Tuesday, August 6, 2019

volare bassi, nelle fantasie da bambino

che poi non è che io abbia sempre avuto questo rapporto un po' complicato con l'autostima.
anzi.
mi si sono accesi i riflettori dei ricordi, quelli di parecchi anni fa. è successo mentre rincasavo, ed ascoltavo alla radio un approfondimento sulla giornata ad hiroshima. che poi sarebbero settantaquattro anni dalla prima bomba. in effetti quel bombardiere che volava alto, molto in alto, solitario, non destò tutta questa gran preoccupazione nella contrarea nipponica. quali danni poteva fare, volando così in alto e tutto solo?
quando pochi giorni dopo la resa del giappone arrivarono gli americani, i medici esclamarono: finalmente siete arrivati, vi aspettavamo. voi saprete come si curano queste ustioni che non abbiamo mai visto prima. l'avete provocate voi, avrete anche pensato al rimedio, no?
ecco.
quella fottuta bomba colpi molto il mio immaginario.
e quindi oggi, come spalancandosi i gate-keeper della memoria, mi è tornato in mente 'sta cosa qui, della mia infanzia. e che non è che volassi molto basso, nel considerarmi in potenza. delle cose che avrei potuto fare, dico.
pescavo a piene mani nel mio bel lisergico doppelgänder buono [posto che tecnicamente esista una cosa del genere]. soprattutto in quel che avrei fatto.
quindi mi immaginavo che da ingegnere spaziale costruivo un macchinario, invero piuttosto voluminoso, una specie di TBM però più piccola. il titolo di studio me l'ero assegnato, nel senso che l'avrei conseguito, pensando mi si addicesse bene. e che così sarei stato equipollente ad uno dei direttori di una delle basi in cui trovava ristoro e manutenzione uno dei robot che salvava la terra dai cattivi di uno dei cartoni animati giapponesi che si guardava allora. e con cui si sognava. e come ingegnere spaziale avrei costruito una macchina, che avrebbe eliminato le radiazioni che ancora se ne stavano, mendaci e venefiche, ad hiroshima. nei momenti di maggior espressività artistico-dadaista addirittura ci attaccavo il pezzo che era mimino potessi fare per quelle persone, visto che facevo che io ero stato adottato, e facevo che il mio papà era il pilota dell'enola gay. non ero ancora arrivato così avanti nell'analisi che tutto ciò era l'epifenomeno, solo nella mia testa, di una certa inquietudine e scoppiettanza interiore. e nemmeno così attento al dettaglio che quello vero di padre, che già diventò veramente mio padre piuttosto in età avanzata per quell'epoca, quando sganciarono la bomba di anni doveva ancora compierne nove. poco adatto ad essere il comandante dell'enola gay.
comunque, sì, insomma, pensavo che avrei progettato e costruito il TBM-RRR [risucchia radiazioni residue]. folla plaudente al mio passaggio sul catafalco, che regalava aria finalmente salubre, e si portava appresso tutti i nucleotidi instabili rompicoglioni. per quanto allora non dicessi le parolacce e non sapessi si chiamassero nucleotidi instabili.
credo ci siano due corollari interessanti, a latere di quelle [tra le tante] fantasie. che portavano in nuce un paio di altrettante questioni, ben acclarate et riverberanti nel presente e da tempo.
la prima è che son sempre stato radicalscìc di sinistra. perché mi godevo gli applausi degli astanti nucleotidiinstabili-free. ma in fondo pitturavo fantasie in cui, in modo sui generis, molto originale suvvia, mi prendevo cura di altre persone. I care, insomma. uno dei verbi più belli della lingua inglese. che non è per far l'esterofilo forzatamente, ma rende meglio nella sua succinta essenzialità. sì. insomma, non mi meraviglia nemmeno più di tanto intuire, ora, che di sinistra son sempre stato. I care è uno dei fondamentali per quel che intenda essere di sinistra, giù nel profondo fondante. non è l'unico, ovvio. e tutto questo dà un senso di pacata-ricentratura. una cosa del tipo: io sono questa cosa qui. [e che in questo momento non saprei esattamente per chi votare, nell'acquitrinio del contesto presente, è solo un effetto collaterale del fatto la classe dirigente chedovrebbedirsi-politica è mediamente meno che mediocre, nel suo ontologico pezzottamento. mediamente, figurarsi la parte bassa della [opulenta et ciccionissima] pancia della gaussiana.]
la seconda è che allora già stavo edificando muraglioni robusti, su cui installare lo iato tra quello che desideravo e quello che poi - ragionevolmente - sarei stato in grado di fare. un differenziale che nemmeno lo spread dell'autunno duemilaundici. qualcosa di comparabile all'inflazione in germania nei primi anni venti. anche alla luce - ex-post - di pensare di iniziare a muovere i primi passi, a provar a colmar un cicin quello iato, prendendo la direzione sbagliata. a cominciare dal fatto non sia un ingegnere, dentro. anzi, tutt'altro.
e quando allargano chilometricamente le distanza tra l'idealità delle cose che si immaginano da bimbi, e i primi sparuti tentativi di gigioneggiarle - la fottuta complessità delle cose, che poi si chiamerebbe anche vita - si entra nel ben noto et conosciuto et autolimitante circolo vizioso.
si perde di slancio. e quindi si arranca. e il differenziale si allarga e come nei cartoni animati finisci a divaricar le gambe, che i bordi dove poggi i piedi si allontanano. una cosa tipo vuiilllilcoyote.
e così via.
e tra l'altro 'sta cosa diventa spunto per una fottia di post variegatamente lamentosi.
però.
suvvia.
c'è stato un periodo, in cui io ero quello che sarei diventato colui che avrebbe ripulito hiroshima dalle radiazioni.
promettevo bene. decisamente bene.
e mi fermo qui, 'stasera. [tipo concludere una canzone in accordo di settima]

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