ogni tanto il pensiero finisce lì. al momento in cui ci si stringe al collo il cappio, qualsiasi cosa sia, che poi ti porterà via di qui. a vent'anni.
la sensazione sulla pelle, starsene al limite, quindi l'attimo successivo che non sarà più. e tutti gli infiniti attimi, uguali fra loro, di coloro che restano. con tutto il devastante senso di colpa che li soverchierà a chiedersi: perché, dove, come, quando si è sbagliato. dove, quando si è mancato.
non riesco a cominciare ad intuire cosa devono provare. genitori che seppelliscono figli, che se ne vanno per decisione loro. un qualcosa che è il quadrato delle istanze contronatura.
e sono sopraffatto, in questa giornata così a zigzag, da una specie di affetto che non so. come voler stringerla in una specie di abbraccio che non è. un vacuissimo, sgangherato, improbabile tentativo di blaterare tra me e me un baluginio per lei. che invece è stato il buio. il buio che deve aver provato attorno a sé. credo, penso, mi immagino, il buio che solo il nulla è l'unica consolazione. andarsene.
mi scuso con lei.
che quel buio l'ho intuito da molto lontano. tanto lontano. e per manciate di settimane. ed anche da così lontano e per così poco, è qualcosa che non voglio augurare a nessuno.
mi scuso con lei.
perché le sensazioni che mi son passate in mezzo non credo siano comparabili con quello che deve aver provato lei. cosa deve aver vissuto, quella sofferenza che è stata solo sua.
insopportabilmente.
che solo il nulla ne diventa conseguenza
dove non ci sono più abbracci. quando non si è più
che in questo caso vorrei tanto riuscire a credere ci sia qualcosa oltre. davvero. solo per poter pensare che, dopo tutto il buio di qui, lì ci sia la luce. tutta e solo per lei.
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