Saturday, February 22, 2020

in effetti non è solo la storia del covid-19, che è ad un soffio di paura da qui [post solo un po' ad uso interno

ieri sera ascoltavo ottemmmezzo. poco più di un'ora dopo esser arrivato nell'hometown, e già con la sensazione che potesse non da escludersi il fatto di non tornare a milano a breve.
in quel mentre la gruber ha fatto una domanda a stefano massini [scrittore, che invero conosco poco-pochino]. interessante la risposta.


mentre ricordava della creazione - a suo modo rassicurante dell'untore, il capro espiatorio - mi ero già un po' intrippato con la prima parte della risposta. la storia cioè che ci fa paura quel che non controlliamo, che non sfugge ai nostri sensi, i mezzi con cui noi percepiamo la realtà.
non è una considerazione così originale. ma è punto fermo talmente essenziale, nella sua semplicità, che spesso ce la dimentichiamo, quando ne abbiamo mai preso effettiva contezza. è talmente fondante, basilare, che finisce sommersa dalle sovrastrutture del quotidiano, spesso una sequela piuttosto disarmante di bazzecolità da piccoli cazzi. che si lascia fermentare e farli diventare pesanti, ingolfanti, catalizzatore di sprechi di energie e cose così.
quindi è vero: non è una considerazione così originale. però credo sia utile ripescarla ed appuntarsela per bene. anche perché aiuta, modestissimo parere, a comprendere ancora meglio la fottuta importanza della conoscenza. e di come sia da intendere in senso dinamico: la tensione, lo sforzo, nell'adoperarsi per. un gerundio senza soluzione di continuità, per non smettere di far sì non si arresti. una specie di ragione di vita collettiva [massssssssì, dai, la sparo un po' grossa].
la conoscenza, quella specie di propaggine che estende il senso dei sensi.
il significante con cui avvicinarsi, un afflato dopo l'altro, al significato.
ed andare oltre i sensi, tendere al significato è un modo per far recedere le paure. che sono ataviche, ancestrali, archetipe perché sono state e sono fottutamente importanti acciocché noi si arrivasse fin qui. però far luce sulle paure serve per riconoscerle come tali. e quindi qualcosa per cui siamo un pezzo in più. 'ché se sei quel passo avanti puoi riconoscerle come parte di te, ma tu come qualcosa che sa trascenderle. anche la paura del contagio, giusto per tornare al fatto che il covid-19 è lì poche fermate di metro da te. non significa, sbruffoneggianti, ignorarne il pericolo in potenza. è aver contezza che affidarsi alla cononoscenza, condivisa, maturata, esperita, è l'unico modo per non propagare il virus della paura [un po' frase fatta, ma stigrandissssssimicazzi] **
sapere, riconoscere, fare luce. tutta roba che sa di illuminismo, ma che probabilmente è partito da molto prima, che quella cosa meravigliosa che è l'intelligenza collettiva, va da sempre in una direzione, tipo la freccia del tempo.
ribadisco, non sono cose così originali.
però fa bene ribadirsele, ogni tanto.
così come la certezza che nel concetto di conoscenza c'è dentro anche tutto il desiderio di consapevolezza. quel gran lavorio, quel tentativo emozionante di provare ad avvicinarsi al sé medesimo più profondo, nascosto e forse anche un po' disorientante. come [ri]scoprire il valore  all'esercizio a volte complicato, che è "sforzo, costanza, ripetizione, lentezza" per connettersi al proprio io. aiuta, anche solo [solo, odddddddio, è questione cogente] per mettersi in coerenza, sincrono, sintonia col principio di realtà. è un moltiplicatore di sensi, che si può starsene nella realtà se non esattamente centrati - che può essere financo quel filo duepallllle - con quella spolverata di eccentricità, che fa più interessante.
si dominano le paure.
ci si avvicina, quel che ci è dato, al senso. ed è una cosa bella, fa bene.

**[piccola epifania mentre rileggo il post, che poi che rilegga un post è un picolo evento. l'ho messo come nota, in fondo, per evitare di interrompere il flusso del ragionamento qui sopra. e poi è una specie di spin-off del significato del cuore del post. la piccola epifania  è questa: sarà per questo che è da qualche tempo che mi parte il bias carognoso verso svariegate forme di complottismo. le dietrologie che caricano come molle coloro con la pretesa di spiegarti come si sta al mondo, che loro ha capito più o meno tutto. sono surretizie prese per il culo: ci si alimenta, senza saperlo, delle proprie paure ancestrali e per esorcizzarle si pretende di usare un simulacro di conoscenza, che spesso si pensa puntuta e rigorosa. la forma didascalica e fittiziamente dotta della paura che qualcuno, il potere costituito, formale, non ce la racconti giusta, ci nasconda qualcosa. come se ci si potesse fidare solo del proprio scettiscismo, invero poco sereno e sano.]

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