Sunday, September 18, 2022

fiducismi.

la mia amica chiara - mi cita eraclito - mi suggestiona ricordandomi il caso e necessità. le avevo scritto di averla pensata, mentre parlava un suo omologo, docente a roma 3. discettando sull'importanza di far capire ai futuri giuristi le nequizie degli errori giudiziari. è l'intervento all'interno di un documentario. è l'ultimo di quelli che mi sono spazzolato questo uichend. di sole, vento, aria tersa, freschitudine arrivata d'amblé, pensieri tristevolini, consapevolezze che le cose gravi sono altre.

caso e necessità.

caso, perché a vedermi quell'infilata di documentari ci sono arrivato ascoltando il suo direttore artistico alla radio. per caso. che poi sarebbe uno che associo inespugnatamente a quando conobbi la viburna. che poi sarebbe uno che nella hometown era quasi di casa. e ci ha girato pure un filme. pedddddire.

necessità, perché ad infilarmi in quella visione di documentari è stato per ovviare e mitigare i pensieri tristevolini. e ribadirmi che il mondo, anche quello vicinissimo, è pieno di un sacco di cose che sono dei cristalli caleidoscopici che ti stordiscono, ti ammaliano, ti commuovono, ti stimolano, ti rivoltano. che c'è più vita nei tatuaggi tamarri di un ecs-pre-delinquente che intieri trattati di sociologia.

caso e necessità e documentari in concorso e non.

quelli non in concorso, bellissimi. tanto supportati da produzioni ricchissime quanto quasi asettici - oddio, quello su sarajevo anche poco asettico, suvvia.

quelli in concorso, più essenziali - ma di fattura alta, altissima. ma pazzescamente segnanti. ed è stato una specie di climax. uno più toccante dell'altro. nell'ultimo ho faticato a trattenere due lagrimucce, peraltro invano. sentendo dietro di me persone che hanno lottato meno, nel tenersele.

alla fine di ogni proiezione - minchiaz, era sempre un festival - si teneva un breve incontro col regista, e con i protagonisti del medi e lungometraggi. per tutti - tutti - la domanda del rappresentante del comitato, sempre più stanco, provato e descamisado, è stata sempre la stessa. come hai fatto e conquistarti la fiducia delle persone che hai raccontato da dietro una camera?

da come veniva posta, la domanda sembrava un qualcosa di un po' ovvio e scontato.

per nulla ovvia e scontata le risposte. anche se semanticamente tutte piuttosto simili. ma per ciascuna e ciascuno, si è quasi percepito il senso di tatto, attenzione, cautela, intelligenza emotiva che ha portato quelle registe e registi ad entrare in sintonia con le persone e le loro storie. tocchi di umanità per nulla gaudenti, zero baci e abbracci col successo e la fama. tutta umanità difficoltosa, rejetta, sconfitta, stigmatizzata, violata. coloro che per i benpensanti sono i coatti di rozzano, il brigatista tortuturato, le persone con malattia mentale del passato e del presente, chi si è fatto ventunoanni di carcere da innocente. umanità altra.

e tutti - tutti - a raccontare di una fiducia conquistata un pezzettino alla volta, anche come sfida nel cercare di andar oltre i luoghi comuni della pancia perbenista della gaussiana. e dall'altra parte tutti - tutti - di come aver concesso quella fiducia sia stata una scommessa, oltre che una fatica. che a raccontare storie in un prodotto cinematografico documentario, ci sarà pure la difficoltà a voler fare del tuo meglio, per te regista. e farlo al meglio per il rispetto dell'umanità che vai a raccontare. ma anche per l'umanità che si racconta mica deve essere tanto semplice. perché in fondo ci si mette a nudo. sfidando la pancia gaussiana benbenista, oltre il proprio pudore.

senza quella fiducia ricercata, conquistata e concessa, certe cose proprio non riescono a venire. e forse è quella la cosa che più ho ammirato in costoro. io sempre più orso e intimidito. ammirando - davvero - con l'invidia buona, quella capacità e quella abilità. che forse avevo [ho?] pure io. e che credo sia la parte più affascinante di quello che costoro hanno realizzato.

ad esempio: la regista del documentario sull'umanità di rozzano è una donna per cui potrei financo innamorarmi - forse un filo fin troppo giovane. una che sembra uscita da una famiglia illuminata della zetatielle più esclusiva della città. una bellezza per nulla sfrontata, di quell'acqua e sapone da scuole esclusive, riservate, quelle per il perpetrare il fatto tu stia nella zetatielle più esclusiva della città. che magari queste le ha pure fatte quelle scuole. e poi se n'è andata nelle case dormitorio di rozzangeles, a incontrare gente, a farsi conoscere ed accettare, zero pregiudizi o timori, entrare in empatia con loro. e conquistare la loro fiducia. ben riposta, peraltro. con una chicca che racconta un umanità ed una bellezza consapevole, che ti vien quasi voglia di dire loro - da orso qual sono - dammi un cinque bro, che avrei un sacco di cose da imparare da te.

fiducia. quel punto di inizio imprescindibile. condizione di partenza necessaria. che il germinare dell'emozione artistica, credo, parta proprio da quello. e non sarebbe la stessa cosa senza. e il fatto ci sia stata è un regalo per tutte e tutti. anche per il mio caso e necessità.



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