Saturday, August 10, 2019

qualche idea sparsa qua e là /3 - le macerie, e chissà cosa ci aspetta ancora

e quindi vorrei finire 'sta logorrea sulle macerie.
avevo iniziato qui, ma poi ero andato lungo.
quindi volevo chiuderla qui, ma sono andato lungo di nuovo.
provo a raccontarle, e del perché mi sembrano terribilmente attuali.
avevo visto loro /1, dietro consiglio di odg. l'avevo trovato bellissimo, ma vecchio: quasi uno psichedelico et onirico documentario. glielo scrissi. "dotterè, ma questo sorrentino qui si è adoperato magnificamente, ma in una cosa passata, è stato superato ahilui dagli eventi. mo c'è il governo del cambiamento. mi danno un senso d'inquietudine che levete. ma ormai han dato il benservito a lui e loro". non le scrissi esattamente così, c'è pur sempre un setting da rispettare ed una cifra stilistica che esco solo con lei.
però, comunque, mi mancava di gustarmi loro /2.
ci andai un venerdì sera, inizio giugno. ero stato alla festa della radio, avevo ascoltato un paio di dibattiti interessanti. il caldo era gentile. la settimana non era stata nemmeno così pesante. mi sentivo quasi felice, leggero, gaudente nel sapermi consapevole stessi riuscendo a cogliermi quei titilli positivi.
arrivai con un po' di anticipo. ben prima dello spettacolo precedente. era in cartellone da qualche tempo, immaginavo non ci fosse la fila per entrare, quindi mi aspettavo di veder uscire poca gente. mi sedetti fuori dalla sala, mi misi a leggere, godendomi la combinazione favorevole di quelle ore, di quegli istanti.
poi lo spettacolo terminò, e uscirono in effetti in pochi. la cosa che mi colpì subito fu il come. in silenzio, quasi sgomenti, viso terreo e sguardo un fisso lontano, come a cercare di rimettere insieme i pezzi, mentalmente.
mioddddddddio - dissi tra me e me - e che so 'stefacccccce? è il film di sorrentino. ho visto la prima parte, e quella funanbolica narrazione amarognola nella sua tragicomicità. non riesce nemmeno ad essere volgare dal grottesco che si fa quasi reale. qui sembra abbiate assistitvo al finale tragico di una drammaturgia inconsolabile, inevitabile.
entrai nella sala, quasi vuota, scegliendo un bellissimo posto - possibilmente lontano dagli altri, sparuti.

e difatti, pampampampam, marò, che inizio scoppiettante. sarà che lo stavo guardando su di uno schermo molto grande, invece sul monitor di piccccccì, scaricato dall'internette, una versione ripresa di sottecchi al cinema. loro /2 sembrava ancora più pirotecnico.
un proluvio di gnocchaggine pantagruelico, ma incastonate nella scena in maniera delicatissima [il balletto con cui coreografano cantando menomalechesilvioc'è è sublime. son riusciti a rendere godibile quella canzone, esagerando in modo perfetto. quella robetta che altrimenti non è che una cafonata musicale. mai avrei pensato di entusiasmarmi sorridendo, ascoltandola].
la sensazione che sorrentino e servillo siano due geni, egoticamente ed insopportabilmente strapieni di sé medesimi: ma due geni dell'arte cinematografica, non solo italiana.
elena sofia ricci che, nuda e non, è un inno alla bellezza femminile.
insomma.
un crescendo rossiniano, partito con loro /1, che sembrava dovesse far da rampa verso qualcosa che non riuscivo ad immaginare.
poi, di colpo, tutto comincia a sgretolarsi.
quello coi capelli di kevlar/servillo che posa assieme ai suoi ministri, la foto quando nasce il suo nuovo governo. il flash rumoroso della fotocamera, zzzzzot, che slava i colori della scena, altrimenti carichi, ad alto contrasto, verso lo scuro: da far sembrare il tutto quasi diabolico.
la rincorsa di tutto i due film è arrivata al dunque.
però in dissolvenza e in contempoeranea, la terra comincia a tremare. l'aquila, l'abruzzo, il terremoto. sorrentino non si cura che tra i due eventi, nella realtà, passino 11 mesi. in quel punto del film non c'è soluzione di continuità.
è la licenza d'artista.
o forse non è esattamente quel terremoto che gli interessava raccontare.
per dodicitredicesimi quel lunghissimo racconto è una specie di accelerazione, kitch e sublme, esagerata e armoniosa. pieno di nani e ballerine, vacuo, dis-valoriale, e quindi con una tristezza che s'insinua ogni tanto, nei brevi momenti di pausa. ma è comunque sempre accelerazione. poi di colpo, per quell'ultimo tredicesimo: bam. è una portellata in faccia, uno sganassone all'anima. il più perfetto e irridente degli anti-climax. come aver accumulato la carica erotica di mille preliminari, e finir improvvisi nella voragione del post-coitum, senza il coitum.
è un minutaggio breve, ma che sconquassa.
l'ultima scena, che sembra lunghissima, è di notte, senza musica di sottofondo. una gru, con molta delicatezza ed attenzione, porta in salvo dalle macerie di una chiesa crollata e pericolante, la statua di un cristo deposto, che a sua volta viene deposto su un drappo sulle macerie. un cristo bi-deposto, lasciato poi lì, solo.
e quindi inizia un lentissimo, straniante, ammutolente piano-sequenza su alcuni vigili del fuoco, che si stanno riposando, si rifocillano. seduti gli uni accanto all'altro, su un mare di macerie. hanno tutti il viso stanco, barba incolta, sembrano provati di una fatica che minaccia nessun riposo riuscirà mai a far passare. li intuisci impotenti, come se non fossero riusciti ad evitare tutto quello. guardano in camera, inespressivi e quindi lancinanti. nessuno dice nulla. tutti sono in silenzio. una scena pazzesca, che spiazza, ti tira dentro lo schermo e poi ti sputa fuori.
finisce così.
con le macerie.

ovvio che chi mi aveva preceduto era uscito dalla sala con quel silenzio rumorosissimo.

come me ne uscii pure io: in silenzio, quasi sgomento, viso terreo, sguardo un fisso lontano, cercando di rimettere insieme i pezzi, mentalmente.
convenendo su di una cosa.
che quel fottuto sorrentino non era in ritardo, ma in anticipo.
nello scriverlo, dirigerlo, montarlo, non poteva sapere del governo del cambiamento. ma aveva già inuito il senso di inquietudine che levete. il governo del cambiamento era l'epifenomeno del momento, che distraeva dal punto che non colsi dopo aver visto loro /1. ma che oggi mi pare ancora di più cogente. e quindi sorrentino ancora più in anticipo.
quello là nel giostrarsi tra la sua miriade di lacché, i loro, alla fine ci ha lasciato le macerie.
giù, nel profondo del sentimento, nell'antropologia di una nazione.
e quando ci sono le macerie puoi anche recuperare il cristo deposto, ma non puoi far altro che lasciarlo su di un drappo, in una parte esterna alla scena.
quando ci sono le macerie può succedere di tutto, e ricostuire è fottutamente ancora più difficile.
è un lavoro lungo, faticoso, doloroso. è travaglio complesso, che non si può improvvisare, per cui c'è bisogno della competenza della pianificazione, dello sguardo lungo: ancora più qualità nel pensare e nell'agire. e gli sguardi svuotati dell'ultima scena sembrano raccontare che per reagire, e venirne fuori, ci vorrà ben altro che da far passare la nottata.
costruire su macerie non si può.
perché se costruisci su macerie c'è il rischio che prosperi chissà cos'altro.
in questa crisi politica agostana [in cui lavoro in maniera invereconda, mi sembra mi sia esplosa la solitudine più inevitabile, non riesco a godermi nessun attimo, neppure un briciolo di mare] un po' 'sta cosa mi fa sudare freddo.

chissà cosa ci aspetta possa saltar fuori da quelle macerie.

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