Saturday, August 29, 2020

sulla dimensione [forse] frattale del verbo 'accontentare'

avevo deciso che oggi avrei risolto la questione della scarpa grossa. questione aperta, come la suola dello scarpone destro, quando un campo di felci ne ebbe la meglio, che la via si era smarrita (1)

quindi mi adopero, che per me è sempre una piccola conquista.

primo negozio, niente.

secondo negozio, niente. però mi consigliano di andare al terzo, di negozio.

il terzo negozio non è esattamente comodo da raggiungere senz'auto. valuto che potrei tornare a casa, pigliarla, e andarvicisivici col mezzo proprio. oppure arrivarci coi mezzi pubblici ed un po' di strada a piedi. il mio riflesso pavloviano ed io scegliamo la seconda opzione. d'altro canto sono dentro la nuova ossessione [temporanea](2) che il ritorno significa dover cercare parcheggio. nei pressi di casa, sotto proprio non e ne parla.(3)

metro-tram-piedi, costeggio lo stradone dove corrono le auto che sciamano verso la brianza. arrivo al negozio. trovo lo scarpone. sto per comprare altro, poi ci ripenso. esco dal negozio e mi avvio per il ritorno. decido di raggiungere il tram percorrendo una via diversa dall'andata.

ne viene fuori un'esperienza davvero interessante.

il cielo è grigio, minaccia pioggia, si sentono tuoni lontani. cammino per quel contesto urbano che ho sfiorato per qualche anno, anni indietro. è fendere diritto il zizzagare dei confini tra due città della prima cinta di periferia di milano. un pezzo di via è un comune, quello dopo è l'altro. il contrario poche vie parallele più in là. un continuo di strade che si somigliano tutte, palazzi figli di un'urbanizzazione che è venuta su come è venuta, ma molto meglio di molte zone di milano. erano comuni rossi, quelli. è cinta di periferia e lo era fabbriche storiche, importanti: lì diveniva sostanza, urbanizzata, il concetto di classe operaia. e chi amministrava ne era consapevole, forse da paraculo, ma ne era emanazione. lo percepisci un qualche senso di organizzazione e di intuizione profonda di chi ha regolato quell'espandersi importante. lo intravvedi anche se hai studiato altro. ora è qualcosa che in qualche maniera ha trovato[?] una nuova identità, così come ne sono cambiati gli abitanti. ora che non c'è più la classe operaia propriamente detta. ma si è tutto nebulizzato. e chi amministra è ben altra cosa. ma è comunque una sensazione strana, come se trasudasse l'orgoglio di una zona popolare molto fiera di esserlo. non sono posti belli. sono posti cui però ci si può affezionare, e sentirvici parte. poi non sarei del tutto onesto se non ribadissi che dove vivo è altro, e sono ben contento di starci. e cercherò di allontarmici il meno possibile. i vialoni larghi di qui intorno e la toponomastica ad angoli acuti è altra cosa. e la preferisco, eccome se la preferisco. ma la fierezza degli alberi il proud che si coglie in quella serie di incroci e palazzine più appiccicate la capisco bene. e merita tutto il rispetto che gli si deve.

insomma.

ne viene fuori un camminare che si porta appresso una piacevolezza sottile, un po' malinconica - vero - ma anche po' rasserenante, come questa cosa qui di questo personalissimo zeitgeist. e tutto sommato capisco che lì, in quel momento, va benissimo così. è un attimo che non mi meraviglierei scoprire, un domani, come qualcosa che sarà nostalgia. anche se è solo camminare in mezzo a quel pezzo di due città, prima cinta di periferia della metropoli. è un sommarsi di attimi a cui passo in mezzo, sentendomi ben presente e consapevole a me medesimo di quello che va bene, anche per il semplice fatto non vada male. non ostante tutto. non ostante la gioia sia veramente un'altra cosa. non ostante non riesca a non percepire  un bordone di fondo flebile, ma che c'è, che sa di sottilissima ma inevitabile tristevole malinconia. nostalgia per un qualcosa perso per sempre.

e così mi viene il dubbio. è una questione di riuscire o lasciarmi accontentare?

perché accontentare è un verbo strano, complicato da maneggiare. a seconda di come lo coniughi agisce in maniera anche dicotomica. fa andare il senso del periodo, il tocco di esistenza che racconta in direzioni molto diverse. come si portasse dietro la capacità di generare una stampa lenticolare del contesto che narra. la guardi da una parte e ti appare una cosa. la guardi dall'altra e ne compare un'altra. e forse la sintesi sta in una dimesione frattale, in mezzo alle due, che è negata a noi banalissime creature incerte.

quindi anche il dubbio è da stampa reticolare, ragiono, mentre ormai sono prossimo alla fermata del tram, sul bordo del parco nord, sto attraversando il cavalcavia pedonale sul vialone. un dubbio che non mi lascia esattamente indifferente.

mi chiedo se stia ottimizzando oppure sprecando delle risorse.

perché può essere che mi stia riuscendo, in questo periodo, di utilizzare al meglio le possibilità offerte dal divenire. ci scorrono sempre accanto tocchi di situazioni che possiamo sintetizzare per far sì siano cosa buona et giusta. sempre. ci sono persone che sanno intuire la sperenza nei posti più disperati. e se la fanno germogliare dentro, e saperla trasmettere fuori. o cose tipo il cactus e quel che riesce a fare con l'umidità dell'aria riarsa del deserto: che poi quando piove, ma quanto cazzo son belli i fiori che riesce a magnificare. quindi vivere il momento di camminare in mezzo a quelle vie - bruttine, suvvia - dopo aver acquistato la scarpa grossa. e provare una specie di serenità e verosimiglianza approssimata di felicità, per quanto blandissima. e percepire che va bene così. anche per quanto sia bravo ad ottimizzare.

però può anche essere che mi stia facendo andar bene il succedaneo di un qualcosa che basterebbe agire un pochino, e sarebbe altra vita. per viversela in modo ancora migliore. che basterebbe scrollarsi da la sottile inedia ignavica, per osare un po' di più. che potrebbe essere lì a portata di mano: però bisogna fare. non è una questione di intensità di morsi da dare alla vita, figurarsi. ormai comincio ad avere una certa età. ma che stia sprecando l'ammonticchiarsi congiunturale di contigenze, di possibilità, di risorse che in questo periodo mi sono [ancora] disponibili. anche le consapevolezze. non è stato sempre così. non sarà sempre così. forse sto lasciando fuggire qualcosa, perché ho paura di mettermi in moto, prima che in gioco. una cosa imparentata con la parabola dei talenti.(4) e lascio andare a dispetto mio e [soprattutto?] di o degli altri. è lo spreco che non [mi] va bene.

riesco ad accontenarmi perché sono bravo a dissetarmi con il vapor acqueo? oppure mi lascio accontentare sprecando l'acqua che sgorga accanto, che basterebbe unire le mani a coppa e così far fiorire il deserto lì intorno?

ho la sensazione siano corrette entrambe le figure della stampa lenticolare. e la sintesi stia lì in mezzo. in una fottutissima dimensione frattale. da conquistare pure quella.

 

scarpa grossa

 

1) se non si era capito è una specie di citazione, talmente alta, che fa un po' pisciofuoridalvaso.

2) a proposito di adoperarsi, sarà così fintanto che non avrò il tagliandino [annuo] per parcheggiare all'interno delle strisce gialle dei residenti. solo che io non sono [ancora] residente. una volta lo si chiedeva, era gratis: avevi solo il fastidio di doverlo rinnovare ogni anno. ora si paga, e non è una cifra simbolica. una volta acquistato spero di fuggire la tentazione di dividere la quota annula per il numero di parcheggi nelle strisce gialle. salterebbe fuori un rapporto imbarazzante di eurI a parcheggio.

3) il dettaglio del di come andarci non è per acclarare le mie nevrosi. bensì è un dettaglio importante per la psicopippa di questo post.

4) sono agnostico da più di vent'anni. ma la parabola dei talenti non mi lascia indifferente. affatto. anzi, forse è così proprio perché mi sono scoperto agnostico. ho studiato altro. ma ho la vaga sensazione esistano eccome elementi di etica comparativa di quel brano, in altri testi antichi. come se il messaggio profondo non sia solo un titillo da ansia da prestazione dell'interpretazione dell'evangelo [quando decisero come organizzare le scritture che dissero sacre, tra il 3° e 4° secolo], ma un memento da insconcio collettivo, che ci portiamo dentro. sintetizzato in diecine di secoli. come fossero radiofari che ci indicano: per tendere a farla migliorare, 'sta fottuta umanità, è necessario usare nella maniera più efficiente possibile le risorse che abbiamo disponibili. cosa che peraltro potrebbe spiegare benissimo un atomo di idrogeno, con gli stati degli orbitali per il suo elettrone più probabili, perché energeticamente meno dispendiosi: si fa così, perché è la cosa più efficiente ed essenziale che la natura ha inventato.

Wednesday, August 19, 2020

la sposa del mare [post che sembra malinconico, invece è che ho variegato nelle mie nevrosi da inesperto]

 e quindi oggi ha compiuto gli anni l'amica Marina.

ed è significativo come cambiano le cose. tanto che stamani mi chiedevo: eppure questa data mi ricorda qualcosa. poi ci ha pensato il signor feisbuch a ricordarmi cosa avrebbe dovuto ricordarmi.

minchia.

il compleanno dell'amica Marina.

la cosa interessante è quando compì gli anni millemila anni fa. avevo appena terminato il servizio civile. mi ero regalato qualche altro giorno giù in riviera. sarei rimasto nell'alloggio degli obiettori a sbafo, a godermi qualche giorno di mare in più. mi ero guadagnato il benestare del responsabile della truppa decisamente variegata.

soprattutto dovevo festeggiare l'amica Marina. di cui ero follemente innamorato. o almeno credevo di esserlo. quando la conobbi pochi mesi prima mi colpì per l'esuberanza ed il modo di fare molto solare [per quanto con quel velo appena accennato di saudade in fondo l'occhio chiaro]. mi piacque, ma pensavo che mai mi sarei innamorato di una così. qualche tempo dopo sognai che ci spovamano, e a me 'sta cosa procurava - nel sogno - un discreto senso di angoscia e smarrimento. per non dire del soffocamento. non che non mi risultasse simpatica, in quella congrega di musoni. ma addirittura sposarla, così, senza provare quella roba innamorevole. il senso di angoscia me lo ricordo eccome. fottutissimo inconscio che aveva già capito tutto. su di lei e dove mi sarei infilato.

infatti poi me ne innamorai, passando prima per perdere la testa per un'altra, per un paio di settimane. costei, da un paio di settimane fece saltare una specie di tappo di cerume sentimentale. lei nemmeno se ne accorse. ma io capii che si poteva andare oltre la mia ossessione universitaria. fatto saltare il tappo ero pronto per lei, per Marina. solo che non è che me invaghii: mi ci trovai del tutto pescelessato.

naturalmente gestii la cosa come ho gestito quel genere di situazioni in quelle situazioni: di merda, facendo danni rapidi ed irreparabili. probabilmente c'era molta trippa per gatti. mi regalò un diario in cui aveva tenuto traccia di pensieri suoi su di me, di quando partivo per le licenze, di quando tornavo. in realtà me lo regalò dopo aver compromesso io le cose. la gestione di merda di cui sopra. ed io, pure recidivo, vidi in quel diario - e nell'emozione di leggere cosa aveva scritto di me, quasi chiedendomi: ma sta parlando di me? [poi uno dice che bisognava lavorare un po' sull'autostima] - come una specie di conferma del fatto ci fosse trippa per gatti. in realtà me lo regalò proprio perché c'era stata trippa per gatti.

le scrissi una canzone per il suo compleanno. feci pubblicare una lettera firmata nel giornalino dell'hometown che avevo contribuito a fondare qualche mese prima. la lettera doveva essere il biglietto d'auguri per la canzone e non ricordo bene quale altra minchia di dono le donai.

la canzone non credo si potesse annoverare tra i caposaldi del cantautorato italiano - totalmene rimosso dalla testa la melodia. il bigliettino-lettera firmata era moderatamente melenso, con una cifra stilistica molto più pesante di questo post.

la canzone non volle mai ascoltarla, "avrebbe solo complicato le cose", disse. del biglietto-lettera firmata rimase forse un po' imbarazzata. non so.

pensai a lei ancora qualche mese, una volta tornato a milano a cercare una specie di lavoro [quando facevo un sacco di colloqui e i lavori che mi proponevano mi sembravano tutti così facili e poco interessanti. ed io mi chiedevo: ma come, tutto qui? mi sono fatto il culo su cose complicatissime, sfide intellettive importanti e ora mi chiedete di adoperarmi per 'ste cagate? benvenuto nel mondo del lavoro e della formazione sovradimensionata e distopica]. ci pensai qualche mese, dicevo. poi un giorno scoprii che si era rimessa definitivamente col suo ex. stavo leggendo seta, di baricco. libro che già di suo mi stava convinvendo, oltre che melenso un po' oltre il sopportabile. ed io che reagii in maniera ancora più melodrammatica a quella notizia. [così tornai per qualche mese ancora, gli ulimi fortunatamente, alla mia ossessione pseudosentimentale dell'università ed un po' oltre. poi finì pure quella, esta vita nueva].

però. cazzo. la canzone ed il biglietto-lettera firmata, maròòòòòòòòòò. quelle furono vette davvero obnubilanti, tipo quando si va molto in alto e c'è poco ossigeno. ed un po' ti rincoglionisci.

in realtà, tutto questo, più per ricordare la menata dei tempi andati malinconici et autofustiganti, mi è sovvenuto oggi.

quando le ho scritto un uotsapp genetliaco, dopo la piccola epifania del perché la data mi suonasse non indifferente.

mi ha risposto che ogni anno attende con trepidazione il mio messaggio augurale.

mi è venuto da sorridere. 'ché in fondo in quel con trepidazione c'è dentro la sua cifra stilistica che già mi colpì allora. leggendo quel diario. solo che allora quella cifra mi suonava particolare, forse non del tutto convincente. ma ero innamorato - o quella roba lì, insomma - e quindi ci passavo sopra, e mi andava bene lo stesso.

oggi quella cifra stilistica mi si acclara per quello che è. un'eco di quell'angoscia del sogno, che più che verso di lei, era l'angoscia di come vivevo il post di quelle situazioni. situazioni che, per totale inesperienza e poca convinzione dei miei mezzi, sputtanavo con una facilità imbarazzante.

e soprattutto quella sua cifra stilistica mi pare quella di allora. mentre io ora guardo con una specie di sorriso e piccola soddisfazione il distacco da allora. e la consapevolezza che quella canzone era probabilmente una minchiata. e il biglietto-lettera firmata che aveva come titolo "la sposa del mare", un melenso tentativo di ri-acchiappare nel modo più inefficace una che avevo fatto fuggire, probabilmente perché intuì tutta la vibrante emozione che scatenava incotrollata e che avrebbe dovuto gestire, lei. solo che le cose che vibrano troppo fan venir giù le cose, telluricamente.

lei sta bene. ha sposato il suo ex, che naturalmente allora non lo era più ex. ha due regazzini. è ancora una donna solare, con quel velo appena accennato di saudade in fondo l'occhio chiaro.

io vagolo. con qualche consapevolezza in più. non ho più scritto canzoni. [però non è detto che non ci riprovi. dubito sarà per una qualche donna. quindi può tecnicamente funzionare].

cose così.



Sunday, August 16, 2020

quella specie di madeleine [una specie, appunto]

che poi, però, c'è la storia delle canzoni che le risenti, magari dopo un po' di tempo. ed è quella specie di botta da vuoto spinto lì, in mezzo allo stomaco. hai voglia a dire che non bisogna ancorarsi al passato. che vale anche il giorno dopo ferragosto, ma almeno con l'attimo presente in cui hanno smesso di girare i coglioni. che forse non è nemmeno quello, ancorarsi al passato dico

è che semplicemente il potere evocativo delle canzoni, di certe melodie, fa da presa diretta a quelle sensazoni che giravano allora. quando erano momenti presenti, e verosimilmente non ne si è colto che tutto fosse lì, in quel momento. un po' è inesperienza, certo. anche solo perché si era a due passi dall'esperire momenti decisamente più drammatici. e quando sei prima del punto angoloso, mica lo sai che davanti da lì a poco cambieranno i tuoi presenti.

ecco. una canzone fa un po' da tunnel spaziotemporale. e sei di nuovo lì, in quel coacervo di allora. che erano angoli nel presente pure quelli, anche se ora sembrano curve nella memoria [cit. con metrica sminchiata]. sei di nuovo lì. ma assieme sei anche qui. ed è tutto unito in questo scatolone che fa un po' camera delle meraviglie in miniatura. ed è tutto un mescio emotivo.

non sento gli odori, quindi da lì son tagliato fuori. non credo di aver il gusto così dettagliato - vedi questione anosmia - quindi non avrei potuto nemmeno cogliere la storia della madeleine. vista e tatto sono più selettivi. mi rimane l'udito. e 'sta storia che da lì passa la potenza pelledochesca della musica, con tanto di raffinatezza nel cogliere qualche dettaglio - forse.

c'è stato un periodo in cui pensavo che l'emozione che sentivo mentre ascoltavo alcune esecuzioni di musica - guardannnnpo' sacra - fosse una specie prova - indiretta - dell'esistenza di dio.

credo di vivere più sinceramente l'agnosticismo, ora. però quel trigger emozionale non mi è mica passato con [quella che consideravo] la fede. perché vi prescinde.

non è che si rimane solo impigliati nel ricordo delle cose andate, quelle che magari vanno a ripescare alcune canzoni. è che si possono usare le canzoni - quelle, altre, ce n'è quante se ne vuole - per costruire l'attimo del momento. che è - di nuovo - tutto lì, quello che serve vivere. come una specie di consapevolezza con una specie di colonna sonora.


doppio lungo inganno


Saturday, August 15, 2020

buon ferragosto a tutti [post un po' così, oooolddddsstaiiillll]

buon ferragosto a tutti.

ebbene sì. faccio lo sborone che adesso è quasi finito. quindi fanculo 'sto ferragosto. non che me ne importi più di tanto, dei ferragosto in sé dico, ma ne ho passati di migliori: e altresì di questo mi importa un po' di più. per quanto è un po' una giaculatoria che trova il tempo che trova. ed è sinceramente inutile. che ti lascia un po' ancorato al passato. cosa che sarerbbe saggio evitare. che a leggerlo sul libro, viene via facile. si capisce bene, è roba chiarissima. tanto che dici: mammmmmminchia, 'sta cosa già l'avevo intuita da mo. inutile guardare ad una cosa che è andata. meglio concentrarsi sul presente.

facile, a leggerlo.

poi però ti scontri con la fattività del momento qui ed ora del presente. ed il presente è qualcosa tipo il cancello che non si apre più col pulsante elettrificante. e tu finisci per smadonnare per due ore. quando invece pensavi di rimettere in riga il ferragostodimmmmerda fin lì, finendo di leggiucchiare un paio di libri. quindi oltre ad esssere un ferragostodimmmmmerda è stato anche un ferragosto in cui non sono riuscito a capire che cazzo avesse quel cazzo di cancello. giusto per smettere di dedicarsi al pensiero del passato. ad altri ferragosto.

e quindi vivere il momento presente, che è l'unico che conta vivere. però 'sti grandissimi coglioni che girano, proprio nel momento in cui è questo quello che unicamente conta. adesso.

cose così.

ogni tanto guardo l'instagramme. forse nei momenti come quelli presenti - da vivere nel presente che è l'unico che conta - forse sarebbe meglio anche non far scorrere il pollicione per lo svvvvuaiiip, e vedere questa infilata di foto vacanzifere dove tutti so ccccontentisssssimi, alternate a pubblicità di save the children, action-aid e cose strappacuore simili. che quindi sarebbe nel presente un alternarsi di cose che potrei fare, ma non riesco: sia delle vacanze propriamente dette, sia pensare di fare qualcos'altro nella vita, giusto per pensare ad alternative in maniera tale che in un futuro mi partano ontologicamente meno porconi, per un cazzo di ferrrrrrrragostoddimmmmmerda. che nemmeno proiettarsi nel futuro è molto saggio, come intuivo, come ho letto: facile capire anche qusesto. ma considerato il presente, che sarà pure la cosa più importante, ma in questo presente ho un giramento di coglioni parimenti ontologico. 

e quindi proprio in questo momento, l'unico che conta, mentre espiro-inspiro atomi di ossigeno ed azoto sintetizzati miliardi di anni fa - giusto per ricordarmi nel presente di quanto in fondo non si conti veramente un cazzo, non ostante l'incazzo ed il giramento di coglioni - ragiono anche sul fatto che in fondo pure questo cazzo di post è piuttosto inutile. [però per [in]coerenza continuo a scriverlo fino in fondo].

non serve a proteggersi dalle ondate del passato quando tutto [tuttotuttotuttottutto?] sembrava andare meglio - a cominciare dai ferragosti - né tanto meno sollevarmi eccessivamente dal pensiero financo un po' angoscioso del futuro. che andrà sempre peggio: in fondo in prospettiva saremo tutti morti.

non serve nmmeno, figurarsi, a farmi vivere più consapevolmente il presente. che continuano a girarmi i coglioni. il cancello non funziona, il mio ferragosto era giù sputtanato. ed oltretutto divento ancora meno simpatico, la cui compagnia divene meno gradevole ed evidentemente meno gradita. peggiorando situazioni peraltro già di per sé compromesse.

e quindi va così. in fondo a questo post veneficuccio, per una qualche ragione totalmente priva di fondamento, pensavo mi spettasse qualcosa di meno da fiato corto e tossico di quello del momento presente. quelle proiezioni del passato sul futuro, figurarsi. roba dei tempi andati, appunto. pensavo mi spettasse altro. sono solo un presuntuoso che non ha cazzo capito che tanto è solo una sequela di attimi presenti. che poi tutto è già tutto qui. [al limite a testa in giù. barba com'è e camicia improbabile] [che poi saranno un sacco di altri attimi, quando sarà momento presente anche la seconda ondata]


presente - per quanto coi coglioni a girare


Saturday, August 8, 2020

se la via non si trova...

stamani sono andato a camminare - moderatamente duro - in montagna. ci sono posti sopra l'hometown che mai ho visitato. ho deciso che bisogna levare alcuni di questi mai. ci sono andato solo. camminare in montagna è una cosa che continuo a far più volentieri in due, o in compagnia. poi si fa di necessità virtude.

volevo salire da una parte e scendere da un'altra. chiudere una specie di anello. o cercare di prendermi quanta più roba tutta d'insieme. come se ripercorrere la stessa strada - in salita e discesa - fosse una specie di occasione perduta.

e quindi arrivo dove pensavo di arrivare. improvviso una piccola appendice, spingendomi fino a poche centinaia di metri da confine con la confederazione elvetica. giro i tacchi delle scarpe grosse, comincio la via del rientro. arrivo al cartello che indica che per di qua si scende per dove ero salito, per di là si va per l'altra strada, l'anello, viversi quanta più variegazione possibile. solo che il cartello indica verso una distesa di felci, solo più avanti si vede il bosco, dove immagino si intuirà un sentiero. mi incammino. vedo il segno che ti racconta che il percorso passa di lì. due bande parallele, bianche e rosse, tracciate su un albero. solo che del sentiero non si intuisce granché. tento verso quell'impalpabile sensazione di terriccio che pare - pare - diversamente pressata, come a suggerire una via. lì sulla sinistra, a digradare appena verso valle, passando accanto ad una baita diroccata. nulla. finisco in mezzo a della rovaglia. mangio qualche mora, sento che lo zaino strappa qualche ramo alto. finisco per impantanarmi nel terreno molle del ruscelletto che scorre quasi invisibile sotto l'erba alta. no. non è quello il sentiero. torno indietro, digradando verso valle, verso il sentiero dell'andata. raggiungo il punto più basso della radura, dove sono sbucato con un certo orgoglio poco più di un'ora prima, al termine della salita. quando il sentiero era chiaro quale fosse. ed i segni bianchi e rossi lì a tinteggiare l'ovvio. [appena più sotto avevo appena incrociato un masso erratico davvero imponente. mi era sovvenuto un mezzo post da scrivere. magari un'altra volta.]. insomma. sto per riprendere lo stesso sentiero dell'andata. e poi mi dico: no, dai, riproviamo. salgo qualche diecina di metri, le felci sono tagliate lungo l'asse longitudinale. quel tratto è facile. sono di nuovo al cartello. mi rimetto a camminare in mezzo alle felci, nella direzione dove sembra esserci un percorso, come prima. però mi tengo più a monte. ad un certo punto incrocio quel che doveva essere una teleferica minimale. i cavi che affogano in un tronco. han messo prima i cavi. poi sotto l'albero è cresciuto. aveva tempo, nessuna fretta. se ne fotte del cavo, lo ingloba. quasi irridente, una cosa del tipo: disse il tronco al cavo della teleferica "dammi il tempo necessario e sei mio, mi ti mangio" [semicit.]. però un sentiero non può passare in mezzo a  'sta cosa qui - penso - deve passare più a monte, bastano pochi metri. alzo gli occhi: intuisco che appena sopra il terreno digrada in maniera appena diversa. quel pochissimo che serve per tagliar la pendenza irregolare, appianandosi in una pista largha non più di sessanta-settanta centrimetri. salgo di qualche metro. eccolo lì. e soprattutto ecco lì i segni bianchi e rossi. spavaldo mi ci involo. alterno dei pat-pat simbolici alla mia spalla, per averci voluto riprovare e per averlo trovato, all'attenzione a scorgere i segni bianchi e rossi. anche se ormai il sentiero è ben più che un'intuizione. ci sono interi passaggi con sassi messi a mo' di piccoli scalini, ed altri di taglio a delimitare la via da seguire. e dopo ogni segno bianco e rosso, un saluto con un entusiasmo e piccole cazzatelle che mi dico ad alta voce.

e intanto penso alla storia di quanto sia fottutamente importante, o fondamentale, avercela chiara la via da seguire. che non è esattamente come la storia della locomotiva, che ha la strada segnata. ma senza arrivare al bufalo che può scartare di lato e cadere [cit], aver l'indicazione che si va per di lì risolve un sacco di grandissimi cazzi. ed è vero, continuo con le minchiate del tipo: ed ecco a voi, sioorrre e ssiorrri, un altro segno bianco e rosso, ora andiamo subito alla ricerca del prossimo. e nel mentre  penso alle distese continentali di letteratura, poesia, escatologia, teleologia, mistica, mitologia è stata fatta da che esiste l'umanità, su 'sta storia della via da seguire e come sapere quale seguire, evitando quella sbagliata [al proposito definire giusto e sbagliato, please. possibilmente senza categorie morali imbarazzanti e stantie]. la simbologia che è il seguire una via, quella roba che ci porta da una parte ad un'altra. che poi sarebbe viverci il fatto di passare su questo fottutissimo pianeta. essere di passaggio, appunto. il viaggio parte della meta [cit]. e come quella banalissima esperienza dell'aver faticato a trovare il sentiero, e la soddisfazione per come riconoscerne - quasi istintivamente - i segni che la via è quella, oltre il corroborare colorato delle bande bianche e rosse. che lo davo per scontato fino ad un'ora prima, che non ci fosse problema a riconoscere il sentiero. e che quelle bande erano una specie di colorato di più. e che capita che le cose scontate smettono di esserlo.

insomma cose così. oltre che questo post in fondo si inserisce - a suo modo e miserrrrrrimamente - in  nelle distese continentali di cui sopra. alla voce: facezie.

nel mentre psicopippneggiavo e salutavo ogni segno bianco e rosso a voce alta, arrivo ad una baita diroccata. uno dei punti per cui avrei dovuto passare, stando ai cartelli di prima: quella baita è punto di diramazione di sentieri. e difatti lì ce ne sono altri di cartelli indicano due strade. devo prendere quella verso valle. per chiudere l'anello più rapidamente. comincio a sentire addosso un po' di stanchezza. ma di nuovo. il cartello ad indicare un campo di felci, totalmente non calpestate. mi avvio intuendo la dirazione. al principiar del bosco trovo i segni bianchi e rossi. ma e poi è ancora una piccola radura di felci. da che parte vado? comincio a cercare, ma non trovo più nulla. terreno che digrada in maniera gentile, ma nessuna intuzione di sentiero. nessun segno bianco e rosso visibile. cerco per un po'. torno all'ultimo sengo bianco e rosso - che ritrovo con una certa fatica - provando capire da che parte poter intuire la strada. solo felci, abbattute qua e là, senza logica di percorso - forse cinghiali. mi prende un po' di scoramento. di colpo arriva la stanchezza, forse anche il caldo della mattinata inoltrata che si faceva sentire tosto anche lì. sono quasi tentato dalla piccola avventura. so dove mi trovo, ho in mente com'è la mppa di quel pezzo montagna. so da dove sono arrivato e la direzione di dove devo arrivare. scendendo verso valle prima o poi incrocerei il sentiero con cui dovevo chiudere il mio anello: non può che essere così. sarei stato lontano dalle vallegge più irte, quelle dove si insinuano i riali. sto per provare a buttarmici, senza una pista, senza un sentiero. e prima o poi avrei di nuovo incrociato la via. inesorabilmente.

già. peccato mi accorga che mi si sta scollando la scuola dello scarpone. fino a venti minuti prima era una punta non del tutto appicciata al resto della tomaia. camminare in mezzo a quella distesa di felci deve essere stato dannoso. oltre che disorientante. ora due terzi ballano in maniera preoccupante. a mo' di ranadallaboccalarga. forse era meglio non rischiare di trovarmi lontano dai sentieri, con la suola completamente andata.

in maniera molto meno prosaica sono torno indietro, sul sentiero che avevo appena fatto. un po' deluso. sempre più stanco. con la ranadallaboccalarga al piede destro, che ogni tanto mi fa pure inciampare.

smetto di psicopipponeggiare. quando si attiva la modalità riserva si funziona in maniera decisamente più basica.

rifaccio la stessa strada. niente anello. sentieri più conosciuti. l'importante era arrivare.

ora, comunque, ho addosso quella stanchezza gradevole. me ne andrò a dormire sfatto ma sereno.

quali siano, a 'sto punto, i sentieri e come risconoscerli, continuerò un po' come prima. cercando di dare meno per scontate alcune cose. tipo.



Wednesday, August 5, 2020

di matrimoni sognati, ma mica tanto desiderati

e quindi niente.
la notte scorsa - tra le varie cose, al solito pirotecniche - ho sognato avrei dovuto sposarmi.
solo che la futura sposa mica la conoscevo. ed è stata una sensazione del tipo:
  • prendi grandi manciate di curiosità - chissà che personaggio è;
  • qualche goccia di angoscia - ma io questa mica la conosco, e come la mettiamo con la storia che è cosa definitiva [relativamente]?
  • spruzzate di arrapamento - beh dovremo anche trombare, possiamo vedere subito come ci viene;
  • agita per bene, e fai sì si amalgami per bene il tutto;
  • servi senza indugiare.
ecco. mi son sognato questa sensazione qui. insomma: non esattamente l'afflato carico di significato, di speranza, di fiducia nell'altro che - credo - accompagni chi accompagna il compagno o la compagna davanti a chi celebrerà l'unione. che è una celebrazione, appunto.
e poi la futura sposa mica la conoscevo. era mora, capelli lisci, piuttosto minuta. a dirla tutta per qualche brandello onirico si è messa ad assomigliare ad una che in effetti incrociai anni fa. [eravamo daaaaaaavvvvvvvero fatti l'uno per l'altro, dovete sicuramente conoscervi e frequentarvi - così coccodeccava col tono acuto la conoscente comune, cui venne l'idea e che organizzò l'incontro in cui ci conoscemmo. la conoscente comune: uno di quei fenomeni che incrociai nell'improbabilità di fare l'imprenditore di successo. con costei - non il fenomeno, ma colei che avrei dovuto frequentare - ci presi una birra. personaggio sicuramente fuori dal comune e non banale. ma rispose in maniera fastidiosamente affettata ad un paio di considerazioni che buttai lì, più con timidezza che risolutezza. alla fine della birra ero più annoiato e perplesso che incuriosito. figurarsi rapito. si dilettava a far teatro, frequentava un corso. andai a vederla recitare, facendole una sorpresa. metti il caso mi fossi sbagliato, la prima volta. stigmatizzò la meraviglia all'amica - il fenomeno - il fatto fosse troppo sui generis non l'avessi avvisata, capitando d'improvviso in quel teatrino per il saggio di fine corso. ed insieme alla meraviglia ci attaccò fosse preoccupantemente strano quel mio comportamento. no, non mi ero sbagliato la prima volta: meglio imparare a fidarsi di quelle vaibrescion iniziali. non la rividi più. ora dovrebbe essere sposata e con prole. auguri.]
insomma.
dovevo sposarmi con una che non conoscevo, verso cui non provavo il desideio di farlo, sposarmi dico. ricambiato, peraltro. c'era altro. non il desiderio.
può sembrare un sogno della minchia. specie se inserito nel solito ribollire multiportata delle mie esperienza oniriche quotidiane, nel senso di tutte le notti. però ci ho pensato tutto il giorno. anche mentre lavoravo come fossi là dentro. che oggi sono 99 giorni [lavorativi] che non sono là dentro, fisicamente dico.
ci ho pensato tanto, oggi.
e quindi mi è venuto da chiedermi quali messaggi abbia voluto consegnarmi il mio inconscio. suvvia. se mi sogna 'sti sogni, ed io ne rimango così colpito, ci sarà una qualche minchia di motivo.
azzardo alcune ipotesi.
potrebbe essere una specie di mezza risposta alla domanda che facevo tra me e me, propro la sera prima o solo quella prima ancora. facevo la domanda facendo finta ci fosse qualcuno, o qualcosa, ad ascoltarla [anche se sappiamo che non c'era nessun altro se non io ed io mio coinquilino]. e la domanda è: ma quindi è tutto qui? tenere botta [abbastanza] serenamente, nel mentre fatturare, in attesa di rimanere definitivamente solo, e che poi arriverà qualche rogna definitiva di salute, o qualcosa mi porti via senza rendermene conto. questo incedere di malinconica inevitabilità, di solitudini che si strutturano come si fanno evanescenti alcuni rapporti, con gli entusiasmi che si smorzeranno via via, ancora più flebili di quel che sono flebili ora, e qualche tappo sgasato che sussulterà qua e là? davvero è tutto una cosa così? che poi sarà peggio. quindi ringraziamo il cielo o chi per lui, acciocché questa cosa va bene, e zitto e mosca? nasci, lavora, consuma, crepa?
ecco.
una mezza risposta. potrebbe essere questa.
potrebbe non essere tutto qui. ma se matrimonio dev'essere, non con una cosa così. piuttosto solo. non pensare di cercare nella mediocrità di un rapporto con un'altra - per quanto ella magari per nulla mdiocre - l'ispirazione per cercare altro. per cercare un tocco di senso.
il senso non passa di qua. non passa per la carreggiata sgarruppata nel farlo così.
io non credo che il mio inconscio sia molto pratico di cose future. credo sia molto abile a cogliere il presente, captando tutti gli stimoli intorno, contestualizzandoli con quel che ha visto nel passato.
quindi ho fatto un songo che premonitora una beata minchia. ma che mette in guardia, e nello stesso tempo ti butta lì il titillo. tra le altre cose. dice da questa parte non venire. che un relazionarsi senza gran senso lascialo pure perdere. non sarà mica quella scopata gratis periodica che aggiunge chissà che.
se però vuoi prendere quella direzione, cerca altro. che relazionarsi con senso è ancora possibile. qualsiasi cosa significhi relazionarsi. che siano relazioni già rodate - che stanno evaporando - o nuove, non ancora immaginate.
certo: devi adoperarti per trovarle. e mantenerle.
adoperarsi. agire. fare.
di nuovo il punto dirimente.
[è ora di] smettere di fare il matematico delle barzellette. e cominciare a fare l'ingengere.

Monday, August 3, 2020

quando un ponte torna a ricucire i lembi che si tranciarono

i ponti sono bellissimi.
ne hanno costruito uno, che è sospeso tra il cordoglio della tragedia e l'orgoglio di averlo fatto [cit]. un elemento di raccordo tra le molteplicità che declinano dalla complessità - e dalla durezza - della realtà.
avevo scritto, in maniera un po' confusa quando era venuto giù quello di prima. avevo scritto in maniera quasi immediata quella notte stessa. ero scosso, colpito da quella cosa che in un attimo era venuta giù. un terribile punto angoloso, improvviso. ma un improvviso che è solo apparente: il logorio chissà da quanto tempo, la poca cura per la manutenzione. e di colpo vite, speranze, cammini, percorsi spezzati. mi era sembrato anche il simbolo di un paese che non riusciva a ritrovarsi. tra le altre cose. avevo messo tutto assieme, come la polvere che impastava la pioggia di quella mattina. ricordo la sensazione di amarezza che mi passava in mezzo. in quel periodo. quella notte. io che peraltro non avevo granché di che lamentarmi.
ma già leggevo, ascoltavo le storie di chi non c'era più, di chi era già stato sfollato. immaginavo cosa avrebbe potuto essere da lì in avanti, per costoro.
mi è tornata in mente 'sta cosa nemmeno dieci mesi fa. quando ci son passato vicino, a piedi, alle pile che stavano costruendo. quando attraversai il ponticello sul polcevera, passando accanto al ricordo di chi non c'era più. già con il segno del tempo che era passato: i fiori secchi, le foto con le plastiche a proteggere incartapecorite. era giornata grigia. mi sembrò che in quel preciso momento si fece ancora tutto più grigio, il vento più forte e più freddo.
o forse fu solo una mia impressione.

hanno costruito un nuovo ponte.
la decenza ha voluto che si evitassero manifestazioni spettacolareggianti. voglio credere che ci sia arrivati abbastanza da soli. e che le critiche da parte dei famigliari delle vittime siano serviti per rintuzzare sul nascere le sparute idee minchioneggianti, di qualche sparuto minchione. sarebbe già almeno una piccola lezione che ci si porta dietro. sperando non sia l'unica. [peraltro, solo una persona empatica come il PdR poteva oggi rendere giustizia ai famigliari, onorare la memoria di chi se n'è andato esattamente come è stato fatto].

il viadotto genova-san giorgio è sobrio, essenziale. fatto di acciao e forgiato col vento [cit.]. e credo sia bellissimo. è altra roba rispetto l'esuberanza ingegneristica di prima. spavaldo nell'uso così compresso del calcestruzzo. probabilmente un'esuberanza geniale - sono pur sempre un ingegnere dell'informazione, altro mondo, noi sia domina il dominio delle frequenze, non la statica. un ponte sicuramente emblema di un qualcosa che è stato un periodo esuberante, onusto di possibilità, a suo modo irripetibile. ma di cui alcuni cui strascichi propagano con la loro vetustà fino ad oggi.
da quello di com'era un paese.
a quello di com'è messo oggi.

che forse abbiamo bisogno di una cosa così. di una linea semplice, essenziale, ad andare ad unire le vallate, il levante con il ponente. forse è cosa unica per come è stato fatto, con quale velocità, con quale efficienza. il paradosso che si è dovuto derogare alle regole per riuscire a farcela, in questo modo, così. che ci sono quelle regole ingolfanti perché altrimenti non riusciamo, probabile, a non infilarci il losco, il malaffare, la creatività tossica. così speriamo - davvero - che a valle di un ponte così unico non salti fuori la furbata, chi ci ha speculato, chi ci ha guadgnato in maniera moralmente illecita. speriamo - davvero - perché sarebbe un'ulteriore onta verso chi ci ha sofferto davvero.

hanno fatto il ponte.
ed è una cosa bellissima, di nuovo.
il ponte unisce. collega porzioni dell'esistente con in mezzo qualcosa di difficile, che col ponte diventa sormontabile. cambia lo stato della possibilità delle cose. è qualcosa di connaturato alla possibilità di muoversi, di proseguire, di ovviare a tragitti più impervi e ostativi. [auto-cit.].

nel mio piccolissimo - suvvia una sbirciatina all'ombelico - è un po' una cosa uguale. meglio rispetto a quando venne giù l'altro. con alcune, malinconie. specie per alcuni rapporti andati, sfilacciati. che un po' mi mancano. un po' dovrei traversare la mia parte, un po' dovrebbero traversarla gli altri. un po' le cose passano. ne arrivano altre. intanto il tempo va. da piccoli insignificanti in fondo qual siamo, non ostante ci si pensi [quasi] al centro di tutto. e scivola via un po' di quella caparbia di fare. non so quanto è stanchezza contigente. non so quanto è roba tipo deserto dei tartari.

ed eccolo lì il ponte.
è la testimonianza di come sia cazzo dura la pars construens. quanta fatica ci voglia. quanto sia più lenta e quanta caparbia ci voglia [a proposito di caparbia millemilamiGlioni di volte di più]. ma si doveva fare e lo si è fatto. e credo sia la cosa importante. oggi pioveva, come due anni fa. poi ha smesso. ed è uscito l'arcobaleno. una cosa sospesa tra cordoglo e orgoglio. e forse financo speranza. per tutti. come quando c'è di nuovo un ponte.
c'è stato uno sfregio. ora il ponte ricuce i lembi. la cicatrice rimane.
c'è dentro il paradosso dell'esistenza.