Sunday, December 6, 2020

antonietta ed il goldrake [nel senso di robot giocattolo] alto così

sto leggendo un libro che a suo modo mi sta catturando. al momento è la storia di un bambino che vive e cresce in un paesino nei pressi di reggio calabria. situazione famigliare disagiata, e contesto socio culturale povero et arretrato, sottoproletariato senza coscienza di classe. la cosa interessante e importante è che il tutto è raccontato con soavità, disincantata. la leggerezza degli occhi del bimbo, per cui quello è il mondo, per quel che ne sa. che per percepire uno iato c'è sempre bisogno di un elemento di confronto. lo struggimento, la tensione si generano quando si sa di altre possibilità, diverse, verosimilmente migliori. che così si fanno desiderio, obiettivi, o necessità. per il momento il marcello del libro racconta. le cose vanno accussì. soavemente. sono io che osservo ammirato per come se la vive, il piccolo marcello. e tutti i casini che ammonticchia: foco fu.

per una serie di rimbalzi dei ricordi mi è sovvenuta antonietta. faceva di marzio di cognome. la trovai in prima elementare. ho memoria fosse ripetente. antonietta di marzio, bocciata in prima elementare. era bruttina. piutosto alta rispetto alle altre, ma bruttina. carnagione olivastra. aveva lo sguardo triste e degli orecchini tanto minuti quanto disturbanti. come se le fossero imposti. una specie di segnatura che le bambine dovevano portare. è incredibile come ricordi - o la memoria mi stia perculando buttandomi lì elementi netti e precisi - di come si muovesse e di come parlase, la sua voce nasale, accento marcato, non ancora livellato dal nostro, che ci sembra quello normale, che non è accento, appunto. era una bambina cui il destino sembrava già aver decretato una discreta situazione esistenziale di merda. ed i segnali dovevano esser ben chiari anche a dei bimbi come noi. senza che ce ne rendissimo conto. ma quello stigma era ben introiettato da tutti. insomma, era segnata. e non che ci fosse quel granché di perequativo nei comportamenti di tutti. anche della maestra. che è stata l'elemento fondante della mia prima educazione scolastica. ma mai del tutto comprensiva nei confronti di coloro che rimanevano più indietro - per quanto ho la sensazione che altre potessero far addirittura peggio. antonietta era quella che più indietro di tutti rimaneva. e nel termine fanciulli c'è dentro una specie di candore, che può far a pugni con la stronzaggine e perfidia che a volte i fanciulli sono capaci di mostrare. quasi un'eco di un darwinismo sociale che sta in una qualche zona profonda del cervello. o della memoria collettiva. e quindi con lei eravano fondamentalmente stronzi, quanto meno mai amichevoli. come guidati dallo stigma di cui sopra.

anch'io, ovvio. ma mi arrogo l'idea di ricordare anche una sensazione di compassione. forse è il perculamento delle memoria ancora. ma intuivo ci fosse un qualcosa di ingiusto nel modo in cui la percepivamo e la consideravamo. poi era un qualcosa che non sapevo contestualizzare. né mi portava ad adoperarmi in maniera così diversa rispetto agli altri. come se intravvedessi appena il quadro sfumato delle cose. senza sapere cosa farcene, nella pragmatica del comportarmi, o nel strutturare dei princîpi da cui provare a far discendere un atto. quindi non riuscivo a farmela stare simpatica, o considerarla amica. però cercavo di essere cortese e disponibile. simpatia, amicizia cortesia, disponibilità: nel potenziale di quel che si può fare a quell'età. lei forse 'sta cosa la percepiva. per questo ricordo considerazione nei miei riguardi da parte sua. o forse era così con tutte e tutti, tanto era il suo desiderio di essere accolta.

una volta mi raccontò di possedere un goldrake giocattolo alto così. ed io ne rimasi impressionato. lei probabile lo capì immediatamente. così mi disse che me lo poteva regalare. io comincai a fremere di desiderio, a capire poco un cazzo, obnubilando la [poca] razionalità di cui disponevo. senza sapere ovvio esistesse la parola obnubilare. [parentesi: di rimbalzo in rimbalzo quello è un meccanismo in cui sono scivolato altre volte, e nemmeno in tempi tanto andati. solo che da ultimo non è scattato quando mi han fatto subodorare dei goldrake alti così. bensì situazioni che si possono eponimizzare in quella cosa bellissima che sta appena sotto il baricentro delle fanciulle, possibilmente non troppo glabra. facendomi infilare - figurativamente ovvio - in situazioni quanto meno improbabili. dove a volte sono scappato a gambe levate. fine parentesi]. insomma, antonietta mi disse che 'sto goldrake alto così avrebbe potuto portarmelo il giorno appresso. io le chiedevo cose, dettagli, particolari di questo goldrake alto così. e lei mi rispondeva con una dovizia di particolari che mi titillavano, provocando sottili godimenti di quel che avrei potuto verificare io, possedendoli. ci ho ripensato parecchie volte negli anni a 'st'episodio. vai a capire perché. di certo allora non mi feci nessuna domanda del perché una femmina dovesse avere un goldrake alto così - non mi risultava che le femmine fossero interessate a guardare atlas ufo robot, quindi cazzo se ne facevano di un goldrake alto così? [parentesi: se qualche paladina incazzatissima della [sacrosanta] parità di genere, nel caso molto poco probabile passasse di qua e partisse la filippica con la questione del settarismo, che stabilisce quali debbano essere i giochi delle bimbe e quali quelli dei bimbi, e che allo stato dell'arte questo avvenga per delle costrizioni culturali, che impongono e non inseguono i desideri spontanei che sgorgano dalle creature. ecco. quello era il non mi ragionamento che non feci allora, in quel contesto di bimbo che veniva anche un po' perculato dagli altri maschi perché non era abbastanza stronzo con le femmine. fine parentesi]. inoltre non mi risultava che un goldrake alto così esistesse, nei negozi di giocattoli e nelle pubblicità che compulsavo. e soprattutto: perché avrebbe dovuto regalarmelo?

ma tanto era il desiderio di possedere il goldrake alto così. che ovviamente il giorno appresso non venne soddisfatto. e neppure quello dopo. non ostante le mie rimostranze. all'inizio placate con dei giustificativi tipo ho il gomito che fa contatto col piede [cit.], mitigando la mia rabbia e delusione con la promessa che sicuramente l'indomani me l'avrebbe sicuramente portato. oltretutto il goldrake non era alto così, bensì così. la questione del goldrake andò avanti qualche altro giorno. con lei che si faceva ogni mattina più umbratile: la bocca più piccola e contratta, gli occhietti tristi ravvicinati, lo sguardo più basso. io mi facevo più risentito e stronzo. il goldrake alto così mi era stato promesso. mi sentivo preso in giro. non volevo dargliela vinta per avermi abbindolato. non è escluso la presi a male parole, per quanto potevano essere male le parole quelle che mi permettevo di usare allora. ma col desiderio di ferirla, come uno stupido fallo di reazione. una parte della mia testa sapeva che non esisteva nessun goldrake alto così. pero non mi capacitavo di come ci si potesse inventare una balla del genere, sapendo che avrebbe dovuto rendere conto al furore desideroso che aveva appizzato. come si poteva essere tanto ingenue? quindi un'altra possibile risposta era che il goldrake alto così doveva pur esserci da qualche parte. e rimasi appeso a questa speranza. poi passò anche quella.

ovviamente non capii allora che era il tentativo di ottenere la considerazione di qualcuno. talmente sgarruppato o disperato da far quasi tenerezza. ma le era bastato aver suscitato l'attenzione. per quanto fosse come accendere il fuoco con della carta velina, pensando di farne un falò con cui affrontare la notte. forse è questo che me l'ha fatto tornare in mente altre volte, da allora. quella necessità profonda e tutti gli artifizi per darne seguito, soddisfazione. forse nella sua testa, in fondo, un goldrake alto così da regalarmi c'era eccome. come il desiderio ed il sogno di un'infanzia diversa. guarda invece a volte la realtà come sa essere spietata, che poi 'sto goldrake alto così mica te lo ritrovi quando te ne torni a casa: e dire che l'avevo promesso.

e per essere spietata, la realtà, lo fu davvero. e fu che, piuttosto d'un tratto, quella famiglia sparì dall'hometown. lasciò quell'appartamento, che uno si immaginava piccolo e modesto, di cui ancora oggi rimane la porticina, piccola e stretta che dà diretttamente sulla strada nazionale. che sembra non venga aperta da anni. le voci che girarono dissero di abusi da parte del padre - di cui ho ancora vivido il ricordo del fare dinoccolato, il viso oblungo, i cappelli corti e grigi. il sommesso chiacchiericcio raccontò che quando toccò ad antonietta, quello che era già capitato alla sorella più grande, lei rimase in cinta. la madre trovò il suo modo di difendere la sua creatura. lo fece accoltellando il marito, padre ed orco. lui finì in galera. madre e figlie se ne andarono. forse tornarono là dove l'accento di antonietta non era considerato un accento. fu la prima ed unica volta che seppi di queste cose dalle parti dell'hometown. di lei invece non seppi più nulla. accadde dopo la fine delle elementari. eravamo già abbastanza grandi per intuire la gravità ed il contesto di degradazione di cui antonietta era vittima. tutto riacquistò una luce diversa. da quel suo stigma che si portava appresso, come gli orecchini disturbanti. a quanto eravamo stati un po' tutti stronzi nei suoi confronti. chi in un modo. chi nell'altro.

e quel goldrake alto così che io di certo non mi sarei meritato di sottrarle. che avrebbe dovuto, altresì, animare la fantasia dei suoi di giochi. e che invece, immaginificamente, le era servito per sottrarsi, il tempo di un sospiro, dalla durezza ed ingiustizia della sua infanzia violata, che non merita nessuna fanciulla et fanciullo.




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