Thursday, February 29, 2024

scarti

non ho resistito: metterci un post il ventinovefebbraio. chissà che sarà il prossimo ventinovefebbraio. che poi mi girano dentro, i post. spesso mi censuro: che cazzo li scrivo a fare?

vabbhé.

l'amica amalia sostiene che ormai sono rimasti solo gli scarti. non le viene da usare la prima persona plurale, è un'interessante barlume di difesa. ma il senso è quello. quelli che ormai non si pigliano più, nemmeno tra scarti.

io altresì utilizzo il termine tieffe, nel senso di t ed f, che sta per tagliati fuori. espressione che mutuai dall'ermi. lui con il suo understatement scartavetrante si definiva così, intendendo per tagliati fuori da quelli che contano, cui dare retta, coloro che avranno una quale eco. sfuggente, l'understatement, considerata l'eco che ha lasciato. quasi asociale, l'understatement, almeno con me: che ne subii la fascinazione, con sempre la sensazione di stargli fondamentalmente sui coglioni.

tieffe, tagliati fuori. che ora mi vedo il gioco delle sedie, quelli dove si corre in cerchio, e quelli che corrono sono sempre di più delle sedie a disposizione. al segnale convenuto tutti a provare a sedersi. ed almeno uno rimane in piedi. non ci sono sedie per tutte e tutti: tieffe. non mi è mai piaciuto quel gioco. forse per la sua stessa natura: escludente, per questo con quel non so che di disturbante. non ho mai capito perché. o forse intuivo in maniera anticausale che lo sarei stato, un tieffe, un giorno.

una volta era la sedia, ne mancava una per almeno una persona. ora, ogni giro, è quando si prova a tentare di nuovo con un'altra persona. magari incidentalmente con l'idea di farci allammmmore sulla sedia, se capita. non è strettamente indispensabile, ma ha il suo perché. ed ogni giro è come se si rimanesse [auto]tieffe. la delusione, il tocco di speranza che qualcosa potesse cambiare che si vaporizza, l'amarezza, la malinconia. being tieffe

che sembrava una specie di grazia ricevuta - laicamente - ci fosse da provare a fare di nuovo un giro. capitato così inaspettato, in un periodo non da argento vivo addosso [meno del solito, intendo, giusto per dar la tara]. però capitato, da vivere. e poi, più o meno d'emblée: rimaner ancora in piedi, non ci son abbastanza sedie. tieffe.

che a leggerla con i numeri freddi della sociologia del contemporaneo urbano, la città pullula di persone sole. che uno immaginerebbe di gente che manco deve farli i giri attorno alle sedie: ce ne sono così in abbondanza. ed invece sembra tutto così complesso. o complicato dalle sclerotizzazioni dei giri precedenti. ognuno che gira, con appresso la disillusione, la diffidenza, le spigolosità. tutto un portato dai giri precedenti. e così a cercare di occuparla, una cazzo di sedia libera, tutto tranne che semplice. facile che non si riesca, o la cosa è tutto tranne che appagante. così la volta dopo è peggio, ancora più titubanti, diffidenti, sclerotizzati, spigolosi. ed anche un po' incazzati. come a levare delle sedie per il giro successivo. sempre ci sia un giro successivo, che il timore sia l'ultimo rimane appiccicato addosso.

oppure che forse le sedie son talmente malridotte, scarti. che mica ti viene da sedervicisi sopra.

anche se, dopo gli ultimi tentativi di giro, forse arrivo ad intuire l'amica laura. ed il suo essere terrorizzata, la voce che le si incrinava struggente: non sopportare l'idea che quel desiderio di amore rimanesse incompiuto. non ne sono terrorizzato, forse perché perché sormontato dal fatto la speranza sia quasi terminata. dis-sperante. tieffe o scarti che sia. non ostante il desiderio. de sidera, allontanarsi della stelle.

o forse, di nuovo, l'inadeguatezza dopo un altro giro andato male. senza peraltro aver del tutto contezza del perché. forse non ne sono capace. forse è roba che non fa per me. punto.

mi sono riuscite alcune cose, al netto il fatto mi interessi ormai poco nulla di quello che mi è venuto.

altre no. scrivere una canzone decente. padroneggiare le espressioni regolari in javascript. imparare il francese: fondu, menù, lupin, e quella u che devo sforzarmi per pronunciarla giusta, quando ci riesco. oppure - vado per vie brevi e banali - conquistare il cuore di una persona che ha fatto battere il mio, di cuore. figurarsi quando all'inizio proprio non è dell'idea. e consolidare il tutto per un tempo congruo. ed in quel tempo essere parte di una relazione.

non è roba che fa per me.

e dopo il giro, ballo lento il ballo-scopa, come quello rimasto in piedi alla festa delle medieue [manco il giuoco della bottiglia]. che sembra sia partito tutto da lì. ed ogni volta è quella specie di ritorno al quel momento fondante nell'essere un tieffe. una sorta di sliding doors, che è andata in quel modo, quindi a posto così, per sempre. quando nicoletta, camminando nel corridoio della scuola, mi vide con gli occhi a forma di cuore, o forse di pesce lesso. e mandò a dirmi, tramite orazio il messaggero, che no, non se ne faceva nulla. quel pomeriggio, nella cameretta, senza farmi scorgere da mio fratello, piansi lagrime che credevo inesauribili, stringendo al petto il gatto musty, peraltro piuttosto perplesso.

si torna lì. giro dopo giro. tieffe dopo tieffe. a domandarsi, con la paura della risposta, se l'inadeguatezza sia talmente manifesta che il resto è inutile. e se ormai si sia finiti tra gli scarti.

Sunday, February 25, 2024

dolori[smi]

abbracciare il dolore altrui è come aggrapparsi assieme, per sostenerlo in due. almeno per qualche attimo. è una piccola immersione, roba rapida neh? nulla di eroico, nel lacero dell'anima dell'altro. il dolore altrui serve a rimettere in prospettiva il proprio, relativizzarlo. ricordarsi che c'è sofferenza, variegatissima, oltre quello del nostro ombelico.

e in questo periodo sembra facilissimo trovare gente da abbracciare. come la sensazione vi sia un proliferare mai percepito prima. che magari è - appunto - una questione di percezione, perché l'ambito di personalissima risonanza è [solo?] quello. e quindi tanto, troppo, sembra riverberare attorno al cantuccio di anime che si lacerano. e mi riesca di ascoltare solo quelle eco.

ciascuna con la sua, piccola e grande. difficoltà a trovare degli squarci di luce oltre la nuvolaglia tenebrosa. lutti di genitori che vanno avanti. caducità di salute che spengono gli ultimi sorrisi. bandoli della matassa che ormai non si trovano più, oppure la matassa è sbrindellata, ed il resto che si ingarbuglia in un caos senza più sorriso, speranza, lucidità. occhietti vispi, ma con una luce triste dentro. fatiche, nelle più variegate declinazioni: dipanano dal coniugare, ognuno a suo modo, il senso di mettere a terra ogni giorno che dio manda in Terra [che poi sia dio, il cielo, il caso, il nulla: chi lo sa]. coniugazioni che son difficoltose.

il primo ribadire l'ovvio è che non c'è solo questo, e ci mancherebbe. è come se lasciassi fuori dal perimetro percettivo quasi tutto il resto.

il secondo ribadire l'ovvio è che siamo in situazione antipodale rispetto alla minchiata del mal comune e del mezzo gaudio. antipodali ad una minchiata non significa cosa intelligente. ma essere agli antipodi di una minchiata: è starsene già a buon punto. non basta, ma aiuta.

il terzo ribadire l'ovvio è il disclaimer che andrebbe messo in capo ad ogni post para-meta-simil-giaculatorio. c'è qualche miliardata di umanità che avrebbe tutte le sacrosante ragioni di mandarci a fare intouuuucuuuulo. e a noi non rimarrebbe che rispondere: eh, ci hai ragione!

mentre noi ci si arrovella nei nostri piccoli, imprescindibili, particolarissimi dolori. quando non si pensa di essere autorizzati a presentare il conto a quelli che, magari, passano vicino di lì. poco importa se quello che passa vicino di lì c'entri qualcosa, oppure nulla: qualcuno, 'stocazzodi conto, lo dovrà pur pagare, no?

abbracciare il dolore altrui è come aggrapparsi assieme, per sostenerlo in due.

se poi guardo il mio, di ombelico, mi accorgo che sto fuggendo gli abbracci che - in linea teorica - potrebbero arrivare dagli altri. che li fugga non significa che ce ne siano 'sta gran profusione, neh? per quanto qualcuno c'è, è lì. sì che c'è.

e poi ci sarebbe quella cosa che non se sia esattamente un dolore. o una specie di allarme tipo sala operativa dei pompieri che suona: nieeeec, nieeeec, nieeeec. è che quando sento, leggo, ascolto di gente che è andata avanti, c'è quel mezzo pensiero. sgorga prima che me renda del tutto conto, e che poi riesco a ricacciare indietro. ma intanto l'ho pensato. di quella gente che è andata avanti penso: almeno ha smesso di fare fatica.

Saturday, February 17, 2024

scopare

se ci finisco a letto, poi le cose si complicano.

mi piace il sesso - toh, quando si dice una considerazione che fa esclamare: uau! - mi piace scopare, mi piace fare l'amore. non son mai riuscito a capire se esistano e quali i confini fra queste cose, che succede, cosa si prova se e quando si passa da una all'altra, e viceversa. qualcuno potrebbe facilmente osservare: pistola, evidentemente non hai mai fatto davvero l'amore. può essere. ci ho ragionato sopra come un vegliardo ottantenne, ho l'esperienza di un diciannovenne impacciato.

è che se ci finisco a letto, poi le cose si complicano.

ci ho pensato al perché di 'sta cosa qui.

una chiave di lettura con nuance para-romantico-profonda potrebbe essere: se si condividono certe prossemiche, se ci si dona nell'intimità - fisica - più profonda che abbiamo, se ci si lascia andare alle reciproche piccole morti, ovvio si stabilisca una relazione. pure di quelle importanti. che magari dura l'evanescenza di un'alba. ma che ti [mi] rimane addosso. roba che non si risolve girandosi dall'altra parte ad addormentarsi, dopo aver fumato la sigaretta, figurativamente ovvio.

e sono questo tipo di relazioni in cui rimango intrappolato, emotivamente. che mi riverberano dentro. per quanto sia riuscito a tacitare abbastanza del tutto il diavoletto e l'angioletto, quelli che stanno ognuno su una delle due spalle. il diavoletto esorta: la prossima volta sarà ancora più godereccia, altrimenti mollala; l'angioletto mi riprende: devi volerle ancora più bene ora, nel caso sposala. tacitati abbastanza questi due, rimane l'eco ed il riverbero. e non credo sia un bias della morale cattolicheggiante, quella che non si leva dal fondo, il brecciolino compatto su cui poggiano le fondamenta.

quindi se ci finisco a letto, poi le cose si complicano.

forse è che, come succedaneo, funziona fino ad un certo punto. provo a spiegarmi. [forse] vorrei una relazione sentimentale, compiuta e corrisposta [probabilmente], in cui scopare è una delle cose da fare assieme. contenuto nel fare l'amore. il desiderio di una relazione mi vagola dentro, come il desiderio di fare sesso. stessa portante, ma le due cose sono modulate in bande separate in frequenza. in una c'è l'informazione in cui un desiderio si porta dentro l'altro, completandolo. nell'altra il desiderio - a tratti soverchiante - della scopata corrisposta, roba comunque importante, neh? non si banalizzano 'ste cose.

ecco. capita che arrivi a demodulare una banda. vorrei una cosa. ci trovo quella meno completa. e la cosa mi stordisce. abbastanza da crollare un po'. perché [forse] desidero, in maniera profonda, di più l'altra [probabilmente]. perché comunque, in ogni caso, la relazione con l'altra persona riverbera, e ci si sente un po' inadeguati e disorientati: perché scoparci è bello, lo si fa con amorevolezza, e l'abbraccio dopo non è di circostanza. ma tu avresti voluto demodulare l'altra banda.

se poi il periodo è affaticato di suo [e scopare con amorevolezza richiede un po' di energia, fisica ed emotiva]. se sa come di lunga coda di cose che non si schiodano. se la stanchezza non molla. ecco, anche con questo si rischia di finire in una buca, di quelle importanti. 

appunto.

Wednesday, February 7, 2024

illeggibilità

mi hanno commentato gli ultimi post. che sono illeggibili.

la reazione è stato la mescolanza di:

  1. una sottilissima punturona di spillo;
  2. pensare "in fondo ci ha pure quasi abbastanza ragione";
  3. stigrandissimicazzi

ho ribattuto. è quando li penso mi sembrano ficcanti, puntuti, forse anche interessanti. poi li scrivo e qualcosa si incrocchia. come dovessero essere spremuti fuori a forza, tipo attraverso le forme del pastamatic, chi se lo ricorda. però faticano. e nella spremitura si intorcigliano, arricciano. un bel arruffamento di cose spremute fuori. però faticando. e così il soggetto finisce in fondo la frase, il complemento all'inizio. i periodi si circonlocuzionano. le subordinate germinano, manco lievitazione veloce.

e così il post mi appare molto meno interessante di com'era quando era nei pensieri.

o forse non erano poi così interessanti i pensieri, quando erano embrioni di post.

però pubblico, ugualmente. stigrandissimicazzi. forse è poco rispetto per i tre, quattro che leggono. lo so. tipo quanto vai pettinato forastico a far due chiacchiere. devo, dovrei pensare all'interlocutore.

è che è tutto molto più faticoso. come scrivere anche questo, di post, chissà quanto illeggibile. figurarsi rileggerli e rintuzzare, tagliare, raddrizzar la forma, pulire la cifra. è faticoso. cazzo se è faticoso. e 'sta stanchezza non mi passa.

dice: ma checcazzous ti metti lì, pensarli [tanti], scriverli [pochi], per farne mezzi riusciti pochissimi?

eh. bella domanda.

la risposte tante, troppe.

forse è che nel blogghettino ribalto un tocchettino di quel che vivo, più o meno dentro, forse di più più dentro, anche tanto. è uno dei riti che mi sopravvivono, e guarda caso quanti post in giorni rituali miei.

forse scrivere mi piace pure, refusi compresi. ed è un modo anche per buttar la pallina di là, quando la scarsa fiducia nei miei scarsi mezzi me la tira di qui, con dei rovesci a due mani che levati. al netto di intercettar la pallina.

forse è un modo per scrollarsela di dosso 'sta fatica. prendendola un po' in controbalzo nel contropiede. fatica tu me provochi? ed io te sfido, e scrivo. anche i refusi.

anche se ne vien fuori qualcosa di illeggibile. che poi forse è perché [mi] sono illeggibile dentro. per non dir dei refusi.

seguitemi per avvincenti nuove illeggibilità. o qualcosa di simile. potreste finanche darmi una mano e rileggermi. e che magari si fotta pure la fatica. del fottere anche la scarsa fiducia nei mezzi, nemmeno lo chiedo.

però mi sa che continuo. la leggibilità se ne farà una ragione.

Saturday, January 27, 2024

quel senso del dovere della Memoria

questo giorno della memoria è potrebbe essere complicatissimo. mentre in realtà, a pensarlo con occhi che sanno guardare, è ancora più semplice.

personalmente, dopo l'autunno del duemiladiciotto, il rischio di cortocircuitare cose in questi ambiti è l'elefante nella stanza. ed io mi ricordo esattamente dov'ero quando intuii 'sta cosa qui, cosa stavo osservando fuori dal finestrino del pulmino che ci stava riportando a gerusalemme. tecnicamente stavamo risalendo la depressione che arriva al mar morto. in quel momento, quel preciso momento, forse eravamo ancora sotto al livello del mare.

figurarsi ora. con un crinale strettissimo ed un rischio di cortocircuito ancora più importante. con l'emozione ed il dolore di quello che sta succedendo nella striscia. che già la situazione era disperata, al collasso, sul baratro - questi gli elementi d'impatto del raccontar la cronaca - dopo poche settimane. figurarsi dopo tre mesi e mezzo. a immaginare cosa ci può essere ancora di più disperato, collassato, sotto il baratro.

e quel pensiero quasi banale, nostro, occidentale, cristianissimo: da popolo che non ha mai subito abusi da altri popoli e dalla storia. quel pensiero che chiede: voi che l'avete provato, perché ora lo fate? come se vi foste dimenticati. come se ottundeste la memoria.

ma è appunto il pensiero per cui manca un pezzo. e lo iato è quel vissuto che noialtri non abbiamo, perché paciosamente - mediamente - cristianamente sempre vissuto più o meno al sicuro da forme variegate di angherie e persecuzioni. figurarsi dall'idea precipua, che solo il male assoluto poteva immaginare: essere cancellati dalla faccia della terra.

quello iato non giustifica i crimini di guerra che si stanno perpetrando e che stanno perpetrando. figurarsi. quello però iato non ci fa percepire appieno, del tutto, fino nel profondo cos'hanno rappresentato la barbarie dell'attacco del setteottobre. [e l'idea che, a sinistra, qualcuno definisca quei tagliagole a dei partigiani resistenti, mi fa rabbrividire e mi disgusta].

ecco. tutto questo è la parte che tendo a complicarmi, intorcigliando emozioni e sentimenti, in questa di giornata. il crinale stretto, il cortocircuito. che non bisogna mica semplificare banalizzando, o espuntandolo.

perché il senso di quello che è stato è per noi. soprattutto per coloro che, allora, non avrebbero corso nessun pericolo per la propria vita. al limite il pericolo per la propria anima - qualsiasi cosa sia e qualsiasi cosa voglia dire - di voltarsi dall'altra parte, di far finta di nulla. gli ebrei non hanno mica bisogno del giorno della memoria: loro se lo ricordano benissimo, cosa è stato. i rom, i sinti, gli omosessuali, gli oppositori politici, i portatori di disabilità fisiche e psichiche: loro se lo portano dentro l'eco della furia sterminatrice che ha travolto anche loro.

il male assoluto è stato. se l'abbiamo fatto una volta significa che ne siamo stati capaci. e se ne siamo stati capaci significa che è lì, ce la portiamo dentro quella possibilità. è un abominio in potenza, ma è sempre un abominio.

il giorno della memoria è per noi, che ce ne stiamo al sicuro e paciosi. ed è anche uno spunto per annichilirla, quella possibilità nefasta che ci portiamo dentro. e l'occasione per annichilirla è guardare al di fuori, riconoscere la violenza, l'ingiustizia, le tragedie epocali ed osservare per quello che sono: qualcosa da espuntare dalla faccia della terra. quindi a partire da noi medesimi. fanculo l'indifferenza, il peso morto della storia [cit.]

perché se non si fa, continueremo a portarceli dentro quei germi. quelli che nel suo acme più abominevole è stato. considerate quello che è stato, come scriveva levi.

in fondo è tutto molto semplice. dei crimini e le ingiustizie dei figli non possono essere responsabili le madri e i padri. il monito a tenere memoria di quello che è stato, ci rende più liberi anche nei confronti dei figli: specie se perpetrano ingiustizie, violenze, crimini di guerra, come sta accadendo. così si può provare a far proprio, del tutto, il senso di quel: mai più

fare memoria di quello che è stato e prendere coscienza della volontà sterminatrice delle minoranze, dei diversi, dei deboli. e nel riconoscerlo non smettere più di rimanere scandalizzati e coinvolti, quando qualcosa accade verso le minoranze, i diversi, i deboli. in memoria di costoro, di coloro che furono travolti, spazzati via, proprio perché minoranza, diversi, deboli. averne cura - qualsiasi cosa significhi - fanculo l'indifferenza, è un modo per onorare anche la memoria di costoro.

il giorno della memoria è necessario. è fondamentale. è vaccino contro - di nuovo - l'indifferenza. che poi è stata la landa desolata entro cui il male assoluto ha potuto prosperare e fare.

fare memoria è anche tutto questo. è un monito, uno sprone, uno spunto: provare ad eliminarli, quei germi di cui siamo portatori sani. quello che è stato una volta è perché ne siamo stati capaci. possiamo essere altrettanto capaci ad espuntarlo del tutto. mica è semplice neh? considerata la naturale propensione a poter fare del male ad un nostro simile, unici tra tutte le specie. ma non significa non si abbia la possibilità di provare a farlo. allora si sintetizzò l'esatta antinomia del concetto di umanità. noi facciamone memoria, e impariamo a praticarla, l'umanità. anche quando sembra che, in alcune situazioni, sia di nuovo ridotta ai minimi termini. e di volerla come necessità, pari a quella del respirare.

a cominciare dal crinale stretto, dai possibili cortocircuiti di oggi.

Sunday, December 24, 2023

puoi dribblarlo, svuotarlo di senso, 'sto #eanchequestannoernatalecelosemolevatodarcazzo. ma poi lui ritorna

e quindi sembra che te lo puoi anche dribblare, svuotare di senso, 'sto #eanchequestannoernatalecelosemolevatodarcazzo. ma poi lui ritorna.

perché hai voglia a farti andare indigesto tutto er cenone della vigilia e i bagordi del giorno successivo. che sembra che il mondo che la festeggia 'sta roba sembra dividersi in: #quidanoièpiùimportantelacenadellavigliacheilpranzodelgiornodopo e gli altri. e non si sopporta più tutto il bieco consumismo che lo ammanta soffocandolo. e le cazzo di pubblicità che ci nevica dentro, che sembra ormai riesca solo lì dentro, nelle pubblicità intendo, che qui si sta colla giacchettina leggera e fa ancora caldazza che levati, che tranpò non regge più nemmeno la storia del nascituro che viene al freddo e al gelo che poi dice che la gente non crede più nella magia del natale, e già è un successo se le creature non ti sgamano con la storia del babbo natale che come farà a decollare la slitta che di neve appunto tranpò non ce ne sarà neppure al circolo polare artico. che adesso esco un attimo col suv da seilitriemezzo per far duecentometri e lasciarlo col motore acceso in seconda fila mentre finisco le compere in corso vercelli, che lì almeno ci sono ancora le luminarie con le lampadine incandescenti con grandissima buona pace e rosicamento di quei debosciati di #ultimagenerazione, 'sti fottuti iettatori, chissselincula che poi col suv ci vado fino cortina a sciare sulla neve sparata, sopra la pista lingua bianca e le pendici riarse attorno.

hai voglia a mettere in confronto a sinistra il profilo di un albero di natale, quello che è ancora in piedi dopo il proluvio di video di gatti e gattini e gattine che li abbattono gli alberi di natale, di cui si prende la parte a sinistra dell'illustrazione sfruttandone la simmetria orizzontale, e si fa fotocomposizione con a destra la forma sinistra, anche se sta a destra, dell'effetto dei circoli convettivi che sollevano dei detriti, che si sviluppano dopo l'esplosione di una bomba di un qualche quintale tipo che ne so a gaza, che magari quei moti convettivi non sono mica poi esattissamente di gaza o forse sì, ma in fondo importa fino ad un certo punto, sapendo che lì ci hanno pure detto che la metà degli ordigni utilizzati non erano intelligenti e di precisione, posto che vorrei trovarlo un ordigno intelligente, anzi forse ci sarebbero anche, quelli che decidono di non esplodere, ragionando di quanto siano coglioni, stronzi e inetti, coloro che li sganciano gli ordigni, cosicché l'ordigno non esplode ghignando saporitamente dei coglioni, stronzi e inetti e sbertucciandoli con: t'honculato, che non son esploso. anche se t'honculato potrebbe pure puzzare un po' di vetero patriarcalismo. ma tanto si addice ai coglioni, stronzi e inetti che sganciano ordigni. così che appunto abbiamo a sinistra della fotocomposizione l'albero, a destra i moti convettivi che risucchiano detriti. che poi quelli là manco so cristiani, cara grazia l'albero, mica il presepio, che ce lo meritiamo solo noi. al limite gli ucraini, che mo pure assieme a noi lo festeggino il #santonatale, mica come gli ortodossi, che ci son cristiani e cristiani, festeggiatori natalizi e festeggiatori, che gli altri attendono il settegennaio a festeggiarlo il #santonatale, quando qui ormai #eanchelefestequestannocelesemolevatedarcazzo, mentre gli ucraini ora assieme a noi. ragione che s'aggiunge al fatto siano bianchi, caucasici e pure festeggiatori ugualiuguali a noi il #santonatale, quindi si possono accogliere facile, mica come quelli che arrivano sulle barche che manco sanno cos'è il #santonatale.

e a proposito di #santonatale e di presepi e chi se li merita, hai voglia sui presepi, che resisto pervicacemente con l'isoglossa del presepio e mica presepe, ad ostentarlo e brandirlo il presepio che mi sa che tanto hanno capito un cazzo che lo rendono obbligatorio nelle scuole senza averne colto il senso profondo e di gloria in ecselsis e pacem in terram agli uomini di buona volontà, che poi secondo costoro sarebbero solo quelli che esaltano il presepio e lo rendono obbligatorio nelle scuole e decidendo loro chi sono, cosa devono credereobbedirecombattere quelli di buona volontà, gli altri sono sediziosi radicalscìc, prendeteveli voi a casa vostra buonisti  dercazzo che non siete altro. noi ci abbiamo le donne di cui andare nazionevolmente orgogliosi, come la donna che il ragazzo di destra protegge col tirapugni d'oro, che la sua donna gli dà un figlio naturale nella notte di natale quindi questa notte, mentre viene giù la neve, posto che nevica solo nelle pubblicità ed anche in alcune canzoni, anche quella di colapescedimartino, anche se non so mica ancora bene chi sia di martino e chi colapesce.

hai voglia a tutta 'sta paccottiglia qui, indigesta, complicata, sovrastrutturata, che poi quelli mezzi e mezzi oppure più o meno tieffe come me [tieffe, tagliati fuori, senza che smetta di essere un mezzo e mezzo], per tutte le strafottute ragioni di questo complesso mondo, vanno in sbadta per il combinato disposto della loro solitudine dentro e fuori qualsiasi cosa significhi, la luce fuori al solstizio che è sparita e che ricomincia a riconquistarsi però forse anche dentro la luce è sparita, e comunque cazzo è ancora bel buio presto fuori, e la melassa del tutti più buoni, passate buone feste serene, #ateefamiglia, e condivisione di gioia tra i cari, che poi si rivolta manco un otre di klein, e ti risputa addosso tutto quanto, contaminato, esacerbato, maldigerito, ricondizionato, ammalorato, spigolettaato, pubblicizzato, incoerizzato, coercizzato, mica innevato, e così uno vive la sensazione di alterità e pensa che porcodiquelcazzo se tutto il mondo se le vive bene sono io ad essere quello inadeguato e fuori standard, che così è tutto un fare ancora un giro più vorticoso che gira la testa e sale la nausea. quelli ancora quel filo sul pezzo magari hanno pure l'illuminazione, anche nel giorno breve attorno al solstizio, che poi tutto 'sto mondo che se la vive così bene forse non è tutto 'sto mondo. quelli più disillusi, o che scartano quel filo di lato, vivono la situazione lisergica del rifugiarsi a guardare una poltrona per due, che solo la sinfonia delle nozze di figaro sulle immagini e titoli di testa vale tutto il film, senza dimenticare che ad un certo punto jamie lee curtis mostrerà le tette, scena che oggi non avrebbe più molto senso però coerentissima col pieno edonismo sbracato fine anni ottanta, e mi autoperdono sia una cosa piacevole del film, che voglio cambiare per primo in me la storia del patriarcato di cui sono portatore sano, ma c'è quella gaia dolce tristezza sottile e persistente, di cui sono pervaso, per non dire della nostalgia che non si spiega e dico: ecccheccazzo, almeno a 'sto giro passatemela 'sta cosa delle tette della lee curtis. così dopo quel film non attenderà altro che augurarsi che arriverà 'sto #eanchequestannoernatalecelosemolevatodarcazzo.

che ci mancherà qualcosa, dopo. che ce l'hanno fottuto il rito. ma se quel cazzo di rito c'era da svariegati secoli et secoli et secoli, è perché ha un senso profondo e ormai radicato, che sia la storia del dies natalis solis invicti o per trasposizione di quella di colui che nasce per salvarci tutte, tutti e tutt*, col gloria in exelsis anche se poi han ben sempre perculato gli uomini di buona volontà. è quella roba lì, il rito, che ormai è dentro. va bene che ce ne inventiamo di altri, come ha suggerito di condividere cose il bacchetta in una puntata di tutto scorre, perché in fondo di riti, antropologicamente, abbiamo bisogno. e mica mi sfugge che, qualsiasi cosa significhi, quel rito in fondo mi manca. poi posso fare tutte le boccacce e linguacce del caso alla paccottiglia del meinstriiim che siamo sempre di più a sentircivisi inadeguati, mi balocco a scrivere post meno leggibili del solito che è da grinch verso i tre lettori, sfracassarmi i timpani ad ascoltarmi a tutto volume swatch degli stadio anche se il testo è del guccio, che funziona solo nella canzone tirar su le spalle e ghignar sul natale.

perché il resto è che sì, c'è qualcosa di cui sento nostalgia. profondissima nostalgia. che è una parola di una pienezza evocativa pazzesca ed etimo struggente. 

quindi non so se sia così semplice passare così lievemente sopra tutto il resto. finanche al #eanchequestannoernatalecelosemolevatodarcazzo.

c'è qualcosa che ho perso, anche se non so se l'abbia mai veramente avuto, che a che fare con l'esigenza sublimata di un rito, che forse è anche un pezzo di quell'eco profondo del significato di quel rito. forse arrendervicisi è un modo per non temerlo più così tanto. ed anche se è così distorto, traviato, impaccottgliato, quasi abiurato è ben lì. ben presente a tutto questa sensazione che non va bene non va male [cit.], la trascende e che come patto ed abbraccio ti fa pure dire, tra la nostalgia che non s'arrende cui non ci si arrende, che va bene così, passatori in questo mondo. va comunque bene così.

che le feste, comunque, sono in ognuno di noi. forse inutile espungerle, che il tentativo di espungerle lo guardano con tenerezza. come si guarda la bimba o il bimbo che di quel rito sa ancora farsi una bellissima e sincerissma scorpacciata. appunto. va bene così.

Sunday, December 17, 2023

vissuti, traumi, eredità collettive. santa proprio per un cazzo, quella terra

[disclaimer. questo è un post faticoso, per cui non smetterò mai di sentirmi inadeguato. però le suggestioni mi girano nella testa.]

ascoltare le notizie che arrivano da gaza, dalla west bank, non è meno doloroso di qualche settimana fa. vorrei evitare, peraltro, la trappola dell'assuefazione. penso, quasi ogni volta, a cosa lascerà questo mattatoio nel vissuto collettivo di quelle persone. vogliono annientare hamas. stanno mettendo le basi per altri dieci cose simili e forse peggiori.

che poi mica mi sfugge sia un ragionare da culo al caldo, neh? che per un paio di milioni di persone il pensiero cogente e come sopravvivere, tirar a sera e quindi mattino in quell'inferno sulla terra, vivi appunto. possibilmente con tutti i familiari.

e posso intuire, da lontanisssssssssimo e al sicuro, che delle notizie più tragiche, aberranti, si avrà del tutto contezza dopo: quando mantenersi vivi verrà molto più semplice. e con il la piena consapevolezza l'elaborazione di un trauma collettivo. bambini amputati senza anestesia, alcuni che non reggono lo shock del dolore e muoiono - i medici non chiedono più null'altro, se non che venga fornito loro anestetici e antidolorifici - l'impossibilità di curare degli ospedali, la fame, il freddo, gli istinti più primordiali e anti-sociali, le epidemie che si stanno diffondendo.

le amputazioni ai bambini senza anestesia, lo shock mortale per alcuni di costoro.

sono le cose che più mi hanno impressionato. non c'è ragione di non crederci. e soprattutto entreranno a far parte della narrazione condivisa, memoria collettiva di un popolo. si sedimenterà e diosolosa [nel senso di qualcosa che dubito esista, ma nel cui nome si fanno cose indicibili] cosa potrà far germogliare, come senso di rivalsa. non serve nemmeno capirlo o costruire artifici retorici per argomentare su una qualche forma di giustificazione. qualcosa da lì germoglierà a prescindere del nostro discutere di aria fritta più o meno propagandata. e quel germoglio porterà altro dolore. i palestinei, gazawi o meno, non sono hamas. non serve che quel germoglio metta radici in un popolo intero. ne bastano molti, molti, molti meno. ed altro dolore entrerà in circolo.

e sarà leva, giustificazione, rivalsa dell'altro popolo che sta lì, quello israeliano. che nella stragrande maggioranza non si oppone a quella tragedia, a quell'ecatombe. anche i meno invasati, anche coloro che sono ben lontani dai clerico-fascisti che li stanno governando. talmente traumatico è lo shock dell'attacco del 7 ottobre. sembrano disposti a rinunciare alla pietà, che l'è morta. è l'eco delle persecuzioni che si portano dietro da diciannove secoli. con l'ultimo abominio della soluzione finale. il scoprire, d'improvviso, il senso di insicurezza all'interno dello stato che era nato per dar loro protezione. per cui sembrano disposti a tutto. anche a generare vissuti e traumi collettivi del popolo vicino. e il senso di rivalsa anche di quelli accanto a loro. sedimenterà tutto. continueranno a germogliare istanze che metteranno in cima ai loro obiettivi l'eliminazione dello stato ebraico.

è una fottuta spirale soffocante di odio, che promette e preclude altro dolore.

così, da soli, non se ne esce. non ne escono. a costo che un popolo ne elimini un altro. la cosa peggiore di essere vittime, è essere vittime delle vittime. 

proprio, di santo, quella terra non ha nulla.


[ribadisco il disclaimer di cui sopra. fatico e mi sento anche molto inadeguato. ma son pensieri che mi girano dentro da un po'. inadeguato perché non ne so comunque abbastanza. e perché mi manca un pezzo. ci manca un pezzo. quello che non hanno coloro che non appartengono a popoli vessati e perseguitati storicamente. ci possiamo provare a ragionare, neh? ma ci mancherà comunque sempre un pezzo. un'incompletezza che - dubito - riuscirà mai a farci intuire davvero quello che succede laggiù. tranne forse il fatto che così, da soli, non ne usciranno]