Tuesday, April 11, 2023

il viaggio - ora lieve - dell'amica amelia

oggi se n'è andata l'amica amelia.

io ero bimbo, terza, quarta elementare. lei con la sua casacca maròn che indossavano le studentesse delle medie delle orsoline. quello il primo ricordo di lei. aveva un qualcosa che mi colpiva. per quanto possa colpire un bambino delle elementari, una ragazzina cinque anni grande. fu lo sguardo, gli occhietti vispi.

ci siamo re-incrociati e conosciuti un quarto di secolo dopo. sapevo chi fosse - senza conoscerne il nome - sapeva chi fossi. ci ri-trovammo la sera di un mio compleanno. dovevo conoscere un tastierista, avevo bisogno qualcuno che suonasse l'organo per la marcia nuziale di purcell, di lì ad un paio di mesi: testimone e suonatore di marcia nuziale. ce l'ho io l'organista - mi disse l'amico daniele, sempre amico di tutti - è il marito di amelia. amelia chi? - risposi. quella sera così realizzai chi fosse. l'amica amelia era in cinta e raggiante. mi venne incontro la figlia quattrenne, suonando un piccolo tamburo, con le bacchette, guardandomi divertita. le dissero come mi chiamavo, così per lei divenni subito dracomallfoi, o qualcosa del genere: il cattivo di harry potter. fu una serata bella. sembravano felici, eravamo contenti e pieni di entusiasmo. l'amica amelia innamoratissima.

e così per alcuni mesi di quell'anno, che sembrava andare così per il verso giusto. c'erano anche loro, in questa nuova amicizia,. l'amica amelia, il marito che sembrava così interessante, la bimba per cui ero dracomallfoi. otto-nove mesi di grande condivisione. l'ultimo ricordo bello - di quell'anno, ma forse non solo - fu quando nacque la seconda creatura. io che raggiungo il marito in osteria, aveva appena fatto visita alla bimba e alla amica amelia. brindiamo assieme, un calice in alto a tutto quello che di bello lo attende e ci attende. felice di condividere la felicità di quel neo papà, personaggio che sembrava così interessante. felice di essere accanto a lui in quel momento.

la settimana dopo si ammalò mio padre. l'amica amelia era una delle tre persone del paesello, non strettamente famigliari, che sapeva. uno degli abbracci al cimitero che ricordo fu il suo.

otto-nove mesi felici. poi non fu più lo stesso.

nella loro casa nuova organizzarono per me una serata di ripartenza - ho ancora le foto [fottutissime le foto, a volte]. la prima serata fuori con amici dopo la morte di mio padre. l'amico daniele che tiene in braccio la piccola e nel mentre quasi si addormenta. la quattrenne che mi mostra orgogliosa la sua nuova cameretta.

fu la prima di molte altre serate. tutte che ricordo come offuscate da un velo. roba di tristezza finissima e impalpabile, ma a passarci in mezzo poi t'accorgi che c'è. spesso invitato a cena da loro, il sabato sera. da una parte mi spiaceva lasciar solo matreme. da una parte percepivo altra tristezza finissima, una serenità che non c'era così serenamente. scazzammo anche, con l'amica amelia. sentii messa in dubbio la mia onestà intellettuale. allora mi offendevo molto per cose del genere. ci ritrovammo dopo qualche tempo. mesi che ricordo di un colore stinto. ma non ero solo io, scoprii qualche tempo dopo.

poi mancò il suo di padre, al quale era legatissima. e nel contempo il marito la convinse a lasciare il paesello. andiamocene in riviera, a casa mia: avrò più possibilità di lavoro, le bimbe altre prospettive. troppo innamorata e lancinata nella scelta. un pomeriggio voleva mandare tutto all'aria e rimanere. il marito mi chiamò per chiedermi di convincerla. lo aiutai anche nel trasloco. due mesi dopo essersi trasferiti la lasciò. io avevo già intravisto tutto, senza rendermene conto. non l'avevo realizzato, non l'avevo capito. non era nel novero delle possibilità. guarda che succede quando hai un bias di fiducia verso un immenso stronzo.

sono certo: lì cominciò il lento declino dell'amica amelia. l'amore per l'uomo sbagliato. incidentalmente padre delle sue figlie. che l'aveva ingannata e strappata al suo paese nel momento di lutto importante. per trovarsi sola, lontano da casa e dai suoi cari. sola come, alla fine, ho avuto la sensazione l'abbiano lasciata tutti. un po' anch'io, ovvio. sola e fondamentalmente mai disamorata di un uomo che provava a lasciarsi alle spalle, senza mai riuscirci del tutto. nei primissimi tempi successivi ho provato a starle vicino. telefonate chilometriche. qualche ospitata da lei. una tristezza importante, una tensione che non se ne andava. ha trovato pure il modo di complicarsi la vita autodafè. non so quanto per disperazione, non so con quanta lucidissima ed inconscia volontà. ne ha pagato tutte le conseguenze. non le hanno scontato nulla.

è stato un lento, inesorabile, inappellabile rotolare verso un qualcosa - la dico grossa - in cui ha scelto di lasciarsi precipitare. intuisco fuori dal conscio. ma da quel trauma, ho la sensazione, non si sia mai del tutto ripresa. non ostante le ripartenze, le nuove prospettive, la nuova vita. anche con il nuovo matrimonio. mi scelse come testimone. sembrava fossero arrivati tempi più sereni. eppure io non riesco a togliermi dalla testa che tutto fosse velato da una qualcosa di innominabile, prima che non detto. come se fosse rimasto un elemento irriducibile: mai accettata la fine di una storia. tutto il resto un tentativo di inventarsi succedanei. credo abbia affrontato tutto questo da sola. sola con sé stessa e quel pungolo. non son mai riuscito a chiarirlo del tutto con lei.

le cose sembravano potessero rimettersi, rifarsi una vita, prendersi una rivincita con il destino, o quella roba lì. eppure tutte le volte che ci si sentiva avevo l'impressione di una donna che stesse scartando lentamente, piccolo passettino dopo piccolo passettino. non me la sono mai sentita di chiederglielo davvero. il perché di quello iato tra il raccontarsi, e una malinconia ogni volta più spessa. o che ce la si stesse raccontando. come se mi narrasse quello che doveva essere la versione ufficiale. chissà se ci abbia davvero mai creduto. davvero, intendo. una voce ed un entusiasmo [alla modalità dell'amica amelia, ovvio] che sembravano svaporare.

mi aveva già cooptato per darle una mano per il trasloco. anzi, lo dava per scontato. con quel suo modo un po' da finta dura e poco formale: era il suo modo per dimostrare affetto. arrivo, arrivo, arrivo: tu tieniti pronto, che dopo che hai aiutato quell'altro a fare il trasloco del mio esilio, devi darmi una mano per quello del nio ritorno. tecnicamente non faceva una piega. di nuovo: come riparare un torto. eppure: ascoltavo e percepivo qualcosa di sempre più trascinato e con un velo di opacità nella lucidità del suo ragionare. ad ogni telefonata - sempre lei a chiamare invero - come uno strato di quella sensazione in più, ad aggiungersi.

con un po' di ignavia ho atteso la sua chiamata, che non arrivava. e poi ho saputo del ricovero. come se tutto si fosse sostanziato in un amen. voci vaghe su cosa avesse, cosa le fosse capitato, piuttosto all'improvviso. meravigliati un po' tutti, a partire dai suoi. io non mi sono del tutto stupito. tipo come lo squarcio del velo, le quinte che cedono e si vede cosa c'è dietro il palcoscenico, di quel che è andato in scena, quello che ci si era raccontati: lei con tutti gli altri.

quando sono andato a trovarla la prima volta in ospedale ho avuto la percezione netta non ne sarebbe uscita. ne ho giusto fatto parola con matreme. si era arresa, o forse stava pervicacemente dirigendosi verso qualcosa che aveva deciso lei, per quanto inconsciamente. ho sentito dirmi: son le corde vocali, poi la gola. poi il secondo marito non si è fatto sentire ed è sparito, lesto a chiedere il divorzio. nel mentre l'ho rivista altre due volte. sguardo sempre meno convinto e rassegnato. gli occhietti vispi, che mi avevao colpito da bambino, oramai velati ineluttabili. prima che lo facesse la neoplasia si era già ritirata lei.

la pandemia, il ricovero sempre più difficoltoso ed isolato han fatto il resto. forse pure picchiando giù duro anche con lei. ho chiesto un paio di volte sulla possibilità andare a trovarla. non mi hanno mai incoraggiato a farlo. non son mai riuscito a capirne davvero il motivo. io non l'ho mai fatto, con una pizzico di codardia, lo ammetto.

l'ho pensata spesso. se c'è una qualche forma di ingiustizia nel piccolo della mia prossemica, è quello che ha vissuto l'amica amelia. totalmente sui generis e anche con una dose di ribellismo non indifferente. un personaggio quasi de andreiano. si professava di destra, per tradizione familiare, ma era una che avrebbe dato tutto ed oltre per gli altri. te sei più di sinistra di me - le dicevo - solo che vuoi far per forza la testadicazzo e non te lo ammetterai mai. credo l'abbiano davvero capita in pochi. e non solo per la testa che faceva girare molto veloce. a volte troppo. e in certi contesti se non vieni capita diventi semplicemente la pecora nera. non se n'è mai troppo curata e spesso ha scelto la geodetica, la via più diretta ma ripida per provare a superare i problemi. spesso scornandosi, ed una fottia di bozzi. alla fine hanno vinto i bozzi.

alla nucci, alla sua mamma, questo pomeriggio ho raccontato qualcosa a cui parzialmente non credo. ma spero a fin di bene: ora è lì serena con il suo papà. che lei ha sofferto davvero tanto. come non meriterebbe nessuno. il parzialmente è sul dove e con chi sia l'amica amelia. il resto un immanentissimo dato di fatto.

credo, amica amelia, che tutte e tutti ti si debba delle scuse. che è vero che la vita viene. e tu ti ci sei incaponita, anche con spigolature che ti potevi evitare, mica per altro: han riverberato prima di tutto su di te. però io non riesco a smettere di pensare che in tanti, troppi, ti si sia lasciata un po' sola. cosa che proprio non meritavi. l'hai spurgata dura, davvero dura. non dovrebbe toccare a nessuno, figurarti a te.

che il viaggio - qualsiasi cosa sia - ora sia lieve, finalmente. sarà piuttosto difficile dimenticarti.

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