovranno romperla per bene, se la portano via sarà tutt'altro che intiera.

una notte sparì. una notte ricomparve.

me la fece vedere, qualche giorno prima, il figlio del franco. con la fontana quasi finita. un insieme di parti sparse, ma semplice da immaginarle insieme: sostanziarla. e mi raccontò l'idea del babbo. fu una specie di scossa di entusiasmo. un po' per il fatto fosse una fontana. un po' per il marmo del duomo. un po' per questo modo di andare a riparare un qualche torto verso la collettività [unpo'cit]. mi affascinò talmente tanto che decisi di tornare all'hometown apposta quella sera, toccata et fuga. per esserci anch'io, lieto di starci. e poter essere partecipe in piccolo, testimone di questa restituzione. a far qualche foto, tra l'altro. erano i tempi in cui viaggiavo ancora sulle ali dell'entusiasmo per la piccola azienda, destinata a luminosi futuri [invero, un paio di scricchiolii li avevo un po' sub-odorati. ma ovviamente non li riconobbi]. quindi tutto mi sembrava semplice, fattibilissimo. andare e ritornare in quella serata peraltro moderatamente frescazza.

ci scrissi un articoletto per l'allora giornalino dell'hometown. forse uno degli ultimi che ci misi sopra. lo intitolai: un fontanile di disperato ottimismo. il senso, con un proluvio di parole, era semplice e onusto di fiducia. sottrarre qualcosa al bene comune ci vuole poco, l'egoismo è rapido, insultante: e lascia una ferita. restituire qualcosa al bene comune costa tempo e fatica, l'altruismo è lento, metodico: ma sutura lo sbrego. quella fontana che ricompare in quel modo era un gesto di fottuto ottimismo, a prescindere da tutto, quasi come l'unica cosa da farsi per ovviare financo alla disperazione. 'ché passeremo tutti, rimarrà quel gesto, quella restituzione a beneficio di altri. poi sì, anche quel marmo diventerà polvere. però a lasciarlo andare da solo è decisamente più probabile lo farà dopo.

in fondo non è passato così tanto tempo da allora. il franco non è esattamente in formissima. il contesto in cui quell'idea maturò, da una parte non c'è più, dall'altra forse non è messo molto meglio del franco. al netto se ne colga contezza. ho qualche ragione di credere che un altro racconto del figlio del franco, qualsiasi sia, non mi entusiasmerà mai più così. per tuttuncomplessodicose. che poi una di queste è che ho qualche dubbio riuscirò ad entusiasmarmi a prescinedere. che dovrebbe chiamarsi disperanza. senza dimenticarmi che disperati, veri, ce ne sono fin troppi in grandissimi tocchi di umanità. mentre io, al momento, me ne sto in altri di tocchi.

eppure, questa sera, ricordando quell'altra di sera, mi emoziona ancora un po' quell'ottimismo ontologico del franco, e di quello più congiunturale mio. e colgo il senso di quel gesto. che non passa, nel suo essere ottimista, come la presa che garantiscono le zanche ancorate nel muro, vieppiù nella disperanza di oggi. la fontana è ancora lì. bene e cosa bella [a suo modo] per tutti. poi a me piace anche pensare sia di marmo rosa, ma è un campanilismo proiettivo. come un sacco di altre cose del resto. il proiettivo, intendo.

e comunque le foto, qui sotto, sono solo di un anno fa. esattamente di un anno fa. quando sentivo forse un ottimismo, anche sapendo fosse disperato. però con la fiducia di un futuro, che potesse spalancarsi ad ali che potevano riaprirsi.

nel borsino di questa sera, la stessa di quando il franco piazzò la fontana, l'ottimismo un po' scende. la disperanza sale. [per quanto, non è che sia esattamente la stessa sera. allora era allora. questa sera è qui ed adesso. è che sono fottutamente perculanti le date.]






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