Sunday, August 18, 2019

post che dovrei smettere di scrivere [nel senso che dovrei smettere certi pensieri] /2: il novecinquantotto di lighting bolt

e quindi sono dieci anni esatti - più paio di giorni - dal record di bolt, ai campionati mondiali di atletica del duemilanove.



a differenza del sedicoagostoottantanove, quando a piazza del campo c'ero, il sediciagostoduemilanove a berlino non c'ero.
me ne stavo già in quel di lipari, vacanza omaggiata dall'amica donata, ospite premurosa. donata che tanto volle bene all'amico daniele. solo che i due non si incastravano così alla perfezione. [è verosimile che altri incastri riuscissero fin troppo bene. ma in casi come questi è sempre bene non dimenticare che:
  • uno degli incastratori è l'amico daniele, grandissimo mastro di chiavi e di incastri;
  • scrivo e ironizzo perché naturalmente sono molto invidioso di lui.
]. poi l'incastro andò avanti per altri mesi. da quel che percepivo molto trascinandosi. e sempre da quel che percepivo era riuscito solo nel volgere delle poche - lisergiche - prime settimane loro.
tant'è.
insomma, si era a lipari. avevamo attraversato l'intiero stivalone con la punto hsd dell'amico daniele, equipaggiata con le gomme invernali. fu un viaggio piuttosto faticosetto. parcheggiammo direttamente nel porto di villa san giovanni. appena saliti sull'aliscafo per lipari riuscii a tener aperti gli occhi per pochi attimi. indi mi schiantai.
insomma, si era a lipari. e non si guardava la tivvvvvù. l'internette sul telefono non c'era ancora. e quindi non ebbi contezza, immediata, di quella finale sovraumana. e quel tempo che chissà quanto tempo ci vorrà ancora prima riescano a tirarlo un po' giù di tempo.
però ebbi contezza di un'altra cosa.
da lipari ero d'accordo mi sarei mosso per il nord della calabria. a far qualche giorno di altra vacanza coi miei soci. lei e lui. lei e lui nella casa al mare dell'ex di lei. ex di lei che l'anno prima mi ero scorrazzato pure lui a lipari. che ero da solo, povero ciccio, così mi titillò col suo buon cuore [e forse quel zzzzzic di coda di paglia] la socia, sua ex, che l'aveva mollato per l'altro, colui che poi divenne socio [nel primo semestre dopaminico loro, convinti a non far figli, fecero germinare l'idea di un'azienda. e qindi tutto quell che ne venne fuori, con me coinvolto]. ex che si erano comunque lasciati bene. la cui presenza era stata nel frattempo sdoganata da parte del socio, per nulla geloso dell'ex della socia. tanto che lei, la socia, ex dell'ex che prestava la casa al mare, me lo comunicò garrula che ci sarebbe stato l'ex, che "sì, siamo in quattro". ed io, un po' sorpreso, per quanto l'opzione fosse in predicato - per quanto poco probabile - mi sentii rispondere al telefono "ehhhhssssì. solo a me riescono certe cose".
e lì, in quel momento, sentii un lievissimo cccrick. la nota sbagliata, a non usare l'alterazione prevista dalla partitura, di un unico strumento nel pieno del fortissimo finale di una marcia maestosa, eseguita da una banda di molti elementi. la nuance nel bouquet di un vino che preconizza che, da lì a qualche giorno, quello stesso vino avrebbe cominciato a saper di tappo [maramaldeggio questa similitudine. considerato non abbia la più pallida idea dell'odore di un vino che sa di tappo]. il soldato che, al presentat'arm di tutto il reggimento al nuovo comandante, impugna il fucile quelle due dita più in basso. l'accenno di pennacchio di fumo, che sbuca non previsto in basso a destra, nella foto panoramica costruita alternando pieni e vuoti con precisione ossessiva.
insomma, quel qualcosa che la mia amata socia sapevo sarebbe stata in grado di fare, mi suono all'orecchio come un ccccrick, appena percettibile.
forse era il rumore di qualcosa che cominciò a rompersi, pocopocopocopocopoco. o forse fu il fruscio del pensiero che mi scappò, senza me ne rendessi conto. un pensiero apostata, irrispettoso, disarmonico che mi si parò di fronte quando fini per conclamarsi: "già, lei e il 1) partner attuale, 2) quello passato, 3) quello sublimato. autocompiacimento nel veder realizzato il desiderio di controllo. piccolo delirio d'onnipotenza". un pensiero che s'era insinuato come di vita propria. che chissà da dove partiva, da dove se n'era venuto, perché l'avevo pensato, perché mi risultava così fastidioso - mostrava pur sempre una critica nei confronti della mia amata socia - e nel contempo così inevitabile, non più ri-spedibile al mittente.
ma in effetti fu proprio il duemilanove dove emersero in nuce quelle istanze, che poi avrebbero deflagrato più in là. con tutte le conseguenze del caso, ed i riverberi amari, e tutti i rivoli. per quanto eterei. pure questo post, ad esempio. forse erano già in nuce prima. solo che io non ero ancora così avveduto da accorgermene e distinguermeli per bene.
l'anno era cominciato sotto i peggiori auspici economico-finanziari-industriali. ascoltai un servizio della tivvvvvù da servizio di fine anno - 2008 - dove oramai stava venendo giù un po' tutto. recitava una cosa del tipo: finisce il 2008, anno terribile, e il 2009 fa già paura prima ancora che inizi. io nella mia sgangherata protervia pensai: sarà pure un anno di merda, globalmente, ma sarà l'anno in cui noi faremo il botto.
ed invece il duemilanove fu quello in cui si depositarono per terra tutti le mollichine di pane con cui capire che per me, in quell'aziendina, sarebbe finita male, e le batoste mi avrebbero segnato. molto. forse troppo.
mollichine di pane del tipo:
  • si strutturò l'istanza che io, comunque, avrei dovuto consumare gazziGlioni di momenti a fare le cose, variegatamente informatiche. e 'nnnnnntuuuucuuulo le considerazioni tipo
    • noi parliamo dell'azienda anche quando siamo a casa;
    • c'è sempre il pensiero di come far quadrarei conti;
    • è come se fossimo al lavoro ventiquattore al giorno.
    per un'ora di strategia commerciale, incontro con improbabili partner [che io poi incrociavo sempre in seconda battuta, e spesso timidamente suggestionavo: ma quello lì? ma dobbiamo fidarci di costui? sì, sì. ci pensiamo noi, tranquillo], idee pensate e progettate, calate un po' dall'alto, ne corrispondevano molte, molte, molte di più di realizzazione. non era responsabilità di nessuno, ovvio. ma proprio la natura delle cose, e la struttura del realizzato. che stava a me realizzare. tra me e la socia, poi, sempre stesse fatture [l'altro, vi è da dire, mai fatturò alcunché];
  • fatture, poi, quando arrivavano. i risparmi, pur risparmiando il risparmiabile, si assottigliavano. ed io cominciai a entrare in certi loop di pre-paranoia, pur di non spenderli inutilmente [a metà febbraio finii a roma, ad incontrare una conoscente di blogggggghe, ospite ne "il mio locale è piccolissimo, ho solo un letto matrimoniale, se non ti fa problemi". non ne parlammo esplicitamente, ma l'idea di finire a letto non esattamente per dormire aleggiava nella testa di entrambi. per quanto lei non si fosse mai mostrata in viso completamente. errore da principiante. andai a roma con biglietto a/r preso con i punti frecciarossa. biglietti chiusissimi, sarei dovuto tornarmene con quello del tardo pomeriggio del giorno dopo l'arrivo. quando mi si presentò di fronte, stazione termini, il primo impulso fu di cercare di tornarmene indietro immediatamente. non lo feci. un po' per evitare di rimbalzarla così plasticamente. un po' perché l'idea di spendere altri soldi per un biglietto mi bloccò. fuggii dall'appartamentino la mattina dopo con una scusa, dopo una notte imbarazzatissima tanto mi repelleva. furono diciotto ore tremende. cazzeggiai poi per roma per altre dieci ore.];
  • mi resi conto, nemmeno troppo tra le righe che eravamo sì la maggioranza dell'azienda, noi tre. ma ero finito nel cul de sac di essere in minoranza della maggioranza. non foss'altro perché quei due condividevano lo stesso tetto e il medesimo letto, oltre che - ciascuno - le mie medesime quote. tornai a roma per due giorni di formazione, pagati profutamente - fatturava l'azienda. lavoro sub-appaltato da un contatto della socia. andai, infilato in una situazione un po' improbabile. cercai ospitalità da un amico, che stava ben al di fuori del GRA, a due ore di mezzi dalla sede del corso - per far risparimare l'aziendina. cercai di far del mio meglio. fu durissima. e non me ne tornai del tutto soddisfatto. complessivamente il corso ebbe feedback poco lusighieri, su di me più che discreti. il contatto si lamentò, chiedendo uno sconto. io mi mi risentii e chiesi di parlare con costui e spiegar le mie ragioni, e raccontargli le cazzate organizzative che erano riusciti ad inanellare. non me lo permisero: il cliente ha sempre ragione, mi dissero. la vivetti come un'inutile umiliazione. la mia assertività che faceva sscccreeepp-sckkkrepp sotto i loro involontari piedi.
poi sì, c'era la storia con la socia. e quel ccccrrick quando la sentii vantarsi sommessamente al telefono. ed il pensiero importuno. la socia. di cui probabilmente mi ero innamorato nove anni prima. ma la mia austostima era così evaporata in quel periodo, che nemmeno pensai per più di qualche attimo che avremmo potuto viverci una storia. per quanto allora fossi alla disperata ricerca di una compagna, madre dei miei figli. e quindi il tutto si sublimò in questa bellissima amicizia. pensavo, davvero, lei fosse una delle persone più importanti della mia vita. quando mi propose di entrare nella compagine della sua nuova azienda mandai un pensiero alla sua vecchia socia - aziendina precedente - che nonostante il viso accattivante, l'occhio chiaro e le tette grandi e sode, aveva avuto l'arditeza di mezzo-sfancularla. come aveva potuto lasciar andare un'occasione del genere? occasione che ora toccava a me. solo un paio di anni prima quel duemilanove mi ero sentito lusingato, felice, onorato mi avesse chiesto di affiancarla. il mio stare in quell'azienda aveva senso perché da lei era arrivata la proposta, c'era lei, potevo lavorare con lei.
poi uno dice che non avevo bisogno di odg.
il fatto è però che, dove esiste un masochista, esiste necessariamente un sadico. e viceversa. i due, da soli, non possono esprimersi nelle rispettive cifre stilistiche. per quanto in sedicesimi. per quanto senza che ciò risalga fino alla quota zero della coscienza.
certo. immagino che anche lei - a suo modo - ricambiasse l'affetto. come però costei intese fin dall'inizio il nostro rapportarci, deflagrò qualche mese dopo.
un piccolissimo punto angoloso e, soprattutto, di non ritorno.
avevo appena cambiato casa - invero grazie al sostegno, suggestioni, consigli dei soci - avevamo appena consegnato l'ennesimo progetto che avrebbe cambiato le sorti dell'azienda [gazzigLioni di mie ore lavorate, tanto per cambiare].
insomma, percepivo fossimo ad un punto di svolta.
solo che il tutto svoltò dall'altra parte.
la sera che festeggiammo la consegna del progetto, a casa di costoro, capii in maniera chiara quel che io ero per lei, come mi considerasse. uno cui era concesso, octroyer, la sua amicizia e la sua capacità di tener vivo, ridente, appagante un rapporto amicale. era merito suo, se eravamo così amici, continuavamo ed avremmo continuato ad esserlo.
non fu un ccccrrrriiik. fu uno stttttuuummmmmpffff intimamente geologico, da personale tettonica a zolle che veniva giù.
tecnicamente l'azienda, per quel che mi riguardava, finì in quel momento.
ricordo che cominciarono a suonarmi dentro acufeni a creare accordi dissonanti.
ricordo l'amaro in bocca che percepii distinto, e come prima cosa, la mattina dopo quando mi svegliai.
ricordo che per alcuni giorni faticai addirittura a guardarla, mentre le rivolgevo le minime parole necessarie.
ricordo quanto fu difficile tornare ad una normalità nel rapportarsi. altri lavori incombevano, altre appuntamenti, altre istanze da risolvere.
di lì, comunque, è stato un lento, inesorabile, frustrante, inevitabile sgretolare verso la fine. e verso il fallimento di un progetto che prima che aziendale, era stato umano, interpersonale.

che poi è questo quello che - ancora - oggi mi disturba.
il senso di fallimento, le difficoltà, la fatica, le millemigLioni di ore passate su di un piccccccì, sono passate, buttate alle spalle.
il senso di precarietà ed afasia finanziaria, invece, ha lasciato qualche reliquio in più [ancora adesso, continuo a tenere un braccino molto più corto di quel che sarebbe utile, armoniosamente, fare. probabile che tutto ciò abbia attecchito su di un terreno già dissodato e fertile di suo, per lavorii pregressi. solo che è montato in maniera un po' ipertrofica. ed ancora non sono riuscito a de-strutturare. sì, insomma, non ho un rapporto del tutto rasserenato col denaro].
quello che però è ancora, molto, tanto, troppo, segnante è il rimestio nel ritornare a pensare alla delusione personale. ma soprattutto la rabbia per aver consegnato le chiavi della mia serenità, e di parte della mia salute interiore, a persone che non lo meritavano in maniera così sfrontata. persone molto più mediocri di quel che si credono. sopra le media, certo. ma non così tanto distanti come si ponevano, o si pongono.
e quindi non so qaunto possa aver senso prendersela con costoro, ovvero più che con me medesimo. quelle chiavi gliele consegnai io. loro mi chiesero molto di meno.

ma ancora è un ribollio di pensieri inutile, dannoso, tossico.
e non tanto perché si rimane ancorati al passato, come la storia del palio dell'ottantanove.
quanto perché ho la vaga sensazione che questo osti all'assorbimento. che poi sarebbe una delle metafore che più azzeccò - per me - odg. il non riuscire a cogliere tutto quel che di buono ho costruito negli ultimi anni, il positivo della congiuntura, la possibilità cominciasse a tradursi in una struttura [positiva]. come se fossi incapace di individuarlo, osservarlo, intercettarlo, accoglierlo, accumularlo. "lei è come se avesse un problema di cattivo assorbimento, come se non riuscisse ad assurgere le proprietà nutrizionali e necessarie degli alimenti. e per questo si trova scarico di energie [positive], stanco, incerto sull'agire. incapace di prendere in mano definitivamente la situazione", mi cazziò più o meno così. e per me fu illuminante.
ecco, ho la sensazione che quei pensieri all'indietro, l'amarezza, la delusione che non sono riuscito [ancora] ad espellere del tutto, siano come tossine che se ne stanno lì, paciose ed inamovibili. e non lasciano entrare il resto. tutto quel fluire di cose costruttive. mentre, di nuovo, son qualcosa che obnubilano et abbagliano. e distolgono dal farti percepire anche gli sparuti elementi positivi, il bello, la stilla di felicità che ogni fotuttissimo giorno da qualche parte viene nebulizzata.
oltre al farmi scordare la cazzimma che sono stato capace di tirar fuori. allora, nonostante tutto, come ora. cazzimma che adesso, peraltro, viene anche discretamente remunerata. la colgono gli altri, là dentro. il contrario di quel che faccio io.
che invece lascio correre via. e non riesco invece ad assorbire. troppo ricordante a rimestare, rivoltare quel che è stato. quel che è venuto.
e mi ritrovo stanco, nel senso più profondo del termine. e disorientato.
e in balia delle cose e degli eventi. come se non aspettassi null'altro che la definitiva sconfitta segnante.

dovrei smetterla con questi post [perché dovrei smetterla con questi pensieri da sconfitta segnante].

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