Monday, April 3, 2023

a suo modo era geniale, il franco

quando mi disse che l'avrebbe posata di notte, la notte del diciottonovembre, gli dissi che era la data del funerale di patreme.

- è anche quella della morte di padre francesco. rispose.

padre francesco, un prete che, a prescindere, non poteva non mancare a chi l'aveva conosciuto. agnostici e atei compresi.

- la posiamo quella notte in omaggio a lui. e poi se ci pensi: ognuno ha già vissuto il giorno in cui morirà e quello in cui gli faranno il funerale.

in effetti non ci avevo mai pensato. e sintetizzai a mente la dimostrazione di quella considerazione [ie tutti coloro che hanno almeno quattro anni, per tener dentro anche il ventinove di febbraio], non ostante la sua disarmante ovvietà. ma ero già in trip per la storia della fontana, che il franco avrebbe posato la notte del diciottonovembre.

meglio: l'avrebbe donata alla comunità. la fatica, lo sbattimento, il lavoro per restituire, con pervicacia, qualcosa che era stato rubato, tolto, sottratto con vigliaccheria. rapidità e pochissimo sforzo per sottrarre, un lavoro lungo e capace per restituire. riparare un torto ha valore anche per questo. da quel momento 'sta cosa mi ha sempre provocato un certo brivido, con tanto di groppo in gola. ci ho scritto più volte, pure qui dentro. roba variegatamente psicopipponica. non ricordo se glielo abbia mai confidato, di come questo mi abbia colpito nel profondo. e di quanto avrei dovuto e voluto ringraziarlo.

in fondo il franco era [anche] 'sta roba qui. istrionico, coinvolgente, esuberante, profondo nel suo porsi cazzaro e lieve nel suo porsi piantato nel solco di quello che era, di dove veniva. credo si sia fatto tanto di quel culo a lavorare che fatico a pensarlo tutto assieme. chissà i chilometri e chilometri di tagli, chissà gli ettari lucidati. chissà la decine di tonnellate di materiale scavato. lavorare il marmo e il granito. veniva orgogliosamente da lì. che non c'è cosa di più litotipicamente posata, costituente il suolo del luogo donde provieni. perché in fondo era quella la pietra che il suo babbo ed il suo nonno avevano plasmato: colpo dopo colpo. un cazzo di lavoro duro. piantato nel solco di quello che era, come quel suo avanzare tra i capannoni della sua azienda, che mi sembrava avesse il baricentro basso. anche per far leva e magnificare una forza che non è mica da tutti. o forse l'esperienza era anche saper come prenderli, maneggiarli, quei blocchi.

veniva da lì. così pervicacemente legato al suo territorio. al padre morto di silicosi, lui ancora giovane. ovvio che il nome del figlio maschio era già deciso. e nel frattempo il franco ci ha messo del suo. l'istrionico al posto giusto nel momento giusto ad inventarsi una declinazione di quel lavoro così duro. così che ha costruito la sua attività di cui era - sacrosantemente - fierissimo. erede e innovatore, nel solco della tradizione che ha servito come un sacerdote laico. capace di affascinare e affabulare coloro che non potevano non rimanere indifferente dai suoi manufatti, l'idea di fare e di osare. quand'anche "solo" nei construtti lapidei. capace di raggruppare attorno a sé artigiani capaci, collaboratori che si sentivano di famiglia, che non erano "solo" dipendenti. a suo modo era geniale anche nel sintetizzarsi così. credo tanta tanta tanta intelligenza emotiva e sociale. è un talento anche questo.

era un bel mics, il franco. quando gli parlavo avevo sempre l'impressione che occhei tutto il nostro studiare, ma poi ci mancasse sempre un qualcosa rispetto a lui - a parte le pragmatiche che gli son venute, che con il mio andazzo nemmeno in tre vite, forse. non son mai riuscito a cogliere appieno quanto mi canzonasse affettuosamente nell'esprimermi stima. e tra la tanta stima in noi, il suo figliolo e un po' in me, quanta segreta certezza che qualcosa ci sarebbe sempre comunque mancato. credo, senza spocchia [anche perché farei ridere], che in un altro contesto, altra estrazione e possibilità, avrebbe potuto fare cose decisamente memorabili. al netto sono più che memorabili le cose che comunque ha fatto.

un po' sì. in fondo un po' gli ho invidiato avere avuto un padre così. o meglio: quello che son riusciti a fare assieme. dei suoi ricordi e di come lo seguisse felice di seguirlo, specie nelle lunghe camminate in montagna. di come certe cose devono essergli rimaste attaccate da subito. per onestà gli ho sempre riconosciuto il merito di essersi fatto coinvolgere. cosa che, da puntacazzista un po' altero e snob, a me non è mai riuscito. non ne poteva uscire la stessa cosa.

ho sempre percepito questa differenza tra me e lui, per quanto sfumata. come se fosse ben più piantato per terra e sicuro nel suo incedere. e non è solo per la sostanza a grande densità dei marmi e dei graniti, che anche lui ha cominciato a lavorare, quarta generazione. marmi e graniti a contrapporsi con le mie idee fumose, miste ad un intimidimento che ha prodotto un certo tipo di iato.

quella del franco è sempre stata una presenza importante. molto importante. roba fondante, che immagino non sia venuta via del tutto gratis. una eredità e prosecuzione per nulla semplice. specie se il contesto, il caso, il divenire delle cose non arride del tutto. non è una questione di meriti o meno. è che uno ci prova nel suo tempo, con la propria istrionicità e per quello che può. e molto viene, oppure no, senza che tu possa farci granché.

era già da qualche tempo che il franco non era più in formissima. io non mi tolgo dalla testa sia una specie di fio, da pagare a quel suo essere istrionicamente sui generis. come se quell'essere vulcanico, alla fine, abbia presentato il conto. e per certi versi il franco mi sa che non ci aveva tutta 'sta gran voglia di pagarlo. e mica gli si può dare tutto 'sto gran torto. anche se - intuisco - ha lasciato qualche pensiero non esattamente lieve, negli ultimi tempi, alle persone a lui vicine. non credo sia mai stato il tipo da accontentarsi della situazione affollata della pancia della gaussiana. ha sempre avuto questa gran desiderio di esplorarne la codina.

lascerà un'eco importante. come tutte le persone. però ci sono genti che eccheggiano in maniera polifonica e per nulla banale. e rimane anche - un po' - in tutti quei marmi e graniti che ha amato lavorandoli: taglio dopo taglio, levigata dopo levigata, colpo di scalpello dopo colpo di scalpello.

ha fatto tanto, ha insegnato e donato di più. e mi piace ricordare che nel retro di quella fontana, nella parte murata e nascosta, ci sia il nome della sua giordana, oltre che il suo.

continua ad inseguire la codina, con lo scalpellino o meno, ovunque e comunque tu sia caro franco.



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