Tuesday, December 31, 2024

parole/1

quello che non ho, è quel che non mi manca. [cit.]

e la potremmo chiudere qui. è l'autorevolezza dei poeti che può permettersi di condensare senso, bastano poche parole musicali.

è in sintesi sottrattiva. che sottrattiva non è un valore etico. è il modo in cui percepiamo i colori. per dire.

poi c'è tutto quello che è arrivato. specie quello inaspettato. che se sono cose belle, inaspettate, lo sono ancora di più. tutto quello che è arrivato, tutto quello che arriva è sempre lì, a disposizione. un modo per non lasciarlo scivolare via è averne contezza. non è per una smania accumulatrice compulsiva. è per sussumere quante più stille. che ci passano in mezzo, come il flusso oceanoso di neutrini che da miliardi di anni ci attraversa.

averne contezza è riconoscenza.

riconoscenza la mia parola dell'anno.  quella dell'intimo, dell'ombelico che non è ombelicale.

anche in questo caso doppia valenza.

la prima.

riconoscenza è immergersi nel fatto che, alla fin fine, si è sempre in debito con qualcuno, qualcosa. che avremo pure dei crediti, neh? ma sono i debiti di cui è prezioso far tesoro. non è debito che significa fardello, è carico lieve. riconoscenza verso quel qualcuno, quel qualcosa. che vuole indietro niente, magari. perché sono quegli orditi che non sanno che farsene del dare e avere. sono, a posto così. se poi si osserva bene non si può non scorgere la gratitudine. che dovremmo coltivarla ben di più. ne abbiamo tutte le ragioni. siamo privilegiati. riconoscenza è un bel pat-pat col principio di realtà, vieni qui e fatti abbracciare, fottuto principio di realtà. è osservare meglio nel mirino della fotocamera del nostro esserci. che è un po' tutto lì.

basta riconoscerlo.

così che viene la seconda.

riconoscenza come desinenza, sostantivo che si sostanzia del riconoscere. accorgersi. è il pezzo più importante ed interessante del: quando siete felici [o senza esagerare, qualcosa che vi si approssimi] fateci caso. che potrebbe non essere un caso. o forse sì, nel caos in cui sguazziamo, ma potremmo sguazzarci peggio. inondarsi di contezza. che non serve altro che piccole cose. riconoscerlo. uno dei doni della maturità è aver imparato bastino piccoli tocchi. piccole regolazioni micrometriche. quelle con il cacciavitino. come l'equalizzazione che ci permette di ascoltare al meglio la melodia del divenire. piccolissimi aggiustamenti, non serve altro. le movenze dell'artigiano esperto agiscono l'essenza, sono misurate. ci ha distillato la moltitudine dei gesti di una vita. riconoscere. è già tutto lì.

e poi, perché no: riconoscerci. ci può accorgere di cose nuove. forse erano lì già da prima. forse sono divenute. riconoscenza è anche nel riconoscersi.

certo. certo. poi ci sono pure i cazzi. e chi se lo scorda. fosse tutto così melassosamente piiiiendlooov saremmo fuori dal principio di realtà, il nuovo amico. ma i cazzi capitano. e di quello ci accorgiamo fin troppo facilmente. e tanto vengono da par loro.

è il resto. tutto quello che non sono cazzi. riconoscenza, e abilità nel riconoscere. spesso non è necessario aggiungere alcunché. a posto così. perché se si sta ben bene attenti, riconoscenti, a ciò che arriva diventa esercizio inutile ruminare su quello che non è arrivato. gran fatica, energia sprecata, anche no. un po' s'invecchia. un po' è il gesto dell'artigiano esperto. i rapaci  sfruttano i flussi ascensionali, poco mulinare di ali.

quello che non ho, è quel che non mi manca.

quello che non è stato, quello che non è dato, è un buffo sul nulla, appunto. c'è tutto quello che invece è arrivato, arriva, c'è. [grandissima chicca di odg, nella parte finale d'autunno. sei già tutto lì. riconoscilo]. ben più circostanziato e, soprattutto, sostanziato. è la farina, l'acqua, il lievito con cui si fa l'impasto. affondarci le mani.

riconoscerlo è uno regali più belli ci si riesca a fare. non può che sgorgarne riconoscenza.

portiamocela appresso tutta, anche nell'anno nuovo. me lo auguro. lo auguro.

Monday, December 30, 2024

parole/2

il mondo non è messo benissimo. che roba assertiva, neh? temo reggerebbe a svariati tentativi di smentita. poi, ovvio, è sempre una questione relativa. potrebbe andare molto peggio. come e quanto ci sarebbe solo da sbizzarrirsi. però il mondo non è messo benissimo. vero. mondo è un po' vago. oppure lo si può declinare in molti mo[n]di diversi. così diventa un poco meno vago. poco, ma almeno non è tutto e nulla assieme.

mondo come la nostra civiltà occidentale. mondo come gli altri mondi che bussano, knock-knock, alle nostre porte. mica tanto quelle del paradiso. mondo come ecosistema che genera effetti sulla biosfera. ecco, questo forse non è messo così male. semplicemente agisce in funzione di quello che stiamo adoperandoci noi, noi antropici intendo. piccola fetta di biosfera, però gran casinara e devastatrice. l'ecosistema mondo sopravviverà comunque. al limite qualche effetto più o meno massa-estinguente su di noi. noi antropici dico.

il mondo non è messo benissimo. e dubito che tra un anno, se ci sarà ancora questo blogghettino, ci si potrà scrivere: è stata invece tutta una gran figata. certo. potrebbero hackerarmi il blog. e così scriverci la qualunque. oppure potrei rincoglionirmi del tutto.

il mondo non è messo benissimo. come e quanto si potrebbe dare il la alle danze distopiche. e così ne uscirebbero scenari più o meno variegati. una roba da pollock. può essere che in parte ci si prenderà. in parte sarà peggio. in parte sarà meglio. dovessi scommettere un paio di copechi non punterei troppo sul meglio.

le prime due-tre cose mi vengono in mente. 

l'effetto della ri-edizione di dedonald-pannocchia. effetto nell'occidente cui apparteniamo. si è visto cosa è riuscito a fare al primo giro. ora che è ringalluzzito potrebbero sprigionarsi fuochi mefitici. con l'amico talmente ricco e solipsista che pensa di potersi comprare mezza galassia. [magari scazzeranno. gli ego gigaipertrofici hanno problemi a confrontarsi con dei loro simili. chissà cosa potrebbe succedere, scazzassero].

l'involuzione, in europa, per il gran sfavillio di tutte le istanze nazionaliste. che questi vanno d'amore e d'accordo nel dargli ai poteri forti, alle sinistre, a soros, alla mondializzazione, che al mercato mio padre comprò. poi scopriranno che il nazionalismo giusto è solo quello della loro propria nazionalità, di ciascheduno. c'è sempre qualcuno più nazionalista di altri. e scazzeranno.

del riscaldamento globale e degli stravolgimenti demografici che arriveranno mi fermo qui. non siamo pronti, non ci stanno preparando. sarà complicato, terribilmente.

la sensazione stiamo disgregando il concetto di democrazia compiuta matura. roba faticosa, siamo stanchi o svogliati. meglio qualcuno che decida più o meno per tutte e tutti. democrazia, stato di diritto: roba che sa di vecchio, si sgretola via. assieme alla [già scarsina] autorevolezza gli organismi sovranazionali. che si affannino per chi ha il culo al caldo e non troppa paura del domani. mentre qui siamo un po' tanto spaventatini. che sia oggettivo, lo spaventatinismo, o meno. la pancia ha la sua fottuta importanza.

è come se ci stessimo dimenticando delle catastrofi passate. che avevano dato il la a tutta quella serie di azioni, intenti, desideri, strutture per far sì non tornassero più. ed ora c'è una specie di amnesia di ritorno. e c'è 'sta voglia della lisergia delle cose nuove che s'approssimano. proviamole.

figurarsi che nel mio piccolissimo pensavo si proseguisse diretti, per la geodetica, verso le magnifiche sorti e progressive. che già da quando lo scrisse, di tornanti a tornare un po' indietro ce ne sono ben stati. tornate a tornare dolorose, molto dolorose. perché non dovrebbe accadere ora? non è una strada spianata. credo si stia formando un bell'ingorgo. e che si pensi che la soluzione sia uscire dalle auto bloccate con il crick in mano. già se succedesse da noi, in europa, abbiamo almeno una dozzina di secoli a ricordarci di cosa siamo capaci.

ecco perché baluginio, nello sguardo alto e altro. quello ben oltre l'ombelico di ciascheduno.

baluginio. doppia valenza.

quel soffio di luce che tremola dolce, è perché si sta spegnendo qualcosa? e chissà cosa succederà quando saremo al buio, per quanto figurato. sono gli ultimi bagliori senza più convinzione e poi, puff, più nulla? e cosa troveremo in quel nulla sarà tutto da scoprire. l'ordito che ne sarà ci impiglierà, e districarsi sarà faticoso, almeno tanto quanto doloroso? non occorre che accada per forza a qualcuno di noi. specificatamente tu e tu, ed anche tu che passi di qua. se tocchi di umanità passeranno in quel fortunale, non si può ignorarlo del tutto. o forse sì. è il buio che avanza. gli ultimi baluginii della piccola fiamma.

oppure.

quel tremolo di luce che soffia dolce, è perché rimane comunque qualcosa? quei tizzoni sotto la cenere che non riescono più, ormai, a spegnersi. perché ce l'hanno dentro abbastanza, abbastanza persone. non è per far gli snob. ma sono le avanguardie. quelli che la strada la aprono. [ricordo appppalla di questo preciso momento. l'amico luca e l'amico daniele che affondano nella neve fino alla coscia, acciocché l'amico di gomma, la fidanzata di lui di allora, ed io si possa avanzare verso le biuse, con meno fatica. uno dei capodanni più belli ricordi in assoluto]. non è detto che l'avanguardia sia per forza qualcuno di noi. specificatamente tu o tu, oppure tu che passi di qua. però qualcuno può esserci lì fuori. la piccola fiamma che balugina.

io sono un po' stanchino. e ci si fa vecchi. che abbia vissuto quanto tipo poco più di un ventenne non c'entra. o forse sì, c'entra. è più semplice riconnettersi a quell'utopista svarvolato che fui. si voleva salvare il mondo, l'amico daniele ed io. mi accontento di molto, molto meno. non fosse altro per la vigorosa stretta di mano scambiata col principio di realtà.

eppure. eppure. eppure.

eppur balugina.

e comunque, nel mio piccolissimo, che è un ombelicale buono, illumina la prima parola.

riconoscenza.

Sunday, December 29, 2024

parole/0

il bacchetta qualche giorno fa ha buttato lì il giochetto della parola dell'anno. la parola per ciascun ascoltatrice e ascoltatore. la sintesi, simbolica, che è sineddoche o metonimia [come mi piace 'sta cosa della parte per il tutto]. direi che come spiegazione non serve aggiungere altro.

al solito, alle suggestioni del bacchetta corrispondono effetti variegati. di cosa ne è uscito, però, non ho ricordi distinti. lavoravo più denso del solito. o forse pochi tratteggi di cose così originali. quelle che deviano l'attenzione verso di loro, anche se si lavora più denso del solito. 

ci sono altre persone che ascoltano il bacchetta. anzi. prima gli stava anche un po' sul piloro. ora è curiosa di vedere com'è fatto. alto, dinoccolato, le ho detto. così mi ha chiesto: qual è la tua parola dell'anno?

io non ho saputo rispondere subito. come se la testa, il ruminare dei pensieri, dovessero finire altro. cosa non so. sono bizzosi, a volte. come l'attenzione della gatta, il decidere di farsi coccolare: quando le va. altrimenti ciccia. così non ho saputo rispondere subito.

non so se ci ho pensato apposta, non credo. però ad un certo punto ne sono uscite due. come avessero fatto un giro tutto loro, senza che io ci badassi. e poi me le sono trovate lì, accanto, come recapitate dalla posta pneumatica.

la prima parola è quella più dell'ombelico. che però 'sta volta ombelico non ha un'accezione per forza negativa. che la parola riguarda me medesimo, vero. ma si sostanzia osservando quel che [mi] succede appena oltre. che mi riguarda, certo. e che è il caso riguardi per bene.

la seconda parola è quella dell'altro sguardo. lì l'ombelico non c'entra proprio più per nulla. non è solo guardarci oltre. è provare ad odorare lo spazio immenso che percepisco attorno.

quella persona mi ha detto, sei verboso. la parola doveva essere una. vero. solo che me ne sono state recapitate due. vai a capirli i pensieri che fanno i giri loro. che faccio le butto? no. ma non fare il permaloso, che un po' lo sei. vero. però ci sto lavorando. già fatto un bel po' di strada. poi se non c'è giudizio, o tentativo di spiegare come stare al mondo va bene. avresti dovuto osservarla prima, la mia permalosità.

la sua non era una cazziata. tanto che si è presa la libertà di buttarla sul lieve. mi piace quando le cose d'adagiano sul lieve. una cosa tipo che è l'effetto di una carezza. oppure del più casto dei baci. a volte son situazioni che prendono la via delle cose inevitabili. però si portano appresso la sorpresa di quello che non ti aspetti.

e comunque è guerra. la sua parola, intendo. era [anche] per questo l'occhietto con la luce un po' fievole dentro. è stato un refolo freddino. che se la luce è fievole il calore può attardarsi da altre parti. mi è spiaciuto, la sua parola, dico. è stato più significativo starle vicino. come a rendere qualcosa, senza spiegare. non serve. e poi c'era un addentellato con una delle mie parole.

già. non dimentichiamolo.

io avevo le mie due. verboso che non son altro.

quella dell'ombelico, però un ombelico non ombelicale.

e quella dello spazio altro, ampio.

comincerò dalla seconda.

baluginio.

Saturday, December 28, 2024

genocidi

questo è un post che mi gira in testa da tempo. credo ne verrà fuori qualcosa di indistinto e poco chiaro.

oltre al fatto si potrebbe intitolare: semi-dotte disquisizioni, da quasi tinello buono, al caldo ed al sicuro.

perché io, come chi legge, mica è sotto le bombe, al freddo, con a disposizione un terzo delle calorie necessarie al giorno - quelle minime - e costretto a spostarsi quando arrivano ordini di evacuazione di un esercito occupante. in fondo, ai gazawi, aver contezza si tratti di un genocidio o meno credo importi poco. intuisco che il pensiero precipuo sia arrivare vivi domani. intuisco, lo faccio con pudore, quasi vergognandomi.

personalmente non ho mai usato la parola genocidio. quanto meno non ancora. a guardarla da una parte: estigrandissssimicazzi. però è un post di disquisizione dotto per un quarto, e forse un po' inutile.

genocidio è usato da molti. la maggior parte con una dose di militanza variegata. è usato - credo - come clava retorica verso israele. non so quanto verso il solo governo di quello stato. non so quanto verso gli ebrei di tutto il mondo, più o meno. li si accusa dell'indicibile: perpetrare quello che loro stessi hanno subito, ponendoli pari pari a chi eseguì l'indicibile. sarà pure retorica, ma è la clava più infamante verso di loro. immagino non si usi il termine nazisti, perché in quel caso il controsenso logico sarebbe davvero irriducibile.

basta genocidio, però. tanto che i fascisti - laici o religiosi siano - che governo quel paese ribattano con l'accusa di antisemitismo. da quei governanti fascisti in giù. antisemiti, chi li accusa di agire come coloro che gli ebrei volevano sterminarli. e così si chiude una specie di cortocircuito.

mi tiro [parzialmente] fuori. genocidio come l'accusa più infamante - pur non agendo violenza. antisemitismo per infangare chiunque non stia - acriticamente - verso chi agisce quella violenza terribile. per questo il tirarsi fuori è solo parziale.

è poi vero. la corte penale internazionale sta valutando l'accusa di genocidio. perché ne esiste una definizione giuridica. forse è una disquisizione in punta di diritto - per quanto ai gazawi credo interessi poco. sono state definite le caratteristiche di cos'è un genocidio. e negli ultimi decenni se ne sono perpetrati diversi: genocidi. è stato necessario per stabilire, se possibile, cosa può essere raffrontabile al genocidio. quello nel bel mezzo dell'europa cristiana e illuminata.

quindi si valuta se quello in atto a gaza sia un genocidio, per mezzo di strumenti giuridici, che si sono definiti partendo dall'abominio del genocidio. i dotti chiamati a discernerne discutono e discernono. pezzi importanti di umanità scandalizzati usano genocidio come l'accusa più infamante. i fascisti al governo di israele disconoscono qualsiasi organizzazione sovranazionale e tacciano chiunque non sia con loro di antisemitismo. mentre i gazawi muoiono: sotto le bombe, di stenti, e chissà quante generazioni ricorderanno quest'altra nakba. dovrebbe importare solo questa cosa qui. a culo tutto il resto.

senza dimenticare il pogrom del sette di ottobre - poiché non è da dimenticare - tutto il resto è andato tragicamente troppo oltre. non è solo diritto di difesa, a cominciare dal raffronto del numero dei morti e le devastazioni attorno.

non ho [ancora] mai usato il termine genocidio. non lo sento usare da [praticamente] nessuno tra gli operatori dell'informazione. non credo sia solo una questione di appiattimento, che nel mainstriiiim c'è, eccome se c'è. che israele non si può criticare: un po' code di paglia, un po' scelta diplomatica, un po' propaganda interna vergognosa. credo non si usi anche perché le parole sono importanti. queste parole poi.

e di parole ne abbiamo altre, per raccontare l'indicibile che sta succedendo laggiù. a cominciare da: crimini contro l'umanità, crimini di guerra. anche se le parole non sembrano bastare più, gli aggettivi sono finiti. per quello che riguarda la condizione di quell'umanità prigioniera in quel fazzoletto di terra. sono passati quattrocento giorni di guerra. ne erano passati qualche diecina e la situazione sanitaria, alimentare, di vita erano già disperate, catastrofiche, al collasso, infernali. cosa può essere dopo tutto questo, è come se si fosse afoni. finite la parole.

senza che se ne veda la fine. non ancora. con quasi la sindrome da assuefazione. un po' è autoprotezione, un po' osservare senza girare comunque lo sguardo, che sembra l'unica cosa si possa fare.

non so se sia genocidio o meno. si annichilisce l'umanità anche senza genocidi. si agisce l'ingiustizia nel modo più dis-umano senza che qualche tribunale giunga a ratificarlo. poi rimarrà il nome della storia di questi carnefici. per come hanno calpestato la dignità di quasi un paio di milioni di persone innocenti. ci fosse un dio, cui questi criminali dovessero rendere conto.

dubito ci sia, e la resa dei conti sarebbe già troppo in là. basterebbe rendessero conto alla giustizia degli uomini.

non uso il termine genocidio. non è nemmeno una questione di disquisizione dotta per un ottavo. ma che finisca il sacrificio di quelle povere persone. sono tutte noi. siamo semplicemente nati in un posto meno afflitto dalle ingiustizie costruite dall'uomo. hanno già pagato un prezzo troppo alto. lo era già dopo un giorno di guerra. ne sono passati quattrocento. senza che se ne veda la fine.

Friday, December 27, 2024

carceri

nel duemilaventiquattro si sono suicidati 88 detenuti. è quasi l,5 per mille della popolazione carceraria. il tasso medio in italia nel 2019 era 0,08 per mille. in carcere ci si suicida quasi venti volte di più. venti. per non dire degli atti di autolesionismo. per fare un raffronto: è come se dall'inizio dell'anno, nella mia hometown, si fossero suicidate 7 persone. se si fa un confronto con le località più piccole, dove magari ci si conosce un po' tutte e tutti, il dato emerge nella sua cruda fattualità. perché se nella mia hometown di cinquemila anime, dall'inizio dell'anno, si fossero suicidate 7 persone, un qualche dibattito, punto di attenzione, ragionamento, si sarebbe pur fatto.

invece sono carcerati. non dico: a posto così, ma quasi.

il tasso di sovraffollamento è del 132%. là dove dovrebbero starci 10 detenuti, ce ne stanno 13. 

dice: vabbhè, staranno un po' più stretti. eh. ma il fatto è che si sta un po' più stretti in un luoghi non esattamente ameni, confortevoli, coibentati, dove si può star al caldo d'inverno e al fresco d'estate. ed è comunque una media. se ci son posti dove son giusti, ce ne sono altri dove si sta quasi al doppio. 

dice: eh, vabbhè, il carcere sarà mica un albergo di lusso, se la gente ci finisce è perché se l'è ben meritata.

il fatto è che, se ce lo si è ben meritati, la pena sarebbe quella della privazione della libertà. che non è cosa così, da poco più che un buffetto. in milleventiquattresimi lo abbiamo sperimentato tutte e tutti, quasi un lustro fa. ce ne dovevamo stare in casa a causa di una pandemia. alla lunga non è esattamente una cosa piacevolissima. pur con tutte le comodità che, più o meno, ciascheduno ci aveva: serie tv comprese. e passarsela in un basso napoletano, non sarà stata la stessa cosa che in una casa spaziosa con ampio giardino [nel piccolissimo: matreme l'ha vissuta meglio di me. e va bene così].

la pena è la privazione della libertà: dirimente quanto semplice. tanto semplice che la capisce anche un parlamentare di forza italia, per dire. ogni aggravio è roba non degna di una civiltà giuridica matura. tutto quello che porta a qualsiasi forma di degradazione è una sconfitta, grande, piccola, dello stato di diritto. non c'è solo quello, ovvio: ma proprio perché sono persone detenute - private della libertà - per conto di uno stato, questo è più importante di quello che solitamente siamo portati a pensare. una qualche ragione ce l'avrà l'asserzione che vede direttamente proporzionali la dignità dei luoghi di detenzione dei carcerati, con quella dello stato responsabile di quelle carceri.

dice. eh, facile parlare così, te radicalscic della minchia, che non hai mai subito un torto tale per cui uno dovrebbe star in gattabuia. vediamo se anche a te, nel caso, non verrebbe voglia di buttar via la chiave. può essere, e non vorrei nemmeno verificarlo pragmaticamente. a posto così. ma il punto è che l'idea di voler buttar via la chiave può essere una reazione, comprensibile, di qualcuno che ha subito un torto, privata e puntuale. è quella più semplice. ma è una risposta sbagliata, in una visione collettiva e pubblica, prendendo come paradigma il convivere civile, regolato e rappresentato dall'istituzione che ci trascende. 

gli scellerati che ci governano vanno nella direzione abbastanza opposta. lo fanno per pungere la pancia delle persone, che non attende altro di essere punzecchiata. non lo dicono esplicitamente nei modi ufficiali e formali. ma è uno stillicidio iniziato un paio d'anni fa. qualunque problema per cui è prevista una sanzione o pena lo si affronta comunque in un modo: aumentandole. nessuna o pochissima prevenzione. fondamentale mostrare la maggiore severità possibile. illudendosi di dissuadere [ma qualsiasi studio serio puntualizzerà che l'aumento della pena non genera deterrenza], un po' per far la faccia inflessibile e pugnace, un po' per scaricare, quando capita, la questione nel carcere. in prigione, in prigione, e che ti serva da lezione. ovviamente facendo i forti con i deboli, più pisciasotto con i forti.

con le condizioni attuali è un qualcosa che si fa anticostituzionale di fatto: la pena e la detenzione deve essere rieducativa. con lo stato delle cose è un modo per scaricare un gran numero di ultimi. per quanto mica non lo sappiamo che là dentro non abbondano i galantuomini. ci sono terroristi, mafiosi, omicidi [tra cui autori di femminicidi], violentatori e abusanti di minori, spacciatori, ladri, violenti. oltre una grande quantità di umanità che è finita abbastanza in basso nelle varie scale sociali. ed il carcere è un posto che ci mette del gran suo per sostanziare, dandogli luogo, i gradini più bassi della società. da cui è piuttosto difficile risalire [eufemismo].

gherardo colombo [uno per cui lo stato è piuttosto in debito di riconoscenza, per quel che ha fatto durante la sua carriera] si dimise qualche anno fa dalla magistratura. l'ho sentito più volte ribadire che la scelta fu dovuta anche al prendere coscienza di come il carcere non sia la soluzione, che andrebbe abolito. mi piacerebbe ascoltarlo motivare una presa di posizione così netta. non so se giungerei ad essere appieno d'accordo con lui. di sicuro approccia alla questione in maniera diametralmente opposta ai figuri che ci governano. ribalta il punto di vista della stragrande maggioranza delle persone per cui è sacrosanto l'occhio per occhio. quindi, tecnicamente, propone idee che fanno progredire l'intelligenza collettiva, strutturano in meglio l'ethos civile. e di conseguenza porta a ri-umanizzare chi là dentro ci è finito: sia per motivi strameritati, sia come effetto di bordo della compulsione sempre più castigante, sia per rimpalli che possono avvinghiarti quando si finisce ai margini della società. è pur sempre umanità. che ha sbagliato, che può aver fatto soffrire persone che proprio non lo meritavano. ma umanità rimane. e negarne dei pezzi, di umanità, non restituisce comunque giustizia alle vittime.

far finta di dimenticarsene, collettivamente, è scartare parecchi passi indietro. che fottasega agli inetti che ci governano è una plastica, inevitabile conseguenza. quando non una perfida volontà di bassa propaganda.

dice: com'è 'sta cosa che ti interessa di carceri, per quanto in un post della minchia. in fondo a te, che te fotte delle condizioni dei carcerati? stattene col culo al caldo e goditelo.

non ho una risposta precisa. forse è la storia che in gran parte è umanità che sta sul fondo, ci è finita, e non la risale mica tanto. forse è una forma di ingiustizia che non ripara le ingiustizie che costoro hanno provocato, grandi o piccoli che fossero. forse perché, col culo al caldo, viene più facile alzare lo sguardo dal proprio ombelico. e si vede anche questo.

cose così.

[se poi qualcuno volesse leggere cose scritte meglio c'è il report di fine anno di antigone]

Wednesday, December 25, 2024

natali

l'anno precedente non era stato possibile. mancava l'investitura ufficiale della prima uscita. sarebbe avvenuta solo un paio di settimane dopo, ma non c'era ancora il crisma. quindi non si era autorizzati a parteciparvi. ci andò il pozzi, con il suo corno francese. e l'aldo, raccontarono, lo coprì di insulti, per quanto è possibile che l'aldo non fosse neppure  presente. solo lui, però, aveva facoltà di decidere se e quando. quindi il pozzi non doveva permettersi di farlo, lui ed il suo corno francese, senza il benestare dell'aldo. per fortuna non ci andai, pensai a suo tempo, sarebbe stato umiliante essere ripreso. sai che vergogna, quale onta.

quindi nessuna sbandellata la notte di natale per le vie del borgo. quelle in cui si cominciava appena dopo cena, ed era tutto un tappeggiare, entro e fuori quegli usci che si aprivano per accogliere la bandella natalizia. un bicchiere di vino, una fetta di panettone, anche se preferivo il pandoro, a quei tempi. sapevo già suonare, savasaandiirr, tutti i brani natalizi venivano proposti. li sapevo suonare da un pezzo. ma non ci andai, l'aldo non avrebbe voluto.

di lì a pochi giorni, nel nuovo anno, alla festa del paese, si fece la prima uscita ufficiale in banda. così l'aldo ne fece debuttare altri sette, della sua già lunga carriera di insegnante di musica, nonché bizzoso maestro della banda. allora i ruoli coincidevano, necessariamente, quello offriva il paesello. mi intimoriva come insegnante, cercavo di non farmi notare come bandista. non so quanto gli piacessi - per quanto diceva di me ci sapessi fare, sempre roba riportata. non ci saremmo mai presi. quando debuttammo conoscevamo tre marce del repertorio, oltre l'inno alla pietà, sennò come avremmo potuto uscire in quell'occasione. per due giorni suonammo solo quelle tre marce, oltre l'inno della processione, ovvio. la versione in fa maggiore - per noi - che solo l'anno dopo venne abbassata di un tono, che la gente in chiesa non riesce ad arrivare al mib del "saaaaalga" nel "de salga a te del/dal popolo, l'inno che non morrà" [ancora oggi non so quale sia la preposizione corretta: del oppure dal, come probabilmente il 98% dei compaesani].

ma sto divagando.

dicevo. l'anno prima non era stato possibile. quindi, ormai bandista da undici mesi, non vedevo l'ora arrivasse finalmente il natale. per poi partecipare, finalmente, anche io alla sbandellata della notte di natale. non avrei bevuto, e 'sticazzi [anche se allora, ovviamente, non ne conoscevo il significato e probabilmente non mi avrebbero permesso di usarlo]. importante era esserci in quella bandella, e suonar per i vicoli e godermi quei momenti goliardici, in cui cominciare a far tock-tock al mondo degli adulti. con medesimo diritto ed uguaglianza, quando almeno si suonava. già: non vedevo l'ora. un altro modo per vivere ancora meglio il natale, e quella roba lì accanto. mi piaceva quella festa, e non credo fosse solo per i doni che sarebbero arrivati. capitava pure ci fosse la neve, ogni tanto, allora. mica come ora che è solo nelle pubblicità e nei filmetti sdolcinatini che è un mese che alcuni canali generalisti trasmettono, specie a metà pomeriggio.

il ventiquattro sera del millenovecentottantaquattro ci sarei stato anche io, alla sbandellata natalizia.

il ventitre dicembre del millenovecentottantaquattro, però, vi fu la strage del rapido novecentoquattro. la notizia mi impressionò, ovvio. per quanto non fossi in grado di capirne appieno il senso, nella sesquipedale assurdità cui può apparire ad un tredicenne, anche un po' timido e che non diceva la parolacce. diciamolo pure: un tredicenne un po' nella bambagia, al netto dei voti a scuola e per quel po' di predisposizione per la musica. avrei potuto far la sbandellata anche un anno prima non sfigurando, se l'aldo non avesse posto il veto.

l'ermi disse che non era il caso di sbandellare. quella strage fascista non ci permetteva di farlo. non era proprio cosa. un episodio così grave, fatto in quel modo, a perpetrare una tradizione nera, e noi pensavano di andare in giro a festeggiare il natale, sbandellando? non se ne parlava proprio. lui non ci sarebbe stato, e secondo lui - guardando me - non era il caso ci andasse nessuno.

ma come, cazzo [anche se non lo dissi]: è il primo natale in cui posso esserci anch'io alla sbandellata. lui argomentò sulla gravità della situazione, sulla tragedia, sulle trame eversive. non so quanto ci capii, allora. in casa non si parlava proprio di politica, o nemmeno di un suo lontanissimo succedaneo. le cose correvano, ma noi si era nel bozzolo di quel posto tranquillo dell'hometown. l'eco del mondo arrivava comunque ovattata. e non che ci fosse poi tutta 'sta attenzione. non ultimo gli strumenti, la conoscenza di un tredicenne, per quanto molto sui generis, neh? se particolare o bamboccione non saprei dire, il confine a volte è assai labile.  

poi la sbandellata ci fu. e ci venne anche l'ermi, accanto al quale suonavo da ormai undici mesi. probabilmente nessuno si era posto troppo il problema: si va lo stesso? a parte l'ermi, intendo, che aveva ben messo un punto esclamativo in fondo al: nessuna sbandellata! salvo poi cambiare idea.

non ho ricordi così precisi. ma non credo si sbagliarmi di molto, se penso che sì, fu una cosa bellissima quella sera. a suonare, quasi un pari degli adulti, mentre si veniva accolti nelle varie tappe delle varie case che aprivano l'uscio per noi. a me pandoro, grazie.

e che bel natale. che allora sì che era un festa vera [semicit.].

i ripensamenti, le contraddizioni, gli struggimenti, l'ipocrisia, l'avversione, il timore, lo straniamento, la tristezza mascherata. tutta roba che avrebbe ammantato il natale, ma che sarebbero arrivati qualche anno dopo. le prive rivisitazioni nemmeno dopo molto, osservando dei ragazzi di origine sub-sahariana a vendere accendini fuori da un centro commerciale nel pressi di varese, al margine della visita parenti e cimiteri che si faceva - occasione in cui cercavo di comprar qualche capo di vestiario per me, sempre con la percezione fosse un po' al di là di quel che ci potesse permettere.

appunto.

tutto un caleidoscopio, mash-up di sensazioni in cui son passato in mezzo. esattamente come cambiavano le cose intorno, i contesti. o forse la mia percezione di questi, al cambiare o al sentire di cose dentro di me. a partire dal fatto che poi, la sbandellata la notte di natale, non era più 'sta gran cosa. che mio padre volesse continuare a farla, come nei decenni precedenti era un piacere del tutto suo. a seconda del volgere del mio umore una cosa di cui un po' invidiarlo, oppure compatirlo. un'altra tappa fu il passaggio allo snobismo stronzo, per quanto non obbligatorio, di cattolico rigoroso e praticante. quando pensavo di averne capito il senso profondo, del natale, pur già non sopportandolo più di tanto. anche se la potevo sciacquar via con la storia dell'ipocrisia e dello smarrimento del verso senso cristiano del.

ormai sono anni che natale nun te temo. non credo sia così casuale con il fatto che mi sia un po' centrato. con tutta la fatica per farlo, o la perplessità nell'osservare l'effetto. natale nun te temo perché ho smesso di prenderlo come paravento delle mie incompletezze, tanto meno come grimaldello per tutte le contraddizioni delle cose che non funzionano nel nostro mondo ricco. natale nun te temo perché forse in fondo non lo sto proprio più cacando.

quarantanni dopo di quella strage è tutto ovviamente più chiaro. anche il fatto non furono esattamente i fascisti, per quanto di loro presero il modo. l'ermi pensava, forse, di essere in una propaggine delle stragi nere, mentre si era già nei favolosi anni ottanta. quarantanni dopo quella strage il mondo è cambiato almeno un paio di volte, se non tre. non c'è più l'acme di una strage simile. ora però un annuvolarsi cupo, che va a coprire un po' tutto. roba sottile e pervasiva. con la percezione le cose stiano [anche rotolando] verso lidi nuovi, inesplorati nonché molto bruttini. oltre al fatto si invecchi.

quindi anche non star qui a pensare al natale, che nun te temo.

oppure che si è fatto pace. per quanto il natale di guerre non ne dichiari. che il punto è concentrarsi su quello che ci capita, per le cose positive che ci sono, intendo. e smetterla di arrovellarsi per quel che avrebbe potuto essere, ma non è. quelle son cose che stanno in universi paralleli. noi si è in questo, natale compreso. 

quindi non so se sia lo spirito del natale, nel caso esista. oppure è il combinarsi delle cose, dei contesti, a farmelo vivere financo con gratitudine. posto non mi interessi la risposta. intanto mi sto facendo un regalo interessante. vediamo quanto dura. ma intanto natale nun te temo. che magari pure è pure lui a suggerirmi: ma quanto sei pirla, fate casino sempre solo voi. se stai bene lo senti l'effetto. che forse, guarda un po', è lo spirito del natale. vale anche per gli agnostici, perché è un'eco antropologica. intanto io 'sto regalo me lo piglio. va bene anche mica solo a natale.

questo pomeriggio, quarantanni dopo la mia prima sbandellata, ho ritrovato il bandino, che sbandellava. in modo stanziale, questa volta, davanti ad un aperitivo aperto a tutte e tutti, in piazza lago. è stata matreme a suggerirmi di andarci assieme. massssì, perché no? pensa che cose che succedono questo natale. matreme ed io seduti a spizzicar roba aperitiva, guardando il lago. poi alla fine non si è neppure cenato, ovviamente. mi è pure venuto il reflusso, chissà con cosa han fatto gli spritz, o forse è che dopo un prosecco e tre di quelli non è che ci sia da aspettarsi niente di molto diverso. quindi il natale proprio non c'entra. quindi viva il natale, che va bene così!

Sunday, December 1, 2024

centoventi

oggi sono dieci anni che sono là dentro. a volerla guardare oltre, è anche una delle tante declinazioni del fatto che solo gli idioti non cambiano mai e per nulla idea.

non ci volevo andare, là dentro. troppo il senso di fallimento per l'aziendinadellaminchia che si era trascinata giù un po' tutto: a cominciare dall'autostima. troppo il fastidio all'idea di trovarmi invischiato in situazioni da pettegolezzo alla macchina del caffè delle aziende grandi. troppo deluso ma spocchioso: un lavoro da sotto-informatico, noi che gli informatici [ingegneri, figurarsi gli altri] li guardavamo dall'alto al basso. troppo naif per l'idea che qualcuno conculcasse il mio tempo, in modo ratificato e duraturo.

non ci volevo andare.

poi la viburna, il nonnetto putativo, l'amico omar mi dissero di non fare il pirla. ognuno a suo modo, ovvio, anche se l'amico omar mi disse proprio: se non accetti sei proprio un pirla. loro in combutta con i brandelli sparsi del mio buonsenso, ad indicarmi la cosa giusta da fare, talmente ovvia che ci ho pure ragionato sopra. ah, beh, sì, poi ovviamente anche il mio conto in banca, tecnicamente ben al di sotto dello zero per svariate migliaia di eurI. era un pungolo orgoglioso, anche se con declinazioni pratiche nulle: la creditrice era matreme, che nemmeno li voleva indietro. ma era un pungolo che mi rodeva assaje.

odg si premurò di consigliarmi caldamente una seduta la sera del venerdì, al termine della prima settimana, cosa rara per lei, il venerdì. poi in quei primissimi giorni accadde anche altro, di molto tragico, la malattia si era portata via una ragazza di ventisette anni, legata alla vita professionale e amicizie tossiche che avevo sfanculato, con rabbia, mesi prima. entrai nello studio, non feci quasi tempo a sedermi, cominciai a piangere, semplicemente come l'unica cosa mi riuscisse di fare in quel momento, senza esser capace di smettere. "immaginavo avrebbe potuto aver bisogno di confrontarsi" mi disse. quando uscii, frastornato da tutta quella commozione e tensione che avevo liberato in un amen, mi resi plasticamente conto di come il uichend, di colpo, assumesse un'aura del tutto nuova. di fatto mai provata. la sera prima di iniziare la seconda settimana fui colto da momenti di angoscia.

poi quando vidi pagata la prima fattura mi vennero altre lagrime, diverse quelle. in un mese, pur azzoppato dalle giornate di festa, avevo guadagnato come l'ultimo anno e mezzo.

cominciò così, là dentro. una nuova vita. durissima, all'inizio. dura anche per come ero messo: sfiduciato, ribaltato, smarrito. e poi sì, ovvio, anche a causa la mia capadicazzo.

per mesi, ogni sera, mi chiedevo se fossi tornato lì il giorno dopo. c'era il pensiero salvacondotto che mi tenevo nel cantuccio, quello che mi ricordava: puoi semplicemente consegnare il badge con il cordoncino bianco, e te ne vai. bye bye.

ho avuto in antipatia per tanto di quel tempo, tante di quelle persone, che sarebbero uscite fuori squadre per campionati di quantomistatesuicoglioni che levati. il mio responsabile, allora, capitano di molte compagini.

per svariati trimestri, da saccente, ho considerato dei minus habens una quantità importante di quelli che nemmeno mi veniva di chiamare colleghi. alcuni dei pochi altri erano invece dissociati o sociopatici o stronzi. se ne salvavano davvero pochissimi. pensavo, per darmi un tono interiore: voi non avete idea dei cazzo di corsi che ho seguito all'università, e mi riduco a fare queste stronzate qui.

però tutto con il sorriso sulle labbra e la cortesia nel pormi a chi non mi si poneva sgarbato.

'sta cosa mi ha un po' disorientato da subito. riuscivo bene in cose che non mi sarei aspettato, pur facendomi cagare la grandissima parte di quelle cose. eppure mi venivano e c'era quasi un imperativo etico a farle al meglio.

così ho cominciato a costruire relazioni a partire dal: ho bisogno di capire questo, dovrei far risolvere un problema in produzione, mi dai una mano? il primo che mi ha ascoltato, con la sensazione lo facesse col cuore e senza fastidio, è stato simone, il dba. è iniziato da lui. ho abbassato le difese, e con lui è venuto naturale. il primo tassello per costruire un mio senso di esserci - tecnicamente- là dentro. non l'ho mai ringraziato abbastanza.

la prima rogna più o meno eclatante fu quando si ruppe l'input simulato. non ne sapevo un cazzo, nel giro di qualche ora sistemai e feci accreditare e addebitare i conti. fu il ghiz a darmi retta e fece alla stragrande il suo, con la disponibilità che là dentro ho trovato in pochi. ancora non capisco la genialata di non tirare a bordo una colonna portante dei sistemi windows come lui. misteri.

così sono passate, appunto, altre vite là dentro. nel senso che si sono susseguite delle personalissime ere. ovvio che poi gran parte di tutto è cambiato. passando anche per quel pomeriggio fondamentale. quando ho capito, compiutamente, l'affetto e la stima del teo. sentendomi anche un po' stronzo ed in colpa, per gli improperi dei primi tempi. una chiacchierata in area relax, con i monitor dei video autopromozionali [quanto siamo fighi, noi, che lavoriamo così qui dentro], testimoni muti di quel che ci siamo raccontati. e di come ha cominciato a cambiare il mio senso di esserci - professionalmente - là dentro. ogni tanto glielo ricordo, è il minimo possa fare.

quando iniziai l'amico alfio mi disse: comincia, fai tre mesi, poi se non ti piace smetti. sono arrivato a centoventi di mesi. ovvio che me lo son fatto piacere. che la fatturazione aiuta, minchia se aiuta, ma solo con questo non avrei resistito così tanto. ed in centoventimesi le cose sono cambiate in maniera quasi radicale.

non tutte, ovvio.

li conto ancora, i mesi. so che appena ci sarà l'occasione di cambiare vita, cambiarla sul serio, lo farò. probabilmente con un senso di grande sollievo. ma so non sarà subito. non ho un mestiere propriamente detto, fuori dall'ICT. le psicopippe, le speculazioni cervellotiche, il ragionare compulsivo non interessano - ovviamente - quasi a nessuno. poi sono gratis. e non ho né la bravura, né l'abilità, né la faccia da culo egotica per farne una professione.

e quindi nello scorrere delle cose, provo a scorrere il fatto che son là dentro, senza lasciarlo perdere. fosse solo per tutta la fatica fatta, anche per [ri]costruirmi. sarebbe da idioti non farla fruttare. anche se non avrei voluto andarci, anche se nella vita avrei voluto essere e fare altro: però ormai sono lì. e tra l'altro [un tra l'altro fondamentale], con alcune delle persone conosciute là dentro, non è più nemmeno d'uopo parlare di colleghe e colleghi. non sono tante, ovvio. ma con costoro si è andati oltre, ci si è trovati, ed è venuto naturale. a volte per delle pure [apparenti] casualità: tipo rispondere ad un call di lavoro in un momento particolare della vita di qualcuno. tutte e tutti loro hanno un significato molto, molto importante. perché, in tutto questo, un qualche senso nell'esserci - umanamente - ci dovrà pur essere. che la forma è mezzo dubitativa per far un po' di teatro. lo so benissimo che c'è. conviene coltivarlo al meglio. è cosa buona et giusta non risparmiarsi in tutto questo. senza dimenticarsi dei privilegi di cui godo, non ostante tutta la fatica.

ora lo so, compiutamente. ci son voluti, tra l'altro, centoventimesi. non esattamente i tempi di uno scaltro e veloce di testa. ma va bene così lo stesso.

proverò a ricordarmene. se poi riesco a stare abbastanza lontano dal burnout, che annichilisce pezzi di speranza, diventa anche più semplice.

domani si ricomincia, là dentro. e fanculo il sunday blues.