Monday, May 1, 2023

nobilitazioni [pensieri sparsi primimaggeschi]

del fatto che il padre della creatura fosse un pirla, ho cominciato ad averne contezza quando mi disse: se becco quello che ha detto che il lavoro nobilita l'uomo, lo prendo a calci nel culo rincorrendolo per centinaia di metri.

i [spero pochi] feticisti di questo blogghettino potrebbero obiettare: eh, ma 'sta cosa l'hai già scritta, qualcosa di nuovo?

vero.

ma mi torna in mente quasi ogni volta ascolto, leggo, intuisco di come il lavoro diventa uno dei molti motivi di frustrazione per chi, del lavoro, è il soggetto attivo, operante. il lavoratore, insomma.

e non sarà mica un caso che questo governo destro ce la stia mettendo tutta per. in un contesto non esattamente esaltante già di suo in partenza, perdurante da anni. roba in perfetta sintonia con la promessa iniziale dei destri: non disturberemo il manovratore, nel senso di chi il lavoro lo offre. il problema è la degradazione via via crescente di quell'offerta. per platee che andranno ad ingrandirsi, mica a ridursi, a cominciare [o continuare] dai giovani. con la beffa di un cdm convocato proprio il primomaggio, per andare a ratificare norme che aumenteranno la precarietà, la diminuzione dei sussidi. molta attenzione ai manovratori, a chi lavora puppa [a meno che si possa gioire per la diminuzione spicciola del cuneo fiscale]. l'occupazione simbolica di luoghi e tempi per normare istanze che vanno dalla parte opposta quei simboli lo trovo, personalmente, abietto. una cafonata, per quanto abile a distrarre e dare voce alla retorica della propaganda.

e lo osservo, lo penso, ne sono convinto da una posizione privilegiata [che non significa che me la meni o mi senta circonfuso da un qualche senso di superiorità. mi hanno scritto anche questo. anche se è tutt'altro discorso]. perché va bene il mio ombelico, poi ci sono situazioni variegate, ampie, diffuse di lavoratori poveri, precarizzatissimi, sfruttati, gigeconomizzati. occhei che ascolto solo una radio, e quella radio a quei temi è piuttosto sensibile: però ascolto con troppa frequenza di persone che pur lavorando non arriva alla fine del mese [vuorchinpuuur, sperando che quell'altro non mi dia la multa], di contratti che durano un uichend, paghe orarie che - seppur legali - sono una specie di offesa se fatichi ad arrivare a cinque, sei euro [lordi]. per non dir della retorica - appunto - dei giovani scansafatiche. pagateli, i giovani. per non dire degli stage che non riescono a far altro che essere gratuiti, che possono durare anni.

siamo in un contesto nazionale mediamente asfittico. occhei. e poi c'è l'avidità che tutti ci portiamo dentro, più o meno intensamente, o consapevolmente. quindi se c'è da poter prendere di più, chi non lo farebbe? il problema è apparecchiare situazioni che favoriscono solo gli imprendtiori, e meno i lavoratori - pannicelli caldi a parte. che ci sono pure imprenditori che fanno fottuta fatica, neh? ma chissà quanti che semplicemente pensano: prendere per prendere, meglio di più io, che loro. siamo naturalmente avidi: poi lo si può mitigare, ovvio.

è una questione di contesto. e di approccio ideologico di fondo.

quindi sì. mi chiedo quanto tutto questo possa concorrere a nobilitare, mediamente. anche se poi ciascuno nella propria esperienza ci vede quasi il mondo. specie se si è perso il concetto di classe. cosa peraltro nemmeno troppo improbabile per me, col mio orsismo e le mie tendenze quasi sociopatiche per ritrosia.

provo a mitigare, però, alzando appunto lo sguardo dal mio ombelico privilegiato. e che non dimentica la gratitudine verso tutto e niente, oltre che la congiuntura, che ha detto bene.

però non sarà un caso che gran parte della serenità - non ostante sia piuttosto lontano dall'essere felice, o quella cosa che le si approssima - passi anche dal fatto abbia fatto pace con il mio lavoro. ed il fatto riesca a chetare gli aspetti più faticosi, e nel contempo ad esaltare quelli più positivi.

che continuo a contare i mesi dall'inizio, mi riferisca ad un là dentro, quando scrivo di quel lavoro. osservi con malinconia tutto il tempo che il lavoro mi conculca, a fare una cosa che non è esattissimamente quello che vorrei fare [eufemismo]. però tutto questo se ne sta nel discorso molto più ampio del mio pormi all'interno della società. e in questo discorso c'è anche il fatto di portare rispetto a tutti coloro che il privilegio di un lavoro dignitoso non ce l'hanno, facendo del mio meglio nel fare il mio. c'è il fatto che là dentro provo ad essere utile. vorrei farlo in altro modo e per altra umanità. ma al momento questo è quello che c'è: e quindi ora impegnamoci in questo. [fu il teo, che fatico a definire come il mio capo, a farmi notare questa quasi ovvietà. che il teo, magari non ne capisce moltissimo di java, vb.net e pl/sql [io giusto un pochino di più], però ci ha la capacità di intuire cose sottili apparentemente soft, ma poi c'è la complessità delle relazioni. mica cotiche.]. e in quell'essere utile ci è dentro anche un rimettere in circolo un po' di quel privilegio. fare al meglio quel che si è chiamati a fare. appunto in un contesto che è fondamentalmente sociale, perché ci chiama a farlo all'interno della società di pari. per come la vedo è così che il lavoro nobilita la donna e l'uomo. e sticazzi se la semplifico, e pace a decenni di scienze sociali e giuslavoristiche. tutte quelle menti eccelse non me ne vorranno.

poi. con un po' di onestà, aggiungerei cosette. che star là dentro sia una delle poche cose che mi stiano riuscendo, e non solo per il fatto che il mio tempo è quasi solo per quello. e quindi eccolo il circolo vizioso, compulsivo, che si autoalimenta [ie faccio quello mi riesce benino, evito di mettermi in gioco per altro, esaurisco tempo ed energie, cosicché non faccia molto di resto, e sottilmente irrisolto dedico le poche residue a sbattarmi là dentro, che mi riesce, che prima o poi finirà. allora potrò fare altro. ma intanto alimento la compulsione]. che il contesto e la nicchia che son riuscito a crearmi aiuta a mitigare  la frustrazione per un lavoro che non è esattissimamente il mio [nicchia che mi hanno dato la possibilità di creare: uno può essere anche abile, poi però mica è scontato gliela lascino fare]. e che la fatturazione che viene di conseguenza aiuta ancora di più [che peraltro dà una mano a recupeare i sette anni di vacche magrissime, quelli della fenomenale esperienza imprenditoriale precedente. dove non è che mi sbattessi poi tanto tanto di meno, neh? avevo solo la sensazione di avere del tempo per me. frustrazioni - altre - a parte].

ci ho dentro tutto questo chiaroscuro, in questo primomaggio. soprattutto, appunto, un percepire vivo ed cogente dell'importanza che il lavoro dovrebbe comportare. che un buon lavoro può anche non essere un augurio stantio, né tanto meno di circostanza. che il lavoro è buono quando va oltre il sostentamento. tutt'altra roba rispetto al produrre, per poi poter consumare [e poi crepare, che ci tocca presto o tardi]. il buon lavoro è un privilegio anche quello. che su tutto la salute, un qualche genere di sentirsi in bolla o con un senso da portare avanti a 'sto mondo. però poi 'ste cose si intrecciano in maniera molto più inestricata di quando pensiamo. il lavoro a suo modo è qualcosa che ci trascende, esattamente come starsene nella complessità della società adulta comporta: che siamo tutti unici importantissimi, ma siamo poca roba prescindendo dagli altri.

per questo dovrebbe nobilitare. che non accada per una platea che si va ad allargare è un'altra delle storture e disuguaglianze per cui varrebbe la pena di adoperarsi. una specie di meta buon lavoro.

che fottutissimo regalo ci faremmo. fuggendo dal ricatto surrettizio: visto che non c'è tutto 'sto buon lavoro, si pigli quel che viene, e morta lì. conquistando un tocchettino di consapevolezza di tutto questo. ne avremmo tutte e tutti da guadagnarci. al pari delle più importanti conquiste sindacali [al netto che uno il sindacato può anche permettersi il lusso di osservarlo col binocolo].

per questo buon primomaggio non scontato a tutte e tutti.



No comments: