Friday, August 18, 2023

farneticazioni [ma per chi?] e chiagne. [disclaimer: nemmeno comincio a confutarle, le stronzate di 'sto fenomeno]

che poi, qualche lustro fa, 'sto tipo col basco mi avrebbe mandato in sollucchero. prima del servizio civile, intendo. e prima di conoscere il nonnetto. in solluccherò perché quelle cagate sarebbero state propellente fantastico. un simile concentrato di farneticazioni, scritte orgogliosamente da un generale. avrei scatenato tutta la mia indignazione in un qualche artitcolozzo, che al massimo sarebbe uscito sul giornalino di cose così dell'hometown. uno stracciarmi le vesti retorico-sintattico, la clava semantica per magnificare la mia riprovevolezza. ci avrei dato dentro. prosa ridondante, subordinate di subordinate di subordinate, proluvio di avverbi, leggibilità piccola piccola. che a pungolarmi adesso, tre o quattro a leggermi, tze.. dilettanti: rispetto a quel che sarebbe servito allora per arrivare in fondo, intendo.

è che allora, in fondo, mi stavo strutturando, cercando un personalissimo senso del sé. che passava anche dalla prosa intricata. che ingenuo coglioncello, mi faccio quasi tenerezza. passava pure nel rivendicare un'alterità rispetto ad un pensiero e visione delle cose: quello militare. bastava dargli addosso. avevo scritto cose molto puntute per molto meno di 'sta roba qui, appena pubblicata. il militare, un tocco di mondo, guarda caso, che mio padre non disdegnava, anzi. per ben altre ragioni, ovvio. tipo il rito di passaggio nel far l'alpino, che è roba antropologica per un gran pezzo di nord d'italia. dargli addosso al militare era anche per distinguermi da mio padre. se con cifra sintattica laocoontica ancor meglio. ora intuisco fosse  per richiamare la sua attenzione. alterità, allontanarmi quanto più possibile, per riconoscermi e farmi riconoscere. peraltro quando gli dissi sarei stato obiettore di coscienza mi disse: mi spiace non sarai alpino, ma fai quello che ti senti. poi dice che alla fin fine, da odg, prima o poi uno ci finisce.

vabbhè. divago.

dicevo.

'sto fulgido testimonio, testa di ponte di foriero di minchiate, allora mi avrebbe mandato in sollucchero. ora osservo con una [disgustata] curiosità. che a stracciarmi le vesti anche basta. ci vuol un sacco di energie ed è solo scena.

no. a 'sto giro ci son due-tre cose che mi han colpito. un paio mi son saltate subito all'occhio. l'ultima l'ha sostanziata stamani il luis della radio. che a volte mi fa girare i coglioni che levati. raramente però solleva temi di dibattito che non siano interessanti e centrati. peraltro lui che sui soscial, il dibattito spigoloso, sembra evocarlo con gaudio. piace.

il primo paio: il tono giaculatorio da chiagnisteo, e la rivedicazione del diritto all'odio.

con la scusa del fatto sia un sentimeno - l'odio ed il disprezzo - allora è un qualcosa che deve potersi esprimere liberamente. che è un qualcosa che va contro la freccia del senso dell'evoluzione dell'intelligenza umana: specie quella collettiva. mica mi sfugge siano prosperati tragicamente - e prosperino - regimi che sull'odio ed il disprezzo fondatno la ragione d'essere. ma continua ad essere qualcosa che va contro quella freccia evoluzionistica. che avanza a fatichissima, neh? ed ho idea se ne vedranno delle belle in futuri nemmno troppo lontani. ma avanza. odio e disprezzo sono il punto d'inizio per annullare l'altro che non sia me, oppure noi. si può ragionare per categorie: dagli a tutti coloro che non sono della mia. qualsiasi cosa significhi catetoria, peraltro nel suo essere fottutamente cangiante: cambi il setup iniziale, etvualllà, cambia la categoria. altro da annullare che non son io, non siamo noi: dagli addosso. porta 'sta cosa alle conseguenze ultime: arriverai ad annullare tuo fratello, qualsiasi cosa significhi fratello, anche nella versione più queer si possa immaginare [loro non lo chiamano queer, che sembra una malattia. però in fondo lo è. se lo scoprono dan fuori di matto]. è talmente cosa contro la freccia dell'evoluzione che ovvio generi turbamento. lo sai, dentrodentro, che è una stronzata. lo sai che è come tirarsi legnate sulle tette o sui coglioni. certo che taluni lo fanno. ma è pur sempre la manifestazione di un disturbo [senza giudizio sul disturbo, ovvio. è constatazione]. lo sai che è controsenso a quella freccia: c'è un baluginio di senno, più o meno nel profondo, in ciascuno - ciascuno. ed il gioco per ovviare, per non rimanerne storditi dal propugnare il controsenso, è la chiagna. i revascisti, i controseenzienti, chiagnano perché provano a fottere, il senno. chiagnano perché vittime del pensiero unico, ostracizzati dai poteri forti, usciti dalle catacombe dove furon costretti a ripararsi. chiagnano che dovettero ripararvisi dai maestrali del senso imperante. quel che era a loro avverso, e che adesso vogliono sovvertire. ora che son fuori le catacombe, nuove ere, cui daranno slancio e vitalità. 

però intanto chiagnano. come i fasciti di oggi. che quelli a quelli di ieri è andata male.

figurarsi ora 'sto fenomeno col basco in testa. testé destituito dal suo ruolo attuale per aver espresso le proprie idee. chissà il chiagnere, orgogliosamente ma chiagna.

che poi, le sue idee. ma saran solo sue? questa la suggestione del luis. che nuovi fasci governino [ed infatti spesso chiagnano] ed escano con fiera pugnatezza questo coacervo di banalità retrive, forse ha un qualche nesso, non solo temporale. occhei. però. quelle cose che 'sto fenomeno ha vergato - 347 pagine, poi so io quello che sbrodola - in quanti lo pensano? anzi. in quanti, tanto o poco, rischiamo di continuare a pensarlo? quanto, di tutte quelle fandonie miserevoli, non uscirebbero dopo una bevuta cameratesca, magari in certi contesti più o meno trivi? quanto ce le abbiano attecchite dentro, magari in fondo, nascoste. talmente nascoste perché sappiamo siano controevoluzionistiche. contronatura, ma non nel senso banale e misero, con cui 'sto fenomeno etichetta chi non ama e/o scopa come lui. [che poi, c'è pure nei bigini delle patatine: ostentare fobie morali e sessuali è desiderio represso. lo sa anche il mio gatto]. quanto non sia ancora radicata, per un'inevitabile reminiscenza di paura del diverso. un'eco che viene dagli arbori dell'intelligenza collettiva. che allora aveva financo una funzionalità dfensiva, meccanismo conservativo. e 'sta cosa è lì, ce la portiamo dentro. e quanto di una certa cultura, e le sue aberrazioni, zampetta nei meandri dei pensieri più reconditi. magari pronte a dire: ehi... ci son anch'io, quando - magari - arriva il pungolo bacchettante del pensiero di contrappunto: il politicamente corretto. tutto impettito e fastidioso a riprenderci. quella specie di maglia che - per fortuna - si è cominciato a costruire come argine. anche con i contraccolpi che però produce. come da rigidezza delle infrastrutture valoriali, di linguaggio, di visione del mondo che si ergono più o meno subitanee. ovvio possa arrivare a stare sui coglioni. anzi: sui coglioni e sulle ovaie. con tutta la artificiosità di nuove trivialità non discrimanti.

quelle stronzate - la cacca la fanno tutte, tutti e tutt*, non si sbaglia - probabile le pensino ancora svariegate frotte di persone. che magari rivendicano, per un attimo, di volerlo pensare, perché non se ne può più della stronzata dell'asterisco di tutt*. perché la complessità della realtà è diventata così lampante così troppo velocemente. e uno si rifugia in cose più semplici, anzi: semplicistiche. ma d'altro canto contro-evoluzionistiche. tanti o pochi? figurarsi se posso saperlo io. continuo ad essere uno fottuto settarizzante: non riuscirei ad interloquirci, figurarsi frequentare gente che lo manifesta, anche solo accennandolo. ho la sensazione non siano così pochi, qualsiasi cosa significhi pochi. ho la sensazione che le creature nuove siano - almeno in questo - un po' favorite. che è probabile stiano più lontane da certi brodi di coltura di cultura. le rigidità del politicamente corretto a qualcosa serviranno pure. tanto che per alcuni è ormai normale ovvietà. quando la norma favorisce l'attecchire di cultura virtuosa. perché è sempre la cultura a vincere, se se la gioca con la norma [semicit.].

forse i fasci hanno una qualche utilità. sono talmente in ritardo con la storia che le ritrosie più muffose, storiche e culturali, sono in sincrono coi loro tempi. e illuminano in maniera chiara quel che di retrivo ci portiamo appresso. una specie di segnale luminoso, a chiudere la parte più lontana ed azzoppante della fila. sono in affanno persino a star dietro alle retroguardie. poi ovvio chiagnino.

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