Sunday, August 18, 2019

post che dovrei smettere di scrivere [nel senso che dovrei smettere certi pensieri] /1: il palio dell'assunta

e quindi sembra che al[la nobile contrada del] bruco abbiano sfilato il drappellone, mentre se ne stavano andando a festeggiare.
se possibile ancora più beffardo a quel che accadde nella carriera dell'assunta di trentannifa esatti.
io c'ero.
si andò laggiù con l'amico luca [nel senso di un altro amico luca], che mi coinvolse in questo titillo. allora si era un po' accomunati, eravamo due addolorati d'amore. ovviamente non della stessa fanciulla. però eravamo sostenuti nei nostri patemi di effluvianti d'amorosi sensi non corrisposti da lei, l'adulta del gruppo dell'oratorio. con lei ci si sfogava, ovviamente in momenti diversi. e lei ci consigliava, ci blandiva, elargiva la sua dotta saggezza di donna adulta, capace di carpire dal capapace di ragazzine con sguardi verso altri, che noi eravamo quelli giusti per loro: ognuna al suo pretendente, ovvio. insomma, ci convinse e noi, boccaloni, a regalarle i nostri patemi.
comunque.
si partì coll'espresso delle 23.27. quello che arrivava fino a roma. si cambiò a firenze, indi per siena. non ricordo come si arrivò a rapolano terme, nei dintorni del capoluogo. il posto donde abitavano i nostri ospiti, parenti dell'amico luca. del pernotto si era fatto carico lui: ci penso io, non preoccuparti. il fatto è che non trovammo i parenti, che se ne stavano in vacanza. non ricordo come si risolse la cosa, ho rimosso i conciliaboli e l'organizzazione del da farsi per ovviare al fatto che due regazzini - l'amico luca ancora minorenne, peraltro - erano a rapolano terme e non sapevano dove passare la notte. e così che noi si finì proprio a siena, vicino al centro storico, in una casa piena di riferimenti al bruco - nel senso di contrada - anche se non ricordo esattamente in che relazione fossero con l'amico luca. però al figlio più piccolo della famiglia ospite, appena più grande di noi, avrebbe toccato l'onore per quel palio, di essere il tamburino appunto del bruco - sempre nel senso di contrada - quello che avrebbe fatto la sfilata storica e sceso in campo per la sbandierata finale. nel mentre all'amico luca sentii dire, un po' sollevato per aver trovato un tetto: noi si sbagliò tutto stamani che si doveva fare in altro modo. al che accaddero due cose:
  • rimasi talmente colpito da quel "noi si sbagliò tutto stamani", che non avevo mai sentito utilizzare, soprattutto da lui, con l'uso sofisticato del passato remoto, che cominciai ad usarlo pur io. dapprima con circospezione. il bloggggggghe, millemila anni dopo ha fatto il resto;
  • io mi sentii, di colpo, un sostenitore acceso del[la nobile contrada del] bruco.
bruco che, peraltro, allora era la contrada nonna*. quella che non vinceva da più tempo. erano passati dall'ultima volta tipo gazziGlioni di palii. i nostri ospiti ne sentivano quasi il peso morale, ormai diventato insostenibile, ne facevano quetione ferale, una damnatio memorie all'incontrario cui erano vittime i giovani contradaioli incolpevoli, e per certi versi orfani, una iattura: essceè una generazione di figlioli che un sa 'osa signifi'hi vincer un paaaalio.
quell'anno poi, quel palio, quell'assunta, sembrava potesse essere la carriera giusta. arrisi dalla sorte era toccato loro pytheos, un cavallo giovane, forte, forse un po' inesperto ma un fulmine. loro s'erano scelti il fantino giusto: cianchino, uno che sapeva il fatto suo. si erano spesi una fottia di soldi. era la volta buona. la sera prima, l'amico luca, mentre sdraiati ci si godeva il tepore gentile in piazza e si pensava ogni tanto alle nostre amate [per quanto non corrisposti] osservando la torre del mangia esclamò: "lei sa già chi vince domani, ma non ce lo dice".
si entrò dall'uscita dell'onda, l'ultima a venir chiusa - l'onda, che poi sarebbe la contrada di quella che poi diventò la moglie, nonché madre delle sue tre figlie, dell'amico luca, ma in quel momento era una cosa decisamente ancora lunga a venire.
ci si piazzò quasi davanti l'entrone. la piazza piena, eravamo in basso, ma sembrava si riuscisse ad avere la visuale su tutto il resto. il mortaretto, a dar il la all'entrata dei cavalli, mi scosse fin giù verso le budella. ci si avvicinò uno, con lo stesso drappo appeso al collo, completamente ubriaco. biascicò una cosa che capì solo l'amico luca: se al primo giro siamo davanti, noi si salta dentro, sul tufo, intesi?
della mossa, che si vedeva lontana, ma chiarissima, ricordo la sensazione mai provata prima. qualcosa che cominciava a tuoneggiarti da qualche parte dentro, giù nel profondo, per poi salire riverberando fino a sentire come se qualcuno ti agitasse, come si sbattacchia un albero da frutto, e nel contempo ti immobilizzasse. un fremito che non ricordo di aver poi sentito molte altre volte. qualcosa di insopportabile ma talmente adrenalinico che vorresti non finisse così, d'amblé. tipo quando poi partirono. solo che il rimbalzo di quarantazoccoli turbinanti sul tufo, era un rullare quasi inquietante, lontano ma che già sapevi inevitabile, sempre più vicino: in apparenza lentamente, in realtà in una manciata di secondi. pytheos e cianchino ci passarono avanti ad una velocità che non pensavo potesse essere una cosa simile, per un cavallo cavalvato a raso su del tufo. era avanti di due lunghezze, l'amico luca completamente fuori di testa. al primo casato, da solo ed in stravantaggio, cianchino strinse troppo, battè il ginocchio su di un colonnino - lo si vide bene, doveva far un male della maTonna. si scompose, andò a sbattere dalla parte opposta del selciato, si autodisarcionò ma ci impiegò un po' troppo prima di lasciar andare le briglie, e sparire chissà dove là sotto. forse rallentò un po' pytheos, che comunque ci passò di fronte scosso, ancora primo e sempre con un turbinare che arrivava a cavalcarti dentro. è che poi al secondo casato o giù di lì, si affiancò benito III, pure lui scosso, risalito come un ossesso dalle posizioni di rincalzo. e quindi nulla. si mise sull'interno, pytheos finì nell'immaginaria corsia più larga, quindi più tufo da calpestare. ci passarono di fronte due fulmini scossi, con la piazza che esplodeva, il rimbombo degli zoccoli sul tufo, uno scattering impazzito di sensazioni e sollecitazioni sensoriali che non riesci a concepire - prima e dopo - come riescano a farle compresse in così poco spazio, come quella piazza a forma di conchiglia, e in così pochi attimi, anche se ogni secondo pare dilatato come se il tempo fosse rivettato su di una membrana moooooooooolto elastica e deformabile.
vinse il drago, con benito III scosso. secondo pytheos. ma al palio arrivare secondo è peggio che arrivare ultimi. l'amico luca ebbe una specie di crisi di pianto rapida. tutto sembrava così assurdo e così inimmaginabile. una cosa del tipo: vi prego, rifatelo subito di nuovo. quel contorcimento di budella non l'avevo mai provato. di nuovo, vi prego.


giunsero voci di cianchino chiuso dentro un androne, col ginocchio sfatto, ed alcuni contradaioli ad attenderlo fuori con un'unica idea, semplice e precisa: menarlo.
giunsero voci di scontri tra brucaioli e draghini, cosa che scandalizzò i puristi: non ci si menava, dopo, per una vittoria mancata.
con l'amico luca, cincischiando a zonzo per il centro storico, finimmo nei pressi della sede del drago, oltremodo in festa. decidemmo di entrare, dopo aver nascosto per bene il fazzolettone del bruco in tasca. se l'avessero scorto chissà che minchia avrebbe potuto accadere. bevemmo del vino che arrotava la papille, circondati da contradaioli già piuttosto ebbri e decisamente ubriachi, non solo di felicità.
lì dentro non ci accadde nulla di spiacevole. non si accorsero dei nostri fazzolettoni, che noi si era del bruco. non se ne accorsero, ed io ancora una volta pensai che non poteva accadere. ci era dovuto. mi era dovuto.
le cose, ostentavo a pensare trentannifa, era piuttoso ovvio che avrebbero dovuto mettersi come mi ero immaginato no?
da lì ad un mese avre iniziato il quinto anno di superiori. quindi l'università. sarei diventato ingegnere elettronico. avrei vissuto a milano, in una casa confortevole, piano alto. naturalmente sposando la fanciulla che, dettaglio, doveva solo prendere atto dell'ineluttabilità fossimo fatti l'uno per l'altro, ma era solo questione di aspettare il tempo l'aiutassero a capire. avrei avuto tre figlie, che avrei ritratto in una sequela di bellissime et amorevoli foto scattate con la mia reflex ed il mio parco obiettivi di tutto rispetto: tutte foto incorniciate a riempire una parete della casa confortevole piano alto. sarei stato felice, appagato, realizzato, benestante, con un lavoro di responsabilità, che mi avrebbe regalato grandi soddisfazioni, e in cui si sarebbe acclarato la mia bravura et insostituibilità: un'ascesa sociale grazie all'istruzione, la mia voglia di farmi il culo ed una più che discreta intelligenza, soprattutto logico-matematica. sarei ritornato al paesello, assieme alla famiglia, con l'auto monovolume e comoda, per la processione di pentecoste: in onore alla tradizione e la mia fede indefessa et cristallina. forse sarei anche ritornato a vedere un palio. magari non dall'interno della piazza, ma da uno dei balconi che vi si affacciano. e avrebbe vinto, in quell'occasione, il bruco.
insomma. quali altre sorti magnifiche e progressive?
ecco.
la vita poi è quella cosa che succede quando sei intento a far un sacco di altri programmi. è una citazione un po' storpiata, mi sa.
e così di quella checklist ad oggi risultano azzeccate:
  • la laurea in ingegneria, per quanto non elettronica. anche se gran parte delle storture cominciano proprio da lì: ancor prima di iniziarla, l'università, avevo intuito che quella non sarebbe stata la laurea che più mi si confacesse. quel giorno del palio, non avevo ancosa subito la sberla innamorevole delle mondo umanistico**;
  • vivo a milano, finché potrò permettermelo. e ci vivo in una specie di esilio volontario, dove posso confondermi come perfetto sconosciuto. solo in mezzo alla moltitudine. per uno scherzo del caso vivo [in affitto] a pochi centinaia di metri dove abita la fanciulla. solo che lei sta all'interno della recinzione delle vie private della zona residenziale, dove abitano nemmeno i benestanti, ma quelli ricchi [in attico di proprietà, ovvio]. lei peraltro di figlie, ne ha effettivamente fatte tre.
e così, dopo la notizia della sconfitta al fotofinish di questo palio dell'assunta, non son riuscito anon pensare al palio dell'assunta di trentannifa, perso per un cianchino così stupido da chiudere in quel modo la prima curva del casato.
forse, a trovarci un forzatissimo fil rouge, era già tutto preconizzabile già lì. pytheos scosso, che si fa fottere la corsia interna da benito III. quasi beffardo. ed al palio arrivar secondi è peggio che arrivar ultimi. grandi possibilità. ma non si vince [mai]. anzi a volte è peggio che arrivar ultimi.
forse, a vederla bene, quell'elenco di cose mi [a]spettavano sarebbero successe [me lo si doveva] era un elenco piccolo-borghese. per certi versi roba nemmeno di ampio respiro. un'esistenza incasellata nel dettami socio-riproduttivi, dettati anche da un paradigma invero banalotto.
ci ho pensato spesso, al fatto se effettivamente così mi sarei sentito in qualche modo realizzato, o qualcosa che gli si approssimasse. e non mi sarei prodotto in svariegatissime contumelie, come scusa per potermi lamentare. nelle forme e nei modi previsti dalla fantasia giaculatoria.
mi sono anche chiesto se tutto questo, tutto questo metter in dubbio l'eventuale realizzazione, non sia una variante della classicissima la volpe e l'uva.
ma è esercizio inutile. e soprattutto emotivamente faticoso. specie in giorni come questi. per quanto giorni adattissimi, così pieni stanchezza interiore e svuotati di elementi construens, a far sgorgare zampilli di pensier come quelli. esercizio inutile perché è andata in altro modo. e non ci sono controprove a cosa avrebbe potuto succedere se. credo che l'unica variante fondamentale sia la partenità mancata. un totale cambio di paradigma. per cui ho la sensazione non mi riesca di immaginarmi - davvero - il come se. oltre al fatto, savasssannndddddirr, che son giorni come questi in cui diventa ancora più inconcepibile immaginarsi genitore. nel senso che la percezione di inadeguatezza, anche solo pensando al come se, quasi si sostanzia, come un bolo che ha consistenza reale.
son pensieri che ancorano al passato. che così, pensiero inutile dopo pensiero evitabile, sassolino dopo sassolino, si fa sacca pesante. si fa zavorra così difficile da portare, faticoso pure quello. continuando a guardare indietro, per inferire chissà quali proiezioni e conclusioni, conseguenza dopo effetto, di un futuro inevitabilmente nefasto: per il semplice fatto saremo tutti morti, giù là in fondo nel futuro.
mentre ci sarebbe da vivere, assaporare, serenizzare, scopare, felicizzare, contemplare, apprezzare, godere, inspirare, abbracciare, armonizzare, baciare, regalare, esserci nel presente. oggi. adesso. qui.
mentre quelli son pensieri che obnubilano et abbagliano. e distolgono dal farti percepire anche gli sparuti elementi positivi, il bello, la stilla di felicità che ogni fotuttissimo giorno da qualche parte viene nebulizzata.
penso a quello che [di un po' ovvio] desideravo. quasi che quello che fosse giusto dovesse essere per forza quello, in quella forma, in quella declinazione. e con questo tirarsi sopra la testa le coperte dell'alibi. e smettere di cercare altre forme ed altre declinazioni.
che poi sarebbe questa la sconfitta più segnante.
che poi sarebbe la cosa che, in questi giorni, non riesco a smettere di fare: perdere in un modo così segnante.

dovrei smetterla con questi post [perché dovrei smetterla con questi pensieri da sconfitta segnante].

* la [nobile] contrada del bruco sarebbe rimasta la contrada nonna per altri sette anni. vinse la carriera dall'assunta del novantasei. guardai quel palio in tivù, con al collo il fazzolettone di quel primo palio da brucaiolo. saltavo, urlavo, e mi dimenavo come nu pazzo da solo davanti la tivvvvvvù. la sera uscii a zonzo per il paesello con il mio fazzolettone, raccontando a chiunque che non si era più la contrada nonna. il giorno dopo partii per la vacanza più brutta, triste, umiliante, da dimenticare di quel che mi è capitato di viver fin qui. ovviamente non l'ho scordata. quanta dignità si può infilar sotto la suola delle scarpe, per correr dietro una donna [che non è la fanciulla di cui sopra]. donna che, peraltro, in quegli anni non ha fatto altro che percularmi, facendomene solo sentir l'odore [figurativamente, ovvio] e financo da molto lontano. [per quanto, quando uscì dall'acqua con quel costume bianco diventato quasi trasparente, che poi mai più re-indossò, mica solo a me parve non esattamente di immaginare i capezzoli ampi sui seni che mostravano compiutamente la loro compatta rotondità, ed il contorno non proprio glabro del pube. fu ulteriore sofferenza. per i desideri repressi che scalciavano come ossessi dentro. e nel dubbio mi girai, ventre a terra. mica cominciassero a scalciare anche fuori]

** in quel viaggio, mi portai appresso i promessi sposi, lettura commentata, compito per le vacanze. non sapevo che da lì pochi mesi mi sarei scoperto così innamorato della letteratura. ricordo che via via a don rodrigo si metteva male, via via prendevo speranza che la fanciulla stesse per scazzare col suo mezzo fidanzatino dell'epoca, cosa che poi avvenne in effetti - dopo aver finto la lettura de i promessi. solo che si ri-mise assieme ad una altro, che non ero io. in maniera molto meno sentimentale ricordo anche nel viaggio di ritorno lo stavo leggendo seduto per terra, vagone piuttosto pieno. quando arrivarono e si piazzarono lì accanto due donne, giovani, ma decisamente mature per noi. leggevo, ma alzando lo sguardo me lo ritrovai a pochi centimetri dalle coscie di costoro. una delle due aveva un vestito con una fila di bottoni sul davanti. la distanza delle asole generosa, il tessuto piuttosto lasco. insomma: cominciai a leggere con pause sempre più ravvicinate, anche perché, ad osservar di sguincio tra le pieghe, i pieni e vuoti che si creavano, si spalancavano visioni di porzioni di coscia sempre più importanti. quando appurai portasse l'intimo bianco un po' mi passò la curiosità. e mi rimisi a leggere più concentrato.

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