Friday, September 23, 2022

faccio un post cazzaropolitico /6 - apolidismi sinistrati

sono sempre stato di sinistra. e financo radicale, con importanti tratteggi libertari. ci ho messo un po' a capirlo, ancora di più per coglierne gran parte del perché. solo che la mia educazione sentimentale, a riguardo, non è stata esattamente lineare, ma un arabesco. e se saltano i canoni poi uno rischia di rimanere spiazzato. apolide.

sono di sinistra perché, della formazione cattolica, la cosa che mi ha travolto è stata soprattutto la sua dottrina sociale. fu un prete missionario. partì tutto da lì. ho anche in mente dov'eravamo, come non volasse una mosca, noi quindicenni ammutoliti, quando accadde. e di come ricordo mi presi un specie di impegno con me medesimo. il pacchetto era ben più ampio. ho disconosciuto quasi tutto, tranne quella, l'eco della dottrina sociale. che per certi aspetti: cazzo se è di sinistra.

la radicalità fu una specie di reazione alla mia timidezza. cercavo me stesso, avevo imbarazzo a spiegare la cosa un po' complicata che trovavo girare dentro. per cui era difficile intrupparmi troppo nella panciona gaussiana dei maschi alfa che limonavano con le ragazze. avrei voluto limonare duro pure io. ma i maschi mi sembravano banali. speravo di distinguermi per altro, roba meno appariscente. ma con quella si limonava poco. per questo entrai così in sintonia con l'amico daniele. che era ancora più altero e duroetpuro nella sua radicalità esistenziale. e sembrava per nulla attratto da nulla sentimentalmente, figurarsi limonare. staremo larghi, pensai, a frequentare uno come lui. avrei consolidato la mia necessità di autodefinirmi in maniera parimenti non banale. inutile ribadire che limonai poco.

il combinato disposto cominciò a trovare una qualche forma di sostanza riconoscibile durante il corso di analisi I, sugli sgabelli per arrivare all'ultimo momento a lezione, ma essere comunque lì in prima fila, a volte appoggiati alla cattedra. stratagemma che usava anche l'amico marco. vicinanza per abitudine diventammo protoamici. girava con un giaccone sfondato, pantaloni non esattamente attillati e con un 0.56% a pennarello sullo zaino di tela grezza. gli chiesi cosa significasse: è la percentuale di DP [democrazia proletaria] alle comunali di roma del '90. fu uno cui forse ho voluto anche un po' di bene. e con la sua logorrea puntacazzista capii meglio anche di me. sì, ero di sinistra.

e rispettando la più ortodossa tradizione di sinistra, avevo già contribuito con la mia personalissima scissione. peraltro ex-ante. più di sinistra di così.

già. perché intuivo il portato emotivo, che quella fosse la mia natura e qualcosa prossimo all'ideale cui tendere. ma c'era quella pregiudiziale ipercattolicheggiante che mi distraeva parecchio. per giunta ancora a bagno maria di una specie di perbenismo da giglio immacolato, quello che nell'iconografia classica tengono in mano i santi, i puri, i brav gent. e l'amico marco, con la sua estetica, il suo cinismo cazzaro, la sua formazione altra, mi sembrava lontanissimo. eppure mi sentivo appassionato per le stesse idee. per non dire dell'auletta brenta. i sinistrorsi dichiarati del politecnico. riserva indiana. controllati a vista dalle greggi caciarose dei ciellni, pletore che sciamavano. mi stavano sui coglioni i ciellini. mi imbarazzavano quelli dell'auletta brenta, seppur mi incuriosivano. e probabile intuivano una alterità, e quindi mi osservavano straniti.

e poi le frequentazioni a casa del pasquali. io gli pagavo l'affitto, per la stanza nella casa a ridosso della cerchia dei navigli - e ogni volta mi imbarazzavo a chiedere i soldi a mio padre, che non si navigava affatto nell'oro. lui non si faceva problemi, erano menate mie - ed il pasquali mi sbandierava l'esenzione dalle tasse, risultando senza reddito, figlio di genitori ricchissimi. da quella casa passava di tutto. tanti compagni, giocando come navigassero in miseria, ma molti gran figli di papà. quasi tutti nella loro estetica che non mi convinceva. quasi tutti a recitare una parte. molta mediocrità - nella media, comunque alta - e qualche testa davvero sopraffina. bene o male tutti avviluppati in un conformismo di ritorno. che le canne si fumavano ovviamente seduti per terra, sulle sedie faceva poco compagni. molti limonavano duro. io ovvio non fumano e non limonavo.

mi sentivo spiazzato. ma quel paradigma di fondo, quella specie di ideale cui si riferivano, mi catturava. non importa quanto ci credessero loro. catturava me. io che ero un bravo cattolico convinto. oratoriano integerrimo. che suonava la chitarra ogni domenica in chiesa. quindi spiazzato un po' anche lì. avessi raccontato come la vedevo politicamente. insomma di là con le idee, di qua con il contesto quotidiano. non che le cose fossero mutue esclusive uno con l'altra. però un po' scisso sì, lo ero, neh?

per un paio di volta ho votato la rete [amica roby, se passi ancora di qui, cerca su uichipedia. forse si è sciolta prima che nascessi tu]. forse il voto più convinto abbia mai dato. magari non è un caso la cosa sia poi andata a scemare.

ricordo vivido con quale emozione lessi il bigliettino-pizzino che matreme mi portò ai seggi nell'aprile novantasei. un attimo dopo la chiusura dei seggi. non c'erano cellulari. fu l'unico modo di avere gli exit poll. feci lo spoglio rasserenato, ogni tanto mi spuntava un sorriso, senza ragione apparente.

quando irruppe nichivendola ebbi un sussulto. e lo votai con una certa convinzione. cioè. in realtà non per votare lui, in quanto nichivendola. bensì per quella che allora era solo sinistraetlibertà. che sarebbe poi confluita in sel, aggiungendo l'ecologia lì in mezzo. a dirla tutta mi convinceva poco ci fosse il nome nichivendola nel simbolo. quasi una personalizzazione inopportuna. ne parlai con l'amico itsoh, cui forse allora eravamo un po' più prossimi da quel punto di vista. a lui non la cosa non sembrò poi così strana o simili. ci sta, mi disse. in maniera anticausale lui fu assolutamente coerente. che poi si invaghì e partecipò attivamente, quando ne divenne segretario, quel fulgido esempio di understatement disinteressato che era già renzie.

ora.

perché un lungo post cazzaropolitico, se è un elenco di reminiscenze mie? peraltro un po' tristine come ogni scissione sinistra.

perché, in fondo, è l'eterno ritorno di quello che accade da lustri. quindi capita pure oggi. con la fiducia e la speranza e l'entusiasmo che sono evaporati. anzi. sublimati: nel senso di passaggio dallo stato solido a quello gassoso. che continuo ad essere di sinistra, e pure con il desiderio di una certa radicalità, nelle scelte e nel modo di porsi collettivo. e quel senso di straniamento è roba che palpo con una certa voluttà. ascolto i due leader della coalizione che forse mi rappresenta di più. e li trovo serenamente insopportabili. incapaci di uscire da un certo cliché che poi se lo tirano dietro il marchio di radicalscìc. un'estetica nel porsi che mi fa strano, come lo zaino di tela grezza dell'amico marco. mi turo il naso per quello, non certo per le idee e la prospettiva. anche se mi dà poca sicurezza il fatto debbano portarle avanti quel tipo di classe dirigente.

per non dire poi della nebulizzazione ancora più a sinistra. che provo a scambiarci due parole al banchetto delle firme. e sembra mi sgamino come elettore altro. come uno che è di un'altra estrazione, un'altra estetica, un'altra roba. sì. forse non credo [e non voglio] ci sarà la rivoluzione. e che il capitalismo ha i secoli contati. ma non per questo mi sento lontano dal vostro sistema di riferimento di intenti. poi, da puntacazzisti quali siamo, possimo anche scazzarci per un avverbio di una dichiarazione programmatica. o forse io continuo ad essere un po' apolide. pur stando in quel campo, termine che non uso così a caso. e che credo sarebbe meglio fosse molto ampio. molti differenze nell'unità di quei principî. e poi è un grande esercizio di sintesi. che significa smontare un po' di puntacazzismo e di narcisismo.

credo che l'amico marco e la fascinazione reattiva che ne subivo sia davvero la sintesi quasi perfetta. ed il fatto l'abbia scoperto stando sugli sgabelli. scomodi ma funzionalissimi al bisogno. così incuriosito e con trasporto, ma con quella specie di alterità reciproca. solo che lui - figurativamente - si sente a casa in quel contesto e consesso di modi di porsi. quasi borghesi tra di loro. tutti compagni, ma nel senso di sodali e molto simili. niente di male, neh? figurarsi.

sono io a sentirmi apolide. senza casa e senza terra di rappresentanza. anche se con lo sguardo alto, oltre l'orizzonte, al cielo dell'ideale: comunque un po' bel po' di roba. sono abbastanza convinto sia lo stesso, tra loro - qualsiasi cosa significhi loro - e me. continueremo, coazione a riptere che siamo di sinistra, a puntualizzare l'ovvio delle nostre alterità di opinione et alter, ben alimentati dal nostro puntacazzismo. che la destra si unisce anche quando si scanna. la sinistra si scanna anche quando si unisce [il chiasmo non è mio]. ecco. staccare lo sguardo dal dito. e magari staremmo meglio da questa parte. il sol dell'avvenire. la necessità ci trascende. per fortuna.


[img. il bigliettino-pizzino di matreme. bei tempi. ne verranno altri]


No comments: