Saturday, July 16, 2022

barlumismi

che poi ogni tanto ti capita quel momento in cui tutto va più o meno a posto. il barlume. anche se non è che le cose vadano necessariamente male. anzi. che poi forse son diventato un fottutissimo bicchierenondisperantisecistaanchesolounaqualchegocciadipresenzismonelbicchiere. che chissà chi l'avrebbe detto. che va bene il gradiente. che è un tutto un divenire. quindi anche ad aspettare il tampone della liberazione, che l'importante è che matreme sia stata meglio di me. che pure non è che possa lamentarmi, minchia. un po' di febbre e va benissimo così. almeno ho dormito.

le cose possono non andare così male. anzi. che il proprio ombelico è un punto di riferimento che ci hai lì, mica puoi espuntarlo. però anche solo a guardarsi lì nei pressi ci son cose che vanno meglio. e che sei tu, lo stronzo, che le idee che avevi - piccolo borghesi - poi riescono agli altri?

e comunque capita che tutto vada a posto così. che sei seduto comodo sulla sedia quasi sdraio, gambe accavallate, che ormai la caldazza ci rivediamo domani. alzi lo sguardo sulla siepe invero un po' informe. c'è quel baluginio di luce che è così poco naturale. difatti è il riflesso dei vetri che sono alle tue spalle. che anche il sole ci vediamo domani. e sarà un po' meno luce. ma la notte è ancora rintuzzata ad essere breve per un po'. e per un attimo tutto si infila nei cunicoli dei pertugi del groviglio del pensiero che si allineano. e si combinano a c'è luce, nel senso che si intravvede in mezzo.

e si guarda giù fino al daimon. che se ne sta in panciolle. tra il rassegnato ed il rincoglionito. forse è tutto un gran lavoro, con l'ausilio sertralinico o meno, a consolarlo e dirgli di non rompere troppo i coglioni. dice: ma cazzo, dovevi fare quel pungolo che ti dicevo di fare. e che ne sapevo, io? vai a capire che ce l'avevi proprio con me. io dovevo far l'aritmetica. l'italiano era per le femminucce. la compagna di classe elena, il primo anelito, il primo duedipicche era la più brava in italiano. io ero bravo coll'aritmetica. che pensavo fosse quello.

e invece niente.

il pensiero che s'infila nella luce a guardare giù nel profondo. e vedere per un attimo il piacere del gran brodo primordiale, l'eco dell'intelligenza condivisa e l'inconscio collettivo. e la sensazione appagante, in potenza, della storia del raccontarlo. qualsiasi cosa significhi. entrare in sintonia con quell'ubriacante intimità, di notte. che uno ha il cronotipo serotino perché forse è più semplice tirar fuori, quando fuori è notte, quello che tenderebbe a mascherarsi manco fosse il bosone, o il neutrino tau. sì, se non fosse una similitudine banale, è che le costellazioni, ed i miti che ci hanno appiccato sopra, le stelle, le nebuolse, saltan fuori solo di notte. e ci vuole buon occhio, oltre il sereno. che è quella cosa che mica capisci perché è quasi commovente, quella roba lì. anche le lucciole tipo. non capisci perché è commovente ma è il tuo momento. ma mica per questo poi sfanculi il sole. anzi. che quando c'è più luce sei il primo ad essere garrulo.

però niente. quel momento in cui tutto si mette al posto giusto. anche solo per esperienza emotivamente intensa di quello che leggi, di quanto ha significato lo scrivere, il senso, e del dolore fisico che n'è conseguito. e quasi per mimesi è uno scrollone. e giù il daimon alza il sopracciglio: ehi, checazzzostateafare laffffuori. o laggiù? ve ne state bbbboni? che sennò poi comincio a dar di matto e poi so cazzi. altro che sensazione di inappagamento, mentre mica non lo sappiamo che sei privilegiato. ti faccio andare in eccezione a furia di rifare quell'anello di pensieri. che è tutto un gran giro ma poi torni al punto di di partenza. al limite un po' più spossato. e l'anello te lo faccio fare sempre più veloce. manco i test di accelerazione dell'addestramento degli astronauti. eh. che vuoi che ti dica, son così. che faccio da pungolo da illo tempore. tanto il gancio col principio di realtà lo fanno altri. se poi ne esce questa contraddizione faticosa mica ci posso far nulla. so daimon.

ma non ostante tutto questo, tutto va a posto, per quell'attimo. che si capisce la contemporaneità delle cose che sono e che sarebbe stato bello fossero. quel bello che è garrulo anche il daimon, magari in un'altra piega dimensionale, in un'altro universo, in un altro essere presente qui. adesso. sulla sedia. il libro appena finito sulle ginocchia. la siepe forastica, il baluginio dei riflessi dei vetri alle spalle. che il contesto è questo, gradienti, sertraline, lavori succedanei alla gratificazione ma che cazzo mi riescono eccome, solitudini e riottosità sociali, brandelli di affetto che sento esserci e quelli che chissà che fine avranno forse mai fatto, consapevolezze, atarassie, sublimazioni di desideri carnali, genitorialità sfumate, rimpianti e possibilità di nuovi rimorsi. e tutto quello che è darli retta. prendere, plasmare, reintepretare, raccontare. nella quiete generatrice della notte. che sia molto tardi che si va a dormire [cit].

tutto quello in quell'attimo. preso. manco fosse un neutrino o il bosone.

che giusto l'attimo. e poi, sszzzzossuuyyyttttmummpf. si è di nuovo nella dimensione del qui. che le cose non vanno affatto malissimo. e soprattutto appena oltre lo sguardo dell'ombelico succede l'indicibile, lì accanto. basta una vena che cede. senza preavviso. forse senza ritorno. come se non ci fosse un senso in nulla.

porcodiquelcazzo.

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