Saturday, February 29, 2020

qualche considerazione sparsa /2 [a un tiro di sospiro da uno dei focolai, in una città moooooolto popolata]: debolezze e post un po' amaro

un paio di premesse, banali.
  1. questa è scrittura sicuramente autoterapica. non è solo questione del covid, ovvio;
  2. leggo, ascolto, mi informo, ragiono, mi emoziono, sogno [oniricamente]. è tutto questo miscuglio qui: un sacco di suggestioni che mi traguardano si agganciano a pezzi di ragionamenti di mio. si compendiano, si ri-editano, si condensano. quindi ogni tanto scrivo. tipo questo post. [in maniera metaforica un virus - dal punto di vista genetico - non fa una cosa molto diversa. però questo blogghettino lo leggono in pochi. quindi si limita la capacità epidemica]
scrittura autoterapeutica, quindi.
sono spaventato? no. perché il calcolo della probabilità è dalla mia parte, così come un sacchissimo di altre persone.
penso sia necessario fare le cose come fossimo in tempi normali? no. perché non siamo in tempi normali.
questo per tutte le ragioni che le persone studiate stanno ripetendo da giorni. l'elemento precipuo è: bisogna contenere l'epidemia. è l'unico modo per sconfiggerla [il fattore r0 deve scendere sotto il più possibile sotto 1, adesso è circa 2.5]. quindi lavarsi le mani più spesso [ho le nocche irritate, da quanto ci do dentro di frequente] e limitare la socialità. limitare non significa azzerare. però si deve abbassare la probabilità di contagiarsi e di diventare strumento di contagio. è autotutela nostra. è autotutela verso gli altri. e farlo in un'epidemia spesso asintomatica, paradossale ma nemmeno troppo a rifletterci, è un po' più complicato. perché potremmo essere veicolo senza rendercene conto. ridurre la probabilità in un contesto decisamente popoloso e ad un tiro di sospiro dal focolaio, che quindi chissà quanta gente, qua attorno, è infetta a sua insaputa.
è probabilità e ragionevolezza.

c'è anche altro, ovviamente.
credo che, variegatamente, questi tempi ci stiano facendo percepire quanto in fondo siamo limitati, portatori sani di una fragilità e debolezza di cui non siamo poi così del tutto consapevoli. non che sia un concetto così originale. ma ora è come se l'incedere delle cose ci abbia messo lì, qualche attimo a fermarci e guardarci dentro, variegatamente e comunitariamente. riusciamo a sentire l'eco della nostra intrinseca finitezza. e di tempo per farlo, volendo, ce n'è quel ciccino di più di prima. qualche pezzo di pensiero immagino sia venuto a chiunque, come a guardarci dentro assieme. e ci siamo accorti che potremmo scoprirci tenuti su con degli stecchini. sensazione che non mi è così estranea, quando appunto mi pare - ogni tanto - di esser tenuto su con lo sputo, per quanto nel mio caso sia spesso tutttttuncomplessodicose. posso capire che per un sacco di altre persone sia un'esperienza meno frequente. forse è per questo che ciò che ne esce non sia così piacevole: anche per il semplice fatto si è meno abituati. quindi meglio non pensarci, rifuggire quel senso di isolamento e di pre-pre-pre-pre-quarantena. e desiderare di tornare a far la vita normale, che siano apertivi o meno. solo che il rischio è quello di rendere quel filo meno efficace la limitazione del contagio. però, se così fosse, potrebbe essere quel filo più probabile che in quarantena ci debbano poi finire molte più persone. e quindi è un po' una specie di possibile contro-reazione positiva. o effetto valanga.
ed in quel caso, è piuttosto probabile, non saremmo esattamente pronti. come sistema paese, a cominciare dal sistema sanitario. che in lombardia sarà pure l'eccellenza non solo d'italia. ma [non è un'opinione personale, ascolto gli interventi di gente decisamente più informata e capace di me] funziona bene, financo in modo eccellente, in una situazione di variegata ordinarietà. potrebbe collassare in maniera importante in una situazione di puntuale straordinarietà. perché mancano posti letto per un isolamento eventualmente necessario, ancora di più di isolalmento in terapia intensiva, per non dire di medici, infermieri, pesonale sanitario che potrebbe non essere in grado - temporaneamente - di operare, per il semplice fatto di essere stati contagiati. quanto siamo prossimi o meno alla puntuale straordinarietà probabile nessuno lo sappia. è certo la si possa escludere di meno rispetto a una diecina di giorni fa.
anche per questo non sono tempi normali. comunitariamente. qualcuno ne sta già subendo più di altri le conseguenze. io continuo a lavorare [e guadagnare] lo faccio in una sede distaccata. piccolo paradosso molto meno sbadta, a pranzo arrivo con appetito, nel contesto normale è capitato mangiassi perché era ora, senza averne granché lo stimolo. ci sono stati periodi in cui, per decantare, ho ridotto la socialità di mio. ma io sono solo io. ascolto, leggo, mi raccontano di situazioni molto più complesse, complicate dal periodo. quindi quello che sarà necessario fare, che dovremmo andare a fare nei prossimi giorni, settimane, impatterà in maniera diversa: peggio chi è meno tutelato, protetto, in balia di situazioni meno controllabili e gestibili. tutto di colpo l'effetto anche per come è si evoluto [involuto?], precarizandosi, perdendo pezzi di tutele, il mondo del lavoro. anche in questo caso non è una considerazione poi tanto originale. di nuovo c'è che, nei tempi non normali, un sacco di persone ne stiano subendo l'effetto, contemporaneamente. e si scateneranno, variegatamente, effetti più o meno a catena, chissà per quanto tempo ancora.

siamo un sistema debole, per millemiGlioni di cause tanto o poco concatenate fra di loro. che lo si sia non significa debba venir giù tutto. potrebbe succedere, è vero. anche se forse è più probabile non sarà così.
un piccolo mantra che ho ascoltato da più e più persone - tutte molto più studiate di me - è che quando sarà passato il peggio non ci si dimentichi del perché si sia arrivati a percepirla e misurarla quesa debolezza. specie per quelle questioni strutturali, declinate in un sacco di modi, del sistema paese. e si cominci a pensare di porvi, magari partendo dal rimettere in discussione alcuni paradigmi che stanno andando per la maggiore da qualche diecina d'anni [venti, trenta, quaranta] [butto lì quel paio di cosette da nulla: il sistema sanitario come bene pubblico, le tutele per tutti i lavoratori]. roba insomma da portare l'orlo del baratro più in là. non tanto perchè ci si sposta uscendo dai tempi non normali. ma perché si costruisce roba solida, oltre i territori di sicurezza che calpestiamo adesso. che molto deboli e fragili siamo, più o meno consapevolmente.
è una piccola speranza. nel senso che sarebbe una cosa grandiosa. non sono così fiducioso avremo la maturità, comunitariamente, di pretenderlo, obbligando la classe dirigente politica di farsene carico. anche questa è debolezza.
poi, ovvio, prima o poi ne usciremo. resta da capire con quanti bozzi addosso.
di sicuro qualcuno ne avrà molti più di altri. in parte è inevitabile. in parte è un amaro in bocca ex-ante. anche perché, se fossimo stati meno deboli, la distanza tra gli estremali sarebbe stata di certo più limitata.

No comments: