Friday, November 17, 2023

foglie et alter

in questi giorni raccolgo foglie. farlo regala sempre una sensazione ipnotica. o struggentemente malinconica. o non so bene neppure io come. c'è 'sta cosa del ritmo delle stagioni, la fine di quelle particole che hanno fotosintetizzato, l'albero che le restituisce ormai non più utili. il ciclo dell'azoto che andrebbe a compiersi lì, al pedice, se non le raccogliessi. qualcosa di caduco, leggero, che ha fatto il proprio tempo. peraltro facendolo come accade da milioni di anni.

quest'anno il folliage è in ritardo. quindi anche quelle che nel frattempo cadono, che quindi vado a raccogliere. sarà che ha fatto caldissimo fino all'altro ieri.

chissà che avrebbe pensato, o detto, mio padre, di 'sto caldo avanzatissimo. e chissà che avrebbe detto del raccogliere le foglie, quasi compulsivo. non lo sapeva, in quei giorni là, uscissi a raccoglierle per trovare una parentesi solo mia. che ad ogni sospiro lo osservavamo preoccupati, senza farsi scorgere. con l'apprensione capisse quel che gli stava capitando. il desiderio di regalargli una serenità di inconsapevolezza. qualcosa che è stato affettuosissimo, dolorosissimo, faticosissimo: tutto assieme. per mesi e mesi e mesi ho sognato di quel lasciarlo ignaro, che a volte nel sogno non riusciva. quelle giornate tutte uguali, anche il costante suo scivolare a peggiorare. che pare sian state tantissime, a contarle non furono che un paio di manciate. che sembra ieri, come se non fossero mai passate, ma son sempre più lontane. come l'eco che riverbera.

quest'anno il punto angoloso diventa maggiorenne. compie diciottanni anche il trucchetto per fuggire, futile, l'idea del fatto scocchi la ricorrenza di quel momento. era ancora la notte del mercoledì, ma si constatò la formalità dopo la mezzanotte del giovedì. quando, come ogni anno, arriva il sedici si pensa: vabbhè, la guardia medica scrisse diciassette. il diciassette si pensa: vabbhé, ma era ancora il sedici, quando matreme mi svegliò, da appisolato sulla poltrona che me ne stavo, che si era intuito che quella notte sarebbe stata lunghissima.

trucchetti.

raccolgo foglie, e sembrano tanti diciottanni, così come paiono susseguiti così rapidi. qualcosa passa e ritorna, come le foglie che ora raccolgo, che rispunteranno sugli alberi. respireranno assieme a loro giocando reazioni biochimiche, cui noi agiremo le nostre, respirando. fino a quello che ci rimarrà impigliato per sempre nei denti, quando ce ne andremo. stagioni che si compiono anche le nostre.

raccolgo foglie. che frusciano leggere, quasi croccanti, di colore così acceso, che però significa la loro caducità che si sostanzia. nei gesti ripetuti c'è anche quello di quasi abbracciarle, quando le sposto nei tini di plastica. e così penso a leo buscaglia, e quel libercolino che lessi durante il servizio civile. di come per buscaglia le foglie fossero importanti, come si collocavano nel suo agire terapeutico. e quello che sembrava avesse scritto esattamente a me: i tuoi genitori hanno fatto il meglio che potevano, per questo non bisognerebbe mai avercela con loro. si può far pace con tutte le recriminazioni che uno può portarsi appresso. è rasserenante, terapeutico.

e il senso delle foglie e di quelle parole solo pochissimi anni dopo. che sembra esserci un intervallo lunghissimo. ma a pensarci, ad esempio, ne è passato di più, di tempo, da che son là dentro: peddddddire.

un'esperienza molto emozionale della relatività del tempo. le stagioni che ci trascendono. il ricordo di un genitore, l'eco che risuona dentro, come tutto questo si è evoluto nel divenire del tempo. anche il suo non esserci più. la sua mancanza di allora e ora. e le domande, che non riuscirò mai a dominare: che figlio continuo ad essere, a che punto sono, che ci faccio qui, se sarà per forza sempre solo autunno, ormai, dentro.

e nel mentre raccolgo foglie. anche in questo di anno. le foglie, e la sensazione ipnotica che regalano. frusciano, crocchiano, con quel colore pare così vivo, mentre è la loro caducità che si sostanzia.

 



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