Monday, December 5, 2022

sertraline [o sertralina /2]

il giorno di un anno fa, come questo, me lo ricordo bene.

avevo scritto un paio di sere prima il post "sertralina". e le ricordo bene tutte le sensazioni che mi stavano traguardando. ero nel soppalchino. rifugio così tanto uterino come in poche altre situazioni, mi parve. avevo appena finito di leggere il bugiardino di quel inibitore dei ricaptatori serotoninergici. ed ero sottosopra più che in altri momenti. non [solo] per il bugiardino in sé, ma per la lunga cavalcata a scivolare, un tocco per volta, verso qualcosa che sembrava regalarmi [solo] giornate dove di colpo si spegneva la luce. poi si riappizzava. poi si spegneva. poi si riappizzava. cose così.

sulle cause - comunque ormai sticazzi - il combinato disposto dei ventunomesi precedenti, un'amicizia storico-importante forse chiusa per sempre, un sgarruppato aggrapparsi ad una svolta sentimentale che uno si era immaginato persone, poi le persone fanno un po' i cazzi loro. e poi la stanchezza. ero stanco. stanco a prescindere.

e quindi un anno fa, era domenica. la sera avrei scritto il racconto annuale per "la venticinquesima ora" [parentesi 1. probabilmente il secondo o terzo meglio riuscito, tra quelli che provai a buttar nel calderone. ovviamente mai nessuno mi cacò]. quel giorno l'amica anna compiva gli anni, e che anni, guarda caso come oggi. pensa un po' 'sta storia dei genetliaci che tornano ogni anno. [parentesi 2. allora l'amica anna mi cacava, per quanto non è che immaginassi potesse succedere chissà che. la prima conoscenza che si può considerar tale su quello sfighinz di feisbuch deiting. poi scrissi un post, scrivendo [anche] di lei. tra le altre cose celiai sul fatto avesse le tette piccole, come peraltro lei stessa si era celiata nelle interlocuzioni cazzare. ovviamente il post parlava di tutt'altro. però sembra che quella storia delle tette piccole fu la cosa che l'adontò parecchio. almeno, così mi fece intendere, quando lo scoprii settimane dopo, che in effetti si era fatta sempre meno viva: figurativamente ovvio, visto che dal vivo mai la vidi. è increbile l'effetto che fa a certe donne léggere qualcuno dei miei post sgarruppati [parentesi 2.1. volevo scrivere femmine in luogo di donne, ma c'è un limite alla poca creanza, anche qualora un filo di risentita delusione mi attraversi]. così da allora l'amica anna mi scacazza via piuttosto delicatamente, spero almeno abbia trovato qualcuno che, tra l'altro, non celii sulle sue tette piccole e che le apprezzi in momenti di intimità]. a pranzo, sempre quel giorno, festeggiammo il diciottesimo compleanno del nipote. in maniera nemmeno troppo misurata, in una osteria mica per gli sfighinz. ma per fortuna fratteme e la madre della creatura sono ben nelle condizioni di poterselo permettere, in tutti i sensi. io, di fatto, a quel pranzo con altre moltitudini famigliari, due-tre generazioni espanse, oltre che amicali di gente rispettabile, accompagnai matreme. da questa parte della famiglia lei ed io, feci molto buon viso, pur sentendomi del tutto estraniato a quel momento, a quel contesto gioioso, per quanto a tratti quel filo sovrastrutturato. in un luogo con la fatica di starci, per tutta una serie di cose. tra cui anche il fatto avessi cominciato ad assumere un inibitore dei ricaptatori serotoninergici.

c'è una rappresentazione plastica di quella giornata: le foto. quelle che feci assieme al nipote, fiero, contento, neomaggiorenne, serenamente proiettato verso un futuro da predestinato. con la sua fascia da festeggiato se ne stava quasi statuario in posa, felice, come in fondo si merita, senza ostentazione di chissà cosa. è un bravocristo, davvero. ed io gli sono accanto, in un paio di scatti a ritrarre solo me e lui. da una parte: il suo portamento eretto, mento sorridente e volitivo, quindi ci sono io: quasi ripiegato su me medesimo, un po' ingobbito, incerto e abbastanza completamente spiazzato, col capello forastico a sembrare senza luogo dove stare pure lui.

è tutta lì, la fatica di quella giornata, in quel modo di porsi di fronte alla fotocamera di uno smartofono. io 'sta cosa la percepivo. cazzo, se la percepivo. felice, per quanto potessi captare il concetto di felicità in quelle settimane, per il nipote. a chiedermi: ma che cazzo ci faccio qua? per quel che riguardava me.

ad un certo punto il ciancischiare festoso della sala da pranzo aumentò di colpo. o forse così mi parve. e sentii rimbombarmi tutto dentro, tipo una specie di effetto larsen tra me e me. osservavo gli altri, tutti gli altri, e mi sembrava di guardarli tipo al cinematografo, però seduto sulle sediolacce di legno, dure e rigide. e lo spettacolo che sembrava non esssere fatto di immagini che scorrevano, ma roba del tipo che si sommavano frame dopo frame, uno sopra l'altro. pensai di essere a tanto così da sbroccare in maniera introspettiva. uscii, quasi fuggendo da quella situazione che si era fatta davvero complicata, dissimulando con matreme: bah, sto mangiando troppo, vado a prendere un po' d'aria.

fuori dal locale, in strada rifatai, un po' sembrò passare. e quindi notai la targa importante che troneggiava sopra l'ingresso della coorte. a ricordare fosse la casa dove nacque quel macellaio di luigi cadorna. che solo la visione miope-campanilistica fa apporre quelle cose lì, accanto al portone di un palazzo storico, senza che si prenda coscienza delle nequizie commesse, dell'onta che dovrebbe ricoprire la sua memoria. mausoleo a poche centinaia di metri un cazzo. pensai al mio nonnetto putativo. a come gli procurasse disgusto, quel generale e tutto il disdoro che aveva gettato sulla storia dello stato maggiore dell'esercito italiano.

rientrai, aggrappandomi al pensiero del nonnetto. che poche persone mi hanno voluto bene, come lui, in quel modo lì.

tornando a casa, quel tardo pomeriggio, rimanemmo incolonnati per un incidente. il lago sulla destra. spenta l'auto il freddo si abbarbicò velocemente nell'abitacolo. l'amica paola mi scrisse della nipote, e madre e sorelle coviddizzate. quando ancora un po' gettava timore 'sta cosa. io pensai al racconto che sarei andato a scrivere. al fatto che ormai avevo sdoganato l'inibitore dei ricaptatori serotoninergici.

ecco.

è passato un anno. dovrei aver incamerato, fino ad ora, circa sedici-diciassette grammi di sertralina. e sarebbe semplicemente idiota rigettare l'idea non abbiano contribuito a far cambiare la percezione dell'orizzonte che si staglia davanti. una cosa che è tipo dalla notte al giorno. non ostante mi facciano presente siano appena oltre la soglia quasi-omeopatica.

non hanno risolto tutto, e ci mancherebbe. certe cose groppose, intorcigliate, la chimica mica riesce a smontarle. però ti lascia un po' di spunto in più per provare a farlo. anche per il semplice fatto non sia impegnato a vaporizzare energia, due-tre volte al giorno, a ri-emergere alla sensazione che un qualche cosa possa financo far intuire la speranza, o quella cosa lì. roba che può spalancarsi là davanti, prima o poi.

e quindi ci si apre percezioni nuove, o forse nemmeno così nuove. solo che le si ri-scopre.

ho fatto pace con l'idea che sia possibile cambiare casa. traslocchismo, nun te temo cchiù.

ho preso contezza del fatto che da chiunque posso aspettarmi la qualunque, nel bene e nel male. specie nel male. quindi non mi aspetto più nulla da nessuno. tutto quello che arriva lo si apprezza ancora di più. si dà, senza attendersi nulla in cambio. che quello che non avresti mai pensato potesse capitarti con qualcuno, in realtà può non essere così vero non possa mai capitare. quanto meno in linea di principio. però meglio seguirlo quel principio. ho la vaga idea servirà, nel caso, a soffrirci di meno, nell'eventualità più o meno remota.

ha smesso pure di nausearmi il lavoro. al netto del fatto spesso mi ci ubriachi, per non pensare a molto altro, né tanto meno fare. [fare, cazzo, fare!]. che ho scoperto quando possa essere appagante dare una mano a qualcuno, più o meno scappato di casa professionalmente. e non è nemmeno il fatto che acclarino: cazzo, tecnicamente sei bravo, cosa che ormai mi importa fino ad un certo punto. è che possa far sì possano pensare: cazzo, mi ha dato una mano. e faccio pure a meno dei grazie. mi basta sapere che è entrata in circolo un po' di buona volontà e di etica. e che 'sta cosa venga riconosciuta. il resto son cagate. [parentesi 3. poi sarei disonesto se non ricordassi sia ben garrulo della fatturazione. e che aiuta alla serenità là dentro. minchia se aiuta. però quell'approccio cortese e disponibile con [quasi] chiunque, contribuisce a metter un po' in armonia il tutto. oltre che provare a diminuire la frustrazione, per tutti, che siamo lì a prostituire la nostra intelligenza, il nostro tempo, i nostri anni migliori].

se una donna mi duedipicca, occhei: un po' di malinconia. ma poi anche basta. io certo di meritarmele, le donne come le persone. ma pure loro e gli altri devono farlo. meritarmi: eccccheccazzo. se una persona si fa l'idea sia poco onesto intellettivamente, o cafone, o quisquilia varia, alla fine, stigrandissssssimicazzi. valgo mica di meno per 'sta roba qui o per un pensiero bislacco. e la cesura ai rapporti più o meno tossici aiuta a respirare a pieni polmoni.

forse sono anche meno alla ricerca di succedanei, più o meno immaginifici. perché in questo contesto di realtà si è smesso di sentirsi del tutto estranei. magari un po' alteri ancora sì. ma estranei molto meno.

insomma. non sarà tutto causa della serotonina che mi circola dentro un pochetto più abbondante. però aiuta.

e continua a girarmi in testa una dicotomia di chiavi di lettura del fenomeno. [parentesi 4. una volta avrei scritto la pars destruens e la pars construens. che all'inizio l'avrei fatto per citar[mi] la quasi ecs-socia. che forse è stata una delle scelte più sciagurate della mia esistenza. ma poi sticazzi anche a lei e la sciagura ammantata di brillantinamenti manipolatori che fu. davvero: sticazzi. però pars construens e destruens che vadano serenamente avavavavanguuuuulo. placidamente, ma afffancuuuulo]. dicevo: una dicotomia delle chiavi di lettura.

che una è: con 'sto cazzo di inibitore dei ricaptatori serotoniergici è come se avessi accettato una specie di onorevolissima sconfitta oppure, a vederla con l'entusiasmo che riesce: una patta. che comunque vince il princpio di realtà. che sia bastardissimo o meno. che ti stia sui coglioni o meno. che avresti avuto ben cazzo di altre idee, ma poi arriva quello stronzo di principio di realtà, che fa quel cazzo che sa lui. e tu hai ben poco da sbracciarti e fare ammuina. tanto avrà comunque ragione lui. ciccio, prima ti cheti e smetti di fare camurria, prima si smette di rompersi i coglioni. stattebbbbuono, che il terreno è sdrucciolévole, se ti agiti sprofondi un pochetto in più. e poi vedi che a prendere meno badilate in faccia, ci si gonfia meno il muso. appppostoacccusssì. a sertralì, ho capito. mi metto mansueto. che tanto a far diversamente ha poco senso.

oppure c'è l'altra. è che anche grazie a quel po' di serotonina in più si capisce che sconfitta e vittoria sono concetti molto relativi. e si vinca in sogni straordinari. e sticazzi se tu non ci azzecchi dentro lì del tutto. ci sarà qualcun altro che quel sogno lo porta avanti. è mica il tuo ombelico il centro dell'universo. non che tu ne sia avulso, neh? però è sempre una questione di prospettiva. tipo far le foto col teleobbiettivo o con il grandangolo. sarà mica un caso che le focali lunghe non ti attraggono più da mo? il principio di realtà è un po' stronzo? e tu non esserlo per forza per stargli appresso. che tanto i cazzi prima o poi arriveranno. però ci si penserà a quel momento. che il fondo è sdricciolévole, vero. come le pietraie che ci sono oltre il perruca vuillermoz, che in realtà sono pendii morenici. ed in effetti salirli deve essere un gran cazzo di fatica. per questo bisogna farlo con oculatezza. meglio adattare il passo, farlo leggero, mica roba affannata o incazzosa. così si sale, certo che si sale. si scavalla la sella. e vuoi mica vedere gli orizzonti che ci sono di lassù?

di nuovo. è una questione di prospettive. son ben sempre quello scapestrato che aveva le spalle ricurve, accanto al tornito e garrulo nipote. che a lui le cose scorrano meglio e con molti meno intoppi o incertezze. pian piano comunque cammino ben anch'io. e così le spalle si fanno ritte, senza che quasi te ne accorgi. ad un certo punto son lì, ritte.

capiremo se e come trattenere un po' di serotonina in più.

[parentesi 5. per il resto un certo contributo lo dà il praticare gentilezze a casaccio e atti di bellezza privi di senso. [parentesi 5.1. e comunque farsi una qualche chiavata in serenità darebbe quel tocco naif in più. figurarsi fare alllammmmmore. poi se non capita, andrà bene ugualmente]].

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