Saturday, August 29, 2020

sulla dimensione [forse] frattale del verbo 'accontentare'

avevo deciso che oggi avrei risolto la questione della scarpa grossa. questione aperta, come la suola dello scarpone destro, quando un campo di felci ne ebbe la meglio, che la via si era smarrita (1)

quindi mi adopero, che per me è sempre una piccola conquista.

primo negozio, niente.

secondo negozio, niente. però mi consigliano di andare al terzo, di negozio.

il terzo negozio non è esattamente comodo da raggiungere senz'auto. valuto che potrei tornare a casa, pigliarla, e andarvicisivici col mezzo proprio. oppure arrivarci coi mezzi pubblici ed un po' di strada a piedi. il mio riflesso pavloviano ed io scegliamo la seconda opzione. d'altro canto sono dentro la nuova ossessione [temporanea](2) che il ritorno significa dover cercare parcheggio. nei pressi di casa, sotto proprio non e ne parla.(3)

metro-tram-piedi, costeggio lo stradone dove corrono le auto che sciamano verso la brianza. arrivo al negozio. trovo lo scarpone. sto per comprare altro, poi ci ripenso. esco dal negozio e mi avvio per il ritorno. decido di raggiungere il tram percorrendo una via diversa dall'andata.

ne viene fuori un'esperienza davvero interessante.

il cielo è grigio, minaccia pioggia, si sentono tuoni lontani. cammino per quel contesto urbano che ho sfiorato per qualche anno, anni indietro. è fendere diritto il zizzagare dei confini tra due città della prima cinta di periferia di milano. un pezzo di via è un comune, quello dopo è l'altro. il contrario poche vie parallele più in là. un continuo di strade che si somigliano tutte, palazzi figli di un'urbanizzazione che è venuta su come è venuta, ma molto meglio di molte zone di milano. erano comuni rossi, quelli. è cinta di periferia e lo era fabbriche storiche, importanti: lì diveniva sostanza, urbanizzata, il concetto di classe operaia. e chi amministrava ne era consapevole, forse da paraculo, ma ne era emanazione. lo percepisci un qualche senso di organizzazione e di intuizione profonda di chi ha regolato quell'espandersi importante. lo intravvedi anche se hai studiato altro. ora è qualcosa che in qualche maniera ha trovato[?] una nuova identità, così come ne sono cambiati gli abitanti. ora che non c'è più la classe operaia propriamente detta. ma si è tutto nebulizzato. e chi amministra è ben altra cosa. ma è comunque una sensazione strana, come se trasudasse l'orgoglio di una zona popolare molto fiera di esserlo. non sono posti belli. sono posti cui però ci si può affezionare, e sentirvici parte. poi non sarei del tutto onesto se non ribadissi che dove vivo è altro, e sono ben contento di starci. e cercherò di allontarmici il meno possibile. i vialoni larghi di qui intorno e la toponomastica ad angoli acuti è altra cosa. e la preferisco, eccome se la preferisco. ma la fierezza degli alberi il proud che si coglie in quella serie di incroci e palazzine più appiccicate la capisco bene. e merita tutto il rispetto che gli si deve.

insomma.

ne viene fuori un camminare che si porta appresso una piacevolezza sottile, un po' malinconica - vero - ma anche po' rasserenante, come questa cosa qui di questo personalissimo zeitgeist. e tutto sommato capisco che lì, in quel momento, va benissimo così. è un attimo che non mi meraviglierei scoprire, un domani, come qualcosa che sarà nostalgia. anche se è solo camminare in mezzo a quel pezzo di due città, prima cinta di periferia della metropoli. è un sommarsi di attimi a cui passo in mezzo, sentendomi ben presente e consapevole a me medesimo di quello che va bene, anche per il semplice fatto non vada male. non ostante tutto. non ostante la gioia sia veramente un'altra cosa. non ostante non riesca a non percepire  un bordone di fondo flebile, ma che c'è, che sa di sottilissima ma inevitabile tristevole malinconia. nostalgia per un qualcosa perso per sempre.

e così mi viene il dubbio. è una questione di riuscire o lasciarmi accontentare?

perché accontentare è un verbo strano, complicato da maneggiare. a seconda di come lo coniughi agisce in maniera anche dicotomica. fa andare il senso del periodo, il tocco di esistenza che racconta in direzioni molto diverse. come si portasse dietro la capacità di generare una stampa lenticolare del contesto che narra. la guardi da una parte e ti appare una cosa. la guardi dall'altra e ne compare un'altra. e forse la sintesi sta in una dimesione frattale, in mezzo alle due, che è negata a noi banalissime creature incerte.

quindi anche il dubbio è da stampa reticolare, ragiono, mentre ormai sono prossimo alla fermata del tram, sul bordo del parco nord, sto attraversando il cavalcavia pedonale sul vialone. un dubbio che non mi lascia esattamente indifferente.

mi chiedo se stia ottimizzando oppure sprecando delle risorse.

perché può essere che mi stia riuscendo, in questo periodo, di utilizzare al meglio le possibilità offerte dal divenire. ci scorrono sempre accanto tocchi di situazioni che possiamo sintetizzare per far sì siano cosa buona et giusta. sempre. ci sono persone che sanno intuire la sperenza nei posti più disperati. e se la fanno germogliare dentro, e saperla trasmettere fuori. o cose tipo il cactus e quel che riesce a fare con l'umidità dell'aria riarsa del deserto: che poi quando piove, ma quanto cazzo son belli i fiori che riesce a magnificare. quindi vivere il momento di camminare in mezzo a quelle vie - bruttine, suvvia - dopo aver acquistato la scarpa grossa. e provare una specie di serenità e verosimiglianza approssimata di felicità, per quanto blandissima. e percepire che va bene così. anche per quanto sia bravo ad ottimizzare.

però può anche essere che mi stia facendo andar bene il succedaneo di un qualcosa che basterebbe agire un pochino, e sarebbe altra vita. per viversela in modo ancora migliore. che basterebbe scrollarsi da la sottile inedia ignavica, per osare un po' di più. che potrebbe essere lì a portata di mano: però bisogna fare. non è una questione di intensità di morsi da dare alla vita, figurarsi. ormai comincio ad avere una certa età. ma che stia sprecando l'ammonticchiarsi congiunturale di contigenze, di possibilità, di risorse che in questo periodo mi sono [ancora] disponibili. anche le consapevolezze. non è stato sempre così. non sarà sempre così. forse sto lasciando fuggire qualcosa, perché ho paura di mettermi in moto, prima che in gioco. una cosa imparentata con la parabola dei talenti.(4) e lascio andare a dispetto mio e [soprattutto?] di o degli altri. è lo spreco che non [mi] va bene.

riesco ad accontenarmi perché sono bravo a dissetarmi con il vapor acqueo? oppure mi lascio accontentare sprecando l'acqua che sgorga accanto, che basterebbe unire le mani a coppa e così far fiorire il deserto lì intorno?

ho la sensazione siano corrette entrambe le figure della stampa lenticolare. e la sintesi stia lì in mezzo. in una fottutissima dimensione frattale. da conquistare pure quella.

 

scarpa grossa

 

1) se non si era capito è una specie di citazione, talmente alta, che fa un po' pisciofuoridalvaso.

2) a proposito di adoperarsi, sarà così fintanto che non avrò il tagliandino [annuo] per parcheggiare all'interno delle strisce gialle dei residenti. solo che io non sono [ancora] residente. una volta lo si chiedeva, era gratis: avevi solo il fastidio di doverlo rinnovare ogni anno. ora si paga, e non è una cifra simbolica. una volta acquistato spero di fuggire la tentazione di dividere la quota annula per il numero di parcheggi nelle strisce gialle. salterebbe fuori un rapporto imbarazzante di eurI a parcheggio.

3) il dettaglio del di come andarci non è per acclarare le mie nevrosi. bensì è un dettaglio importante per la psicopippa di questo post.

4) sono agnostico da più di vent'anni. ma la parabola dei talenti non mi lascia indifferente. affatto. anzi, forse è così proprio perché mi sono scoperto agnostico. ho studiato altro. ma ho la vaga sensazione esistano eccome elementi di etica comparativa di quel brano, in altri testi antichi. come se il messaggio profondo non sia solo un titillo da ansia da prestazione dell'interpretazione dell'evangelo [quando decisero come organizzare le scritture che dissero sacre, tra il 3° e 4° secolo], ma un memento da insconcio collettivo, che ci portiamo dentro. sintetizzato in diecine di secoli. come fossero radiofari che ci indicano: per tendere a farla migliorare, 'sta fottuta umanità, è necessario usare nella maniera più efficiente possibile le risorse che abbiamo disponibili. cosa che peraltro potrebbe spiegare benissimo un atomo di idrogeno, con gli stati degli orbitali per il suo elettrone più probabili, perché energeticamente meno dispendiosi: si fa così, perché è la cosa più efficiente ed essenziale che la natura ha inventato.

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