Saturday, April 8, 2023

la luce del sabato di pasqua

ho visto quella luce, in quella chiesa, il sabato di pasqua del millenovecentottantanove. ero lì, nell'angolo alla sinistra dell'altare, dove ci si metteva noi del coro a cantare, accanto all'organo. mi ero messo in testa di realizzare una derivazione parallela all'attacco di un microfono, me ne serviva un altro. quella sera c'era amplificare l'armonica a bocca, che avrei suonicchiato al canto alla comunione. era lì con me la fanciulla di cui ero perdutamente innamorato. in stato di semi-esaltazione: come non rimanere affascinato dalla mia capacità di realizzare una derivazione parallela all'attacco di un microfono. era lì perché aveva deciso di accompagnarmi. io immaginavo chissaché. probabile fosse una di quelle sue azioni estemporanee, di cortesia o altro, che a lei venivano con naturalezza. anzi, nemmeno probabile: certo. visto come continuarono a [non] andare le cose. quella pasqua, peraltro, rientravo all'ovile. ci ero uscito poche settimane prima, scosso e folgorato dalle istanze illuministe che la magistrini ci aveva spiegato. mi si era instillato il seme del dubbio. quella rivoluzione concettuale, quei filosofi, la non necessità di un dio supremo e creatore mi aveva scosso, come si fosse squarciato un velo, un'epifania laica. ma questo avrebbe significato rinunciare a quel rifugio uterino oratoriano, l'amicizia col prete. non ero pronto [la consapevolezza del nocumento di quella amicizia particolare, ancora molto lontana a venire]. o forse troppo debosciato, paurato da quel nuovo paradigma. l'avevo risolta leggendo, per rassicurazione, dei tratti de le confessioni. mi sentii più sicuro e meno eterodosso. rientrando all'ovile, derivando un nuovo attacco per un microfono, con accanto a farmi compagnia la ragazza di cui ero perdutamente innamorato.

insomma. un sabato di pasqua che mi segnò. con il ricordo di quella luce in chiesa, che ho sempre associato al sabato di pasqua. anche se tecnicamente capita all'inizio della primavera, oltre che la fine dell'estate. sono le effemeridi, bellezza.

ci sono andato anche oggi a cercarla, quella luce. e l'ho trovata.

le pie donne si stavano adoperando per allestire la chiesa per la veglia [è un modo per esserci e dare il proprio tempo. mi sarebbe piaciuto, stronzetto saccente che sono, chiedere a qualcuna di costoro: ehi, pia donna che tanto ti adoperi, cosa mi dici delle sorelle e fratelli che vengono da di là del mare? ci stanno invadendo? saresti disposta a rinunciare ad un po' del tuo tutto per solidarietà a qualcuno con meno possibilità? quanto sei cortese e misericordiosa con il tuo prossimo, più prossimo nel quotidiano?]. l'enorme drappo, a cingere l'altare, era ancora quello rosso. quello che viene lasciato scivolare al venerdì, quando il vangelo recita che "emise lo spirito". non era stato ancora montato quello bianco, che poi sarebbe stato spalancato per tutta la larghezza dell'abside. un simbolo imponente del nuovo tempo pasquale. quello che si acclara con la distesa di campane a festa. le stesse che mi hanno turbato per qualche anno. i primi dopo essermene andato dall'ovile. credo per sempre. non so se per nesso causale o solo temporale. o forse solo la contemporaneità di quel periodo passato cercando - ossessivo - ma non trovando una quadra, per una qualche forma di realizzazione. scrivevo, in attesa delle campane a distesa. e mandavo poi il tutto all'amica queen.

il prete, vocazione tardiva, il nuovo don dell'oratorio, che pare non riesca a far molta breccia nei ragazzi, confessava su una panca. al termine il gesto della benedizione che sostanzia l'assoluzione dei peccati. mi ha colpito, per quanto l'abbia visto fare centinaia di volte. ed ho pensato che abbia un suo senso terapeutico. quel sacramento dovrebbe avere il significato di rimettere in bolla le cose, ma soprattutto prenderne consapevolezza, per quanto attraverso la pedagogia del pentimento e contrizione. e mettersi nelle condizioni di non rifarlo. e se ci si pensa, al netto dell'ambito intimo-sessuale, tutto il resto dovrebbe concorrere ad armonizzare e rasserenare le relazioni tra le creature: scazzate il meno possibile, che se non si scazza si sta bene assieme e con sé medesimi. dovrebbe, ovvio. e poi vabbhé: c'è l'assoluzione, che è una chiusa con un valore simbolico potente. ennnniente: ti si sono rimessi i peccati, non ci sono più. è potente, ma è beffardo, a guardarla dalla mia apostasia eterodossa. sei assolto: quanto, nell'inconscio è soluzione comoda? ti adoperi di meno ad agire sulle cause. perché tanto gli effetti te li fanno sparire: assoluzione. scompaiono. se glielo fai notare, retoricamente c'è la mossa del cavallo: dall'immanente si spostano sul trascendente, e tu a quel punto muto. e però è nell'immanente che rimangono le tossine e tutto quello che ne deriva. e si sta a volte di merda piuttosto inutilmente.

osservavo e pensavo a tutto questo. anche il fatto di aver incrociato un sabato di pasqua, sotto quella luce, la [allora] nuova fidanzata dell'amico daniele. per la prima volta con l'impressione di aver di fronte una fidanzata finalmente e compiutamente donna. oltre al fatto lo sopravanzasse di mezza spanna. l'ennesima nuova. pochi mesi dopo quella precedente. poche settimane dopo avermi raccontato la suggestione [sua] di passare la pasqua ben fuori dall'italia, a conoscere la famiglia di un personaggio interessante. per inciso: non la persona che invece avevo di fronte. erano tempi con virgulti di entusiamo, relativamente recenti. ma che ora sembrano molto lontani. e comunque prima tutta quella serie di complicazioni e traumi abbattutisi sull'amico daniele e famiglia. io sarei andato sotto per molto meno. lui reagisce in maniera ossessivo-compulsiva. ho idea con l'idea di dover far la guerra al mondo: quello che non capisce tutte le macchinazioni, i complotti, che non si sveglia e non apre gli occhi. io tecnicamente non so rifarmi alla misericordia di colui che tutto può e sa. per il semplice fatto dubito esista, figurarsi gli intercedenti. quindi non posso affidare nessuno alle preghiere che peraltro non recito. però all'amico daniele vorrei augurare, davvero con molto affetto, la contezza gli sia necessario farsi dare una mano. che il turbinio degli eventi lo sta portando altrove. da soli non se ne esce. ho pensato - e condiviso questo - mentre ero lì, a sussumere la luce del sabato di pasqua. non che valesse di più per il fatto fossì lì, neh? è che si possono trovare momenti di relativa intimità con sé stessi, e far i conti anche con quello che agita un po' di più.

già.

anche perché ho anche idea che - in fondo - il sabato di pasqua, sia il mio di giorno. è un tempo sospeso, di attesa che non si risolve. che è poi come mi percepisco, ma va bene così. anche perché so di tonnellate di storie di umanità che hanno vissuto e vivono nel venerdì della passione. le storture, le ingiustizie, la marcescenze che il mondo e la storia elargiscono con fecondia. per non dire delle difficoltà che in tanti vivono: senza nessun merito o demerito, capita loro, punto. il sabato è il giorno dopo, si aspetta la veglia che precede la domenica di resurrezione. ecco. io lì non ci arrivo. lo lascio a chi ci crede. ne facciano del meglio che possono. per me è già un privilegio esserci dopo il venerdì. si può essere grati, non so bene a chi o cosa, per tutto questo. io mi fermo lì. con un po' di spocchia agnostica posso pensare di rimettere in circolo questa gratitudine, anche senza il giorno di domenica. farlo perché è la cosa giusta da fare. lo so da me. farlo nell'immanente, con tutta l'imperfezione che può venirne fuori. nella di-speranza, teleologica, del caso mio singolo - me ne andrò, probabile solo, non risolto e incompiuto, con tanta vita non vissuta come avrei voluto - ma con l'ottimismo che l'intelligenza collettiva dell'umanità va in una sola direzione, come la freccia del tempo.

è un giorno complesso il sabato di pasqua. che te la devi vedere un po' da te. che c'è l'eco del venerdì della passione, anche se non ti è toccato davvero. mentre la pietra del sepolcro se ne sta tutta bella lì, ferma ed immobile. nessuna distesa di campane a festa.

è il sabato di pasqua, appunto. con quella luce. si può essere grati anche per quella.

ci si può rappacificare con il divenire, anche senza essere felici [come una pasqua].



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