Saturday, December 13, 2025

cinquantaEtCinquanta

[disclaimer. non ho riletto. troppo stanco. il post potrebbe essere un florilegio di refusi e forma faticosa e ingarbugliata. ora vado dormire, che domani si va in corteo... [che poi, 'sta cosa qui, fa un po' radiopopolare. è roba libera, ma libera veramente. refusi compresi]] 

e pensare che il primo approccio fu da snob, puntacazzista, maccartista di ritorno. lessi di 'sti giornalisti di radio popolare, che ci avevano i microfoni attaccati su con lo scotch. però erano i primi ad arrivare sul pezzo, pronti a dar la notizia, impeccabili. quei comunisti, pensai. che poi 'sta radio popolare mi era pure capitata di sentirla, alla radio. e me li vedevo i microfoni attaccati su con lo scotch. che si declinava, acusticamente, in suoni saturi, voci che finivano, me li vedevo, con gli indicatori dei livelli fissi a destra. equalizzazione da proletari, affettata come il minimalismo da architettura del socialismo reale. ero abituato al lavoro mirabile dei fonici di radioitalia, solo musica italiana, con quel bel riverbero avvolgente.

ero in fase di transizione. nel senso che dovevo ancora capire che il sacro fuoco, che mi batteva nel cuoricino, declinava dalla stessa parte di quelli col microfono attaccati su con lo scotch. che poi dici sinistra e dici tutta la variegate nuance dei suoi ascoltatori. ma questo lo avrei capito solo dopo.

il primo ricordo nitido nel novantasette. quando l'ascoltai davvero, intendo. poco prima della laurea. mi svegliava robecchi con piovono pietre. poi andavo in dipartimento a scrivere la tesi e preparare la presentazione. di quel periodo ho in testa la copertina blu acceso di "cronaca di una morte annunciata", quando ricominciai a leggere, oscar mondadori a tremilanovecentolire. e soprattutto la genialità del robecchi. quei diciotto-venti minuti, con quattro-cinque notizie sui generis, e la narrazione  fintocazzara, inebriante, da improvvisatore blues del robecchi. sembrava una cosa buttata lì a caso, con questa narrazione per me fascinosamente irriverente. era genialità pura. cazzo, pensai. anvedi 'sta radio popolare. però poi non ascoltavo altro. non sapevo [ancora] quella fosse una specie di vetta, non so se [ancora] inarivata. so solo che pure oggi molti ricordano piovono pietre con la lagrimuccia.

partì tutto da lì. e poi venne il resto. ma dopo un po'. lasciai milano un annetto ed un pezzo, nemmeno così certo di tornarci. poi ritornai, ma non ho memoria precisa di quando cominciai davvero ad ascoltarla.

ho ricordi sparsi nella successiva dozzina d'anni.

tipo quando comprai al hyndai tiburon, usata, il proprietario che me la vendette preconizzò: quest'auto è molto da cucco e da fichi. risposi: tanto ascolterò tutto il tempo radio popolare. quindi dovevo aver già sintonizzato la rotellina del cuoricino sui centosettepuntoseimegacicli, modulazione di frequenza.

tipo un sacco di spunti musicali. spesso al mattino, quando la radiosveglia mi svegliava. tipo eurialo e niso, cantata da bubola, poco prima della settimana del punto angoloso di mio padre. per anni, riascoltandola, ripensai al uichend precedente di quella settimana. quando ancora ero giovane, e da lì a breve sarebbe finita, la giovinezza.

tipo quando il bachi finse un collegamento col professor di stefano, in viaggio verso il lussemburgo, per discutere con i responsabili del fondo di investimento che voleva acquisirla, la radio. "abbiamo fatto il passo più grande della gamba cercando di allagare il bacino di utenza. siamo in grandi difficoltà finanziarie. vogliamo capire come gestire, concordare la scalata di costoro". arrivarono messaggi, tentativi di telefonate di ascoltatori terrorizzati: perdere la libertà editoriale che l'indipendenza garantisce, che la radio è della cooperativa dei lavoratori. attimi di sbandamento. poi partì il pistolotto perculante del bachi, che annunciava l'inizio della campagna di abbonamenti annuale, l'abbonaggio. "vi siete cacati in mano, vero? che non manca il profluvio di critiche e puntacazzismi da parte vostra. che siamo quelli troppo rifondaroli, quelli troppo poco rifondaroli, quelli troppo a destra, quelli troppo a sinistra. pieni di difetti, ma indipendenti, raccontiamo quello che ci sembra giusto raccontare, nessuno ci dice quale musica mettere. e noi ci siamo grazie a quelli che ci sostengono, e che magari ci criticano, ma ci sostengono. siamo noi perché ci siete voi. e a tutti quelli che ascoltano a scrocco diciamo: abbonatevi, starete meglio, ci criticherete meglio. ma intanto si garantisce la nostra voce libera e l'indipendenza". il bachi lo disse molto meglio e col suo piglio. ma il senso fu quello. cose così. e partì l'abbonaggio.

perché la radio è la sostanza de "e se una radio e libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più perché libera la mente", del finardi, nella canzone omonima. dedicata, guarda un po', alla radio. nel senso di radiopopolare

già. l'abbonaggio. ho ascoltato per qualche anno a scrocco. ad ogni abbonaggio, mi sentivo pungolato, centrifugato emotivamente. tutta 'sta grande comunità che si palesa, il palinsesto grande frullato di conduzioni improbabili [rimangono solo i giornali radio. in fondo, di fondo, l'essenza è fare informazione libera. il resto viene di conseguenza. dall'approfondimento all'intrattenimento. dalla cultura altra alle facezie totali]. per qualche abbonaggio mi son detto: ora li chiamo e annuncio che mi abbono.

non l'ho mai fatto, chiamare in diretta intendo. però sì, mi sono abbonato. in un novembre dove l'afasia finanziaria cominciava a percepirsi netta ed inequivocabile. mi abbonai lo stesso. in effetti poi ti senti meglio, più parte di quella grande comunità. variegatamente puntacazzista, che sa far rilucere elementi di solidarietà, condivisione, collaborazione che - a volte - è semplicemente commovente. tutte e tutti legati in una maniera che sarebbe interessante studiare, dal punto di vista socio-antropologico. tutte e tutti parte integrante di questa emittenza, probabilmente unica in tutto lo stivalone italico e oltre.

avrei decine di ricordi personali, aneddoti, considerazioni. in questo blogghettino ce ne sono sparpagliati qua e là alcuni. riverso cose poco sintetiche qua dentro quando una qualche emozione legata alla radio è più forte di altre. post-it, foglietti, foto appiccicate nell'album del vissuto degli ultimi quattro, cinque lustri.

spulciando qua e là. tra i tanti. 

quando la ghidini, con le sue galosce gialle, presentò uno spettacolo sulla resistenza in un deposito atm, ed io la vidi per la prima volota oltre che ascoltarla, faceva davvero strano, quasi spiazzante [peraltro pensai: carina. la immaginavo più sfighinz].

quando ordinai al facco la maglietta di sunday blues, che magnificava francesca carla [mi chiamo francesca carla. no, non è la prima volta che telefono]: rossa, la voglio rossa, mica nera. 

quando una domenica di undici anni fa, la sera prima di iniziare a lavorare là dentro [per nulla convinto, spaventatino, perplesso. ma senza più un soldo: da qualche parte dovevo pur ricominciare. avrebbero conculcato il mio tempo. molta meno libertà di andare a tutte le chiamate della radio, o quello che sentivo consigliato in onda] ascoltai per la prima volta sunday blues. e mi parve un'emerita cagata. per poi cambiare idea piuttosto radicalmente da lì a qualche settimana. non passava l'ansia di tornar là dentro. c'erano facchini e gattuso ad accompagnarmi la domenica sera.

quando in una trasmissione di un sabato pomeriggio di più di vent'anni fa sentii parlare di un libro dal titolo strano: la gang del pensiero, libro che poi mi travolse.

quando arrivò loro addosso, secca, una crisi finanziaria importante, altro che il bachi di cui sopra. e si ridussero lo stipendio per non lasciar a casa nessuno. e coniarono l'impresa eccezionale. che fu scritto anche sulle magliette. e da lì le ho tutte, ovviamente, le magliette. 

quando composero con lenzuoli bianchi e rossi il simbolo della pace, al parco nord, poco prima della seconda guerra del golfo. simbolo della pace fotografato dal satellite, ed io me ne stavo tornando sul lago che rosicavo non potessi esserci.

quando il bacchetta. oddio. quando il bacchetta ci sarebbero almeno metà delle puntate di tutto scorre. però quando il bacchetta consolò ed accompagnò, in un microfono aperto, un'ascoltatrice che camminava nel bosco, sola, per tenere a bada la tristezza ed il senso di spaesamento per la perdita del marito mancato da poco. chiamò in onda per cercare compagnia nella disperazione che la stava assalendo.

quando un papà chiamò durante un abbonaggio per annunciare un nuovo abbonamento, dedicato del figlio mancato qualche giorno prima, ed il bachi, giullarmente cazzaro specie durante l'abbonaggio, riuscì a virare la cifra stilistica con una delicatezza avvolgente in un amen. 

quando il bachi annunciò al demone del tardi, l'inizio della guerra in ucraina, o quando mandò all'aria la scaletta, un attimo dopo aver annunciato la morte di battiato: facciamo che oggi ascoltiamo solo canzoni sue. quando il bachi ritornò per l'ultima puntata del demone, dopo due mesi di assenza, per ringraziare: era necessaria una pausa, una prova importante da affrontare era appena iniziata. [ho ancora i brividi, pensando a nina simone in sottofondo, e la voce del bachi. mentre entro leeeeeento là dentro. per ascoltarmelo tutto, il bachi]

e poi la gentilezza e la cortesia del jampaglia. l'acutezza e la preparazione  del liguori, con la sua capacità di interloquire a pari livello con dotti, professori, eminenze. la cultura sconfinata in tantissimi ambiti della rubini, oltre la sua risatina a volte così insopportabile, a volte così coinvolgente. la puntuta sagacia argomentativa dell'ambrosio, a volte carta vetra nei microfoni aperti. la competenza letteraria spaventosa del festa. l'ironia velocissima del facco. la capacità autoriale di disma, che ti chiedi: ma è lo stesso pirla che non smette di ricordarti della sua inadeguatezza esistenziale nella altre trasmissioni? la poli che fammi sorridere con delicatezza, e già un po' mi hai conquistato [una birra, con lei, mi incuriosirebbe assai]. le giornaliste e giornalisti più giovani, che già capisci quanto ci sappiano fare [e un po' li ammiri e un po' li invidi, che forse hanno trovato la loro strada, nella vita].

e poi la notte in cui morì, di covid raffaele masto una colonna portante della radio. innamorato e conoscitore immenso dell'africa. un sabato sera. palinsesto stravolto e alcuni suoi servizi mandati in onda - la bravura oltre il giornalismo era tutta lì, nella perfezione del cronista che narra soprattutto l'anima di quello che vuole raccontare. la ghidini che non riusciva a trattenere le lacrime in onda. 

la compagnia ed il senso di comunità che ha saputo dare, durante il lockdown a me e migliaia di altre persone. non ci sentiva soli. chiuso in casa senza nessun altro. ma non ero solo.

il viaggio in palestina, uno di quelli che la radio promuove[va]. quando matreme disse: voglio venire anche io, le buttai lì: non ti ci vedo così amalgamata con gli ascoltatori della radio. fu così. però sono tanto contento che l'ultimo viaggio abbiamo fatto assieme sia stato proprio laggiù.

in fondo, la radio per me, è come radiomaria per una beghina. con la differenza che io non andrò in paradiso nella prossima vita, [anche] per aver ascoltato un'emittente. ma va bene così. perché in questa di vita, appunto, è come se mi sentissi parte di una comunità. in cui magari mi riconosco in maniera cangiante [oltre che grazie alle magliette, a volte]. come rilucono diverse le goccioline nebulizzate che sono tutte le espressioni che stanno a sinistra. tecnicamente non sono un compagno, né proletario, e tanto meno so quale sia il mio grado in purezza, stante i requisti richiesti dai più puntacazzisti ascoltatori della radio. e come me, tutte e tutti, puntacazzisti o meno, si sentono parte della stessa comunità. che riverbera, dall'antifascismo in poi, in un qualcosa che ha a che vedere con il desiderio di giustizia sociale, civile, ambientale. vale qualsiasi ordine la si elenchi, la declinazione della giustizia.

comunità che è attorno a quell'emittente. che sono i redattori, collaboratori, ma è soprattutto l'idea che li unisce e li trascende. perché poi un sacco di gente se n'è andata a far altro. a volte con platee nazionali. ma l'idea di fondo, rimane. una radio libera, indipendente, che racconta quello che i redattori scelgono di raccontare, non quello che decide l'editore. perché un editore non c'è. e linea editoriale è semplice, nella complessità del mondo di ieri e di oggi: di sinistra - con tutte le cose che questo significhi - e antifascista - che significa solo una cosa.

non sono ricchi. vanno in onda anche con degli sgangheri, ma non lo capisci. così come a volte sono sgangheri nell'organizzare cose, creare hype. che poi magari l'hype ne rimane un po' deluso, ma sticazzi. sono liberi. rispondono solo alla loro onestà intellettuale.

a tratti è paradigmatico della mia stessa esistenza. a volte sgangherata, con hype disattesi, libera e onesta intellettivamente.. per questo so di non essere solo. non solo in senso stretto. ma anche non essere solo a immaginare e desiderare un mondo più giusto, equo, che rispetti tutte e tutti, pianeta compreso.

sono iniziati i festeggiamenti per i primi cinquant'anni della radio. ovvio mi senta della festa anche io. anche se domani andrò al corteo, rappresentazione di massa non competitiva, da solo, come spesso accade [è parte dello sganghero esistenziale di cui sopra]. però so che sarò un po' meno solo, di quel che può sembrare. sgangherato o meno, alla fin fine, sia. 

faccio parte, facciamo pare della cinquanta e cinquanta. cinquanta ce lo mette la radio, cinquanta ce lo mettiamo noi. il fatto è che la somma è ben oltre la semplice aritmetica. e quella roba lì, l'oltre l'aritmetica, è davvero bella sentirsela dentro. auguri errepi, auguri a tutte e tutti noi.

 


 

 

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