Saturday, May 27, 2023

l'ubbidienza non è più una virtù [post bi-partito]

oggi sono centoanni dalla nascita di don lorenzo milani.

don milani fu una folgorazione, per quanto fruita non del tutto appieno. ma folgorazione, e la sensazione che se ognuno ha il suo pantheon, lui è stato il primo che ci ho messo.

lo scoprii per caso, un'edizioni millelire di questo libercolo che mi incuriosì per il titolo: l'obbedienza non è più una virtù. c'era qualcosa di magnetico e rabdomantico. lo acquistai - mille lire - e lo lessi sul treno di ritorno per il uichend. ricordo la sensazione travolgente e rapimento emotivo-intellettivo. non riesco a collocarlo in un momento preciso. però ho la vaga sensazione fosse un fine maggio, con il caldo che arrivava, oltre al turbamento erotico che ruotava attorno al termine inturgidito. da declinare ai capezzoli. che poi erano quelli della fanciulla [che si fece anelito per anni] che scoprivo desiderare non solo affettivamente. era la prima volta accadeva.

ma quelli erano tempi di una sequela di prime volte. e di prese di consapevolezze di valori, specie in ambito politico, nel senso più alto del termine [il termine inturgidito, invece, era il primo tentativo di emancipazione dalla morale bigotta che comunque mi portavo dentro]. certo. ero sempre quell'oratoriano che - mai ce ne fosse uno di diverso - passava i uichend lontano dalla città, per rifugiarmi in quel contesto uterino, a sussumere l'amicizia in particolare del prete. oratoriano, che però si sentiva smosso da istanze che sfuggivano a praticamente tutte e tutti gli altri. o non interessavano.

quello coi capelli di kevlar aveva appena vinto le elezioni: aveva in testa di rassicurasi gli affari e cazzi suoi, senza magari nemmeno sapere avrebbe cambiato l'antropologia di un paese. io di contro ero ammagliato dalla necessità, l'idea, la speranza, la convinzione si dovesse dare spazio a idee di equità sociale, di redistribuzione, di diritti, di ridiscussione di uno status quo anche sul principio di autorità. mi sentivo un fermento, percepivo un grumo di entusiasmi e ideali che si affollavano in testa. tutto molto disordinatamente, peraltro. sapevo solo di essere di sinistra - qualsiasi cosa significasse - e declinavo quei moti interiori definendomi pacifista, antimilitarista. poi sì, ovvio, ero cattolico praticante e credente [per disarmante necessità, a pensarci ora].

leggere quel libercolo fu cominciare a mettere in ordine. semantizzare il guazzabuglio di tensioni intellettivo-emotive che sentivo riverberare dentro. ogni frase era un uau! come trovare per iscritto, in modo chiaro ed ineludibile, i pensieri che intuivano il principio etico profondo, ma non avevano forma. come se lo avesse fatto lui per me. può sembrare esagerato, però davvero: ebbi la sensazione che lui, don milani, avesse pensato tutto ciò [anche] per me, decenni prima. per spalancarmi la via per comprendere il senso. è una sensazione inebriante, una comunione quasi spirituale. poi lo so che devono esserci dei neurotrasmettitori che fanno la ola in quelle situazioni. è il perché, però, di quella situazione, cosa li scatena. il sentirsi unito a qualcuno, con il tempo senza più dimensione, una condivisione che si fa sostanza in un unico e sempiterno durante.

certo, era già capitato: canzoni, poemi, salmi. ma per la prima volta accadeva con una chiarezza etico-politica, in modo tale da poterla far trascendere.

il passaggio più noto è quello di quando ricorda la scritta sul muro, vergata da soldati alleati: I care, che si erge a contraltare al me ne frego fascista. passaggio noto e probabilmente abusato. ma se ci ripenso, per quel che riguarda me, è un punto nodale, fondamentale. in quella declinazione c'è dentro un programma di vita, che più o meno sentivo già, per cui vale la pena spenderla una vita intiera.

quel libercolo ha dato contesto a quel sentire, istintuale, alla critica all'irreggimentare l'esistenza, che passava per un antimilitarismo ed una certa diffidenza per l'autorità costituita. anche se non mi sfugge che quella critica diffidente fosse uno degli effetti del [mancato] rapporto con mio padre. allora non ne avevo tutta questa consapevolezza. però la lucidità di quello che leggevo lo ha corroborato, persino ingentilendolo.

perché era quello che mi sembrava di cogliere, nella freschezza ed ineluttaibilità di quelle idee. che don milani fosse una persona mite e gentile, nel suo essere tenacemente critico, convintamente oppositore al pensiero dominante promanato da quel potere [giusto per contestualizzare: il punto di volta disruptivo del '68 era ben ancora da venire. era un'italia divisa in due chiese, la diccccì [al potere con le influenze vaticane] ed il pci, nonché frotte di funzionari in parecchi gangli fondamentali venuti giù dritti dal fascismo. i bei temp d'una volta, stograndissimocazzo.].

coglievo la portata intima rivoluzionaria di don milani. ma perché - a mio modo - ero un idealista senza aver avuto 'sti grandi riferimenti culturali, ovvio arrivasse così dirompente. e di controbalzo intuivo quanto dovesse esserlo stato allora, in un paese nemmeno lontanamente paragonabile a quello in cui stavo prendendo consapevolezza di certune idee io - in ritardo, ma almeno la stavo prendendo la consapevolezza.

per questo, ogni volta che ne sento parlare, è una specie di sommovimento e commozione dentro. anche per la gratitudine che provo per lui, per essere stato il primo a sistematizzare quell'ammonticchiare di valori, idee, pensieri, tensioni, speranze ed utopie. tutta roba che sentivo vibrarmi dentro da tempo, che si aggiungeva nei modi più disparati, per ciascuna suggestione giunta in certi contesti, ambiti, sollecitazioni. 

di don milani non posso dire di conoscerlo così bene. tutto il suo portato, il valore, sull'importanza pedagogica l'ho sussunto meno. nel contesto e nel ricordo del centenario, ho sentito citare di più l'eredità [peraltro non so quanto colta] sulle sue idee sulla scuola, il suo significato fondante per una società più equa e giusta, di riscatto sociale, più che la critica all'obbedienza cieca e conformista. forse perché è la parte più significativa. forse perché è la meno scomoda. [peraltro poco nulla alla radio. al netto che non è che ascolti tutto. ma forse non è nemmeno così strano. troppo prete. troppo poco vicino ai tempi. troppo diversamente militante. vabbhé, stigrandisssssimicazzi.].

il centenario [forse] può essere anche occasione, per [ri]scoprirlo. chissà se e quale effetto farà rileggerlo quasi trent'anni dopo. con tutto quello che c'è stato in mezzo nel mondo e - in miliardesimi - in me. però questo centenario è stata l'occasione con cui è risuonata la folgorazione di allora. di come mi sia sentito grato, dell'emozione di percepirsi così in sintonia con quella forma di ispirazione: quella che possono donare i maestri. per quanto maestri non in senso stretto, ma per più collettività intere, di più generazioni. allora non mi era chiarissimo: ma lui è stato il primo [e se maestro, forse dovrei studiarlo un po' di più].

[e qui mi dilungo ancora un pochetto su un altro degli aspetti di quella folgorazione e di quella gratitudine. che forse è una psicopippa di retro-analisi del passato. per quanto sto cercando di liberarmene. del passato, intendo. però mi è sovvenuta anche 'sta suggestione. che fintanto non è motivo di lamentazone può ancora starci. ecco. probabilmente io son sempre stato alla ricerca di maestri. qualcuno in grado di darmi possibili chiavi di lettura, per aiutarmi a decodificare dell'immenso e dell'incasinatissimo che intuivo lì davanti. forse - avendo fatto ormai pace con questa mancanza, che lui ha fatto del suo meglio - proprio anche perché non ho percepito in mio padre come il primo - e fondamentale - tra questi [mancanza che, peraltro, credo non abbia avuto l'amico daniele. che 'sta cosa un po' gliela invidiavo inconsciamente, senza soffermarmi troppo su quanto fossi complesso cagacazzo di mio]. quindi sì. ero già cervellotico. e necessitavo di qualcuno che potesse spiegarmela un po'. e quindi una specie di attaccamento, che mi prendeva, quando pensavo di averne trovato uno. il primo in assoluto fu l'ermi, anche se mai con la percezione di sentirmi accolto. anzi: la sensazione forse di stargli un po' sui coglioni, a tratti, ce l'ho avuta. o che comunque non gli interessasse poi così tanto farmi da maieuta. poi ne son arrivati altri. alcuni non in totale buona fede, più o meno consapevole [colei che mi plagiò consolando le mie pene d'amore, il prete, e per certi versi l'infausta [pseudo]amicizia con quella che ha dato il la a quel fallimento d'azienda, per quanto per lei c'è stato di mezzo altro]. altri fondanti tipo la prof. magistrini. e perché no, anche l'affetto del nonnetto putativo, con tutto il suo bagaglio d'esperienza e di vita così piena. per quanto io, ormai, con quel minimo di consapevolezze e strumenti culturali. ma in lui ho trovato una persona che poteva offrirmi anche quello.

però sì. forse ne sono sempre stato alla ricerca. che può essere un controsenso. poiché l'ho spesso rivendicata l'idea di esser venuto su così. in un'apparente autonomia, con le mie sole intuizioni. decodificando l'emozione di quel mi coglieva: provando a curarmela, ragionarla, dandole senso. anche orgogliosamente con l'itterizia verso l'autorità costituita. però forse è stata una sorta di reazione mimetica. in realtà sono sempre stato affascinato dall'autorevolezza che può promanare dalle donne e uomini, che ne avrebbero potuto avere da insegnarmi. e da lì cominciare a fare da par mio, una specie di virgulto che si sarebbe strutturato. anello di giunzione tra la maieutica - appunto - del maestro e quella che avrebbero potuto fruire altri da me. non è andata così. 'stigrandissssssimicazzi. il presente si vive ugualmente, per proiettarsi in altro modo nel futuro. senza dimenticare com'è comunque stato fondamentale per me don milani. che se non maestro, sicuramente è nel peronalissimo pantheon. c'è gente interessante in quel consesso.]

 



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