Sunday, February 16, 2020

piccolo post pre-pre-pre-pre-creativo [ad uso interno: la tensione pre-pre-pre-pre-pre-artistica]

questa notte ho fatto un sogno, tra le serie di sogni al solito pirotecnici et laocoontici [è che al mattino ti svegli stanco, anche perché è un po' faticoso tener in piedi tutti quei sogni così].
insomma, c'è stato questo sogno che forse è stato pre-pre-pre-pre-epifanico.
ho sognato che un collega, un consultente, uno dei più disponibili e proattivi ci siano là dentro - è per questo non farà mai carriera - mi prestava la sua fotocamera. era una canon, come quelle che usa lui. e va bene fosse un modello D[saLaMatonnnaCheAltroC'eraComeModello], anche se sono i modelli della nikon. ma suvvia, era sempre un sogno, non si può mica pretendere una certa coerenza. era un fotocamera fica, con ottiche ancora più fiche. ed io ci facevo foto, ritraevo persone, in quel che poteva essere un'approssimazione del lungolago della mia hometown. la cosa interessante era che, già mentre scattavo, sapevo sarebbero state belle foto, apprezzate. ed era roba mica da mettere sul feisbuch o sull'instagrammo e pigliarsi qualche laich. no, no. apprezzate come si apprezzano le foto di un fotografo cui è riconosciuta la propria abilità. e questo apprezzamento, esattamente di quel tipo, lo sentivo come connaturato al mio essere, al ruolo propriamente riconosciutomi. nemmeno roba di cui andare fiero, menarsela, alitar sulle dita quasi chiuse quasi a pugno e quindi mimar di lustrarsele tra la spalla ed il torace. e tantomeno [soprattutto] per cui vergognarsi, come fosse spacconeria saccente ["chi si loda, s'imbroda" mi ammoniva la nonna paterna,con azzeccato portato educativo, nonché consolidante la mia autostima].
insomma, ero un fotografo. lo sapevo e questo mi era sufficiente. ne ero pregno nella consapevolezza consolidata che non deve dimostrare granché altro.
sufficiente e pregnamente consapevole nel domino del sogno, dico. e per sogno si intende la declinazione onirica del trambusto che, più o meno costantemente, mi porto appresso.
è stata una bella sensazione, per quanto confinato dentro quel pezzo di sogno.
sogno, tra le serie di sogni, che è una specie di perlina di plastica colorata da inanellare, per costruire quella collanina delle emozioni di queste settimane. l'ultima.
ed alcune di quelle prima sono omologhe a quella sensazione che mi ha portato a mettermi a frignare sulla tazza der cesso, giusto una settimana fa. quando leggevo dell'adoperarsi, del lavoro, del creare della protagonista di un romanzo [bello, davvero]. che non sono così diverse dalla sensazione, rasserenante e di soddisfazione, di quando un incastro si combina nel modo giusto a veder così luce tra i meccanismi, o la serratura si apre. specie quando leggo, osservo, mi raccontano di gente che ha creato qualcosa che sia una qualsivoglia oggetto artistico. a sublimare un significato che ti sgorga dentro e non si può far altro che declinare in un significante, che si sostanzia nei millemila modi possa accadere.
è come se quando mi raccontano, osservo, leggo di questa gente percepissi una specie di sintonia ex-ante. e la luce che traguarda i meccanismi dell'incastro fosse: quella è una direzione possibile. come la limatura di ferro che racconta come sono disposte le linee di forza del campo elettromagnetico. o come il ruscello di montagna che, alimentato sempre di più, ad un certo punto ramifica in quel rivolo, inevitabile, e così tutta la portata idrica che da lì in poi passerà da quella parte.
è una serie di piccole perline colorate, che ogni volta se ne inanella una è inspirare d'aria fresca, in tutto questo florilegio di polveri sottili di quest'inverno.
e l'ultimo tassello, l'ultima perlina in ordine di tempo, è questa consapevolezza mentre mi adopero con una fotocamera fica. per quanto dentro un sogno.
chi crea, realizza, sostanzia un qualcosa di variegatamente artistico [qualsiasi cosa significhi], lo presenta come tale, lo fa con il supporto di un ego più o meno robusto, senza per forza sbrodolare nell'esagerato o patologico.
io son venuto su con l'eco dell'ammonimento della nonna paterna, non tanto a causa sua, ma tuttuncomplessodicose che quell'ammonimento sembra l'abbiano fatto riverberare per bene.
poi questa notte ho sognato di fare foto.
consapevole.
come fosse riuscito a spegnerlo un pochino quell'eco. per quanto dentro un sogno, che forse è pre-pre-pre-pre-epifanico
[senza dimenticare, peraltro, che esistono gli pseudomini, o le realizzazioni anonime].

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