Monday, December 14, 2020

di messe tridentine e del mio agnosticismo

oggi sono stato ad un funerale. matreme se ne fa almeno un paio a settimana. capisco perché ne abbia decisamente pieni i coglioni. ed ho contezza, esperita, su uno dei motivi per cui sia sconfortata ed ogni tanto perda un pochetto la brocca

per una serie di situazioni la celebrazione è stata officiata con il rito tridentino. tutto in latino [molto cantato], celebrante rigorosamente voltato verso l'altare spalle gli astanti, ritualità portate a livelli cornucopiali. l'inizio è stato piuttosto una frustata. mi son detto: sono le ultime volontà di uno che sapeva se ne stesse andando, concediglielo.

con l'occasione ho scoperto che, nei funerali d'una volta, dopo il vangelo [di cui nessuno capiva un cazzo, tutto in latino] non c'era predica. non era contemplato si ricordasse il defunto, tranne che con la preghiera, qual è il saluto della celebrazione funebre. [parentesi uno: chissà se quel prete ha una vaga idea del significato antropologico e psicologico sottesi a quella celebrazione. significati di una natura più antica e pervasiva del rito stesso, cosicché quel rito non è altro che una delle declinazioni possibili. atto necessario per cominciare ad affrontare il trauma del lutto]. poi vabbhé, con la scusa che ci concedeva uno strappo alla regola, la predica c'è stata. al netto del pacato e rappacificante asserire che "ormai tutto il mondo è ateo, così com'è atea quasi tutta la chiesa", è stato un menar stilettate a quei debosciati che erano lì, coloro che seguono il rito post-conciliare. poi vabbhé non ha risparmiato nemmeno i famigliari, quasi a voler togliere per interposta persona alcuni sassolini urticanti. con toni e pigli giudicanti, quasi che l'unico effetto da sortire dovesse essere un chinar il capo, contriti, peccatori e chissà, magari prima o poi redenti. ma parliamone. ho la vaga sensazione che uno bravo avrebbe colto ed individuato degli elementi psicotici importanti. io continuo ad aver studiato altro. però. come dire.

insomma. una sensazione durissima. spigolosa. a tratti irritante. ma uno dei paradossi in cui incappo è quello del rimanere disturbatatamente incuriosito da cose così lontane da me. cosicché mi paiano assaje interessante da osservare. [parentesi due: mi è pure sovvenuto, per la proprietà transitiva, se sia io più lontano dal cattolicesimo ufficiale, piuttosto che il cattolicesimo ufficiale più lontano da questa costola lefevriano-tridentina. e rifacendo la strada al contrario se costoro considerino più meritevole di infamia il cattolicesimo ufficiale oppure uno come me: che dal cattolicesimo ufficiale ha fatto apostasia. poi vabbhè. alla fine stigrandisssssssimicazzi, ovvio]. 

poi è successa una cosa. ero piuttosto isolato e distanziato dal resto degli altri, destinatari delle filippiche. nel dettaglio me ne stavo in uno degli altari laterali della collegiata, appena sotto l'organo. ho alzato lo sguardo e l'ho visto. l'organista. uno di loro. con la sua bella tonaca nera, dalla lunghissima fila di bottoni. che è più di un'uniforme. l'ho visto perfettamente sbarbato, perfettamente pettinato. con le mani giunte. che osservava dall'alto. tra un'esecuzione e l'altra [invero un più che discreto organista. per quanto il registro basso del fagotto, che ad un certo punto ha utilizzato bello convinto, mi sa che è stato restaurato in maniera forse troppo dura. un effetto acustico moderatamente inquietante]. l'ho osservato. e mi è parso di cogliere una tronfia serenità ed altera superiorità verso quello che stava succedendo. e non solo perché osservasse tutti dall'alto del piano dell'organo.

che magari ho visto male. che magari il mio bias è piuttosto marcato. e distopizza. però ho avuto la sensazione di incasellarla quella spigolosità, pacata, ma durissima. ed ho pensato - per un attimo, per assurdo - che da una parte li invidio un po'. perché la fottuta contemporaneità, del mondo delle cose che succedono, deve spaventarli parecchio. ne avrebbero anche abbastanza ben donde. il divenire è tragicamente complesso. qualcosa che trascende tutti e tutto, tanto sono immense e implacabili le dinamiche in cui siamo immersi. sballottati come fuscellini in mezzo ad una tempesta. cazzo se è tutto complicato. cazzo se è qualcosa di potenzialmente terrificante. la panciona paciosa della gaussiana in gran parte rimuove. ed è tutto uno sbucare di succedanei: variegatissimi, da riempire quintali e quintali di possibilità con la quale si prova a spassarsela, o si pensa di. produci-consuma-crepa. ci sta che una parte, spaventata e scandalizzata da quella complessità, si arrocchi. scegliendo una declinazione trascendente di quell'arroccarsi. e ci si trovi pace e serenità, o qualcosa che si scambia per.

così, a pensareci bene, non meraviglia l'incedere impetuoso della filippica. si incasellano per bene la ritualistica, il recitare in una lingua passata, lo scampanellio a ricordar i passaggi topici*, il muoversi coordinato e la ripetizione degli inchini, ognuno sicuramente con un suo particolare significato. non vorrebbe essere saccente lo sguardo pacato dell'organista. loro se ne stanno conchiusi sopra la rocca di quell'unica [solo la loro veramente autentica] fede. arroccati ed in alto. talmente con la convinzione di starsene nel giusto da sentirsi protetti. ovvio che poi uno si percepisca col culo al caldo. ovvio che tutto il resto si osserva con un'alterità, che prova a provare compassione, ma in fondo sono un po' cazzi degli altri, nel senso di coloro che non sono loro. ovvio che all'interno della loro bolla sia tutto così rigorosamente armonico: perché se espunti il dubbio del confronto con il resto, te ne puoi stare sereno a pensarti a tu per tu con la parte dei giusti. ovvio che quando il mondo appare incasinato, si fa prima a bollarlo come corrotto, chiuderti la fortezza e rivolgere lo sguardo al passato. che è passato. sai com'è andata. tutto diventa meno incerto. è tutto fottutamente più semplice. è tutto molto meno faticoso. è tutto pacificatamente rassicurante. roba che non ti viene di metterti le mani nei capelli. tutti ordinatamente pettinati.

è un gran sollievo.

non so. davvero. forse non ho capito un cazzo. forse è la percezione di essere incappato nella curiosità per l'assurdo. forse è che la fottuta caducità del casino che ci circonda è da preferire alle certezze di starsene sulla rocca. spigolosi. così già onusti di salvezza eterna.

preferisco il dubbio. e se mi riesce far un tocchettino per l'umanità. atei o non atei che siano.

anche perché oggi ho assistito, incuriosito, ad un qualcosa di molto interessante dal punto di vista antropologico. ma che per altri punti di vista è totalmente arido. talmente impegnati a glorificare l'alto dei cieli, da dimenticare il [complicatissimo] mondo quaggiù. come non foss'altro che da disprezzare perché corrotto, ateo, perduto e lontano dalla grazia. non ho percepito un briciolo, una stilla, un'evocazione di amore, di empatia, di condivisione, di fraternità. di umanità. solo un giudicante, sicumerico, implacabile richiamo a radicalità che - dicono - garantisce il regno dei cieli. ma che nell'immanente non scalda nessun cuore. è roba gelida. dovesse esserci un dio contento di 'ste cose qui, boh. forse è financo meglio il mio agnosticismo.

 

*io non so se l'amica elisabetta passi da quivi. però noi, milleMiGlioni di vite fa l'abbiamo conosciuto uno che discettava sulle varie forme di scampanellio: come, quanto, quando, durante il rito. un po' lo stuzzicavamo a raccontarci - e lui non aspettava altro - un po' lo ascoltavamo come fosse un marziano. ecco. oggi quel discettare è come se si fosse contestualizzato e si fosse consustanziato. ed in fondo, in quei parossismi ritualistici, lo scampanellio ha un suo senso, in quel senso, ovvio.

1 comment:

Robe di Robi said...

Credo sia il post migliore (che poi non sono nessuno per giudicarlo).
Non il mio preferito ma il migliore.